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Autore: babykit87l    14/09/2020    3 recensioni
Martino e Niccolò stanno insieme ormai da sette anni, finché un evento traumatico non cambia le loro vite stravolgendole. Sarà dura tornare alla vecchia vita o forse l'unica soluzione è considerare la possibilità di iniziarne una nuova.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14  

 

 

Quando una diga si rompe, l’acqua che era tenuta bloccata irrompe come uno tsunami dall’altra parte. E fu quello che avvenne nella mente di Niccolò. Arrivò tutto insieme, una valanga di ricordi senza un ordine preciso che lo travolse, investendolo in pieno con la forza di un uragano per gettarlo a terra e ridurlo in pezzi. 

Bastarono quattro semplici parole: “perché ti sei fermato?” 
 

Lo aveva visto ancor prima di entrare in aula, seduto su uno dei banchi con le gambe incrociate e aveva sentito il suo sguardo su di sé appena era entrato. Quando poi era uscito dall’aula, fingendo palesemente una chiamata, non aveva resistito e l’aveva seguito nello stanzino della radio, ammirandolo da dietro il vetro, mentre con le cuffie in testa si divertiva ad imitare gli speaker professionisti. Solo a quel punto si era fatto vedere. “Perché ti sei fermato?” 

“No, non stavo registrando, stavo solo cazzeggiando.” 

“Peccato!”   

 

“Che peccato non poterti aiutare!”  Sentì la voce di Filippo dall’altro lato della cornetta, con quel tono finto dispiaciuto, solo vagamente sarcastico.  

“Ah ah ah simpatico!” Gli aveva fatto il verso Niccolò, voltando l’angolo verso quel vicolo senza lampioni che aveva scoperto essere una scorciatoia per tornare a casa, quando era a piedi ed era tardi. Aveva la spesa in una mano e il telefono attaccato all’orecchio. 

“Quindi non mi vieni a dare una mano? Dai Filo!”  

“E che dovrei fa’ scusa?”  Sentì chiedere da Filippo, mentre da una porta senza insegne uscì un gruppo di uomini. Tutti palesemente ubriachi. 

“Se vieni domani mattina a casa ti dico... Eva mi ha dato tremila cosa da fare. E la festa è sabato!” 

“Ma fatti aiutare dal tuo fantastico fidanzato, no?”   

“No, non può, il mio fantastico fidanzato è impicciatissimo con il lavoro...” 

Lo aveva sentito sospirare con fare drammatico.  “Vabbè solo perché siamo amici. E perché Martino non può...”  

“Quanto sei buono... Martino ti ringrazierà profusamente!” 

“Profusamente? Ma come cazzo parli Nico?”  

Niccolò si era messo a ridere, proprio mentre passava davanti a quel gruppo di uomini, quattro per l’esattezza. “Che vuoi? A Marti piace che parlo così...” 

“Perché Marti ti ama.”   

“Sì e io amo lui...” Rispose senza pensare.  

A quelle parole, il gruppo con un tono di voce alto iniziò a dare fastidio a Niccolò che si zittì immediatamente e velocizzò il passo.  

“Ma che succede? Che è sto casino?”  

“Filo, ti devo salutare adesso. Ci vediamo domani, okay?” Salutò l’amico con un tono molto più serio, sperando che l’altro capisse senza specificare nulla. 

“Okay... mandami un messaggio quando arrivi a casa. Mi raccomando!”   

Il ragazzo lo rassicurò, chiuse la chiamata e rimise il telefono in tasta.  

Iniziò a velocizzare il passo; si sentiva a disagio percependo la presenza del gruppo dietro di lui che lo stava seguendo e maledisse di essere passato di lì per tornare a casa. Martino gli diceva sempre di evitare di sera, che non era sicuro passare per quella strada quando era buio. Aveva già sentito diverse persone raccontare di come quella via fosse spesso frequentata da soggetti poco raccomandabili, certamente omofobi, xenofobi, che aspettavano solo un pretesto per iniziare risse.  

Niccolò finse di non sentire gli insulti che da dietro lo stavano seguendo. Cercò di recuperare il telefono e fare luce, era dannatamente buio o forse era solo la sua paura a bloccargli la vista. L'aria si stava facendo tesa mentre quei tizi ridevano come cretini e l’odore di alcool, erba e sigarette iniziò a spargersi tutto intorno a lui. 

