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Autore: mattmary15    17/09/2020    0 recensioni
Sono passati anni dagli eventi di Cuba. Charles ed Erik si sono separati, ma il destino ha in serbo un tiro mancino per loro e a riunirli sarà l'ultima persona a cui pensano. Stavolta saranno alle prese con un nuovo avversario dei mutanti e una potente organizzazione che ne gestisce le risorse e che reclama l'eredità di Sebastian Shaw.
Seguito de 'L'anello mancante' ma può essere letta anche senza conoscere il contenuto del prequel.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eredità di Shaw'
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Capitolo VI
Ferro e fuoco

 

Raven fece il giro della casa.

Passeggiando piano. Quando arrivò all’altezza della sua stanza e vide le tende tirate, si ricordò del giorno in cui Erik le aveva fatto capire che nascondere se stessa le rubava più energia che sforzarsi di essere se stessa.

Erano passati dieci anni e a malapena lo aveva capito.

Una volta tornati alla villa, aveva parlato a lungo con Charles e aveva compreso parte delle sue motivazioni. 

Non aveva avuto modo, invece, di parlare con Erik. E non perché non ci avesse provato. L’altro l’aveva ascoltata ma era rimasto in silenzio, come fosse concentrato su altro. Raven avrebbe scommesso qualsiasi cifra sul fatto che pensava a Tessa. Da quando la gemella di Lena se n’era andata, una cosa le era diventata estremamente chiara. 

Charles ed Erik erano attratti da lei come lo erano stati dalla sorella. 

Aveva capito anche un’altra cosa. Charles sentiva la mancanza di quella donna mentre Erik sentiva ancora la mancanza di Lena. 

Raven non sapeva se le desse più fastidio scoprire che Erik era ancora innamorato della persona che aveva preso il suo cuore dieci anni prima o che Charles fosse incline ad innamorarsi di ogni donna in difficoltà che attraversasse la sua strada.

Hank la chiamò dalla finestra sopra alla sua.

“Vieni dentro, Raven, ci sono novità.”

Quando la mutante raggiunse il salone, Erik e Charles guardavano la televisione. Un giornalista descriveva gli eventi del congresso di Parigi sugli accordi di pace definendolo un successo per quanto aveva a che fare con il ritiro delle truppe americane dal Vietnam. A latere, invece, descriveva i disordini seguiti alla firma con tinte fosche e presagi orrendi su una nuova minaccia che incombeva sul Paese.

Raccontava nel dettaglio che un gruppo di sovversivi definiti ‘mutanti’ aveva tentato di far saltare la firma degli accordi e che a sostegno di questa teoria c’era anche il fatto che era stato individuato   Erik Lehnsherr appena evaso dalla prigione di stato di Washington tra coloro che avevano provocato i disordini.

Erik se ne stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto. Non disse una parola. Charles sprofondò nella poltrona dove si era accomodato.

“Non sembrano buone notizie.” Sentenziò Hank. Erik gli rispose col suo solito sarcasmo.

“Ora capisco perché non ti dicono mai un cazzo!”

Il giornalista continuava commentando gli eventi successivi e rassicurando i telespettatori che il governo americano stava già approntando delle soluzioni per la risoluzione della nuova minaccia.

“Invece di fermare Trask, lo abbiamo aiutato!” Esclamò Raven indicando il televisore. “Dovevate lasciarmi fare. Ora sarebbe sottoterra e noi ci saremmo tolti un pensiero.” Charles si alzò e fece un paio di volte avanti e indietro prima di risponderle.

“Sarebbe andata nello stesso modo. Almeno le Sentinelle sono ancora negli Stati Uniti e non in mano ad altre potenze.”

“La consolazione dei giusti.” Commentò Erik.

“Secondo te, cosa dovremmo fare? Ti ascolto.”

“Andare a Washington e chiudere questa faccenda. Dimostriamo loro che non devono osare sfidarci.”

“In qualche modo, dobbiamo fermare Trask.” Gli fece eco Raven.

“Sono passati dieci anni. Non siamo stati una minaccia per loro e loro non sono stati una minaccia per noi. E sapete perché?” Domandò loro Charles. “Perché non esiste un noi e un loro. Siamo tutti esseri umani.” Erik raggiunse la scrivania di Charles e prese un volume pesante in pelle blu. L’apri e lesse.

