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Autore: AlexSupertramp    17/09/2020    6 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

Sensi di colpa


Akito Hayama aveva ripreso a correre.
Correva al mattino presto, quando suo padre e sua sorella dormivano e non potevano vedere quanto quell’attività lo rigenerasse da troppe notti insonni.
Insieme alle sue gambe, anche i suoi pensieri correvano ad una velocità difficile da controllare. Gli sembrava tutto uno scherzo, quello che era successo nelle due settimane precedenti a quell’ennesima, folle corsa. Gli sembrava di stare vivendo all’interno del trailer di un film, dove le immagini si susseguono a raffica, una dietro l’altra, dando solo una piccola anticipazione di quella che sarà la vera e propria trama del film. E se il regista è bravo, tutte le supposizioni che si fanno sull’ipotetica trama, potrebbero rivelarsi sbagliate, conducendo poi lo spettatore al fatidico colpo di scena finale. Ecco, lui sentiva che tutte le supposizioni elaborate durante la visione delle scene passate della sua vita lo avevano bellamente ingannato, portandolo al fatidico colpo di scena finale.
Correva anche in quel momento, noncurante di Tsuyoshi che lo stava chiamando disperatamente dalla finestra spalancata della sua aula.
Tsuyoshi lo sapeva bene che il suo amico non era una persona paziente né tantomeno riflessiva e pacata. Anzi, lui la pazienza di aspettare una telefonata di Sana o la pacatezza di starsene buono e lasciarle i suoi spazi non ce l’avrebbe mai avuta. E proprio quando il suo amico gli aveva raccontato, utilizzando solo verbo e complemento, che qualcuno aveva avuto un incidente, Tsuyoshi si era sforzato di non andare subito in panico, a causa della mancanza di soggetto nella frase pronunciata da Hayama. Quest’ultimo, senza mostrare la minima espressione, si era quantomeno sforzato di precisare che la vittima in questione era Naozumi e che Sana, dopo una serie di scene da trailer fuorvianti, era scappata via per correre in ospedale da quello che era, a conti fatti, il suo fidanzato.
«Ma in che senso un incidente? È grave? Ce la farà?» era stata questa la reazione di Tsuyoshi alla rivelazione di Hayama.
«E io che ne so? Non mi ha detto niente.»
«Mmm, capisco. Immagino che lei ora sia distrutta e che voglia stare vicino al suo ragazzo.»
«E chi lo sa…» aveva concluso Hayama, guardando distrattamente fuori dalla finestra.
Tsuyoshi lo aveva guardato perplesso, perché sapeva bene che il pericolo che stava correndo Naozumi, qualsiasi esso fosse, non era l’unico pensiero che tormentava il suo amico e, istintivamente, gli aveva poggiato una mano sulla spalla, sperando di trasmettergli un po’ di serenità.
Akito, poi, si era voltato verso di lui, fissandolo negli occhi.
Tsuyoshi era trasalito, perché si era reso conto che quello sguardo aveva ancora il potere di paralizzare.
«Io e lei…»
Al suo amico non erano state ben chiare quelle parole, quei due pronomi pronunciati senza contesto, ma aveva sentito immediatamente un profondo senso d’ansia crescergli nello stomaco.
«Noi siamo stati…»
Poi ad Akito era squillato il cellulare datogli in prestito da suo padre e, dopo avergli dato uno sguardo, si era rabbuiato e aveva smesso di parlare. Allora Tsuyoshi gli aveva toccato nuovamente una spalla per partecipare a quel suo improvviso stato d’animo, ma tutto quello che aveva ricevuto in cambio era stata una violenta strattonata.
E Akito aveva ripreso a correre, noncurante del suo amico che aveva iniziato a chiamarlo disperatamente.
Alla fine pensò di non aver niente da perdere, che ormai aveva messo in gioco davvero tutto, nella sua vita, per quella ragazzina egoista che continuava a piombargli addosso appena lui girava lo sguardo lontano da lei. E quindi si decise che non aveva più senso aspettare, che quello che c’era stato tra loro era quanto di più vero avesse sentito da quando aveva memoria e che, come le aveva detto solo il giorno prima, non poteva proprio rinunciare ad averla nella sua vita. Anche se avesse dovuto combattere con i suoi sensi di colpa per sempre.