Quell'odore tossico...  

 

“Però un sacco di cose che puzzano alla fine sono buone.” Aveva detto davanti a quel piatto di pasta che tutto aveva tranne che l’aspetto di una carbonara. 

“Tipo?” Martino lo aveva guardato scettico. 

“Tipo il miele.” 

“Il miele non puzza...” 

“Come no? Cioè, hai mai annusato il miele? Sa di piedi!”  

La risata soffocata del ragazzo aveva riempito il cuore di Niccolò di un calore nuovo, mai provato prima. “Io non so che miele mangi tu, ma il miele non sa de piedi. Sta pasta sa de piedi!” 

“Perché c’ho messo il miele.” 

Martino lo fissò allibito. “Ma quando?”  

 

“Ma quando?”  

Appena l’aveva visto entrare nel bagno del primo piano, il suo cuore aveva accelerato. Sapeva di aver sbagliato, allontanandosi in quel modo, eppure non aveva potuto evitarlo. Aveva avuto paura. Una fottuta paura di innamorarsi di lui. E se poi fosse finita come con Luai?  No, non poteva affrontare nuovamente quel dolore e quel senso di colpa. Così era sparito dal suo radar per ben 4 giorni, prima di decidersi a scrivergli e dargli appuntamento in quel bagno.  

“Ti ho scritto un po’ di messaggi in questi giorni” era stata la prima cosa che Martino aveva detto e lui, con un coraggio che non credeva di avere aveva replicato. “Ti ho risposto.” 

Martino lo aveva guardato con degli occhi così delusi che gli si spezzò il cuore. E ora alla sua domanda, che palesava la sua fuga, che altro poteva rispondere? Non si dice sempre negare, negare, negare anche l’evidenza?  

“Ti ho dato appuntamento qui...” E aveva cercato di recuperare con una battuta stupida. “Non è il posto più romantico che tu abbia mai visto?”  

 

La casetta a Bracciano non era mai stata la location più romantica del mondo, ma aveva un significato così intimo per entrambi, così profondo e importante che avrebbe potuto battere anche la cena più elaborata sulla Tour Eiffel con la città di Parigi che si stagliava sotto di loro. Eppure Martino si era impegnato incredibilmente per renderla tale. E quando la macchina si era fermata davanti al portico, aveva aperto la portiera dalla parte del passeggero dove Niccolò, con un sorriso emozionato, attendeva con una fascia a coprirgli gli occhi, ugualmente chiusi. 

Lo aveva aiutato a scendere dall’auto e delicatamente gli aveva tolto la benda permettendogli di riaprire gli occhi. E il respiro gli si era mozzato nel petto. 

Il portico bianco era tutto ricoperto da lucine chiare che rendevano l’ambiente quasi ovattato, in un angolo era stato messo un divanetto a dondolo e il pavimento in legno era cosparso di petali di rose bianche. 

“Wow! È tutto molto romantico...” Aveva detto Niccolò, avvicinandosi alle scalette. 

“Quest’anno non è stato sempre facile tra noi con il ritorno di Luai e tutto il resto... volevo festeggiare il nostro secondo anniversario in modo carino in un posto importante per noi.” Aveva risposto Martino accomodandosi sul divanetto con un sorriso. 

“Posso venire lì?” 

 

“Posso venire lì?” 

Si erano ritrovati in trappola, dentro quella stanza, la camera di Silvia. Martino era sdraiato sotto il letto, per nascondersi e lui aveva seguito le indicazioni silenziose dei loro amici, capendo solo dopo che uno di loro aveva chiuso la porta a chiave, che quel torneo di nascondino era stata solo una trappola ben organizzata per farli ritrovare da soli a parlare, chiarirsi e magari, se tutto fosse andato come speravano, tornare insieme.  

Martino aveva annuito e Niccolò era rotolato sulla schiena, proprio accanto a lui, sospirando piano. Si era limitato a stare lì immobile, in attesa che Martino dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. E Martino aveva parlato, gli aveva riversato addosso tutto il suo dolore e tutta la sua angoscia, la paura di essere un semplice rimpiazzo e il suo giocare d’anticipo per evitare di soffrire. Tentativo del tutto fallito. 