“Alla comparsa della specie mutata ha fatto sempre seguito l’estinzione della specie precedentemente dominante. Sono parole tue, non mie eppure non vuoi accettarle dopo tutto questo tempo e dopo tutti i morti. Non è vero ciò che dici quando affermi che non sono stati una minaccia per noi. Ci hanno perseguitati e feriti. Se non dimostriamo che può toccare anche a loro, non ci lasceranno mai in pace. Questo è il momento di reagire.” Charles si voltò verso Raven.

“E’ così che la pensi anche tu?”

“Non voglio fare del male a nessuno. Voglio solo impedire a Trask di continuare a fare a pezzi quelli come noi.”

“Le vie di mezzo non sono utili a nessuno. O ti decidi a tornare Raven o diventi Mystica.” Gli disse Erik. Raven sorrise con scherno.

“Ho provato ad essere Raven e ho provato ad essere Mystica. La vita la vivo a modo mio e con le mie regole. Mi sembra che finora ho contribuito alla causa molto più di voi. Ho riportato Alex a casa e se non vi foste messi in mezzo, avrei anche vendicato Angel e Azazel.”

“Anche io penso che dovremmo andare a Washington,” disse Charles, “Trask va fermato ma dobbiamo farlo facendo capire a chi decide che non deve considerarci una minaccia.” Erik allargò le braccia.

“E pensare che dovresti solo entrare nella mente del Presidente e ordinargli di confinare quel figlio di puttana per l’eternità.”

“Sì, magari ordinargli di confinare tutti quelli che non sono d’accordo con le tue teorie per l’eternità.” Sputò fuori Charles.

“Non ti sei fatto scrupoli a controllare me.”

“A controllare te? Tu definisci quello che ho fatto, controllarti?”

“Non conta se sono pochi minuti o una vita. L’hai fatto.”

“Ma fammi il piacere, Erik!” Fu il campanello a interrompere la loro diatriba.

Hank andò ad aprire e si ritrovò davanti la figura minuta di Lucy Abbott. 

“Posso entrare? Devo parlare con il professore.” Hank guardò la porta del salone, indeciso sul da farsi ma Charles lo precedette comparendo sulla soglia della stanza.

“Ciao, cara, come posso aiutarti?” Chiese con voce premurosa. Lucy lo guardò per un momento e poi si rivolse ad Hank.

“Ma sta bene?” 

“Domandalo a me, non a lui.” Fece Charles avanzando verso di lei. Lucy fece istintivamente un passo indietro.

“Voglio parlare con il professore.” Ripeté Lucy. La voce di Charles stavolta era più calda e familiare ma non proveniva dalla figura davanti a lei.

“Raven, lasciala in pace, lei non è un pericolo.” Mystica riprese le sue forme.

“Non si sa mai. Non lavora per Trask?” Lucy si girò nella direzione dalla quale proveniva la voce del professore e vide Charles.

“Non lavoro per Trask. Io sono una dipendente dell’Hellfire Club. Lavoro per il signor Pierce, ma sono qui in veste di amica di Tessa.” Charles le indicò il salotto. Quando passò vicino ad Erik lui le tirò una frecciatina.

“Allora il tuo super potere è davvero riconoscere gli stronzi.”

“Il piacere di rivederti è tutto tuo, sign.Magneto.”

“Dimmi che succede.” Tagliò corto Charles.

“Ho un messaggio di Warhawk. Dice che se siete amici di Tessa, questo è il momento di dimostrarlo.”

“Che significa?” Chiese Erik facendosi subito serio. Lucy scosse il capo.

“Non lo so. Tanner è stato mandato a prendere Tessa al suo appartamento il giorno stesso in cui siete tornati da Parigi. Quando è arrivata aveva un pessimo aspetto. Era pallida e aveva diversi lividi ma Tanner ha giurato di non averla toccata. Pierce si è chiuso con lei per due ore e quando sono usciti ha ordinato che fosse portata al Chiostro.”

“Il Chiostro? Che cos’è?” Chiese Charles sempre più teso.

“Un posto orribile. Quelli che ci vanno, non tornano più.” Lucy strinse una mano nell’altra. “Per correttezza devo dirvi che Tessa non vuole il vostro aiuto. Quando le ho detto che sarei venuta a cercarti, professore, mi ha intimato di non farlo.”

“Ti ringrazio per averle disobbedito, allora.” Disse il professore sorridendole con dolcezza. “Tu sai dirmi dove si trova questo Chiostro?”

