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Autore: Carmaux_95    14/09/2020    8 recensioni
-Voglio che adesso tu mi prometta una cosa.-
-Cosa?-
-Non nascondere mai più la polvere sotto il tappeto.-
Il bambino, colto di sorpresa, corrugò la fronte e restituì uno sguardo perplesso: era una frase che aveva sentito pronunciare anche dalla mamma ma non aveva mai capito cosa significasse. Capiva ancor meno come si ricollegasse a quella conversazione. -Non ho capito. Io... io non ho paura della polvere!-
[SECONDA Classificata al Contest "GTO Style" indetto da Laila_Dahl sul forum di efp]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Milano quotidiana'
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La giraffa e il tappeto

 

Estate 1986

Incrociò le braccia sul banco e vi appoggiò sopra la testa, sospirando.

Non gli erano mai piaciute quelle settimane estive organizzate dalla scuola per venire incontro ai genitori che, lavorando, non potevano lasciare i figli da soli a casa.

Almeno sulla carta non erano così male perché si veniva a scuola più tardi, si facevano solo un paio d'ore di compiti la mattina, altrettante nel pomeriggio, e si poteva scegliere liberamente come impiegare il resto del tempo libero: si poteva decidere di rimanere in classe, magari a leggere o disegnare, oppure di scendere in cortile a giocare.
Per quanto si sentisse più a suo agio fra libri e quaderni, ogni giorno Michele optava per la seconda opzione e, regolarmente si ritrovava a constatare quanto fosse stata una pessima idea.

Non dava mai a vedere quanto le prese in giro dei suoi compagni lo ferissero: si limitava ad annuire, sforzandosi di rimanere impassibile, e a mettersi in disparte.
Di solito rimaneva in cortile, ma quel pomeriggio, complice il fatto che si fosse sbucciato un ginocchio giocando, aveva chiesto alla maestra di poter tornare in classe. Aveva aspettato di essere seduto al suo posto, da solo, per permettere ad una lacrima di rigargli il viso, ma si era affrettato ad asciugarla immediatamente con la mano.

Non piangere!

Se uno dei suoi compagni lo avesse visto, lo avrebbe raccontato a tutti e lo avrebbero deriso di nuovo.

Nascose il viso fra le braccia conserte, fingendo di riposarsi, domandandosi per la centesima volta quando Raffa sarebbe venuto a recuperarlo.

Raffa” era lo stupido soprannome che aveva dato al fratello maggiore per via della sua altezza, che gli faceva sempre pensare alle giraffe africane. Gli era sempre piaciuto chiamarlo così, ma ultimamente storceva il naso anche solo quando si trovava a pensare a quel soprannome. Era un nomignolo affettuoso: non avrebbe dovuto fargli provare del risentimento nei suoi confronti...

Quando suo fratello veniva a prenderlo a scuola era il momento migliore della giornata, e allo stesso tempo il peggiore.

Gli voleva tanto bene: non era certo quello il problema.

Così come non lo era nemmeno la differenza d'età.
A onor del vero, se doveva essere del tutto onesto, questo dettaglio gli piaceva: i suoi compagni di classe litigavano spesso e volentieri con i propri fratelli o sorelle – e per i motivi più insignificanti – proprio perché, essendo coetanei di sette anni, o essendoci uno scarto di solo un paio d'anni fra il primogenito e il secondogenito, non conoscevano ancora un modo migliore per confrontarsi.
Michele, invece, non litigava mai con suo fratello maggiore, quantomeno non nel modo in cui i suoi compagni di scuola discutevano con i propri: non mancavano le volte in cui si davano sui nervi a vicenda, certo, ma erano più frequenti le occasioni in cui Michele lo osservava con curiosa ammirazione.

Negli ultimi mesi, tuttavia, quella stima taciuta – aveva pur sempre un orgoglio – aveva virato verso un inaspettato e controverso desiderio di emulazione: spesso, quando il fratello non c'era, Michele entrava in camera sua per studiarlo e capire cosa lo rendesse il ragazzo popolare e dalle cui labbra chiunque pendeva.

Perché il vero problema, in fin dei conti, era quello: suo fratello Diego era un “figo”.

