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Autore: Gaia Bessie    19/09/2020    7 recensioni
Esisterà da qualche parte un posto in cui le cose in frantumi potranno ricomporsi?
Draco ha deciso di tornare ad Hogwarts: non ha più una casa, perché essa è marchiata e macchiata dal ricordo dei Mangiamorte, e non ha nemmeno più amici – potrebbe? – che possano ospitarlo, il suo cognome è rimasto solamente l’ennesimo marchio da disprezzare in un mondo che s’è dovuto ricostruire sulle proprie macerie. Nel giardino curato dalla madre, Draco Malfoy tace e guarda il cielo, perché persino il suono della propria voce risulta essere disordinato e cacofonico nella polvere nella sua mente e, anche avesse qualcosa da dirsi, parlare non servirebbe.
Sesta classificata al contest "Tre incantesimi" indetto da Juriaka sul forum di EFP
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 nella categoria "Miglior colonna sonora" indetti sul forum Ferisce più la penna
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La voce è solamente l’ennesima incrinatura della notte, che lentamente si schianta sull’alba in un miliardo di frammenti.
 
 
Tra le cose che lasciano il segno (ci sei)
 
 
Tra le cose che lasciano il segno ci sei, ci sei
(…)
Tu che non è tutto un casino
Tu che non è tutto già scritto
Sei tu che dici che l'amore è l'unica occasione
Vienimi a prendere
 
 
La Tana è vita pura, un tale concentrato di brusii e di persone in grado di stordire chi non v’è abituato. Sembra quasi che tutti gli amici dei Weasley facciano a gara per colmare uno spazio vuoto che ha un nome e cognome – e che sa di rocce sgretolate, forse un’esplosione che suona quasi come un’indistruttibile risata – ed è quello di Fred. Il gemello perduto, ma non dimenticato, che come uno spettro infesta ogni sorriso dei suoi amici, dei suoi parenti.
Andromeda Tonks conosce quel dolore, seppur esso rimanga una strinatura incomprensibile di ciò che la vita ha pianificato, e sa come rispettarlo: i vagiti del piccolo Teddy riescono a far sorridere Molly, qualche volta, e tutti gli altri Weasley sono innamorati pazzi del neonato Lupin. Persino sua sorella Narcissa – che, sebbene la signora Tonks abbia smesso di pronunciare il proprio antico cognome, è ancora la sua sorellina – sembra essersi innamorata  di quel fagottino minuscolo, con i capelli blu, o gialli, a volte anche rosa. Come sua madre.
Narcissa Malfoy ha dovuto limare il proprio amor proprio, ed unirsi ai festeggiamenti di chi è rimasto in vita – c’è una fascinazione, per la vita, in chi vita ha preservato – mettendo via la propria alterigia, e riscoprendo una nuova affinità con Molly Weasley. Suo marito è perduto e dimenticato, come fosse morto anch’egli, tra i corridoi di Malfoy Manor, dove silenziosamente paga il prezzo della propria disfatta.
Draco ha deciso di tornare ad Hogwarts: non ha più una casa, perché essa è marchiata e macchiata dal ricordo dei Mangiamorte, e non ha nemmeno più amici – potrebbe? – che possano ospitarlo, il suo cognome è rimasto solamente l’ennesimo marchio da disprezzare in un mondo che s’è dovuto ricostruire sulle proprie macerie. Nel giardino curato dalla madre, Draco Malfoy tace e guarda il cielo, perché persino il suono della propria voce risulta essere disordinato e cacofonico nella polvere nella sua mente e, anche avesse qualcosa da dirsi, parlare non servirebbe.
Seduto vicino a un cespuglio di rose violacee, Draco ha qualcosa di tremendamente simile a Dora – la stessa esasperazione che l’aveva sfigurata, di fronte al rifiuto di Remus – e Andromeda non riesce a non provare pena per il suo unico nipote, che lentamente sfiorisce sotto il sole di agosto.
«Cosa ci fa lui qui?».
«Lui è il nipote di Andromeda, Ron» lo rimbecca sua madre, secca. «Non scordarti l’educazione».
Malfoy non parla, ha la gola disabituata al fluire delle parole, né vi è vita nel suo sguardo, si limita a restituire uno sguardo vago a Ron Weasley, il quale non maschera la sorpresa.
«Ho pensato che fosse una buona idea» si scusa la signora Tonks, chinando il capo. «Che poteste fare amicizia».
Nessuno ha il coraggio di domandarle come si sia originato, nella sua testa strinata di grigio, quel pensiero così insensato, perché Draco Malfoy fissa il vuoto e sembra sul punto di sciogliersi in un fiume di lacrime.
«A me sembra una buona idea» osserva Hermione Granger, con una sicurezza che non prova. «La Guerra è finita anche per lui».
«E poi» aggiunge Andromeda, timidamente. «Tu e Draco tornerete a scuola insieme. Potreste farvi compagnia».
Nessuno riesce a frantumare la speranza con cui pronuncia quella frase, gettando un’occhiata sommessa verso suo nipote, rimasto in piedi sulla soglia, il capo chino.
Ma Draco Malfoy non dice nemmeno una parola, né da segno di aver colto il discorso che agita la Tana.
Una lacrima gli ha scolorato l’iride.
 
