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Autore: _Agrifoglio_    16/09/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Riassunto dei capitoli precedenti
Da non leggere se si è dei nuovi lettori capitati qui per caso e non si vogliono spoiler
 
A metà maggio del 1788, Oscar e i soldati della Guardia Metropolitana parigina devono scortare alla frontiera franco – austriaca un gentiluomo straniero, il Conte di Falkenstein che altri non è che l’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena, recatosi in incognito in Francia per discutere di un argomento segreto col cognato.
Giunti sulle rive del Reno, alcuni sgherri – che lo stemma impresso sull’elsa di un pugnale rivelerà essere stati mandati dal Duca d’Orléans – cercano di uccidere il fratello della Regina, ma sono sconfitti e uccisi. Durante la colluttazione, un improvviso attacco di cecità di André rivela a Oscar e a tutta la compagnia le condizioni di salute dell’uomo che è congedato dall’esercito per infermità.
L’improvviso e inesorabile allontanamento da Oscar, il senso di colpa per averla assalita in occasione dello strappo, la consapevolezza di essere diventato un peso e un pericolo per lei e la convinzione di non poterla sposare per le insormontabili differenze di censo e di rango che rovinerebbero Oscar e tutti i de Jarjayes oltre che per la particolare situazione psicologica ed esistenziale di lei spingono André a ubriacarsi in una taverna. All’uscita dalla bettola, l’uomo è aggredito e derubato e, trovatosi riverso a terra, con la faccia nella polvere, giura solennemente a se stesso di non ridursi più in quello stato e di non prendere mai più in mano una bottiglia. Soccorso da Alain, l’uomo è trasportato a Palazzo Jarjayes da un vetturino di piazza pagato col denaro dell’amico.
Recatosi a casa di Alain – nel frattempo, finito agli arresti per una scazzottata in taverna – per restituire il denaro alla madre dell’amico, André arriva giusto in tempo per salvare dal suicidio la giovane Diane che si innamora, non ricambiata, di lui. Da quel giorno, Alain farà di tutto per indurre André a sposare la sorella.
Nel frattempo, dei balordi al soldo del Duca d’Orléans, travestiti da soldati della Guardia Metropolitana, stanno gettando discredito su Oscar e sulla compagnia da lei comandata.
Le indagini seguite ai disordini portano Oscar a scoprire un arsenale di armi rubate e una stamperia clandestina di libelli scandalistici. L’ultima serie di libelli stampati, raffigurante l’uccisione del Conte di Falkenstein sulla riva del Reno e rimasta inutilizzata grazie all’intervento di Oscar che ha scongiurato l’attentato, inchioda il Duca di Orléans alle sue responsabilità, in quanto Oscar trova nella stamperia un plico contenente una copia del libello e una lettera di accompagnamento, indirizzata a Lord William Stratford, Ambasciatore inglese a Parigi e firmata dal Duca d’Orléans in persona. Oscar, su invito di Maria Antonietta, conserva questa lettera presso di sé.
La scoperta dei libelli osceni induce la Regina a recarsi in incognito nei bassifondi parigini, scortata da Oscar e dai soldati della Guardia Metropolitana, allo scopo di sentire cosa la plebe dice di lei. Sollevato per un attimo il velo che le copriva il volto, Maria Antonietta è riconosciuta da Théroigne de Méricourt, un’esaltata agitatrice belga che passava di là.
Intanto, André conosce un medico veneto che gli cura l’occhio destro da un’infezione e gli opera quello sinistro da un ematoma che gli cagionava la cecità e che svela a Oscar che la tosse che l’affligge non è un sintomo di tubercolosi, ma una manifestazione psicosomatica di nervosismo, dovuto ai problemi di scarsa accettazione che la donna si porta dietro.
Durante la convalescenza, André accetta la proposta del Generale di diventare il nuovo amministratore delle proprietà della famiglia Jarjayes e contemporaneamente, pur continuando ad amare Oscar, decide di “rimettersi in carreggiata”, di vivere di realtà e non di fantasia e di non farsi condizionare da pensieri dolorosi e privi di sbocco.
La scoperta delle armi rubate, su molte delle quali è impresso il marchio del reggimento dei soldati di Oscar, induce il Duca d’Orléans a brigare per fare deferire l’antica rivale alla Corte Marziale, con l’accusa di essere complice di quei traffici. Il tempestivo intervento della Regina, che offre all’amica l’incarico di Comandante Supremo delle Guardie Reali, salva la situazione, ponendo Oscar sotto la diretta protezione della Casa Reale e allontanandola dal focolaio del pericolo.
Tornata a prestare servizio alla reggia, Oscar fa due nuove conoscenze: il Conte Maxence Florimond de Compiègne, cugino di Girodel (nel frattempo promosso Colonnello), un brillante uomo di mondo dal fascino enigmatico che, in realtà, è uno spiantato cacciatore di dote e Mademoiselle Henriette Lutgarde de Chambord, una nuova dama di compagnia della Regina, amica di Madame de Jarjayes e segretamente innamorata di Girodel. Oscar sfrutta il suo ritorno alla reggia anche per rinverdire il rapporto con la madre.
Oscar, quindi, ha scoperto di non avere la tisi, André ha riacquistato la vista e ha un buon lavoro da amministratore e, fra i due, accantonate le incomprensioni, è tornata l’intesa di un tempo. Il destino, però, è ancora in agguato e si manifesta sotto le spoglie della forsennata e bellicosa Théroigne de Méricourt, decisa ad assaltare la reggia perché convinta che Maria Antonietta fosse andata nei bassifondi parigini per prendersi gioco delle sofferenze del popolo. Durante un evento mondano organizzato nei boschetti di Versailles a metà luglio del 1788, Théroigne de Méricourt piomba addosso ai cortigiani con una banda di facinorosi e, con una scorrettezza, riesce a prevalere su Oscar che sta proteggendo la Regina. André, avvertito del pericolo da Alain, venuto fortuitamente a conoscenza del folle piano, giunge in tempo per salvare Oscar, ma è colto da un malore e Théroigne de Méricourt ne approfitta per ferirlo. Oscar fa lo sgambetto alla donna e riesce a deviare il colpo, ma il giovane si accascia ugualmente al suolo, privo di conoscenza.
La ferita di André è superficiale, tanto che l’uomo guarisce nel giro di un mese, durante il quale il rapporto di amicizia fra lui e Oscar si rinsalda e torna ai livelli del passato. Nel corso di una visita di convalescenza, Oscar si accorge della cotta di Diane per André – situazione che un successivo dialogo fra André e la nonna evidenzia ancora di più – e ne rimane colpita.
Contemporaneamente, il Duca d’Orléans viene a sapere da Lord William Stratford, Ambasciatore inglese a Parigi e suo amico di vecchia data, che Re Giorgio III e il Principe di Galles non intendono più appoggiarlo, perché dissuasi dal Conte di Canterbury, lontano cugino di Oscar. Il Duca d’Orléans convince, quindi, il Duca di Germain che la mancata assegnazione della Contea di Lille, alla quale il secondo tiene moltissimo, è dipesa dalla ferma contrarietà di Luigi XVI anziché dallo scarso aiuto fornitogli dall’alleato, che un avvicendamento sul trono cambierebbe le cose e che quest’avvicendamento è stato reso più difficile dall’intromissione del Conte di Canterbury. Il Duca di Germain invia, allora, due sicari in Inghilterra per uccidere il Conte di Canterbury che, però, si salva grazie alla propria prontezza di riflessi e al provvidenziale aiuto del cugino, Sir Percy Blakeney.
Il 15 agosto 1788, dopo le celebrazioni dell’Assunzione, nella sala del trono, ha luogo la solenne cerimonia di premiazione di coloro che sventarono l’assalto perpetrato da Théroigne de Méricourt, salvando la vita alla famiglia reale e a tutti i presenti. Oscar è promossa Maggior Generale, il padre di lei riceve la Signoria di alcune terre a Nevers mentre il Conte di Fersen e il Colonnello de Girodel sono insigniti della Croce di San Luigi. Al termine della cerimonia e del tutto a sorpresa, il Re crea André Cavaliere e Conte di Lille, grazie ai buoni uffici del Generale de Jarjayes e della moglie di lui che, alleati con Madame Élisabeth, Fersen, Girodel, Mademoiselle de Chambord e con la stessa Regina, si erano fortemente prodigati per ottenere quel risultato. Il Duca d’Orléans tenta di opporsi, ma è zittito da Oscar che minaccia di smascherarlo, simulando di avere nella giubba la lettera di accompagnamento al libello osceno che il Duca aveva indirizzato a Lord William Stratford.
Il giorno dopo l’investitura, il Generale de Jarjayes, anticipando i tempi e forzando la mano ad André, fa sapere a Oscar che l’uomo vorrebbe sposarla, ma lei lo rifiuta e lascia la stanza. André è distrutto dal dolore e, dopo avere avuto un’accorata discussione con Diane, nel cui amore non corrisposto si è rispecchiato, decide di prendere possesso delle sue terre a Lille e di lasciare Palazzo Jarjayes.