Michele se ne rendeva perfettamente conto e, allo stesso tempo, non se lo spiegava.

Certo, non poteva negare che fosse un bel ragazzo: in primo luogo un diciassettenne che sembrava del tutto intenzionato a raggiungere il metro e novanta di altezza prima della maggiore età non poteva che attirare l'attenzione; se poi considerava che all'altezza corrispondeva anche un fisico asciutto e un bel visetto dagli occhi vispi e schietti, Michele non si stupiva del fatto che la maggior parte della fauna scolastica fosse interessata a lui. Persino tre quarti delle proprie compagne di classe si erano prese una cotta per lui – addirittura lo salutavano arricciandosi una ciocca di capelli con l'indice quando passava a recuperare il fratellino – e si erano ritrovate con il cuore spezzato quando si era fidanzato con una delle sue compagne.

Il fatto che avesse un anno in più rispetto ai suoi compagni di classe, poi, era un altro motivo di ammirazione per i suoi amici e, in questo caso, Michele si trovava a corrugare la fronte perché ricordava bene quanto si fosse arrabbiata la mamma quando Raf-...Diego si era dovuto iscrivere di nuovo al quarto anno del liceo.

Forse si trattava di tutti quei lividi e graffi che si procurava facendo le acrobazie con la bicicletta o forse ancora del tatuaggio che si era fatto per coprirsi una cicatrice. Non si poteva negare che fosse molto bravo, ma quando tornava a casa e non riusciva più a camminare se non a gambe larghe oppure quando, uscito dall'ospedale dopo essersi slogato per l'ennesima volta la spalla, non riconosceva nemmeno il proprio riflesso nello specchio perché sotto antidolorifici, Michele pensava amichevolmente che fosse un idiota.

Un idiota spigliato e con una confidenza che il ragazzino non poteva che invidiare.

Forse era una stupidaggine, ma persino la sua altezza era diventata, con il tempo, motivo di gelosia. Per questo non gli piaceva più chiamarlo “Raffa”.

Se solo fossi più simile a lui...

Appena un paio di giorni prima si era intrufolato in camera sua e aveva provato ad indossare una delle sue magliette preferite – quella con quattro lettere scritte con un carattere spigoloso e inframmezzate da un piccolo fulmine stilizzato – e non aveva trattenuto una smorfia quando aveva visto che gli arrivava alle ginocchia.
Consapevole del fatto che, in quanto ad altezza, non poteva fare nulla per migliorare la propria posizione – era dannatamente basso per un bambino della sua età – aveva deciso di impegnarsi almeno sotto un altro punto di vista procurandosi, però, un brutto ginocchio sbucciato.

Un'esclamazione improvvisa gli fece sollevare di scatto la testa: -Eccoti! Sono dieci minuti che ti cerco giù in cortile!-

Riconoscendo il protagonista dei suoi pensieri, comparso sulla soglia dell'aula, Michele si alzò e recuperò la cartella, issandosela rapidamente sulle spalle.

-Com'è andata oggi?-

-Tutto bene-, bofonchiò a testa bassa, accettando il casco da bicicletta che gli veniva porto e infilandoselo in fretta. Un po' troppo di fretta.

-Ehi, fermo.- Diego lo afferrò per il colletto della maglietta e lo trattenne prima che uscisse dalla classe. -Ti senti bene?-

La testa sempre più bassa, di modo che le ciocche di capelli scuri che sporgevano dal casco gli coprissero gli occhi, Michele annuì ma, sentendo lo sguardo indagatore del fratello su di sé, proseguì: -Mi sono fatto male, ma non è niente.-

Diego si chinò e gli esaminò il ginocchio, scorticato e pieno di graffi dai quali sfuggiva ancora qualche goccia di sangue.
-Ma come hai fatto?-, domandò recuperando un pacchetto di fazzoletti e una bottiglietta d'acqua dalla cartella. Gli indicò con un cenno del capo la sedia più vicina: -Appoggiati: ti aiuto a pulirlo.-