Non si sentiva affatto crudele per non provare nessun sentimento di pena per quell’attore da quattro soldi che ora si trovava in un letto d’ospedale. Al contrario, si sarebbe sentito un ipocrita se avesse iniziato a provare pietà per il suo eterno rivale.
E continuò a correre, fino a raggiungere l’ospedale in cui lei gli aveva detto di trovarsi.
Quando Sana gli aveva mandato quel messaggio, quando era ancora in compagnia di Tsuyoshi, era bastato il ricordo del suo corpo tremante sotto di lui, del suo profumo, delle labbra che lo aveva baciato ovunque solo qualche ora prima, a fargli ignorare quel suo “Mi dispiace, ma ora ha bisogno di me”.
Il respiro affannato, causato dalla tremenda corsa attraverso quattro isolati, aveva catturato l’attenzione di molte persone che vagavano distrattamente per la Hall di quell’enorme edificio. Esaminò con lo sguardo tutte le persone presenti, medici, infermieri, pazienti in sedia a rotelle e qualche donna incinta accompagnata dal proprio marito. Ma di persone a lui familiari non c’era nessuna traccia. Era convinto che almeno occhiali da sole e la signora Kurata fossero lì, a dare sostegno alla loro protetta.
Evidentemente erano tutti al reparto in cui era stato portato Naozumi e lui non aveva la minima idea di quale fosse. In realtà non sapeva un bel niente riguardo l’incidente.
Si avvicinò all’accettazione dell’ospedale dove c’era una donna di mezza età con la testa immersa completamente nello schermo piatto di un computer. Si sporse appena verso l’infermiera che, dopo qualche minuto di silenzio, si accorse di una faccia dall’espressione dura che guardava proprio nella sua direzione.
«Posso aiutarti, ragazzo?»
«Sono qui, per qualcuno…»
«D’accordo. È ricoverato qui?»
«Credo di sì.»
«Sei piuttosto vago, vuoi dirmi il suo nome? Posso provare a fare una ricerca.»
«Kamura.»
L’infermiera dovette associare quel nome a qualcosa di piuttosto rilevante perché il suo viso trapelò un’espressione di preoccupazione. Poi giunse il dispiacere.
«Mi dispiace, ma non posso fornire nessun’informazione.»
Hayama strinse i pugni.
«Dannato attore!»
«Come, scusa?» l’infermiera trasalì.
«Niente, non si preoccupi.»
Sapeva che non sarebbe stato facile oltrepassare la barriera che il suo manager, la sua agenzia, e forse pure Sana avevano costruito per proteggere la privacy di Naozumi Kamura. Era sempre stato così, era sempre stato preso di mira da orde di fan scatenate pronte a tutto pur di avere anche solo una ciocca di quei capelli così poco giapponesi. Si immaginò il putiferio che si sarebbe scatenato, se qualcuno fosse venuto a sapere che l’idolo di tante ragazzine aveva avuto un incidente ed era ricoverato proprio lì.
Sapeva perfettamente che quell’infermiera aveva fatto voto di omertà e che non avrebbe rivelato l’identità dell’attore a nessuno, quindi, decise di mettere in atto il piano B.
Prese il cellulare dalla tasca e scrisse: Sono all’accettazione dell’ospedale. Scendi, per favore. E inviò all’unica persona che aveva bisogno di vedere in quel momento.
Si passò una mano tra i capelli cercando un posto libero tra le decine di sedie in plastica disposte nell’ingresso dell’ospedale. Ma decise di sedersi su un muretto di pietra costruito intorno ad un enorme bonsai, che troneggiava proprio al centro della sala di accettazione, e poggiò i gomiti sulle ginocchia.
Si sentiva irrequieto, sapeva dentro di sé, che Sana non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare Kamura in una situazione del genere, se poi aggiungeva le centinaia di sensi di colpa che proprio insieme avevano dato loro modo di esistere beh, avrebbe potuto appendere ad un chiodo la sua voglia di non rinunciare alla sua presenza nella sua vita. Sentiva uno strano senso di sconfitta e di solitudine, aveva la netta sensazione che rischiava di perderla sul serio e non come era successo ad Hakone, quando proprio Kamura aveva fatto irruzione nel vano lavanderia, e per poco non li beccava in flagrante.
No, quella volta era diverso, perché lui la conosceva meglio di quanto lei pensasse e qualsiasi sentimento Sana provasse per lui, non sarebbe mai stato forte abbastanza quanto il suo senso di altruismo, la sua indole al sacrificio per la felicità altrui. Non in quella occasione.