Nelle sue nuove terre, André sperimenta l’inedita condizione di nobile, le grandi responsabilità legate alla gestione di un feudo e all’organizzazione del lavoro proprio e altrui e le difficoltà connesse al suo proposito di dimenticare Oscar. Sempre a Lille, André conosce la sgradevole Marchesa d’Amiens, intenzionata a fargli sposare la brutta figlia Geneviève e Maurice Le Barde, uno strano poetastro. Stringe amicizia col Conte di Canterbury e con Sir Percy Blakeney, passati da lì durante la tappa di un viaggio a Parigi e col Marchese di Saint Quentin e la di lui sorella, una giovane e bellissima donna, caratterialmente molto simile a Oscar, che si innamora, non ricambiata, di lui.
Dopo la partenza di André, Oscar è sempre più in balia della solitudine, alla quale cerca di sopperire accogliendo in casa la giovane Diane, la cui madre è andata a Nevers per prestare assistenza alla sorella malata. La distanza caratteriale che la separa da Diane non consente a Oscar di trovare un sollievo dalla solitudine. Inizialmente, neppure Diane – che ha alle spalle un doloroso passato, segnato dall’abbandono e dalla precoce morte del padre alcoolizzato che l’ha indotta a cercare l’amore in figure idealizzate – si trova a suo agio a Palazzo Jarjayes.
Oscar, oltre che con la solitudine, deve anche misurarsi con molte missioni fallite, causate dal sabotaggio di un’ignota spia, col fastidioso corteggiamento del Conte di Compiègne e col disagio arrecatole da alcune strane osservazioni di Diane che le riportano alla mente il suo travagliato e complesso rapporto con André.
Girodel, nel frattempo, vincendo le iniziali resistenze paterne, sposa l’amata Mademoiselle de Chambord.
Passano i mesi e iniziano gli Stati Generali che aumentano il carico del lavoro di Oscar. André continua a vivere a Lille, Diane, pur non avendo dimenticato André, grazie agli insegnamenti di Oscar, è diventata molto più matura e Girodel e la moglie sono in attesa del loro primo figlio.
Oscar, dopo avere avuto un’accorata discussione con la madre, che l’aveva esortata a non immolare la sua vita dietro a miti irraggiungibili e a non idealizzare il padre, ha un ulteriore trauma, causato dall’attentato subito dal genitore ad opera di Saint Just che lei non era riuscita a sventare per colpa dei depistaggi della spia. Il Generale se la cava con una ferita superficiale, ma padre e figlia sono raggiunti dalla notizia dell’evasione dal carcere di Théroigne de Méricourt.
Nei giorni successivi, Oscar prende commiato dal Delfino morente e rifiuta la proposta di matrimonio del Conte di Compiègne, scoppiando a ridergli nervosamente in faccia e ferendone la vanità e l’orgoglio. Subito dopo, la donna cade in un’imboscata tesa dalla spia ed è catturata da alcuni sgherri del Duca d’Orléans. Nel rapimento, sono implicati anche Théroigne de Méricourt, Robespierre e Saint Just. Quest’ultimo, in base alle ferite riportate, è riconosciuto da Oscar come l’autore del fallito attentato ai danni del padre e del Generale de Bouillé.
André è avvisato da Alain del rapimento di Oscar e si precipita a Versailles per salvarla. Il Generale organizza la missione di salvataggio della figlia, mettendo insieme tutte le persone a lei care. Il Conte di Fersen, il Colonnello de Girodel, il Capitano de Valmy, André, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakeney (che altri non è che la Primula Rossa), utilizzando una mappa procurata da Bernard Châtelet, entrano nella fortezza nei cui sotterranei è imprigionata Oscar e, dopo una serie di rocambolesche avventure, grazie anche all’intervento esterno di Alain e dei soldati della Guardia Metropolitana e all’apporto della stessa Oscar che riesce a evadere dalla segreta in cui era rinchiusa, hanno la meglio. André decide di tornare a Lille senza farsi vedere da Oscar, che, nel frattempo, era svenuta, per non farla sentire in debito verso di lui.
In questo frangente, Oscar e André hanno modo di udire i deliranti discorsi di Saint Just e di Théroigne de Méricourt e di rendersi conto della pericolosità di questi personaggi e dello stesso Robespierre.
Pochi giorni dopo, il castello di campagna di André è cinto d’assedio da alcuni mercenari reclutati dal Duca di Germain che non ha mai perdonato ad André lo “scippo” della Contea di Lille.
Oscar apprende da Alain che André si è battuto come un leone per salvarla, ma è raggiunta dalla notizia dell’uccisione dell’uomo, durante l’assedio del castello. Disperata, la donna vede crollare la sua corazza, capisce di amare André e parte alla volta di Lille.
Girodel, nel frattempo, da un bottone di madreperla ritrovato in un fascicolo d’ufficio, capisce che la spia è il cugino, il Conte di Compiègne (responsabile, tra l’altro, anche dell’attentato al Generale de Jarjayes e del rapimento di Oscar) e lo caccia da palazzo. L’uomo, allora, ricatta Madame de Girodel, minacciandola di portare a conoscenza del marito i trascorsi da usuraio del padre di lei, se non avesse acconsentito a spiarlo in vece di lui. La donna, però, confessa tutto al marito che sfida a duello il Conte di Compiègne.
Nel corso del duello, il Conte di Compiègne spara proditoriamente al Colonnello de Girodel e lo ferisce a una spalla.
Oscar arriva a Lille, si accorge che André è ancora vivo e, comandando la milizia cittadina, salva gli assediati da morte sicura. Oscar e André si ritrovano e, pur in preda a mille dubbi e paure, si dichiarano il reciproco amore.
Il Duca d’Orléans e il Conte di Compiègne, alleati già da alcuni mesi, sono trionfanti, perché, con Oscar a Lille, Girodel ferito e il Capitano de Valmy agli arresti domiciliari per avere fatto da padrino al duello, si sono liberati, seppure temporaneamente, dei più strenui difensori della Corona e hanno ottenuto campo libero.
Oscar e André si sposano e trascorrono a Lille il primo mese della loro vita coniugale. Il loro idillio è, però, interrotto dall’arrivo del Tenente Henri Beauregard il quale li informa che Alain e altri undici soldati della Guardia Metropolitana sono stati condannati alla fucilazione, a causa di un grave atto di insubordinazione commesso mentre erano di servizio agli Stati Generali, nel frattempo divenuti Assemblea Nazionale.
I due sposi tornano di corsa a Versailles dove trovano una situazione alquanto particolare: nell’assenza di Oscar e di Girodel, il comando delle Guardie Reali è stato affidato al Maggiore de Limours, un uomo molto vicino al Duca d’Orléans e, malgrado la mancanza di fondi, sono stati assunti una nuova Guardia Reale, Charles de Valenciennes e un nuovo valletto, Hervé Huppert.
Oscar convince la Regina, stanca e indurita dalla morte del figlio, a graziare i dodici soldati mentre il Re, in preda a un crollo nervoso, si lega molto ad André che gli consiglia di andare a Parigi e di parlare al popolo.
La corte si trasferisce temporaneamente alle Tuileries, dove Hervé Huppert, con un sotterfugio, allontana Oscar, André, Girodel e Valmy da palazzo, dando modo a Charles de Valenciennes di sparare al Re. Il Sovrano muore il 13 luglio 1789 e la notizia del decesso interrompe, il giorno dopo, la presa della Bastiglia, perché la folla abbandona l’assedio e si riversa alle Tuileries per avere notizie. Oscar parla ai parigini e assicura che sarebbero state emanate leggi più giuste.
André, intanto, dona al popolo affamato parte del suo raccolto e l’esempio di lui è seguito da molte famiglie ricche, nobili e borghesi.
La Regina, dapprima riluttante perché incupita dai lutti e dall’odio di cui è vittima, si lascia convincere ad avviare alcune riforme e ad emanare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, ma esige che Oscar, André e Girodel entrino a far parte del Consiglio di Reggenza dove dovranno coabitare con la scomoda presenza del Duca d’Orléans. Nel frattempo, il Conte di Mirabeau popone di nominare Robespierre Ministro di Giustizia, per creare una spaccatura fra lui e Saint Just, per avvicinare l’Avvocato di Arras agli ambienti di corte, così da tenerlo più facilmente sotto controllo e anche nella speranza che l’ubriacatura di potere lo induca a gettare la maschera, mostrando al mondo il suo vero volto di estremista sanguinario.
Diane, invitata a Versailles dalla Regina, vede Alain aggredire il suo ex fidanzato, Tristan de Monmorency e scopre che il vero motivo dell’abbandono non fu un nuovo legame sentimentale dell’uomo, ma il carattere oppressivo e nevrotico di lei. Sconvolta e indotta a una serie di riflessioni, la ragazza riceve una proposta di lavoro dal Tenente Henri Beauregard, segretamente invaghito di lei.
In questi frangenti, Oscar rivela ad André di essere incinta.
La Contessa di Polignac ha, però, capito che Diane è innamorata di André.
Nel settembre del 1789, l’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena, in fin di vita perché malato di tisi, invia in Francia la sorella, l’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen, per stipulare un trattato con Maria Antonietta. Si scopre, così, che, l’anno precedente, l’Imperatore era giunto in Francia sotto mentite spoglie per trattare con Luigi XVI la cessione all’Austria dell’Alsazia e della Lorena in cambio dell’invio in Francia, per dieci anni, di un contingente militare di cinquantamila uomini. Prima di accomiatarsi dal mondo e dalla sorella Maria Antonietta a cui è affezionato, l’Imperatore vuole reiterare la proposta a condizioni più vantaggiose per la Francia, esigendo, in cambio dell’invio del contingente militare, non più la cessione dell’Alsazia e della Lorena, ma un decimo delle rendite di quelle regioni.