E si erano ritrovati, alla fine, ripromettendosi che mai più avrebbero fatto sentire l’altro come se il loro amore non fosse abbastanza. Perché lo era. Lo sarebbe sempre stato. Non erano finiti a letto, quella notte – anche se avevano simulato dei rumori sospetti cosicché gli altri fuori da quella porta lasciassero loro la privacy di cui avevano bisogno – ma erano rimasti abbracciati e avevano suggellato il loro nuovo patto con un bacio intenso e caldo, che lo faceva sentire vivo e si rese conto che gli era mancato da morire quel sapore. Un sapore dolce che sapeva di loro. 

  

Sentì un sapore metallico in bocca, un misto di lacrime, bile e sangue.  

Non se ne accorse neppure. Fu così veloce, quella sferzata al collo con un corpo contundente, rigido, probabilmente un tubo di metallo, che gli fece perdere l’equilibro, buttandolo a terra, e gli tolse il respiro. Sbatté la bocca sul cemento umido, pieno di pietrisco frastagliato che gli entrò in bocca e gli spaccò il labbro inferiore.  

Poi un calcio in pieno viso. E un occhio si riempì di sangue. O almeno credette perché vide una colata rossa che gli annebbiò la vista e fu costretto a chiudere gli occhi. 

E di nuovo quell’oggetto che lo aveva atterrito si scagliò su di lui, sulla schiena, sul petto.  

Non riusciva a muoversi. E urlò.  

Urlò no. Basta. Aiuto.  

Eppure non emise alcun suono. La cassa toracica compressa a tal punto che a malapena riusciva a respirare. Mentre loro inveivano contro di lui. 

Frocio di merda.  

Devi morire.  

Ti faremo a pezzi.  

Era un fantoccio in balia della crudeltà di quegli uomini. 

La sua mente cercò di allontanarsi da quello che stava avvenendo. E pensò a Martino, che lo teneva ancorato alla vita. Che lo faceva sentire amato. Ma soprattutto che era al sicuro, lontano da lì.  

 

Quando aveva aperto la porta di casa, aveva trovato Martino, Giovanni, Elia e Luca, tutti malconci, reduci da quella che era stata sicuramente una rissa. 

“Che è successo?” 

“Ma niente, Nì, possiamo rimanere qui? Se i nostri genitori ci vedono in queste condizioni finiscono di ammazzarci.” 

“Certo, venite dentro e mi spiegate.”  

Giovanni aveva poi raccontato che i tizi di Piazza Giochi li avevano aggrediti. O meglio, avevano preso di mira Martino e Giovanni era intervenuto, ma erano troppi, così Elia era andato a chiamare rinforzi e quelli di Villa erano arrivati, finendo in una rissa.  

Niccolò si era sentito subito in colpa per non essere andato a quella festa. Stava male da un paio di giorni. Faticava persino a tenersi in piedi. Martino aveva perciò insistito per farlo rimanere a casa – “tranquillo, non succede nulla se non vieni. Tanto ci sono tutti gli altri. Devi stare bene, Nì!” –  e così per la seconda volta in poco tempo, lui non era stato lì a proteggere il ragazzo che amava. Dopo averlo fatto spogliare, aveva controllato scrupolosamente il corpo di Martino, dove erano presenti una serie di lividi sul petto e una ferita, fortunatamente non troppo profonda, sulla clavicola che Niccolò aveva disinfettato con cura. Tremava mentre con l’ovatta imbevuta di acqua ossigenata puliva la ferita e Martino aveva bloccato il movimento, sorridendogli con amore. 

“Ehi va tutto bene. Sto bene, okay? Sono venuto qui perché mi fido di te.” 

 

“Promettimi... che da oggi... mi posso fidare di te.” Erano al mare di Fregene, seduti sulla coperta che si erano portati dietro. Niccolò doveva tenerlo occupato per permettere a Giovanni di preparare tutto per la festa a sorpresa organizzata per il suo compleanno.  

“Prometto solennemente!” Si era persino messo la mano sul cuore.  

“Sono serio...” L’aveva redarguito Martino. 

“Anch’io! Da adesso puoi chiedermi tutto quello che vuoi e io ti dirò sempre tutto.” Aveva avuto gli occhi fissi su di lui mentre prometteva la piena sincerità. 

“Tutto tutto?” 