Continuava a sentirsi irrequieto e l’unica distrazione era rappresentata dalle venature rosacee del pavimento di marmo sotto i suoi piedi. Iniziò a seguire quei percorsi dovuti alla composizione fisica di quel materiale, rendendosi conto di esserci finito quasi con il naso contro, per quanto si stava curvando su se stesso.
Poi sussultò, quando qualcosa si poggiò sulla sua spalla.
«Ehi…»
Quando si voltò, faticò non poco a riconoscere il viso che aveva davanti. Sana era sempre stata una persona allegra, sì, ma soprattutto espressiva. Si capiva subito se era felice, arrabbiata o, solo raramente, triste, perché lei non lo era mai. Almeno non davanti a chi non la conosceva bene.
Tuttavia, nonostante lui fosse stato abituato a tutte le espressioni di Sana Kurata fin dalla sesta elementare, in quel momento si rese conto che avrebbe dovuto aggiungere un dato a quel suo personale repertorio: l’assenza di espressioni. E se ad Hakone le era sembrata apatica e priva della sua solita gioia di vivere, quando l’aveva incrociata insieme a Kamura proprio il mattino seguente a quel loro primo vero contatto dopo anni, in quel momento avrebbe scommesso qualsiasi cosa sul fatto di non vedere più nemmeno un briciolo di vitalità in quegli occhi che lo avevano salvato dal baratro.
Si alzò in piedi abbassando poi lo sguardo per raggiungere il suo.
«Kurata…» non sapeva nemmeno cosa dire, nonostante fosse stato proprio lui a pregarla di raggiungerlo.
«Ero su… non possiamo vederlo, ecco. Lui sta…» questa volta era Sana a non articolare bene le frasi e, complici singhiozzi e lacrime che avevano fatto la loro comparsa sul suo viso come frammenti di una bomba esplosa, si mise entrambe le mani in viso. Akito si sentì stranamente sollevato per il fatto che almeno ora sembrava essere tornata espressiva come un tempo, nonostante avrebbe preferito vederle in viso un sorriso, piuttosto che quelle lacrime versate per Nazoumi. Poi, fece un passo verso di lei, poggiando le sue mani sui suoi polsi, cercando di liberare il suo viso da quel sipario.
«No, che fai? Non devono vedermi qui…» riuscì a dire, prima che le lacrime tornassero a confondere la sua voce.
«Ok.» lui rispose flebilmente, come se ognuna delle sue lacrime fosse in realtà una coltellata inflitta direttamente a lui. Non riusciva proprio a sentirsi altruista e a penare che, in quel momento, c’era qualcuno che meritava davvero quelle lacrime. Allora cinse le spalle di Sana con un braccio, cercando di coprirla quanto più poteva, e la trascinò lungo il corridoio adiacente l’ingresso dell’ospedale, proprio verso il percorso indicato dai segnali che conduceva ai bagni pubblici.
Si assicurò che fossero vuoti, prima di aprire una delle quattro porte bianche e chiuderla alle loro spalle. Allora, allungò nuovamente le sue mani verso quelle della ragazza, ancora piantate sul viso e, questa volta, lei non oppose resistenza scoprendo gli occhi gonfi e arrossati per le troppe lacrime.
«Cosa è successo?» le domandò, guardandola con insistenza.
Lei sospirò, sciogliendo le mani dalle sue.
«Non lo so. So solo che era in Egitto, per girare un documentario. Ha avuto un incidente durante le riprese… dicono che sia caduto e abbia sbattuto la testa. Sembrava stesse bene, nonostante tutto. Poi però durante il viaggio di ritorno…» si interruppe, cercando il pavimento con lo sguardo per sfuggire al viso di Hayama.
«Non so cosa sia successo, Rei ha parlato con il signor Maeda ma sai, le notizie vengono sempre confuse. Pare che ora lui non risponda agli stimoli eh… forse è stato l’aereo, oppure avrebbero dovuto curarlo meglio laggiù, non lo so.»
Mentre Sana raccontava gli avvenimenti in maniera confusa, Akito riuscì ad intravedere nuovamente delle lacrime rigarle il viso e ancora una volta si sentì impotente, solo ma anche arrabbiato. Razionalmente sapeva di non averne diritto, ma non riusciva proprio a controllare le sue emozioni.
Allora avvicinò le mani al suo viso, poggiando un dito sul mento di lei. Con l’altra le asciugò una lacrima che per poco non le finiva sul petto. Ma lei lo guardò confusa.