La gravidanza di Oscar procede senza complicazioni, ma la donna vive la sua condizione con fastidio, sentendosi strana e impacciata. Questo particolare stato d’animo, unito alla caparbietà della donna nel continuare a fare le stesse cose di prima senza riguardarsi, crea attrito fra lei e André. Il nervosismo dell’uomo è accresciuto dalle particolari attenzioni che l’Arciduchessa Maria Cristina, bisessuale, rivolge a Oscar durante il suo soggiorno francese.
Di questa situazione di attrito approfitta la Contessa di Polignac che, divenuta l’amante del Duca d’Orléans, vuole minare la stabilità del Consiglio di Reggenza su richiesta di lui. La figlia della Contessa, la Duchessa Aglaé de Gramont et de Guiche, conquista facilmente l’amicizia di Diane de Soisson e, con un sotterfugio, riesce a introdurre la giovane negli appartamenti di Oscar alla reggia. Vedendo André, rientrato negli appartamenti prima di lei, in compagnia di Diane, Oscar ha un attacco di gelosia e inveisce contro l’uomo, ma i due hanno modo di chiarirsi. Diane, invece, fugge dalla stanza in preda alla vergogna e si imbatte in alcuni ubriachi che l’aggrediscono. La giovane è salvata dall’ex fidanzato, Tristan de Montmorency, con cui ha modo di spiegarsi, aggiungendo un nuovo tassello alla sua maturazione.
Nel novembre del 1789, nasce Grégoire Henri de Girodel, figlio del Colonnello e della moglie.
André è nominato vice Ministro da Robespierre e, lavorando gomito a gomito con lui, ha modo di conquistarne la fiducia e di mitigarne il fanatismo. Questo stato di cose irrita il Duca d’Orléans che decide di uccidere André.
Il 21 marzo 1990, Oscar dà alla luce un bambino cui è imposto il nome di Honoré François e, durante una visita di cortesia, Alain rivela che Bernard Châtelet nutre del risentimento verso di loro, perché gira voce che Robespierre e André sottraggano parte del frumento destinato ai poveri per arricchirsi. André va a trovare Bernard e chiarisce la propria innocenza, invitando l’uomo a recarsi a Versailles per visionare i documenti nel proprio ufficio. Tornando a casa, è aggredito da alcuni sgherri del Duca d’Orléans, ma riesce ad avere la meglio.
Nel giugno del 1790, ha luogo, nella Cattedrale di Reims, l’incoronazione di Luigi XVII, ma la processione dei monaci che portano alla Cattedrale la Santa Ampolla è interrotta da un gruppo di facinorosi, fra i quali Oscar riconosce Hervé Huppert, il finto valletto che aveva avuto un ruolo nell’uccisione di Luigi XVI. Durante la colluttazione, cade dalle mani dell’uomo un’ampolla identica a quella recante l’olio sacro.
Nella reggia di Versailles, Antoine Laurent de Lavoisier analizza il contenuto della falsa ampolla, scoprendo trattarsi di un potente veleno che agisce a contatto con la pelle. Contemporaneamente, Bernard Châtelet, che si trova nell’ufficio di André per leggere gli incartamenti relativi alle elargizioni di frumento, è ucciso da un sicario del Duca d’Orléans che lo scambia per André. L’intenzione del Duca era di sbarazzarsi sia di lui sia di Oscar sulla quale sarebbe dovuta ricadere la responsabilità dell’omicidio.
Rosalie è riaccolta a Palazzo Jarjayes dove diventa la vice governante e dove, nel novembre del 1790, dà alla luce una bambina che chiama Bernadette.
Del delitto è accusato il chimico Lavoisier, presente alla reggia per analizzare il veleno. Suoi maggiori accusatori sono Saint Just e Marat, col quale Lavoisier aveva dei conti in sospeso. I due rivoluzionari individuano come movente dell’omicidio certe indagini condotte da Bernard su alcuni episodi di peculato, avvenuti alla Fermée Générale di cui Lavoisier era una dei dirigenti. Certa dell’innocenza dell’uomo, Oscar convince la Regina a liberarlo e, in questa impresa, riceve l’insperato aiuto di Robespierre, persuaso dell’innocenza del chimico da André. Davanti alle porte del carcere, Marat, che si trova in mezzo alla folla, è assassinato da Carlotta Corday d’Armont.
Lo schierarsi di Robespierre a favore di Lavoisier e contro Saint Just acuisce i dissapori fra i due rivoluzionari, minando i loro rapporti, già tesi da quando Robespierre era diventato Ministro di Giustizia.
Il 18 dicembre 1790, dopo una mattinata tumultuosa, Oscar dà prematuramente alla luce la sua secondogenita, Antigone Auguste.
Nel gennaio del 1791, Maria Antonietta rivela a Oscar di avere sposato in segreto il Conte di Fersen e di aspettare un figlio. La Regina si ritira nel Petit Trianon dove, amorevolmente assistita da Rosalie, dà alla luce una bambina, Élisabeth Clotilde, che è fatta passare come figlia secondogenita dei coniugi Girodel. Il parto della Regina è estremamente complicato, ma la fibra forte di lei prevale. Maria Antonietta sopravvive, ma dei fastidiosi e debilitanti sanguinamenti continuano ad affliggerla.
Nel frattempo, il Conte di Compiègne, corrotto e scansafatiche cugino di Girodel, tenta di aggredire la Marchesina Victoire Aurélie de Saint Quentin, ospite a Palazzo Jarjayes per alcune settimane, della quale si era invaghito durante i festeggiamenti per l’incoronazione. Al rifiuto della donna, tenta di strangolarla. L’adolescente fratello di lei, il Marchese Camille Alexandre, decide di sfidare a duello il Conte di Compiègne, ma il Conte di Canterbury, il cugino inglese di Oscar, per salvare il ragazzo, sfida per primo il malfattore, proclamandosi falsamente fidanzato della Marchesina. Oscar, conoscendo la scorrettezza del Conte di Compiègne, che già era costata una ferita alla spalla a Girodel, minaccia l’uomo, ingiungendogli di non presentarsi al duello. L’occasione è, però, propizia al Conte di Canterbury e a Mademoiselle de Saint Quentin per dichiararsi i reciproci sentimenti e fidanzarsi davvero.
Giunge, intanto, a Parigi la Contessa Bérénice Eulalie de Compiègne, madre del Conte Maxence Florimond e sorella del Conte de Girodel. La donna, autoritaria e narcisista, stanca della vita di sperperi e di scandali del figlio, a lei del tutto sottomesso dalla nascita, gli ordina di sposare la Marchesina Geneviève d’Amiens, brutta e zoppa, ma immensamente ricca e, per concessione reale, madre del futuro Marchese d’Amiens. Il Conte di Compiègne è riluttante, perché la donna lo disgusta mentre la Marchesina d’Amiens è follemente innamorata di lui sin dal loro primo incontro, avvenuto durante i festeggiamenti per l’incoronazione. Per vincere le resistenze della Marchesa d’Amiens, madre di Geneviève, che detesta il Conte di Compiègne, la Contessa madre invita la Marchesina in un padiglione di caccia concessole in uso dal fratello dove il Conte di Compiègne la droga e abusa di lei. Il matrimonio riparatore ha, quindi, luogo.
A giugno del 1791, Maria Antonietta, stremata dalle emorragie conseguite al parto, si reca, su consiglio di Oscar e di André, ad Amnéville, una località termale sul confine, per farsi visitare da Lucilio Vianello, giunto sul posto per studiare le proprietà delle acque. Il giovane medico illuminista riconosce la Regina, ma la cura ugualmente. Al ritorno a Versailles, un violento temporale costringe il convoglio a fermarsi in una locanda a Varennes, dove la Regina è riconosciuta e ricondotta a Parigi. Si crea, subito, agitazione e, mentre alcuni sostengono che la Regina sia stata rapita, altri affermano che volesse fuggire per consegnare la Francia alle potenze straniere. Robespierre, interrogato sul punto, per conservare la carica di Ministro e portare avanti le sue riforme, appoggia la versione della Regina di essersi recata alle terme, ponendo fine alla questione. Ciò scatena la furia di Saint Just e di Théroigne de Méricourt che decidono di avvelenarlo, ma, per errore, a trovare la morte è Mirabeau.
La morte di Mirabeau, che sapeva ben mediare fra le parti sociali e mantenere buoni rapporti con l’estero, unita all’ascesa al trono asburgico di Francesco II, un nipote di Maria Antonietta ben poco affezionato alla zia, determinano, il 20 aprile 1792, lo scoppio della guerra fra Francia e Austria, perché quest’ultima giudica il trattato del settembre del 1789 poco vantaggioso.
L’Imperatore richiama indietro il contingente militare di 50.000 uomini e ciò preoccupa Oscar, perché i due anni e mezzo di permanenza sul suolo francese hanno fatto sì che gli austriaci venissero a conoscenza di tutte le tattiche francesi e la Francia, oltretutto, non dispone di nuovi Generali che possano fare la differenza.
Sempre agli inizi del 1792, muore Marie, la nonna di André.
Con lo scoppio della guerra, Lille viene cinta di assedio, ma, con l’apporto determinante di Oscar e di André, la città si salva. I fatti di Lille costano il confino a vita nelle terre di cui è proprietario al Duca di Germain, reo di tradimento. Oscar, invece, è promossa Luogotenente Generale mentre André è insignito della Croce di San Luigi.