“Tutto!” Niccolò aveva cercando di infondere la piena sicurezza nelle sue parole, perché voleva che Martino si fidasse di nuovo di lui. Che tra loro le cose tornassero come erano prima dell’arrivo di Luai.  

E Martino gli aveva creduto, l’aveva messo alla prova con quelle domande sulla sua festa a sorpresa che ormai non era più una sorpresa ma aveva dimostrato di essere sincero e tanto era bastato. E proprio mentre Martino si era sporto per baciarlo delle urla alle loro spalle li aveva distratti e interrotti. 

Fate schifo.  

 

Fai schifo.   

Uno degli uomini aveva preso il volto di Niccolò per sbatterlo più forte a terra e una macchia di sangue colorò l’asfalto bagnato, espandendosi come olio intorno a lui. Dietro di lui, il quarto uomo ululò con una risata ubriaca e lo chiamò in tono sarcastico.  

“Frocetto del cazzo, non rispondi?” 

Niccolò li sentì ridere ancora, completamente indifferenti a ciò che sarebbe potuto succedere. Divertiti dal suo dolore. 

Avrebbe voluto rispondere ma si sentiva soffocare dal sangue e da qualcosa che bloccava il respiro sul nascere proprio dal polmone.  

Si sentiva spezzato.  

Spaccato a metà. 

Devastato in modi che non credeva possibili. 

E stanco. Troppo stanco per combattere ancora contro il dolore che provava.  

“Scommetto che te piacerebbe ave’ sta mazza su per il culo ve’?” Fu l’ultima cosa che sentì prima di svenire del tutto. Non seppe cosa successe dopo, si lasciò semplicemente andare, sperando che l’oblio lo inglobasse e gli facesse dimenticare tutto quell'orrore.  

 
*** 

Martino lo aveva preso al volo, prima che potesse sbattere la testa sul pianoforte. Poi, con una forza che non credeva possibile, lo aveva preso e portato a peso morto sul letto.  

“Nì!” Provò a farlo rinvenire. “Nico, ti prego riprenditi!”  

Gli alzò le gambe in alto e gli schiaffeggiò il volto. Nulla sembrava farlo riprendere. Poco dopo Niccolò sembrò riprendere i sensi, ma solo per qualche attimo. Giusto il tempo di voltarsi verso l’esterno del letto e vomitare direttamente a terra, pronunciando poi poche parole sconnesse, confuse, che Martino riconobbe come frammenti di ricordi, pezzi della loro vita insieme che forse Niccolò non riusciva a collegare tra loro, ma che stavano finalmente venendo in superficie. Poi lo vide svenire di nuovo.  

“Oddio mo’ che faccio?” 

Martino si guardò intorno e sentì il panico farsi strada in lui, aveva il respiro affannato e la nausea provocata anche dal vomito a terra non lo facevano ragionare con lucidità. Era dannatamente preoccupato per il modo in cui il suo ragazzo stava reagendo, senza nemmeno saperne la causa. Il suono del telefono lo fece sobbalzare, e con le mani che tremavano recuperò il telefono. Sullo schermo vide il nome di Giovanni.  

“Gio’!”  

Immediatamente all’amico gli si alzarono le antenne e capì che qualcosa non andava.  “Che succede?”  

A quel punto Martino crollò e pianse. Provò a raccontare cosa fosse successo tra un singhiozzo e un respiro profondo. “Dovrei anche pulire a terra e non so che fare...” 

“Va bene. Te lo dico io, chiama i genitori di Nico e digli di venire da te. Io arrivo subito, okay?”  

Martino accettò e chiuse la chiamata, cercando di calmarsi. Recuperò il numero di Anna e le chiese di raggiungerlo perché Niccolò era svenuto e aveva bisogno del loro supporto per affrontare quella situazione.  

Poi con la testa pesante, cercò di distrarsi in attesa dell’arrivo di tutti, iniziando a pulire a terra con lo straccio e un secchio pieno d’acqua. Ci mise poco a sistemare il disastro che Niccolò aveva, suo malgrado, combinato e alla fine rimase accanto a lui, seduto sul letto, stringendogli la mano per darsi forza.  