«Tu… non dovresti essere nemmeno qui.» mormorò lei.
«Ma che dici?»
«Non volevo che venissi, non ti ho scritto quel messaggio perché tu ti precipitassi qui.»
«Non l’ho fatto per quello.»
«Beh, non dovresti essere qui. Io adesso devo stargli vicino… ha bisogno di me.»
«D’accordo. E noi?»
«Non c’è veramente un noi, Hayama.»
Lui sgranò gli occhi, perché se si era chiesto quale potesse essere la sua reazione a quei fatti, nemmeno la sua più fervida immaginazione gli avrebbe suggerito una risposta simile. Possibile che ora lei negasse tutto?
«Kurata, non dire sciocchezze. Non voglio che tu non gli stia vicino, ma non puoi escludermi dalla tua vita adesso.»
«Ora sono molto confusa, non posso occuparmi anche di questo.»
«Non ti sto chiedendo niente, ma non puoi dimenticare quello che c’è stato, andiamo.»
Lui non se n’era nemmeno accorto, ma le sue mani erano finite dritte sui polsi di lei, bloccandole i movimenti. Quando Sana spostò lo sguardo sulle sue dita serrate intorno alle sue braccia, corrugò la fronte opponendo poi resistenza a quella stretta.
«Così mi fai male. Mi fai male Hayama, tu e tutti questi sensi di colpa.»
«Ci risiamo… non mi sembra io ti abbia costretto a fare nulla.»
«Già, proprio come Fuka, vero?» lei alzò la voce e lui si sentì confuso, che c’entrava Fuka in quel discorso?
«Ma che stai dicendo?»
«Quello che ho detto. Io non posso dimenticare, ma tu l’hai fatto eccome.»
«Sana, per favore, potresti smetterla di dire tutte queste sciocchezze e calmarti?»
Akito si era accorto che quella conversazione stava andando verso toni molto più duri di quanto avesse voluto, e sapeva anche che lei era profondamente sconvolta.
«No che non mi calmo. Ti presenti qui, come se avessi chissà quale diritto, senza curarti del fatto che quello che è successo a Nazoumi è tremendo, e mi dici che non posso dimenticare quello che c’è stato. Magari è proprio quello che voglio.»
E in quel momento, Hayama lasciò la presa su di lei, senza smettere di guardare quel viso che, all’improvviso, gli sembrava così ostile.
«Non ti credo…»
«Pensi di poter venire qui, e sconvolgere la vita delle persone che ti stanno intorno?»
«Quella, in effetti, è una tua prerogativa.» mormorò lui, nemmeno tanto sicuro di volerlo dire. Me lei nemmeno vi prestò attenzione.
«Beh, non funziona così. Sono passati anni da quando io ho capito di amarti, gli stessi anni che tu hai speso insieme ad un’altra persona. Se non avessi letto quella vecchia lettera, forse non ti saresti nemmeno preoccupato di sapere che fine avevo fatto!»
Sana non era mai stata una persona cinica e razionale, se avesse dovuto descriverla, avrebbe sicuramente debellato quegli aggettivi dalla lista. Ma, in quel momento, non si sorprese affatto di quelle parole così intrise di rabbia e risentimento. Pensò di essere diventato il suo capro espiatorio perché Sana non riusciva più a contenere quei sensi di colpa che la stavano dilaniando.
«Ok, penso di aver capito che tu ora ti senta in colpa…»
«No Hayama, non è il senso di colpa a parlare. È la tristezza, il dolore e la solitudine che ho provato in questi anni, e la rabbia che sentivo quando ti sei presentato a casa mia dopo quella lettera. Solo che ero troppo felice di rivederti, per darle conto.»
«E non pensi che io sia stato anche peggio?»
«No, affatto. Altrimenti mi avresti cercata! E non avresti continuato quella storia con la mia migliore amica.»
«Ti ho spiegato come sono andate le cose, in più eravamo solo dei ragazzini all’epoca.»
«Ma io ti amavo lo stesso, nonostante fossi una ragazzina.»
«Beh anche io, e ho cercato di fartelo capire in ogni modo!»
«Avresti potuto dirmelo, avresti potuto cercarmi… invece hai lasciato che io scappassi.»
«Non ne sono stato in grado.» ammise abbassando il tono della voce insieme al suo sguardo, che raggiunse il pavimento candido del bagno.