Frattanto, viene alla ribalta una nuova figura, quella del Vescovo de Talleyrand Périgord, uomo di antica nobiltà, abile politico, ma sacerdote corrotto e senza vocazione. Il prelato, che è apparentemente inviso a Maria Antonietta, si conquista la fiducia di Robespierre che incoraggia a portare avanti delle strane riforme e il culto dell’Essere Supremo.
Dopo un’umiliante vita coniugale, Geneviève, ora Contessa di Compiègne, rimane incinta, ma la suocera e il marito tramano di sbarazzarsene, facendola morire di parto. André, però, messo in allerta da Geneviève, fa arrivare la madre e la zia di lei che ne scongiurano la morte. Quest’evento, unito al presunto ruolo giocato da André nell’assegnazione della reggenza del feudo d’Amiens alla madre di Geneviève anziché alla suocera, scatena l’odio della Contessa madre di Compiègne contro l’uomo.
Maria Antonietta, per sottrarre Geneviève al terribile clima familiare, fa di lei la sua nuova dama di compagnia, ma ciò fornisce un’ottima scusa al Conte di Compiègne e alla madre di lui per aggirarsi negli appartamenti della Regina, a caccia di presunte prove che suffraghino la nascita illegittima del Re, da fornire al Duca d’Orléans, loro alleato. Con uno stratagemma, il Conte di Compiègne sottrae alcuni documenti da un armadio nascosto nel cabinet doré. In quest’occasione, Alain, per salvare Oscar,  uccide Hervé Huppert che altri non è che il cugino Guillaume Colbert, fuggito di casa tanti anni prima. La morte del cugino traumatizza moltissimo Alain.
I documenti sottratti dal cabinet doré non provano la nascita illegittima di Luigi XVII, ma la segreta alleanza fra Maria Antonietta e Talleyrand per neutralizzare il pericolo costituito da Robespierre, da Saint Just e dai giacobini. Questa scoperta causa dei disordini che Oscar, non senza fatica, placa. In questo frangente, Madame de Girodel resta ferita, per avere preso parte a una missione col beneplacito di Oscar, ma contro il parere del marito.
Il Conte di Compiègne, braccato, decide di fuggire all’estero e, per non essere catturato, usa come scudo i figli di Oscar e di André che rapisce. Giunto sul confine, per procurarsi denaro e per vendicarsi di Oscar e di André, vende i bambini alla folle Théroigne de Méricourt, decisa ad assassinarli in modo plateale e brutale, per vendicarsi del fallimento della rivoluzione. Il piano fallisce e la donna, colpita da un calcio del cavallo di André e scagliata contro un muro, finisce in manicomio.
La scoperta del tradimento di Talleyrand accentua la paranoia e il senso di accerchiamento di Robespierre che scivola lentamente nella pazzia, anche a causa della convocazione davanti alla Santa Inquisizione (per rispondere del culto dell’Essere Supremo) e della morte di tumore della sorella, da lui erroneamente ritenuta incinta e perseguitata. Robespierre, ormai preda della pazzia, si suicida, dopo avere ucciso Danton, Demoulins e Fabre d’Églantine.
Saint Just, invece, insieme a una manciata di fedelissimi, si fa esplodere all’interno della Bastiglia e soltanto il pronto ed efficace intervento di Oscar scongiura danni maggiori.
Diane, intanto, si fidanza con Henri Beauregard, da poco divenuto Signore di Bourges mentre Alain, non riuscendo a superare il senso di colpa per la morte del cugino, decide di arruolarsi in guerra, fra gli artiglieri.
Quattro anni dopo la cruenta fine di Robespierre e di Saint Just, il Duca d’Orléans e il Conte di Compiègne, riparato a Venezia, con lettere contraffatte e molti maneggi, convincono Re Giorgio III d’Inghilterra e di Irlanda che la Regina Maria Antonietta sta pianificando un attacco oltre Manica e che il Conte di Canterbury è un traditore. Il risultato è che il Conte di Canterbury finisce agli arresti domiciliari mentre l’Inghilterra entra in guerra, aggiungendosi ai già numerosi nemici della Francia.
Al ricevimento organizzato per le nozze di Diane e di Henri Beauregard, Oscar e André rivedono Alain, reduce dalla Campagna d’Italia e promosso sottotenente degli artiglieri. L’uomo parla loro con entusiasmo di un giovane Brigadier Generale, Napoleone Bonaparte.
Oscar e André comprendono subito che Napoleone potrebbe imprimere una svolta alla guerra, essendo un uomo nuovo, pieno di idee originali e, quindi, non conosciuto dagli austriaci nel corso della loro permanenza sul suolo francese. Decidono, perciò, di parlarne alla Regina che ordina loro di indagare su di lui.
Bonaparte suscita sentimenti contrastanti, perché, se tutti sono concordi nel riconoscergli genialità ed estrema competenza, non sfuggono, tuttavia, l’ambizione, l’arroganza e la mancanza di trasparenza di lui. Il Generale de Jarjayes e Girodel, anch’egli, da due anni, Brigadier Generale, sono i più riluttanti mentre il Vescovo di Talleyrand è pronto a puntare sui talenti del nuovo arrivato e Oscar è possibilista.
Napoleone, dal canto suo, è sprezzante con la Regina e maldisposto verso tutti, perché il Generale de Jarjayes e Girodel incarnano le caratteristiche dell’aristocrazia che egli detesta, Oscar gli tiene testa e occupa un posto che, secondo lui, non le competerebbe mentre André ne risveglia la feroce gelosia, avendo involontariamente suscitato l’attrazione di Joséphine de Beauharnais che, in questa versione, non è rimasta vedova del primo marito ed è amante e non moglie di Napoleone.
Parallelamente, in India, il Colonnello Arthur Wellesley, nato in Irlanda lo stesso anno di Napoleone e, come lui, membro della piccola nobiltà isolana, cerca affermazione nel mestiere delle armi. Arthur Wellesley persegue fama e gloria, ma antepone a tutto il senso dell’onore.
Napoleone mira a impossessarsi dell’Egitto, per controllare il Mediterraneo orientale e invadere l’India, la principale colonia inglese in oriente e la Regina Maria Antonietta lo pone a capo della spedizione al fine di metterlo alla prova e di allontanarlo dalla Francia.
Subito dopo la partenza da Tolone, però, il Generale Bonaparte invade l’isola di Malta, depredando l’immenso tesoro dei Cavalieri Ospitalieri e Maria Antonietta chiede a Oscar di recarsi in Egitto per tenerlo d’occhio. Oscar parte, quindi, alla volta di Alessandria insieme a tutta la famiglia, col pretesto di far conoscere la terra dei faraoni ai figli e a Bernadette. Napoleone comprende il vero scopo della presenza di Oscar, ne è infastidito, ma non ha l’autorità di mandarla via.
Subito dopo la Battaglia delle Piramidi e la conquista de Il Cairo, Oscar e André scoprono accidentalmente una corrispondenza segreta fra Napoleone e il Duca d’Orléans e se ne impossessano. André, accampando come scusa di essere malato, torna ad Alessandria per consegnare le lettere all’Ambasciatore francese.
Informato del furto delle lettere da uno dei suoi attendenti, Napoleone gli ordina di seguire André (che ancora detesta a causa dell’infatuazione di Joséphine de Beauharnais) e di farlo assassinare da sicari locali. L’egiziano assoldato tende un’imboscata ad André, ma, anziché ucciderlo, lo vende allo Sfregiato del Mediterraneo, un contrabbandiere che ha in animo di chiedere un riscatto al Generale de Jarjayes. La nave dei contrabbandieri è, però, catturata da Sir Horatio Nelson che salva André dai malviventi, ma lo arresta con l’accusa di spionaggio.
La Royal Navy, comandata dal Contrammiraglio Nelson, distrugge la flotta francese nella baia di Abukir e Napoleone fa credere a tutti che l’immenso tesoro dei Cavalieri di Malta sia saltato in aria con l’ammiraglia L’Oriént.
Napoleone, nel frattempo, viene a conoscenza dei tradimenti della sua amante e ne rimane devastato. La delusione gli incupisce l’umore e lo rende più freddo e spietato. Parallelamente, l’adorazione di Alain verso Napoleone inizia a scalfirsi, perché il soldato nota la spietatezza del suo Generale e l’eccessiva condiscendenza di lui verso i saccheggi dei soldati. L’uomo è, comunque, ancora determinato a giustificare Bonaparte, adducendo le necessità della guerra.
In Francia, intanto, Joséphine de Beauharnais deve fare i conti con la delusione di una poco gratificante presentazione a corte e con l’ostilità della famiglia Bonaparte mentre il Generale de Jarjayes e Girodel apprendono dei contatti fra Napoleone e il Duca d’Orléans e devono fronteggiare le bordate della Contessa madre di Compiègne, ben decisa a far cessare l’esilio del figlio.
Napoleone fa credere a Oscar che André è al sicuro ad Alessandria e la invia, insieme ai savants, a visitare l’Alto Egitto dove la donna subisce diversi attentati alla sua vita.
Organizza, poi, una spedizione in Siria per prevenire l’attacco degli ottomani che, dopo la disastrosa battaglia della baia di Abukir, si stanno organizzando contro di lui.
Oscar, tornata ad Alessandria, scopre che André non vi è mai giunto e che Napoleone è coinvolto nella sparizione di lui. Affidati i figli e Bernadette al Conte di Fersen, giunto in Egitto su incarico del Generale de Jarjayes per appurare che lei stesse bene e appreso dal nobile svedese che il marito non si trova in Francia, decide di seguire le truppe napoleoniche in Siria per indagare.