-Sono caduto dallo skateboard.-

-Cosa ci facevi tu su uno skateboard?-

Sebbene fosse stata pronunciata con innocenza e un sorriso sulle labbra, quella domanda scatenò reazioni contrastanti in Michele, facendogli tornare gli occhi lucidi. Sapeva che Diego non voleva sottintendere niente di negativo, ma inconsapevolmente aveva rigirato il coltello nella piaga, centrando in pieno il motivo del suo disagio: il fatto che, con poche e semplici parole, fosse riuscito a mettere a nudo la sua inadeguatezza e la sua incapacità di farsi accettare dai compagni lo catapultò nuovamente in quella tempesta emotiva che era infuriata nel momento in cui era andato a rifugiarsi in classe per essere lasciato da solo. Si portò una mano al viso, strofinandoselo nella speranza di prevenire l'inevitabile: non avrebbe pianto davanti a nessuno!

Non doveva piangere!
Non era un frignone, lui!
Aveva resistito per due settimane: poteva reggere ancora qualche giorno.

Si asciugò la mano, umida e salata, nella maglietta sporca di terra e sudore.

Diego, cogliendo quel gesto di sfuggita, alzò gli occhi per incontrare lo sguardo sofferente del fratello: una lacrima ribelle era sfuggita al suo controllo e aveva disegnato un piccolo rigagnolo lungo la sua guancia, pulendola dalla polvere che vi si era appiccicata per colpa del caldo afoso e appiccicoso di giugno.

-Ehi...-, sussurrò smettendo di tamponare la ferita con il fazzoletto inumidito, temendo forse di avergli fatto del male. -Può capitare. Anzi, è normale che capiti: è così che si impara. Sai quante volte mi sono fatto male io quando avevo la tua età? E quanti pantaloni ho rotto proprio sulle ginocchia? E quante botte mi ha dato la mamma per questo motivo?-

Quella battuta finale non riscosse il successo che si sarebbe aspettato: l'espressione di Michele si deformò in una smorfia e un gemito proruppe dalle sue labbra mentre andava a schermarsi gli occhi.

Diego lanciò il fazzoletto nel cestino e cercò le mani del bambino, allontanandole delicatamente dal suo viso, rivelando un volto arrossato, umido e lucido.

-Ehi... cosa c'è che non va?-

-Io non sono come te-, ammise Michele.

Non sono alto, né bello, né atletico, né spiritoso... come te, avrebbe voluto aggiungere, ma un singhiozzo gli bloccò le parole in gola.

-E quindi?-

E quindi... io non ho amici. Per forza! Perché mai qualcuno vorrebbe essere mio amico?

-Nessuno vuole giocare con me e se me lo chiedono è per prendermi in giro perché non sono capace. Come oggi...-

-Cos'è successo?-

-Mi hanno proposto di giocare con loro e mi hanno fatto provare lo skateboard per primo: quando sono caduto hanno riso tutti.- Strinse spasmodicamente le mani, fino a sbiancarsi le nocche: -Non importa quanto ci provi: io non sono come loro e lo sanno.-

-Non c'è niente di male ad essere un po' diversi dagli altri.-

-Sì invece!-, proruppe liberandosi dalla presa del fratello. -Essere diversi fa schifo!-

Diego sospirò: -Purtroppo a scuola vige la logica del branco – tutti contro uno – ma non pensare mai di avere qualcosa di sbagliato solo perché non fai parte della loro mandria.-

-Ma...-

-Niente ma!- Questa volta fu il maggiore ad alzare la voce. -Cosa c'è di sbagliato nell'essere un secchione? Non ti rende inferiore a loro! Preferisci studiare piuttosto che fare lo scalmanato, e allora? Probabilmente, in futuro, tu avrai fatto carriera e quegli idioti lavoreranno per te!-

Michele tirò su con il naso e scosse la testa: -Settimana scorsa, formando le squadre per giocare a calcio, mi hanno lasciato per ultimo e poi mi hanno detto di andare a giocare dalle ragazze.-

Diego si morse le labbra, pregando di non essere mai stato così stronzo, a quell'età.

-Vuoi sapere una scomoda verità?-, disse infine, dopo qualche lungo secondo di silenzio. Aspettò che il bambino alzasse lo sguardo su di lui prima di continuare: -Hai ragione: quando si è piccoli si cerca di essere tutti uguali, proprio perché nessuno vorrebbe mai sentirsi come te adesso.-

Michele abbassò nuovamente il capo, incassandolo ancora di più nelle spalle, e inspirò rumorosamente dal naso.