Sana sospirò, rilassando finalmente le spalle.
«Va bene, non voglio più accusarti di niente. Ora però devo andare.»
«No aspetta…» si sporse verso di lei, tendendo le braccia in un goffo tentativo di abbracciarla. Ma lei si divincolò prontamente, spostandosi verso la porta di quello stretto abitacolo.
«Devo andare sul serio, Rei e mia madre si staranno chiedendo che fine abbia fatto.»
«Sana, questa mattina volevi stare con me. Ieri, io e te, abbiamo fatto l’amore per la prima volta…»
Lei alzò lo sguardo verso di lui, permettendo all’ennesima lacrima di rigarla il viso.
«Lo so…» poi spostò nuovamente lo sguardo altrove. Si voltò dandogli le spalle e aprì la porta del bagno.
«Ci vediamo a scuola.» disse, lasciandolo lì solo con un mare di dubbi che gli assalirono il cervello.
E quando la porta si richiuse davanti a lui, sferrò un pugno talmente forte da dilaniarsi la pelle delle nocche delle dita. Un rivolo di sangue comparve sul suo pugno e solo quando lui guardò quel liquido rosso, si rese conto di essere ancora vivo. Almeno il suo corpo lo era.
E riprese a correre, lungo il corridoio dell’accettazione, all’esterno nel parcheggio auto pieno di macchine ferme, lungo il viale che lo avrebbe condotto lontano dal posto in cui pensava di averla vista per l’ultima volta.
Corse come non faceva da anni, da quando lei era partita per girare quel film e lo aveva lasciato in balia della solitudine. Si chiese se le parole che gli aveva rifilato non avessero un qualche fondamento ragionevole di esistere perché, in fin dei conti, le cose erano andate esattamente come le aveva descritte lei. Una nuova versione di Sana, piena di rabbia e risentimenti.
Possibile che fosse vero il fatto di non aver mai fatto niente per lei? Possibile che avesse ragione.
Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò nel solito parco dove il suo corpo pareva volerlo portare ogni volta che nella sua vita succedeva qualcosa che, in qualche modo, era collegato a Sana Kurata. Senza nemmeno riflettere sul fatto che lui e sana, per la prima volta, si erano detti di amarsi.
Si sedette sulla solita panchina, stremato, lasciando completamente andare le forze dalle sue braccia. Poi, prese il cellulare e digitò un messaggio.
 
Dopo circa una ventina di minuti di attesa, Hayama sentì il suono inconfondibile di passi che calpestavano foglie secche cadute al suolo.
«Ho fatto più in fretta che potevo.»
Akito alzò lo sguardo e Tsuyoshi dovette pensare che era successo davvero qualcosa di importante per averlo spinto a chiedergli di andare lì al parco, perché effettivamente non aveva mai visto quell’espressione sul viso del suo amico.
Hayama non gli rispose e rivolse lo sguardo per terra, ormai quello era diventato il suo sport preferito.
Tsuyoshi quindi, si sedette accanto a lui su quella panchina cercando di decodificare la tristezza del suo amico che, con sua estrema certezza, era dovuta a qualcosa che era successo con Sana.
«Cosa è successo?» disse, spostando lo sguardo verso il pugno ferito del suo amico.
«Sono andato da lei in ospedale.»
«E…?»
«Mi ha cacciato.»
Tsuyoshi lo guardò confuso perché non riusciva a darsi una spiegazione plausibile al comportamento della loro vecchia amica. Allora insistette: «Magari non voleva che i giornalisti vi vedessero, sai come vanno queste cose.»
«No, non è per quello.»
«Allora perché l’ha fatto scusa? Se sei così sicuro che non è stato per non attirare l’attenzione.»
«Perché non vuole più vedermi.»
«Ma che significa? Perché dovrebbe volere una cosa del genere?»
Akito allargò entrambe le braccia poggiandole sullo schienale della panchina e fece un lungo sospiro.
«È successo qualcosa, in queste ultime settimane.»
«Beh, in effetti è dalla sera ad Hakone che mi sembri strano.» Akito non rispose, rivolgendogli solo un’occhiata che per Tsuyoshi fu abbastanza eloquente. Di colpo collegò tutti i punti incogniti.
«Non dirmi che voi due…»
«Già.»
«Aspetta, spiegati meglio. Sana ha un ragazzo!»
«Lo so anch’io. Ma è successo ugualmente.»
«Cosa?»