 
Siria amara
 
Il 5 febbraio 1799, un esercito di tredicimila uomini lasciò l’Egitto alla volta della Siria.
Oscar si unì ai soldati, fedele ai suoi propositi di portare a termine la missione, affidatale dalla Regina, di pedinare Bonaparte e di capire, una volta per tutte, cosa fosse successo ad André.
L’umore degli uomini, da quando, sei mesi prima, erano sbarcati in Egitto, era altalenante. Le lunghe marce nel deserto, inasprite dal clima torrido e funestate dalle sortite omicide dei combattenti nemici, avevano spesso portato alla disperazione i soldati, spingendoli, più di una volta, sull’orlo dell’ammutinamento. Le battaglie vinte, da cui erano conseguiti i bottini e le prospettive di futuri, ulteriori saccheggi, li avevano, invece, esaltati. Napoleone fronteggiava quegli opposti stati d’animo minacciando – e, talvolta, mettendo in atto – punizioni esemplari per scoraggiare i tentativi di ribellione e infervorando i cuori, con spirito patriotico e miraggi di arricchimento e di scalata sociale, quando le cose volgevano al meglio.
La marcia in Sinai e in Siria si rivelò subito foriera di patimenti e di difficoltà. Il caldo torrido fiaccava la resistenza di quei nordeuropei avvezzi a climi molto più miti. Il sole bruciava la pelle e abbacinava la vista mentre la sabbia irritava gli occhi di quei disgraziati e si insinuava nelle loro gole già riarse dalla sete, graffiandole crudelmente. L’acqua, così come i rifornimenti, scarseggiava e gli ufficiali superiori imponevano di usare le scorte con parsimonia. Il terreno sabbioso, nel quale affondavano gli stivali dei soldati, offriva una resistenza molto maggiore delle normali strade europee e le cose non miglioravano nelle rare occasioni in cui cadeva la pioggia, perché la sabbia si tramutava in fango, facendo sprofondare carriaggi e cammelli.
Napoleone si rese ben presto conto dell’impossibilità di trasportare l’artiglieria pesante per quei sentieri, dato che, con la sabbia o col fango, i cannoni sarebbero inesorabilmente affondati. Diede, quindi, ordine di imbarcarla, in modo da farla arrivare in Siria via mare.
Le truppe di Ahmad al-Jazzār, tristemente noto per la sua efferatezza (Jazzār, in arabo, vuol dire macellaio), compivano dei frequenti blitz, durante i quali mutilavano e uccidevano i soldati esausti che rimanevano indietro.
Oscar, in tutto ciò, si manteneva stoicamente in sella al cavallo, ma, data la sua costituzione esile, soffriva le avversità climatiche in modo molto accentuato. Ora, poi, che non viaggiava più in barca, ma via terra insieme all’Armata d’Oriente, avvertiva tutto il peso della campagna militare. Anni prima, aveva proclamato a gran voce di voler vivere da uomo, come un vero soldato e, finalmente, era stata esaudita. A sorreggerla, c’erano la naturale fierezza, il sollievo di sapere i figli e Bernadette al sicuro, in viaggio verso la Francia insieme al Conte di Fersen e la ferma determinazione di setacciare ogni singolo granello di sabbia finché non avesse ritrovato André, l’amore della sua vita. Malgrado il dolore fisico, la spossatezza, gli occhi che le bruciavano, la gola riarsa e l’incessante tormento psicologico dato dall’incertezza sulle sorti di André, trovava ancora la forza di compatire i soldati di fanteria che, a differenza di lei, neppure avevano un cavallo. Coglieva ogni occasione utile per indagare su ciò che era successo al marito, avvicinando i soldati e ponendo loro frequenti domande. Si era accorta che uno degli attendenti di Napoleone, lo stesso che aveva inseguito André ad Alessandria con l’ordine di farlo uccidere, era sempre molto a disagio quando lei gli si avvicinava e tentava di evitarla più che poteva. Si era riproposta, quindi, di approfondire la questione.
La maggior parte dei soldati non accettava la presenza di Oscar. Non sopportavano che fosse nobile, donna ed eccentrica. Si sentivano a disagio perché era diversa da tutte le altre persone e per le continue domande che poneva loro. Mal tolleravano che quella quarantenne balzana giocasse a fare la guerra, consumando le loro scorte di cibo e di acqua mentre loro pativano e crepavano per davvero in quella fornace di sabbia e di morte. Quando la vedevano, blateravano di giorno in giorno più forte e Alain, che si era accorto di tutto, tentava di distrarli e di spostare i loro discorsi su altri argomenti.
Il Generale Bonaparte era cupo e nervoso. L’annientamento della flotta francese nella baia di Abukir ad opera della Royal Navy, comandata dal Contrammiraglio Sir Horatio Nelson, aveva acceso una pesante ipoteca sulla buona riuscita della Campagna d’Egitto mentre il tradimento di Joséphine de Beauharnais gli straziava l’anima, rendendolo insicuro e disilluso sull’umanità e sul valore stesso della gloria. Al giovane ufficiale ambizioso e idealista, stava subentrando un tiranno dispotico, cinico e spietato.
 
Napoleone-in-Egitto
 
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Versailles, febbraio 1799
 
La berlina tiro a quattro proveniente dal porto di Marsiglia oltrepassò i cancelli di Palazzo Jarjayes e si fermò di fronte all’ingresso principale.
– Signor Generale, sono arrivati! – avvisò Rosalie – Oh! Bernadette! Oh! Oh! Monsieur Honoré! Madamigella Antigone!
– Avete visto, Rosalie? – esclamò, sorridente, il Conte di Fersen, scendendo dalla carrozza – Ve la ho riportata sana e salva a casa, alla fine, Vostra figlia e anche i Signorini!
– Conte di Fersen, quanto Vi sono grata! – gemette Rosalie, con le mani a coppa davanti alla bocca – Vi sarò debitrice in eterno! Oh!
La donna salì le scale di marmo poste davanti al portone d’ingresso, portando all’interno i tre bambini.
Subito dopo, da quello stesso portone, salutato festosamente dai ragazzi, uscì il Generale de Jarjayes, sorridendo, raggiante, al Conte di Fesren.
– Conte di Fersen, Vi sono infinitamente grato per avere riportato a casa i miei nipoti! Ditemi, come sta mia figlia?
– Quando l’ho lasciata ad Alessandria, lo scorso gennaio, stava bene ed era in procinto di seguire il Generale Bonaparte in Siria.
– In Siria? – domandò, perplesso, il Generale de Jarjayes.
– In Siria, Signore – confermò il Conte di Fersen – Voleva continuare a pedinare il Generale Bonaparte per conto della Regina Maria Antonietta e anche raccogliere informazioni sulla sorte del marito.
– Cosa c’entra mio genero con la Siria? – chiese, sorpreso, il Generale de Jarjayes mentre i due uomini entravano a palazzo.
Dal salotto nel quale si erano accomodati, il Conte di Fersen raccontò, con dovizia di particolari, della sparizione di André, del ruolo in essa presumibilmente giocato da Napoleone, delle bugie e delle mezze verità di quest’ultimo, di come Oscar fosse stata mandata in giro, a vuoto, nell’Alto Egitto, per cinque mesi e tutte le altre cose apprese dai racconti della donna.
– Per farla breve – commentò, accigliato, il Generale de Jarjayes – Mio genero è sparito nel nulla e non si sa dove sia mentre mia figlia è in giro per la Siria appresso a un parvenu spietato e ambizioso. L’ho sempre detto che quell’uomo non mi piaceva!
 