“Tanner mi ha dato l’indirizzo. Non posso esserti d’aiuto più di così. Non so com’è fatto,  né Tanner era disposto a dirmi di più. Sappi che Tessa è lì da tre giorni. Potrebbe anche essere morta.”

“Sono certo che non è così, Lucy. Tu piuttosto, sei al sicuro?” Lucy alzò appena le spalle.

“Sinceramente, non lo so. Non è importante ora. Professore, ti servirà aiuto. Pierce ha Tanner e molti mercenari armati. In più, dove va lui, va Payge. Lei è in grado di controllare le persone con la voce.” Charles si voltò verso Erik e il tedesco fece solo un leggero cenno d’assenso col capo.

“Ho tutto ciò che mi occorre. Prima però devo trovare lei. Hank mi servirà Cerebro.” Il ragazzo annuì con gioia all’idea che Charles stesse tornando alle vecchie abitudini e corse di sotto.

A raffreddare gli ardori di tutti, pensò Raven.

“E Trask? Che ne è stato della missione? Non dovevamo cambiare il futuro di Lena?” Charles si sentì colpito personalmente da quelle parole.

“E che ne è stato di salvare quelli come noi?” La rimbeccò Erik.

“La vita di una sola mutante di fronte alla possibilità di salvarne milioni oggi e negli anni a venire. Può darsi però che quest’unica vita per voi sia più importante di tutte le altre.” Charles strinse un pugno.

“Perché lo fai, Raven? Perché mi condanni a questo modo?” Fece un passo verso di lei come se fosse tutto il suo corpo ad avere bisogno di una risposta ma la mano di Erik lo trattenne. Quella presa sicura sulla sua spalla gli ridiede vigore.

“Non adesso.” Disse soltanto. Fu Lucy, però, a rincuorare Charles.

“Andrò io con lei. La porterò fino alle sentinelle.”

“E io andrò con loro.” Hank era tornato dai sotterranei. 

“Per controllarmi?” Chiese Raven.

“Per sostenerti. E dimostrarti che sono fiero di ciò che siamo, Raven.” La risposta dell’uomo colse di sorpresa la donna che non rispose. 

 

Tessa sapeva che erano passati tre giorni da quando era stata confinata in quella stanza buia.

Non l’avevano toccata e le avevano portato pane ed acqua. Non era quel tipo di violenza che Pierce voleva infliggerle. Ogni cosa, in quella stanza, era stata posizionata per ricordarle la prigionia in cui il padre l’aveva costretta da quando era una ragazzina.

Persino il il buco rotondo sulla porta chiuso da un pezzo di vetro sporco.

Tessa però non era più la bambina spaventata che aveva abbandonato ogni speranza e ceduto i suoi poteri al padre e quella stanza non era la cella della macchina che Sebastian Shaw aveva costruito per lei.

Si alzò e camminò avanti ed indietro per sgranchirsi le gambe. Il dolore all’addome non era scemato. Si era fatto più intenso e il livido che faceva bella mostra di sé sotto la maglia indicava chiaramente che qualcosa non andava sotto pelle.

Nonostante fosse ferita, la sua mente era tornata lucida. Era riuscita a prevedere l’esito delle azioni poste in essere a Parigi e non le era piaciuto affatto. Il governo degli Stati Uniti si sarebbe sentito minacciato da quelle schermaglie provocate apparentemente dai mutanti e avrebbe accettato di finanziare Trask.

Aveva cercato di capire anche se aveva più possibilità di uscire da quella cella o di morirci e anche stavolta l’esito dei suoi calcoli non le piacque.

Per un attimo le mancò il fiato ed ebbe paura. Chiuse gli occhi e cercò di respirare normalmente. Le tornò in mente l’immagine mastodontica della Torre Eiffel e, per associazione, il momento in cui Erik l’aveva sollevata nel cielo di Parigi e l’aveva stretta.

Si sentì arrossire ma la sua mente fu trascinata improvvisamente verso qualcosa di altrettanto avvolgente e familiare.

“Tessa.” 

La voce di Charles. Era un ricordo intenso. Lo trattenne. Chiuse gli occhi di nuovo. 

“Mi manchi, professore.”

“Non sei sola.”

Tessa spalancò gli occhi. L’oscurità era ancora tutta intorno a lei ma qualcosa era cambiato. Era come se la voce di Charles non fosse nella sua testa ma nella stanza. 

“Non venire qui, Charles. Questa è una tomba per le lucciole. Resta nella luce.”