«Andiamo Tsu, devo farti un disegno?» rispose lui, iniziando a sentire un tremendo imbarazzo assalirgli le membra.
«Cosaa? Sul serio? Ma nemmeno io e Aya ci siamo spinti così oltre.»
«Cosa vuoi che ti dica? Posso darti qualche consiglio, se vuoi.»
Tsuyoshi sentì l’aria di presa in giro, nonostante la situazione sembrasse fin troppo drammatica, e arrossì, domandandosi quando il suo migliore amico fosse diventato così intraprendente in certe faccende.
«No, grazie. Me la cavo da solo.»
«Non direi!»
«Beh, non siamo qui per parlare di me. Mi spieghi cosa ti è saltato in testa?»
«Ma scusa, non eri tu a dirmi ogni santo giorno di doverle parlare? Ora che vuoi?»
«Infatti io ti avevo detto di parlarle, non di saltarle addosso.»
«Parlare è sopravvalutato.» aggiunse lui, con un tono tranquillo.
Tsuyoshi rilassò le braccia, arreso alla mancanza di tatto di Akito che spesso non si curava affatto di addolcire certe pillole.
«D’accordo. Scommetto però che ora lei si sente in colpa, e che ti ha cacciato per questo motivo.»
«Già, lo penso anche io.»
«Perché non mi hai ascoltato e ti sei precipitato lì da lei? Penso che adesso abbia bisogno di un po’ di spazio. Non deve essere facile per lei…»
«Io volevo vederla. Non ci resisto così, a sapere che soffre e a non poter fare niente. Mi sembra addirittura di peggiorare la situazione con la mia sola esistenza.»
Tsuyoshi lo guardò intristito, perché si vedeva lontano un miglio che Hayama stava dannatamente soffrendo. Non lo aveva mai visto così, non gli aveva mai sentito dire certe cose, nemmeno per Fuka.
«Lasciale un po’ di tempo per accettare le cose. Dalle la possibilità di scollegare quello che lei ha fatto con te dall’incidente a Kamura.»
«E io cosa posso fare, nel frattempo?»
«Direi di aspettarla.»
«Mi sembra di non fare altro, nella vita.»
«Già.» rifletté Tsuyoshi.
«Mi ha accusato di non averla mai cercata, in questi anni. Che ha sofferto per me… e che sono stato bravo ad andare da lei solo dopo aver ricevuto quella lettera. Forse ha ragione…»
Spostò le braccia dallo schienale della panchina e poggiò i gomiti sulle ginocchia, sprofondando le dita tra i capelli. Iniziava a sentirsi terribilmente in difetto per quello che aveva fatto, per il suo modo di essere stato con Fuka, quando sapeva dentro di sé di non esserne innamorato.
Eppure lo aveva fatto. E Sana aveva ragione.
Ma per qualche strano motivo, in quelle ultime settimane, aveva iniziato a pensare che per loro due ci potesse essere una seconda possibilità, ora che i loro sentimenti erano diventati più forti della loro reciproca mancanza di coraggio nell’ammetterli. Lui si era sentito così convinto di poterla avere nella sua vita che la possibilità di perderla davvero gli lacerava lo stomaco.
«Che importanza ha quello che è successo?» rifletté Tsuyoshi.
«Evidentemente, per lei ne ha.»
«Io credo che Sana si senta in colpa e basta. Credo che cacciarti via in quel modo sia stato solo un tentativo di redenzione, perché mentre Kamura stava male, lei era insieme a te.»
«Dici?»
«Credo di sì. Io ci scommetterei…»
«Su cosa?»
«Su voi due. Anche se siete sempre stati due testoni.»
Akito osservò il suo amico alzarsi in piedi e fare qualche passo oltre la panchina.
«Dalle un po’ di tempo, vedrai che le cose si sistemeranno.» disse infine aspettando immobile che il suo amico facesse una qualsiasi mossa. Allora Akito si alzò a sua volta, seguendo il suo amico e insieme si allontanò da quel parco, diventato sempre più colmo di ricordi legati a lei.
 
Il tragitto verso casa si era svolto in silenzio da parte di entrambi. Akito cercava di trovare il modo di stare vicino a Sana senza farla sentire troppo sotto pressione. Aveva pensato di tornare da lei in ospedale, magari dopo qualche giorno. Oppure, meglio ancora, fare un salto a casa sua. Ma subito dopo si era domandato se non fosse troppo, e se non stesse invadendo la sua vita, come lei lo aveva accusato di fare.