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Tre giorni dopo la partenza, l’esercito arrivò ad al Arish, in Sinai, dove sorgeva una fortezza dalla quale il nemico teneva sotto tiro l’Armata d’Oriente, rendendo pericolosa e insicura la prosecuzione della marcia.
Napoleone capì subito che ci sarebbe stato uno scontro a fuoco. Quello che, invece, non comprese immediatamente fu che la vittoria non sarebbe stata rapida e, infatti, l’assedio si protrasse per undici giorni, dato che l’artiglieria pesante era stata imbarcata e i pochi cannoni che si era riusciti a trasportare via terra avevano una potenza di fuoco molto limitata. L’unico risultato fu quello di sprecare preziose munizioni e molta polvere da sparo. Fu necessario aspettare l’arrivo dei rinforzi per porre fine alle ostilità e, malgrado il forte fosse stato espugnato dai francesi, i turchi conseguirono il significativo vantaggio di rallentare l’invasione e di guadagnare tempo prezioso per rafforzare le loro difese.
Napoleone fece prigionieri duemila artiglieri nemici che rilasciò sulla parola, dopo aver fatto loro giurare che non avrebbero impugnato le armi contro i francesi per almeno due anni.
Il 3 marzo 1799, le truppe giunsero a Jaffa, una bella città sulle coste della Siria, circondata da alte torri e mura possenti. Trattandosi di uno dei centri mercantili più importanti della regione, la conquista del borgo era una tappa obbligata per il buon esito della campagna, senza contare che il porto avrebbe potuto dare rifugio alle navi francesi.
Napoleone inviò un soldato a parlamentare col Governatore della città, ma questi lo fece decapitare e, poi, ordinò che la testa del disgraziato fosse issata su una picca e sventolata sopra le mura.
In occasione di questo secondo assedio, la potenza di fuoco dell’esercito francese fu da subito maggiore, tanto che, dopo soli quattro giorni di cannoneggiamento, una delle torri crollò.
I messaggeri francesi che portarono in città l’ultimatum di Bonaparte furono arrestati, torturati, evirati e decapitati e le loro teste finirono impalate sulle mura. La reazione francese non tardò ad arrivare e fu spietata.
– Il Governatore della città sarà giustiziato e, per rappresaglia, concederò agli uomini due giorni e due notti di saccheggio illimitato! – tuonò Napoleone, con occhi dardeggianti e voce irosa.
– La gente comune non è responsabile delle decisioni criminali del Governatore – protestò Oscar – Gli abitanti di Jaffa non meritano di essere fatti a pezzi!
– E’ la legge della guerra – ribatté, velenoso e sarcastico, Napoleone – e Voi che dite di essere un soldato, Generale de Jarjayes, ben dovreste saperlo.
– I soldati, più di chiunque altro, devono osservare un rigido codice d’onore – insistette Oscar, con lo sguardo fiammeggiante e il volto collerico.
– Nei giardini di Versailles, probabilmente – rispose, sprezzantemente, Bonaparte – ma, qui, si fa sul serio, Generale de Jarjayes.
L’alterco fu interrotto dal Capitano Eugène de Beauharnais, il sedicenne figlio del Visconte Alexandre e di Joséphine, che giunse sul posto, portando con sé centinaia di prigionieri musulmani.
– Si sono arresi a me, Signore e io ho dato loro la mia parola d’onore che sarebbero stati risparmiati.
– Merda, ragazzo, chi ti ha autorizzato? Hai dato qualcosa che non era nella tua disponibilità concedere!
– Ma Signore, ho promesso!
Napoleone passò in rassegna i prigionieri e, a un certo punto, trasalì dallo sdegno: la memoria prodigiosa di cui era dotato gli aveva fatto riconoscere, in quei volti, i prigionieri di al Arish che egli aveva rilasciato qualche giorno prima dietro giuramento di deporre le armi.
– Che siano giustiziati tutti, militari e civili!
– Ma Signore – supplicò Eugène de Beauharnais – Fra di loro, ci sono anche donne e bambini e io ho dato la mia parola!
– Non potevi farlo, Eugène e, affinché impari la lezione, sarai tu a comandare il plotone d’esecuzione!
– Generale Bonaparte – intervenne Oscar – Non potete fucilare i soldati prigionieri né, tantomeno, dei civili inermi! Tutto ciò è disumano e disonorevole!
– Hanno mancato alla parola data, Generale de Jarjayes! Sono loro che hanno macchiato il proprio onore e non certo io!
– Volete trucidare dei militari che hanno combattuto con fierezza e coraggio e che si sono legittimamente arresi a Voi! – insistette Oscar – Volete fucilare anche le loro mogli e i loro figli!
– Se lo meritano per le atrocità compiute contro i nostri messaggeri! Oltretutto, non so cosa farne. Non possiamo sfamarli, perché i viveri scarseggiano pure per noi. Non possiamo portarceli dietro, perché rallenterebbero la marcia e non possiamo destinare un distaccamento a trasferirli in Egitto, perché questo esercito è già esiguo e io non posso ridurlo ulteriormente. Se li lasciassi andare, riprenderebbero le armi contro di noi, come hanno già fatto una volta. Ucciderli è l’unica cosa logica da fare.
– Protesto! – urlò Oscar.
– E io me ne frego! – rispose, astioso, Napoleone – Qui, comando io, Generale de Jarjayes mentre Voi non avete alcuna autorità! Di più, neppure dovreste essere qui!
Con passo rapido e nervoso, Bonaparte si ritirò nella sua tenda.
 
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I prigionieri, in gran parte ottomani e albanesi, furono subito trasferiti sulla costa per essere giustiziati.
Il lugubre corteo serpeggiò lentamente fra le sabbie, scortato al macello dal plotone comandato da Eugène de Beauharnais che era pallido quasi quanto loro. Malgrado la moltitudine di persone – le fonti riportano un numero variabile fra i duemila e i quattromila prigionieri – sul posto, incombeva un silenzio innaturale, di quando in quando interrotto da singhiozzi strozzati, gemiti e qualche urlo. Uomini, donne e bambini furono ammassati vicino alla costa.
Il primo gruppo di condannati fu schierato davanti alla battigia, finché il silenzio fu interrotto dal sedicenne Eugène de Beauharnais che, con voce marziale, lievemente incrinata dalla commozione, squarciò l’aria gridando:
– Caricate, puntate, fuoco!
Il cigolio delle armi fu seguito dalla salva dei moschetti e il primo gruppo di condannati cadde a terra, accompagnato dal pianto soffocato di quelli che, ammassati, attendevano la loro ora.
L’operazione fu ripetuta più e più volte, con Eugène de Beauharnais sempre più pallido e Oscar, che aveva seguito il tragico convoglio, svuotata e impietrita.
Alain faceva parte del plotone d’esecuzione. Calde lacrime iniziarono a rigargli il volto senza che neanche se ne fosse accorto. Quello era l’ordine impartito dall’uomo che tanto ammirava? La guerra è guerra, continuava a ripetere a se stesso, non c’erano alternative, quella era l’unica cosa sensata da fare. Intanto, però, le lacrime, quasi munite di volontà propria, continuavano a colargli sulle gote, a sottolineare le ferite di una coscienza dilaniata.
Ben presto, il mare si tinse di rosso e sempre più corpi senza vita furono percossi dalle onde.
Alcuni disgraziati cercarono la salvezza fuggendo nel deserto, ma furono falciati dalla cavalleria, fatti a pezzi, trafitti e sventrati dalle baionette. Altri si gettarono in acqua e si allontanarono a nuoto, ma quelli che riuscirono a sfuggire agli spari cedettero alle onde e annegarono. I pochi vigorosi che raggiunsero gli scogli a largo furono riacciuffati dalle barche e finiti sul posto.
A un certo punto, giunse, correndo, un messaggero.
– Il Generale Bonaparte vi ordina di smettere di consumare proiettili e polvere da sparo! Scarseggiano e non potete sprecarli per loro!
– E come dovremmo fare, di grazia? – protestarono i soldati del plotone d’esecuzione.
– Arrangiatevi! – tagliò corto il messaggero.
– Montate le baionette sui moschetti! – ordinò, con voce sorda e arrochita, Eugène de Beauharnais.
I soldati smisero di sparare e iniziarono a caricare e a sventrare quei poveri infelici che istintivamente portavano avanti le mani per proteggersi e contorcevano i volti in spasimi di dolore.
L’aria assunse l’odore acre e dolciastro del sangue e le acque si riempirono di budella e di arti amputati.
Alain, a un cero punto, lasciò il suo posto, corse qualche passo più in là, si chinò in avanti e iniziò a vomitare. Oscar avrebbe voluto raggiungerlo, mettergli una mano su una spalla, sussurrargli una mezza parola di conforto, ma le gambe le rimasero conficcate nella rena, incapaci di rispondere agli ordini.
Dalla sua tenda, Napoleone ascoltò la salva dei moschetti, prima e le grida terribili dei condannati straziati dalle baionette, poi, ma nessun moto di pietà gli ammorbidì il cuore. Quella era l’unica cosa logica da fare, l’unica. Mentre udiva quei rumori di morte, la mente di lui era attraversata dalle immagini di Joséphine fra le braccia del suo amante, quel maledetto Hippolyte Charles, un Tenente degli Ussari bello, prestante, gioviale e dannatamente stupido. Gli occhi gli divennero spietati, il cuore assunse la consistenza di una pietra e iniziò a fantasticare che quelle urla provenissero dai due fedifraghi.
Contemporaneamente, dalla città di Jaffa, nella direzione opposta a quella della spiaggia, giungevano le urla disperate degli inermi cittadini derubati, stuprati e trucidati dai soldati, nel corso dei due giorni e delle due notti di saccheggio selvaggio.
 