Il rumore metallico del chiavistello della porta che si muoveva la riportò alla realtà. Si alzò e si concentrò. Forse non sarebbe mai uscita da lì ma un nuovo potere scorreva nelle sue vene e lei lo avrebbe utilizzato per portare a terminare la sua missione. A qualunque costo.

 

Raggiunsero la fine del corridoio sotterraneo. Hank, che li precedeva, si spostò di lato e lasciò che la luce azzurra dell’occhio di Cerebro scannerizzasse la figura di Charles.

“Qualcuno qui è maniaco della sicurezza.” Disse Erik. Hank si sentì chiamato in causa.

“Era un progetto della CIA. Ed è troppo pericoloso perché qualcuno che non sia Charles lo usi.”

Il raggio blu a forma di X passò lungo il corpo di Charles e, quando raggiunse i suoi occhi, sbloccò la serratura.

“Benvenuto, professore.” La voce di donna che li accolse turbò Erik.

“Hai messo la voce di Lena in questa macchina?”

“Lo so, non è stata una buona idea. Da ubriachi sembrava meno inquietante.” 

Entrarono e Charles raggiunse il punto più interno della macchina. Sollevò il casco e lo indossò.

Nonostante fossero passati più di dieci anni, vedere Charles con quel casco puntellato di luci blu in testa lo inquietava ancora.

“Sei sempre sicuro che usare quell’affare non sia nocivo?” Chiese fingendo di non essere preoccupato.

“Non lo è. Hank accendilo.”

La luce si spense e la sfera si riempì prima di piccole luci blu e poi di tanti punti rossi.

“Cosa sono?” Chiese Erik.

“Cerebro distingue gli umani dai mutanti.” Gli rispose Hank. 

Charles si appoggiò al corrimano di metallo e si sforzò di resistere al dolore che ancora provava nell’avvertire tutte quelle voci nella testa contemporaneamente.

“Charles, qui non riesco a proiettare il mio scudo.” Ammise Erik.

“Cerebro è un ambiente isolato. Inoltre la mente di Charles avvolge tutto e si proietta all’esterno. Qui lo spazio si distorce.”

“Si proietta dove?” Chiese Erik.

“Ovunque.” Erik si rivolse a Charles.

“Se è troppo, troveremo un altro modo.”

“Le lucciole.” Rispose Charles.

“Cosa? Che significa?” Chiese perplesso Erik rivolgendosi ad Hank.

“Non ne ho idea.”

“Le vedo. Lei è tra le lucciole.” Charles allungò una mano e tutti i puntini rossi e blu sparirono. Ne rimase solo uno e rappresentava la mente di Tessa. Brillava ad intermittenza. Come le lucciole. Il viso di Charles divenne una maschera di dolore. “E’ ferita. Ha paura di morire. Tessa.” La chiamò piano. “Non sei sola.”

“Charles, dove si trova. Concentrati sul luogo.” La voce di Erik lo riportò alla realtà.

“E’ un vecchio edificio adiacente ad un cimitero. Si entra dalla vecchia chiesa in disuso. E’ nei sotterranei. Due, no, tre piani sottoterra. C’è un uomo con lei. No!” Gridò sfilandosi il casco di corsa.

“Che succede?” 

“L’ha colpita.”

“Chi?” 

“Non lo so.”

“Pierce?” Chiese Erik.

“Ti ho detto che non lo so!” Urlò Charles. La stanza in cui si trova Tessa è isolata. Appena hanno chiuso la porta, è sparita.

“Come la camera in cui si nascondeva Shaw.”

“Esatto.”

“Allora dobbiamo andare subito.” Tagliò corto Erik. 

“Hank, tu va’ con Raven e fa in modo che ci aspetti. Noi vi raggiungeremo a Washington dopo aver liberato Tessa.”

“Charles,” lo richiamò mentre il professore seguiva Erik, “ti fidi ad andare con lui in un posto simile?” Chiese a bassa voce perché Magneto non sentisse quella conversazione.

“Ho altra scelta?”

“Posso venire io con te.” Charles scosse il capo.

“No, andrà tutto bene. Con lui posso salvare Tessa. Glielo devo. E’ merito suo se ho di nuovo il controllo della mia mente. In più, per Erik è l’occasione per pareggiare i conti. Non la sprecherà.”

La voce dell’altro li interruppe.

“Non vieni?” Charles diede una pacca sulla spalla ad Hank e raggiunse Erik di corsa. L’uomo lo guardò mentre entravano in ascensore. “Non si fida di me, vero?”