Era convinto che, se la situazione fosse stata inversa, lei non gli sarebbe sembrata affatto invadente.
Quando i due amici si separarono, Akito si trovava a soli pochi metri di distanza dal cancello di casa sua, troppo intento a dare retta ai suoi pensieri perché si accorgesse della figura in piedi, proprio davanti al suo ingresso.
Solo in quel momento si ricordò del suo appuntamento con Fumiko.
«Ciao.» disse lei timidamente, una volta che lui si era avvicinato abbastanza da sentire la sua voce.
«Sono in ritardo. Avevo delle cose da fare.»
«Non preoccuparti, non sono qui da molto.»
Lui le rivolse una fugace occhiata prima di aprire il cancello di casa e farle segno di seguirlo. Quando entrarono c’era un silenzio tombale, probabilmente né suo padre né sua sorella erano in casa, allora si diresse direttamente in camera sua seguito dai passi felpati della ragazza dietro di lui.
Il pensiero di doverle dare ripetizioni in quel momento, dopo tutto quello che era successo, non lo allettava particolarmente, avrebbe preferito restare da solo e continuare a trovare un modo per risolvere i suoi problemi con Sana. Ma quando si era quasi convinto a proporle di posticipare quell’incontro, lei aveva già tirato fuori libri e quaderni, sfogliando uno di questi con un’estrema concentrazione.
Sospirò arreso, raggiungendo la ragazza alla scrivania accanto al letto.
«Devo ringraziarti, sono riuscita a prendere la sufficienza all’ultimo compito in classe.»
«Bene.» disse lui, secco e monotono.
Lei gli sorrise, un po’ in imbarazzo, continuando a sfogliare il quaderno pieno di esercizi e formule scritte e riscritte più volte. Quando Akito vide quegli scarabocchi, pensò nuovamente a Sana e al fatto che difficilmente sarebbe stato altrettanto bravo a spiegarle le nuove regole di algebra, visto quanto era distratto in quel momento.
«Però c’è un passaggio, qui, che proprio non riesco a capire. Ho provato così tante volte, che alla fine mi è venuto un gran mal di testa.»
«Fa’ vedere.» le chiese, sporgendosi verso di lei per avere una visuale completa dell’esercizio. La guardò poi con la coda degli occhi, notando che lei aveva abbassato lo sguardo arrossendo leggermente.
«Non riesci a risolverlo perché qui c’è una formula sbagliata. Se togli questi numeri vedrai che l’espressione ti verrà.» constatò, allontanandosi nuovamente. Si appoggiò poi alla finestra aspettando che lei facesse quell’esercizio.
«Hai ragione, ora il risultato è giusto. Il problema è che non riesco mai a capire quale formula usare per far funzionare le cose.»
«Già» constatò lui distrattamente, pensando che quella poteva essere una metafora idonea a spiegare il modo in cui si sentiva in quel momento. Mentre Fumiko continuava a svolgere i suoi compiti, lui prese il cellulare dalla tasca e, benché non aveva sentito nessun suono o vibrazione, decise di controllarlo comunque, con la speranza di avere un qualsiasi tipo di cenno di vita da parte di lei.
Ma nulla.
«Hayama, potresti controllare questa formula?»
«Come, scusa?»
Lei si voltò verso di lui e lo ritrovò ancora con il cellulare tra le mani, beccato in flagrante.
«Aspetti una telefonata?» disse lei, con un sorriso nervoso.
«No. Qual è il problema con questa formula?»
«Non ci capisco niente, è questo il vero problema.»
Lui prese il suo quaderno e iniziò a leggere i numeri e le lettere messi insieme, circondati da qualche segno alfanumerico messi qui e lì apposta per confondere gente come Fumiko, o Sana. Dovette passare qualche secondo in più del normale perché a Fumiko sembrò che anche lui avesse qualche difficoltà con quell’esercizio.
«Mi sembri distratto oggi. Se preferisci, possiamo rimandare a un altro giorno…»
Lui alzò lo sguardo verso il suo viso.
«Sì scusami, oggi è stata una giornata pesante. Possiamo rimandare a domani, se puoi.»
«Nessun problema.» rispose lei, continuando a presentargli quello strano sorriso nervoso che gli aveva mostrato in quel breve tempo insieme. Quella ragazza gli era sembrata abbastanza timida fin da subito, forse per lei era difficile trovarsi di pomeriggio nella stessa camera in compagnia di un ragazzo, pensò Hayama.