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Ricevimento a Parigi, marzo 1799
 
Il gruppetto delle ragazze Bonaparte si animò di spensierata e giovanile crudeltà nel vedere la Viscontessa de Beauharnais incedere con grazia nel salone, circondata dai suoi amici, fra i quali spiccava il bel Tenente degli Ussari Hippolyte Charles.
– Questa è la volta che ci togliamo la vecchia di torno! – esclamò, gioiosa, Elisa, guardando ora Joséphine, ora Hippolyte Charles.  
– Ma sì, che se ne vada lontana da nostro fratello quella svergognata! In un postribolo della Martinica, dovrebbe stare!
– Se ti sentisse nostra madre, Paolina! – intervenne, falsamente scandalizzata, Carolina.
– Perché, che ho detto? – protestò, imbronciata, Paolina che criticava gli altri, pur non essendo certo un modello di virtù – Non appena Napoleone avrà le prove del tradimento della vecchia con quel bellimbusto, la rispedirà difilato da quel cornuto del marito!
Joséphine de Beauharnais vide le tre sorelle Bonaparte e gli occhi le si accesero di fastidio. Si sforzò, tuttavia, di ignorarle e di passare oltre.
Non vi riuscì, perché le tre giovani si avvicinarono e, mentre un valletto passava accanto alla Viscontessa con un vassoio, Carolina lo urtò, facendo finire lo champagne contenuto nei calici sull’abito di Madame de Beauharnais.  
– Oh!, Madame, sono desolata! – gemette Carolina, con voce lamentosa e sguardo trionfante.
– Lo avete fatto di proposito! – sbottò Joséphine de Beauharnais.
– Io? – rispose Carolina – Ma no!
– Forse, si può rimediare – cinguettò Paolina e, accostandosi, calpestò l’orlo dello strascico della Viscontessa che, nel muoversi, lo strappò.
Esasperata, la donna, la cui spontaneità creola, nei momenti di maggiore tensione, riaffiorava sempre, tirò uno schiaffo a Paolina, per, poi, pentirsene immediatamente.
Paolina Bonaparte corse via piangendo mentre i presenti si lasciavano andare a esclamazioni soffocate e Joséphine de Beauharnais si mordeva il labbro, consapevole di essere caduta nella trappola malgrado la sua pluriennale esperienza mondana.
Giuseppe e Luciano Bonaparte sogghignarono, felicissimi di avere rimediato dei nuovi argomenti per coprire di fango quella donna nelle missive da scrivere al fratello.
 
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Dopo la mattanza di Jaffa, l’Armata d’Oriente riprese la sua marcia verso San Giovanni d’Acri, una città costiera con un porto strategico per il controllo del Mediterraneo orientale. La conquista del borgo avrebbe rappresentato una pietra miliare nella prosecuzione della campagna alle volte di Gerusalemme e, in un secondo momento, dell’India.
All’inizio dell’assedio, Napoleone commise il suo secondo errore di valutazione, pronosticando che due settimane sarebbero state sufficienti a far capitolare la città. Ahmad al-Jazzār, però, aveva radunato nel borgo le sue migliori forze e tutti gli assediati, dal primo dei Generali all’ultimo dei civili, erano bene edotti della sorte degli abitanti di Jaffa, col risultato che la resistenza che opposero fu fra le più agguerrite.
I turchi, inoltre, ricevettero rinforzi dagli inglesi e il Commodoro Sir William Sidney Smith, con due navi della Royal Navy, la HMS Tiger e la HMS Teseo, riuscì a bloccare gli approvvigionamenti delle truppe francesi che rimasero a corto di viveri. Come se ciò non bastasse, le due navi intercettarono quelle francesi che trasportavano l’artiglieria pesante imbarcata in Egitto che, quindi, cambiò padrone.
Gli artiglieri inglesi disposero i cannoni catturati in posizione strategica sulla HMS Tiger e sulla HMS Teseo, in modo da bombardare la strada costiera che portava a Jaffa e le milizie francesi. L’Armata d’Oriente si trovò, così, non soltanto privata dell’artiglieria pesante, ma addirittura presa di mira dalla stessa, passata in mani nemiche, con la conseguenza che le vie dei rifornimenti furono ulteriormente tagliate e che molti attacchi francesi furono respinti.
Nonostante tutto, il Generale Bonaparte conservava intatta la speranza di aprire una breccia nelle possenti mura di San Giovanni d’Acri e di chiudere l’assedio.
Le disgrazie, però, non avevano cessato di flagellare le truppe francesi e una piaga orribile giunse presto, col volto della Nemesi delle vittime dell’assedio di Jaffa.
Sempre più soldati francesi caddero malati finché, un giorno, il Dottor Desgenettes, capo dei medici della spedizione, chiese a Napoleone di recarsi nell’ospedale di un vicino monastero armeno dove gli infermi erano stati trasportati.
– Guardate qui, Generale – disse il Dottor Desgenettes, indicando i bubboni lividi che spuntavano dal collo, dall’inguine e dalle ascelle dei malati.
– Ebbene? – domandò Napoleone, il cui volto si era, d’improvviso, rabbuiato.
– Peste.
 
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Wellington
 
 
India del sud, Mysore, davanti alla città di Seringapatam, 4 maggio 1799
 
Arthur Wellesley, Colonnello del trentatreesimo fanteria dell’esercito di Sua Maestà Giorgio III, Re di Gran Bretagna e di Irlanda, scrutò pensieroso le mura di Seringapatam, la città fortezza del Sultano Fateḥ ʿAlī Tīpū, la Tigre del Mysore.
Dopo un mese esatto dall’inizio dell’assedio, era giunto il momento di sferrare l’assalto decisivo alla fortezza del Sultano. Se l’esito fosse stato favorevole, la capitale del Mysore sarebbe stata espugnata e Tipu, la più grossa spina nel fianco degli inglesi in India nonché fiero alleato dei francesi, sarebbe stato catturato o ucciso, ma, comunque, detronizzato e ridotto all’irrilevanza. In caso contrario, quello sarebbe stato il loro ultimo giorno sulla terra.
Arthur Wellesley non poteva nascondere una forte delusione. Il Generale George Harris, capo dell’esercito inglese in India nella quarta guerra anglo – mysore, non gli aveva affidato un ruolo di primo piano, ma soltanto il comando di una colonna di riserva. Le spiegazioni che il Generale Harris gli aveva dato – opportunità di mettere a capo della colonna di riserva un uomo equilibrato che tamponasse gli eventuali eccessi del Maggior Generale David Baird, valoroso soldato adatto a guidare l’assalto, ma, a volte, troppo avventato – erano convincenti e testimoniavano la grande stima che l’ufficiale aveva di lui, ma lo consolavano fino a un certo punto.
Non sarebbe stato certo comandando una colonna di riserva che avrebbe servito con onore la sua patria e conquistato prestigio e gloria.
Non sarebbe stato certo comandando una colonna di riserva che avrebbe convinto Lord Thomas Pakenham, secondo Conte di Longford, a dargli in sposa sua sorella Catherine.
Per Thomas Pakenham, egli era soltanto il figlio cadetto di un Conte irlandese morto pieno di debiti, il poco promettente fratello minore del secondo Conte di Mornington, Governatore dell’India nonché uno squattrinato Colonnello di fanteria. In poche parole, era il peggior partito che Thomas Pakenham potesse desiderare per sua sorella.
Sarebbe giunto il momento giusto anche per lui, quello in cui avrebbe servito il suo paese, coprendosi di gloria. Quello in cui sarebbe diventato degno di Kitty Pakenham.
Mentre era immerso in questi pensieri, la squadra dei disperati, guidata dal Sergente Grahm, giunse sotto le mura della città. Il Sergente conficcò il vessillo nelle zolle erbose e morì subito dopo, fulminato dalla salva dei proiettili nemici.
L’assedio di Seringapatam era iniziato.
 