“Ha torto?”

“Sì. Muoviamoci.”

Charles gli sorrise mentre le porte dell’ascensore si chiudevano.

 

Indulgere nella speranza le era costato. 

Se mai la voce di Charles l’aveva raggiunta in quella stanza, Pierce l’aveva spazzata via.

Non si era illusa che lui l’avrebbe semplicemente confinata, abbandonando ogni pretesa su ciò che lei gli aveva promesso.

Non si aspettava però neppure che l’avrebbe torturata con le sue mani. Per due giorni l’aveva picchiata, tenendola appesa per i polsi ad una trave. 

L’aveva soffocata, annegata, schiaffeggiata, ma mai fino ad ucciderla. 

La sua rivincita stava esattamente in quel suo modo di portarla fino ad un passo dalla liberazione e poi annientarla con la consapevolezza che sarebbe sopravvissuta ad un altro giorno di torture.

La stanza puzzava di sangue. Quell’odore le era entrato fino nei polmoni e non se ne andava più. Non che avesse importanza. Ormai non distingueva più l’ora del giorno, né i confini delle cose che erano nella stanza. 

Le era rimasto solo il suo potere. Per giorni si era rifiutato di usarlo anche quando il dolore era diventato insopportabile.

Lo aveva fatto con un unico scopo. Avere l’occasione di uccidere Pierce. 

Indulgere nella speranza era un errore. Non confidava sul fatto che la morte della persona più potente dell’Hellfire avrebbe sgominato il club. Tuttavia la morte di suo padre aveva regalato all’umanità quasi dieci anni di pace. 

Il rumore del catenaccio la fece trasalire. La porta si aprì. Pierce entrò nella stanza con il suo solito cipiglio sicuro. Si tolse la giacca dell’abito buono e la passò a Payge. 

Anche se non riusciva a vederla, poteva sentirla.

“Come sta la signorina Shaw, stamattina?” Non che si aspettasse una risposta. “Da dove cominciamo? Dalla solita domanda? Mi consegnerai Magneto?” Tessa rise e sputò sangue. Pensò che ormai le sue ferite fossero talmente gravi che, seppure Pierce avesse smesso di torturarla, sarebbe affogata nel suo stesso sangue. “Immagino sia il solito rifiuto. Lo sai cosa farò quando avrò finito con te? Andrò dal tuo bel professore e gli taglierò la gola.” Disse prendendo un coltello da un piano metallico accanto alla porta. Tessa non reagì. Poteva essere quella l’occasione ma non fino a che il coltello stava nella mano di Donald. Si sforzò di agire, di reagire ancora una volta.

“Sai Pierce, tu hai un problema.” L’uomo la guardò divertito.

“Davvero? E quale?”

“Tu parli, minacci, ma quel coltello, beh, lo stai agitando da giorni. Per come la vedo io, non sei capace di usarlo.” Pierce cambiò espressione.

“Tessa, vuoi che ti uccida? Perché non so se ho già finito con te.”

“Potresti uccidermi di noia, forse.” Un malrovescio la fece ondeggiare. Lei sorrise di sfida. “No, non lo sai usare usare il coltello.” 

La lama le tagliò la pelle dell’addome in modo superficiale ma deciso. Fu mentre il dolore aumentava che si concentrò sull’arma e riuscì a sfilarla dalle mani di Pierce. Ricordò la sensazione di liberazione che aveva provato quando Charles aveva usato il suo potere per controllarla. Lasciò che la sua mente uscisse dal suo corpo. Proiettò il suo scudo gravitazionale oltre i limiti a cui si era abituata e immobilizzò Pierce.

Era ferita, sanguinante, debole ma la sua mente era lucida, addestrata, pronta. Il coltello saettò è si conficcò nel corpo di Pierce. Nella schiena esattamente. Purtroppo non alla base del collo come aveva sperato.

L’uomo urlò e si accasciò per un momento. Sembrava confuso, come non riuscisse a credere che Tessa potesse, nelle sue condizioni, costituire un pericolo. 

Invece la donna si concentrò e tutto quello che poteva muoversi nella stanza si sollevò e finì addosso a Pierce. La porta si aprì e Tanner entrò con l’espressione di uno a cui hanno forzato la mano su una cosa che gli sta a cuore. Di fatto era così.

Mitchell aiutò Pierce ad alzarsi e si rivolse a Tessa.

“Mi dispiace, bambina.” La colpì al volto con violenza al punto che lo zigomo destro si aprì, sanguinando.