-Ma crescendo-, riprese Diego sollevandogli il mento. -le cose cambiano e le persone che ti hanno fatto sentire uno schifo cercheranno disperatamente quello stesso qualcosa per cui ti prendevano in giro: tenteranno in ogni modo di essere originali per distinguersi dalla massa e non sempre ce la faranno. È questo il momento in cui quelli “un po' diversi” hanno la loro rivincita. Non devi mai vergognarti di quello che sei.-

Gli occhietti chiari di Michele indugiarono a lungo in quelli del fratello.

Sarebbe successo davvero?

Sembrava così improbabile. Gli bastava ripensare ad un giorno qualunque di scuola: aveva sempre fatto finta di non rendersi conto di quanto i suoi compagni lo trovassero pignolo e irritante quando era l'unico ad alzare la mano per rispondere. Nessuno aveva mai avuto voglia di indagare o di capire se quegli ottimi voti fossero solo un muro che mascherava le sue insicurezze. Si limitavano a stargli alla larga o a prenderlo di mira.

La situazione poteva davvero cambiare? Come? Così all'improvviso, come fosse stata una specie di... magia?

Era... inverosimile.

Eppure Diego non gli avrebbe mai mentito, giusto?

Il suo sguardo dubbioso esitò ancora qualche momento prima di lasciare spazio ad uno sprazzo di speranza: -Quanto tempo ci vuole?-

Il liceale sospirò: -Tanto... ma, credimi, ne varrà la pena.-

Strofinandosi per l'ennesima volta il viso nella maglietta, Michele scrollò le spalle, di nuovo disilluso: -Se lo dici tu.-

Diego allungò una mano e gli asciugò una lacrima con il pollice, trasformando il gesto in una carezza che il bambino accolse appoggiando la guancia sul palmo della sua mano.

-Ti fidi di me? Voglio che adesso tu mi prometta una cosa.-

-Cosa?-

-Non nascondere mai più la polvere sotto il tappeto.-

Il bambino, colto di sorpresa, corrugò la fronte e restituì uno sguardo perplesso: era una frase che aveva sentito pronunciare anche dalla mamma ma non aveva mai capito cosa significasse. Capiva ancor meno come si ricollegasse a quella conversazione. -Non ho capito. Io... io non ho paura della polvere!-

-Quello che voglio dire-, disse Diego sorridendo. -è che non devi tenerti tutto dentro: non chiuderti come un riccio.-

-Cosa centrano i ricci con i tappeti e la polvere?-

-No, no... dimenticati dei ricci!-, si corresse Diego con un disordinato gesto della mano. Incrociò le gambe per sedersi in terra, di modo da osservare meglio in viso Michele. -Sai quando la mamma ci dice di pulire per terra e a volte noi facciamo finta di niente e scopiamo la polvere sotto il tappeto del salotto?-

Il bambino arrossì davanti a quella dichiarazione che – si vergognava un po' ad ammetterlo – incriminava entrambi, ma annuì.

-Nascondiamo lo sporco e facciamo finta che non sia successo niente. Solo che poi lo facciamo ancora e ancora, ma cosa succede se accumuliamo troppa polvere sotto il tappeto?-

Michele rifletté rapidamente per poi posare lo sguardo nuovamente sul fratello: -Che... il tappeto fa i bitorzoli?-

Pronunciandola ad alta voce gli sembrò una risposta idiota, ma Diego annuì: -Esatto, si formano dei bitorzoli e c'è il pericolo di inciampare, cadere e farsi male.-

Michele aggrottò nuovamente la fronte e il fratello gli strinse delicatamente le spalle: -Se qualcosa ti fa soffrire non rimanere da solo a rimuginarci sopra: peggiori la situazione. Dovevi dirci subito che stavi male, non aspettare di non riuscire più a nasconderlo.-

-Ma non potevo!-, proruppe Michele, la disperazione ad incrinare di nuovo la sua voce. -Per la mamma e il papà è importante che venga qui: non posso rimanere a casa da solo d'estate.-

-Eh già: dev'essere proprio difficile essere figlio unico.-

Ecco, quella era una delle altre caratteristiche di Diego che Michele non riusciva ancora a capire del tutto: ogni tanto, soprattutto in risposta a determinate frasi o domande, il maggiore rispondeva con affermazioni strane che, a volte, sembravano voler dire una cosa ma ne sottintendevano un'altra. Era un tipo di comicità che Michele non capiva ma che, evidentemente, tante persone sembravano apprezzare.