«Potremmo studiare a scuola domani. Dopo le lezioni.»
Lei però alzò le spalle, mentre raccoglieva le sue cose disseminate sulla scrivania del padrone di casa.
«In realtà, qui mi sento più tranquilla.»
«Ah sì?»
Lei annuì con un debole cenno del capo.
«Come vuoi allora.»
«Sai, tra una settimana ci sarà l’Hinamatsuri.»
«Lo so.»
«Ci sarà festa ovunque, fuochi d’artificio… la mia classe sta organizzando di andare insieme ad assistere allo spettacolo.»
Akito continuò a guardarla, cercando di capire quale fosse il punto dove la ragazza volesse arrivare. E di nuovo le vide addosso quel sorriso nervoso, gli sembrò che fosse anche arrossita.
«Ecco mi chiedevo, magari potresti venire con noi. Se ti va…»
La ragazza abbassò lo sguardo, stringendo la cartella scura con le dita di entrambe le mani. Aveva detto quelle parole tutte d’un fiato lasciando ad Akito un’espressione inebetita sul viso.
«Guarda io…» ma lei non lo fece finire di parlare.
«C’è ancora una settimana. Fammi sapere se ti va, sarà divertente. Io ora vado.» e, così dicendo, girò velocemente su se stessa dando le spalle ad Akito, ancora imbambolato e incollato al davanzale della finestra. Non si aspettava una simile richiesta da parte di Fumiko, perché tutte le sue attenzioni era rivolte solo ed esclusivamente ad una persona. Così come era sempre stato. E proprio tutti quei pensieri su Sana che gli affollavano la mente, gli avevano sempre impedito di vedere le cose con la giusta lucidità, compresa quella discussione avuta qualche ora prima nel bagno dell’ospedale.
Si lasciò andare contro la parete della sua stanza, sedendosi a terra e continuando a stringere il cellulare con una mano. Aveva voglia di sentire la sua voce perché aveva la percezione che, nella sua testa, era stata sostituita da quella di Fumiko, le cui parole continuavano a riecheggiare nella sua mente.
Decise che non avrebbe rispettato il patto che aveva fatto con Tsuyoshi al parco e che il giorno dopo sarebbe tornato in ospedale da lei, perché era fermamente intenzionato a recuperare il tempo perso, e tutti gli errori fatti in un passato che ormai sembrava dannatamente irrecuperabile.


*Note d'autrice*
Ciao a tutti ed eccomi con il decimo capitolo di questa storia. E' successo il putiferio, I know, ma Sana doveva esplodere.
Non posso rivelare, ovviamente, cosa accadrà, ma vi dico solo che questo scontro era necessario. Al di là della questione Incidente-Kamura, perché quello che è successo dopo il ritrovamento di quella lettera è stato troppo veloce per dare la possibilità ad entrambi, soprattutto a Sana, di riflettere. Inoltre, sono diciassettenni in preda alle emozioni (e agli ormoni) quindi mi è sembrato naturale dare priorità a quell'aspetto. Ma poi, quando lei è stata costretta a riflettere sugli avvenimenti trascorsi, diciamo che si è fatta due conti in tasca. Ora, avrà detto quelle cose solo in preda ai sensi di colpa? Oppure le pensa sul serio e ha capito che Hayama, in quegli anni, una telefonata la poteva fare? Boh, who knows ahah.
Vorrei inoltre precisare che l'Hinnamatsuri è una festa gapponese che si svolge il 3 marzo ed è nota anche come festa delle bambole. In questa festa, vengono celebrate le bambine alle quali vengono donate delle bambole (le Hinna) che diciamo raccolgono la sfortuna delle bambine. E' una festa nella quali le persone pregano per la bellezza e la salute delle bambine di famiglia. Tutta Tokyo viene addobbata a festa e mi piaceva l'idea di mettere questa festa nella mia storia. Ora, Hayama andrà con Fumiko? Bo, who knows (aridaje xD).
By the way, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e attendo come sempre i vostri pareri, sperando di non aver spezzato i cuori di nessuno con questo scontro nel bagno tra Sana e Aki.
Vi ringrazio come sempre per tutte le visualizzazioni, i commenti e i messaggi. Siete nel mio corazon ormai.
Con tantissimo affetto,

Vostra Alex

 
   
 
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