“Uccidila.” Pierce lo disse quasi sibilando di rabbia. “Uccidila.”

Indulgere nella speranza le era costato. 

“Mi dispiace, davvero.” Ripeté Tanner.

“Non importa,” rispose lei, “ho fatto quello che dovevo.” Chiuse gli occhi. Non per paura. Solo perché aveva finito.

Tanner le portò una mano alla gola e strinse. Digrignando i denti perché era la voce di Payge nell’auricolare ad ordinargli di obbedire a Pierce. Lottando, per una volta, contro quegli ordini così intensamente che quando udì che doveva lasciare la presa, pensò di essere riuscito, per una volta nella vita, a fare andare le cose nel modo giusto.

Tessa ricadde, penzoloni alla trave, ormai priva di sensi. Pierce, un po’ per il dolore, un po’ per rabbia, gridò.

“Ammazzala!” Il rumore della porta che saltava dai cardini, li fece voltare entrambi. 

“So che mi cercavi, signor Pierce.” Il capo dell’Hellfire si girò a guardare colui che aveva osato fare irruzione nella cella. Era una figura composta e slanciata. Teneva un piede appena davanti all’altro e una mano aperta e tesa rivolta verso di lui. Pierce non capì subito chi aveva di fronte. Fu quando il  tubo di ferro, che correva lungo la trave da cui penzolava Tessa, saltò che comprese che quello era Erik Lehnsherr.

Fece un passo indietro e ordinò a Tanner di attaccare. Erik rise mentre Pierce guardava il marine che restava immobile accanto a lui.

“Vedrò di essere chiaro. Credevi di essere al sicuro in questa prigione di cemento armato? O forse pensavi che i tuoi soldi o il potere del club fossero sufficienti a difenderti da noi?”

“Noi?” Chiese Pierce sempre più smarrito.

“Noi.” Ripeté Erik ma Donald sentì la voce di un’altra persona nella sua testa. E non fu come quando Payge gli sussurrava all’orecchio. La voce era nella sua testa e sembrava come se gli fosse penetrata in ogni fibra del cervello.

“Noi. Non la toccherai mai più o ti distruggeremo. Lui col ferro e io col fuoco.” 

Pierce si portò entrambe le mani alla testa e cadde in ginocchio. Gli doleva e bruciava come mai in vita sua. Improvvisamente quel dolore cessò. Lui ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo che una sfera di metallo lo colpì alla testa e lo fece ricadere all’indietro. Si lamentò.

“Sei fortunato che sia lui a dirigere il gioco. Io non ti avrei risparmiato.” Erik si chinò a prendere tra le braccia Tessa. La voce di Charles, che lo accompagnava da quando erano arrivati al Chiostro, lo raggiunse.

“E’ viva?”

“Sì. Guidami. Voglio andarmene da questo posto.”

“Esci e vai a destra. Ho preso il controllo della mente di Payge e le ho ordinato di cantare una ninna nanna a tutti i suoi uomini. Warhawk compreso. Troverai una scala. Salì di un piano. Io sarò lì ad aspettarti.”

Erik guardò la donna che aveva tra le braccia. Aveva detto a Charles che era viva ma non era certo che lo sarebbe stata a lungo. Si mosse come da istruzioni, facendo comunque attenzione che i soldati immobili e abbandonati lungo il corridoio non si muovessero. 

Quando arrivò alla scala, il corpo tra le sue braccia si mosse. Guardò il viso di Tessa e si accorse che i suoi occhi erano socchiusi.

“Erik,” balbettò, “sei tu?” Non rispose e lei perse i sensi troppo rapidamente perché lui trovasse il coraggio di dire qualcosa.

Alla cima della rampa di scale, Charles li aspettava con le chiavi di un’auto. Diede un’occhiata a Tessa e dovette girare la testa per non mostrare all’amico quale effetto avesse avuto su di lui vedere la donna nelle condizioni in cui era. Arrivarono all’auto e il professore non riuscì ad infilare la chiave nella serratura tanto gli tremavano le mani.

“Guido io.” Disse Erik usando il suo potere in modo che la chiave si infilasse e girasse per aprire la macchina. Charles gliene fu grato. Si accomodò sui sedili posteriori e sistemò la testa di Tessa sulle sue gambe. Erik accese il motore e lasciarono il Chiostro. Nell’oscurità della sera, sulle tombe del cimitero, le lucciole danzavano a coppie.

  
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