-Ma...-, biascicò incerto. -Tu sei mio fratello.-

-Esatto. Sei il mio fratellino e il mio migliore amico. Io ci sarò sempre se ne avrai bisogno: non aver paura di chiedermi aiuto.-

La dolcezza del suo tono di voce lo colpì inaspettatamente: Michele si sentì avvolto da un abbraccio incorporeo ma caldo e familiare e, per la prima volta da quando era cominciata l'estate, provò un senso di pacata felicità. Quel senso di solitudine che gli aveva tenuto compagnia per giorni e addirittura mesi sembrò dissolversi, come se si fosse condensato nella lacrima che era stata raccolta e asciugata dalle mani di Diego

Si asciugò il naso nella manica della maglietta.

Non poteva certo affermare che la settimana prossima sarebbe tornato a scuola con il sorriso sulle labbra, ma, senza dubbio, avrebbe affrontato ogni giorno con un'intelligenza diversa e, soprattutto, con la consapevolezza di avere qualcuno che lo avrebbe sostenuto anche nei momenti peggiori.

-Tu non sei mio amico-, decretò improvvisamente, mentre sul suo viso nasceva, finalmente, un sorriso. -Tu sei la mia giraffa.-

-È... meglio?-

Diego lo conosceva meglio di chiunque altro, persino della mamma e del papà: era il custode della sua identità, dei suoi timori, delle sue paure; era il guardiano della sua felicità e delle sue risate, il tutore dei suoi desideri.

Si sporse in avanti e si avvinghiò al suo collo, stringendolo in un abbraccio che sapeva ancora di tristezza ma che trasudava aspettative e prometteva speranza: -È molto meglio.-


 


 


 

Angolino autrice:

Ok.
Questa storia avrebbe dovuto partecipare ad un contest! L'avevo pubblicata ieri sera – praticamente allo scadere del contest – ma, per colpa della mia gatta che (almeno suppongo... perché altrimenti non mi spiego cosa sia successo AHAHAH) si è messa a zampettare e dormire sulla tastiera del computer che avevo lasciato acceso, si è cancellata!

-.-

stendiamo un velo pietoso...

In ogni caso, questa piccola shottina senza pretese è stata scritta molto velocemente, ad essere onesti, perchè ho scoperto il contest (grazie a Kim ^^) solo tre giorni prima della sua scadenza... Ora, io non sono abituata a scrivere e pubblicare con questa fretta, quindi questa shottina potrebbe essere una vera e propria schifezza. Chi mi conosce non si sorprenderà di leggere che non sono affatto convinta di quanto scritto... ma alla fine anche questo potrebbe essere un interessante esercizio di scrittura, no?

Quindi... beh, spero che nonostante tutto, questo piccolo spaccato della vita dei giovani Diego e Michele vi sia piaciuto! ^^ (non insultatemi troppo forte, per favore XD)

Prima di passare ai saluti, volevo solo dire che anche se forse non è uscita un granché, è stata scritta con il cuore XD E che è dedicata tanto a Kim perché mi ha fornito l'ispirazione per scriverla (anche se eri orientata verso altri personaggi XD) quanto a Soul perché tempo fa ha scelto, senza saperlo, il nome del fratellino di Diego! ^^

Ringrazio tutti voi che avete deciso di ritagliare cinque minuti del vostro tempo per leggere questa shottina!

E grazie anche a chiunque vorrà lasciare un piccolo parere! ^^

A presto!

Un bacione a tutti! <3

Carmaux


 


 

P.S.

  • Storia partecipante alla Seasons Die One After Another Challenge Edition! di Laila_Dahl sul forum di Efp

  • partecipa alla Things you said – challenge indetta da Juriaka sul forum di Efp


 


 

  
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