Tenne lo sguardo fisso su di lui. Aveva la testa pesante, il respiro affannato, la gola secca. Il panico iniziale si era trasformato nel terrore di ciò che stava succedendo. Rimase così, in quella posizione finché non sentì la porta d’ingresso aprirsi. Era sicuramente Giovanni, l’unico cui aveva dato le chiavi di casa per i casi di emergenza. Quello lo era di certo. 

“Ehi, eccomi... come sta?” Chiese Giovanni appena entrò in camera. 

“Non lo so... ogni tanto si risveglia e farfuglia cose che non capisco, dettagli di situazioni che... boh, non so ricollegare in questo momento.” 

“Hai chiamato i suoi?” Al cenno d’assenso di Martino, Giovanni chiese ancora. “Sarà il caso di chiamare l’ambulanza, non lo so, lo psichiatra, qualcuno?” 

Martino sospirò piano. “Vorrei aspettare i suoi genitori, così decidiamo tutti insieme.” 

“Pensi che stia ricordando?” 

“Ne sono sicuro... è tutta colpa mia.” 

“Ma che cazzo stai a di’ Marti?”  

Martino sospirò e chiuse gli occhi, ingoiando nuove lacrime che cercavano una via d’uscita. Provava un tale senso di colpa che avrebbe voluto tornare indietro a mezz’ora prima, quando era rientrato a casa, e starsene zitto.  Quando lo aveva visto suonare al pianoforte, voleva semplicemente scherzare. Si trattava di un gioco che solo lui in quel momento avrebbe capito: usare la stessa frase con cui si erano conosciuti, per mantenere vivo il ricordo di un Niccolò che non c’era più. Un po’ come quando Nico diceva cose che aveva già detto ben prima dell’amnesia, senza che se ne rendesse conto. Ma forse stavolta era stato diverso e non sapeva nemmeno perché. Non credeva che da una semplice frase potesse scaturire una reazione del genere. Non dal vivere in quella casa. Non dallo stare accanto a Martino. Non dal fare l’amore con lui. Era successo tutto per una frase e non avrebbe mai voluto che Niccolò ricordasse tutto in quel modo, con quella sofferenza. Lui che era la persona più buona che conoscesse, il ragazzo più dolce che potesse avere accanto. Lui che nella sua vita aveva già conosciuto il dolore, quello vero.  

Era colpa sua se ora Niccolò stava rivivendo tutto in quel modo atroce. 

“Beh magari la sua reazione è parecchio forte, ma... è un bene che ricordi tutto. Poi non è detto che stia succedendo questo.” 

Martino scrollò le spalle. “Comunque sta male ed è successo perché gli ho detto così. Non avrei dovuto.” 

Attesero l’arrivo dei signori Fares e Anna prese in mano la situazione, chiamando lo psichiatra che diede loro istruzioni su come comportarsi e un appuntamento da lì a due giorni dopo.  

Per diverse ore quella notte, Niccolò non si svegliò. Passò il tempo sul letto, vegliato da Martino, i suoi genitori e Giovanni. Alternava momenti in cui era del tutto privo di sensi ad altri in cui era in uno stato di dormiveglia. Non mangiò nulla, né andò in bagno.  

Poi intorno alle cinque del mattino, aprì gli occhi. Accanto a lui, Martino era semi sdraiato, con la schiena appoggiata alla testiera del letto. Si voltò nella sua direzione e per la prima volta da mesi lo riconobbe. Riconobbe quel ragazzo che aveva amato per sette anni. Con gli occhi da cerbiatto, le lentiggini e il sorriso dolce. Quel ragazzo che era riuscito a farlo innamorare di lui per ben due volte. E con quella scoperta, nonostante il dolore e la paura dei ricordi recuperati che gli stringeva lo stomaco e il cuore, sorrise.  

Martino si accorse che lo stava guardando e si girò per legare il suo sguardo a quello del ragazzo. E i suoi occhi erano di nuovo quelli di Niccolò. Il suo Niccolò. Quello che aveva amato per sette anni. 

“Ciao.” 

“Ciao.”  

  

 

 

 

 

Notes:

Quello che tutti attendevamo dall'inizio della storia è arrivato... Finalmente i ricordi sono tornati e per Niccolò inizia un nuovo percorso. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perché ci tengo tantissimo a questa parte della storia 🙏🏼❤️
Vi ringrazio per tutto il supporto che mi state dimostrando, sono veramente grata 🥰
Alla prossima settimana
Babykit

   
 
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