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I soldati che avevano massacrato gli abitanti di Jaffa, nel corso dei due giorni e delle due notti di saccheggio, erano rimasti infettati dalle loro vittime e avevano contratto la peste.
Malgrado la stanchezza e la fame, Oscar aiutava gli ammalati come poteva e anche Alain, che, non avendo partecipato al saccheggio, non si era infettato, dedicava il poco tempo libero al trasporto e alla cura degli infermi, stando bene attento a non venire a contatto con gli umori purulenti che fuoriuscivano dai bubboni scoppiati.
Lo stesso Napoleone, che, fra i suoi difetti, non annoverava la vigliaccheria, trasportò la barella di un malato e si mise a fare visita agli infermi, assistendoli e confortandoli. Egli era convinto che vincere la peste, come ogni altra malattia, era questione di forza di volontà e che chi combatteva con il fermo proposito di guarire sopravviveva mentre chi si lasciava andare allo sconforto soccombeva.
Dopo la vittoria francese nella battaglia del Monte Tabor del 16 aprile 1799, ai primi di maggio, arrivarono rinforzi, viveri e cannoni sia via terra sia via mare e l’Armata d’Oriente poté tirare un sospiro di sollievo. Grazie a quegli aiuti, fu finalmente aperta una breccia nelle mura della città e Napoleone esultò, pensando di avere la vittoria in pugno.
Grande fu la delusione quando i francesi oltrepassarono la breccia e si avvidero che gli abitanti di San Giovanni d’Acri avevano innalzato una seconda cinta muraria più alta e massiccia della prima.
Fu chiaro, quindi, a Napoleone che le truppe, ormai stanche, affamate, lacere e decimate dalla peste, non avrebbero potuto proseguire oltre e, dopo due mesi, il 21 maggio 1799, l’assedio fu levato.
– Dobbiamo rientrare in Egitto al più presto, Dottor Desgennettes e non possiamo portare i malati di peste con noi. Molti di loro sono intrasportabili, quelli che possono camminare rallenterebbero la marcia e gli uni e gli altri infetterebbero i sani. Abbandonarli qui alla mercé dei turchi e della loro spietata vendetta sarebbe, d’altronde, pura crudeltà.
– E, quindi, Generale Bonaparte, cosa suggerite di fare?
– L’unica cosa umana e compassionevole.
– Cioè?
– Somministrate loro una dose massiccia di laudano e fateli morire senza sofferenze.
– Io sono un medico, Generale Bonaparte e le vite le salvo e non le spengo!
– Si tratterebbe dell’unico atto di misericordia possibile.
– E’ fuori questione!
Fu così che Napoleone diede ordine di abbandonare gli appestati e i feriti nell’ospedale, dove subirono le sevizie dei turchi. Quelli che si reggevano in piedi seguirono i commilitoni come poterono, ma, chi prima chi dopo, caddero stremati a terra e i compagni, in lontananza, udirono le loro urla strazianti.
Quando si era, ormai, a due giorni di marcia da Alessandria, sull’imbrunire e le truppe erano accampate per la notte, Alain entrò nella tenda di Oscar.
– Comandante, dovete venire con me, una persona chiede di Voi.
Alain portò la donna di fronte al giaciglio dell’attendente di Napoleone che aveva seguito André ad Alessandria con l’ordine di ucciderlo e che, ora, era in punto di morte a causa della peste. Oscar si accorse subito delle condizioni disperate dell’uomo e, dubitando che fosse ancora cosciente, si rivolse ad Alain con aria interrogativa.
– Cosa vuole quest’uomo da me?
– Non lo so, Comandante, mi ha chiesto soltanto di mandarVi a chiamare.
L’uomo, udite le voci, aprì gli occhi e, non potendo emettere più di un sussurro, fece cenno a Oscar di accostarsi.
– Comandante, fate attenzione – disse Alain.
Oscar annuì.
– Generale de Jarjayes… – bisbigliò il moribondo – Ne ho fatte di cose discutibili nella vita, ma non voglio morire con questo peso sulla coscienza… Ho inseguito il Conte di Lille ad Alessandria con l’ordine di farlo assassinare… Ho dato l’incarico a un sicario del luogo…
– Come si chiama il sicario? – urlò Oscar mentre Alain le posava una mano sull’avambraccio per evitare che strattonasse il malato, infettandosi.
– Mohamed ibn Omar… aahh… aaahhh…
– Su ordine di chi? Parla!! Su ordine di chi??
– Comandante, non respira, è morto.
– Appena giunti ad Alessandria, dovremo trovare questo Mohamed ibn Omar, a costo di mettere sotto sopra l’intera città!
– Sarà fatto, Comandante.
 
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India del sud, Mysore, città di Seringapatam, maggio 1799
 
Il Colonnello Arthur Wellesley guardava cupo le strade di Seringapatam, l’ex città fortezza del Sultano Fateḥ ʿAlī Tīpū, ora dominio inglese di cui era stato, quel giorno stesso, nominato Governatore.
La città era stata espugnata, Tipu era morto, combattendo oppure tradito da uno dei suoi e la Francia aveva perso il suo più potente alleato in India.
Doveva essere il giorno del trionfo, ma Arthur Wellesley non poteva nascondere sdegno e raccapriccio per lo spettacolo orribile e inverecondo che le vie della città gli offrivano.
Da uomo d’onore, alla fine dell’assedio, aveva comandato ai suoi soldati di circondare il palazzo del Sultano, al fine di evitare eventuali razzie inglesi. La stessa fortuna non era, invece, capitata alla gente comune, perché il Maggior Generale David Baird, ufficiale più alto in grado di lui che aveva guidato l’assedio della città, aveva concesso ai suoi uomini facoltà di saccheggio illimitate. “E’ la legge della guerra”, aveva opposto alle proteste del ventinovenne Colonnello Wellesley. David Baird, del resto, era un capacissimo, ma ruvido ufficiale scozzese e aveva un conto in sospeso con Tipu, essendo stato tenuto prigioniero, per due anni, nelle segrete di Seringapatam.
– D’ora in poi, chi sarà sorpreso a saccheggiare, uccidere o stuprare, qui o altrove, sarà impiccato sul posto – stabilì Arthur Wellesley – Sono stato chiaro?
– Sì, Signore – rispose l’ufficiale subalterno.
 
********
 
L’ometto basso, col volto scavato da furetto e due baffoni scuri, camminava guardingo, mezz’ora dopo il tramonto, per i vicoli più poveri di Alessandria. D’un tratto, una mano lo afferrò con violenza per la tunica e lo sbatté, di spalle, contro il muro esterno di una casa. D’istinto, l’egiziano tirò fuori un pugnale dalla cintura e lo avrebbe di certo usato, se il suo aggressore non gli avesse torto il braccio, provocando la caduta a terra dell’arma.
– Abbiamo qualcosa da chiederti e tu ci risponderai – ingiunse Alain – O io ti romperò la testa!
Mohamed ibn Omar iniziò a balbettare frasi sconnesse nella sua lingua. Un soldato amico di Alain, che masticava qualche parola di arabo, si mise a fare da interprete.
– Dov’è il Conte di Lille? – tuonò Oscar mentre il soldato traduceva.
– Chi?? – biascicò, atterrito, Mohamed.
– Il gentiluomo francese che dovevi assassinare a fine luglio dell’anno scorso! – replicò Oscar.
La mente di Mohamed fu attraversata da un lampo chiarificatore.
– Non l’ho ucciso, non l’ho ucciso!! Giuro che non gli ho torto un capello!!
– E allora che cosa ne hai fatto, miserabile! – lo incalzò Oscar.
– L’ho venduto allo Sfregiato del Mediterraneo…
– E chi è questo Sfregiato del Mediterraneo? – ringhiò Alain, col viso di un demonio – Parla, sciacallo rognoso, o ti farò a pezzi!!
– Un contrabbandiere… Un contrabbandiere molto rispettabile e dabbene… Un vero principe misericordioso… Aahh!! Aaahh!! Pietà, nobili signori, pieta!!
– E cosa ne ha fatto del Conte di Lille questo principe misericordioso? – ruggì Oscar.
– Non lo so, giuro che non lo so!! Lui, di solito, fa la spola fra l’Europa e l’Africa per contrabbandare la sua merce…
– Credo che dica la verità, Alain – gemette Oscar – In Francia, però, André non è mai arrivato, perché il Conte di Fersen, a gennaio, non sapeva dove fosse. La cosa più logica, contattare mio padre per chiedere il riscatto, non è stata fatta… André potrebbe essere morto durante la traversata…
– Parla, stronzo!! – lo incalzò Alain – L’hanno ucciso?!
– Giuro che non lo so, nobile signore, giuro che non lo so!!
– E’ sincero – sospirò Oscar, sconsolata – Nulla più sapremo da lui…
Alain spinse per la schiena Mohamed, gli assestò un calcio nel sedere e urlò:
– Vattene, sacco di vermi, ma sappi che, se ci hai nascosto anche una sola cosa, ti verrò a cercare!!
L’egiziano si dileguò velocemente come un ratto nelle fogne mentre i membri di quella spedizione si guardavano fra loro.
– Non mi resta che tornare subito a Versailles, Alain. Tramite mio padre e le conoscenze che ho in marina, in polizia e nei servizi segreti, tenterò di saperne qualcosa di più su questo Sfregiato del Mediterraneo. Ora come ora, è l’unica cosa che posso fare.

   
 
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