***
 
Ron le ha chiesto ripetutamente se non fosse impazzita, a dichiarare che fare amicizia con Draco Malfoy fosse una buona idea, se l’estate non l’abbia fatta uscire di senno, facendole percepire come chiaro ed evidente ciò che, invece, non lo è. Ma Hermione non cede di un millimetro: qualcosa in lei s’è incrinato, nel vedere Malfoy piangere come un bambino, guardando il pavimento. L’ha segnata, quella lacrima che s’è infranta per terra, senza una parola, senza un lamento.
E non ha ceduto così, che, sull’Espresso per Hogwarts impiega minuti a cercarlo, suscitando sguardi di curiosità quando menziona il suo nome – Draco non ha mai nominato il nome dell’Oscuro Signore e, adesso, ne paga pegno offrendo il suo nome all’oblio e alla dimenticanza – e trovandolo da solo, nell’ultimo scompartimento.
Ha gli occhi leggermente gonfi e il volto arrossato ma, quando la vede, non sembra vergognarsene. Non sembra nemmeno vederla per davvero e, nel sentirla sedersi di fronte a lui, sobbalza, scosso dai propri pensieri.
«Granger» mormora. «Cosa diamine stai facendo?».
Fa fatica a parlare, come se qualcuno gli stesse schiacciando lo sterno, rischiando di perforargli i polmoni. O, più semplicemente, è perché ogni parola è dura e affilata, e gli dilania la bocca come un frammento di vetro da masticare.
«Mi siedo qui» risponde lei, pacificamente. «D’altronde, lo scompartimento è vuoto».
Hermione attende un insulto, magari una battuta tagliente, ma Malfoy scrolla le spalle e chiude gli occhi, appoggiando la fronte contro il finestrino.
«E non ti chiedi il perché?» borbotta, senza aprire gli occhi. «Se nessuno si è spinto fin qui, cosa ti fa pensare di poterlo fare tu?».
«Malfoy» inizia lei, rendendosi conto solamente dopo aver pronunciato il suo nome, di non avere più niente da dirgli. «Io… ho detto a tua zia che lo avrei fatto».
Lui ride, in un suono terribilmente raschiato che pare in grado di lacerargli la trachea. «Certo» ammette, piano. «Ma basta per davvero?».
Hermione non riesce a dirgli che a lei basta per davvero, l’idea di fare una buona azione, per passare oltre a un’annosa antipatia, che Malfoy ride di nuovo.
«Io non ti servo, Granger» tossisce. «Non hai cosa fartene, di me».
Esisterà da qualche parte un posto in cui le cose in frantumi potranno ricomporsi?
 
***
 
Hermione lo osserva. Prima involontariamente, poi inizia a non sapere più come si fa a smettere, perché Malfoy non mangia e rimane, due pasti su tre, ad osservare il piatto come se, sul suo fondo, sia scritta la risposta che sta cercando.
A cena cede, più per esasperazione che per fame, e pilucca indistintamente qualunque cosa sia abbastanza vicino al proprio piatto, con espressione insoddisfatta. Li sente per davvero, i sapori, Malfoy, o mangia per sopravvivenza?
E perché dovrebbe voler sopravvivere, poi, se la vita gli pesa come gli fosse stata imposta dall’alto, come se non mangiando e non dormendo e piangendo potesse così pagare il debito accumulato per codardia, più che per malvagità, durante la Guerra. Lui smangiucchia una fetta di pane come se quel gesto fosse in grado di ucciderlo ma, attorno a lui, nessuno ha dimenticato.
I suoi amici, in pochi sono rimasti ad Hogwarts, anche loro così stanchi e sfiduciati che, un modo per rincuorare Draco, non sono in grado di trovarlo. E, probabilmente, nemmeno vogliono.
È semplice e spontaneo, lasciare Malfoy a vagare come un’anima in pena da un punto all’altro del castello, ad ascoltare il rumore dei propri pensieri che impattano tra di loro, nella scatola cranica – chi potrebbe volersi assumere l’onere di salvarlo, da sé stesso?
«Dovresti mangiare di più, Malfoy».
Hermione si trattiene dal fargli notare che s’è assottigliato come una sbavatura di matita, ha la pelle così tesa sul viso che, guardandolo, un teschio restituisce l’occhiata, infastidito. Perché Malfoy sbuffa, e quel suono pare prosciugarlo degli ultimi brandelli di energia, e chiude il libro che stava sfogliando annoiato.
«Pensavo che in Biblioteca non fosse permesso parlare» esala. «E che tu fossi una che rispetta le regole, al contrario dei tuoi amici».
«Il più delle volte» risponde lei, laconicamente. «Le altre, ho qualche motivo di ordine superiore, rispetto al mio voler rispettare le regole».
«Stai invertendo gli ordini, allora» risponde Malfoy, scuotendo il capo. «Non penso che fare un favore a mia zia basti per giustificare la tua presenza qui».
Hermione lo guarda e, in un battito di ciglia, sceglie di usare la via della sincerità. «Aiuto chi ha bisogno di me» dice, dolcemente. «E tu hai bisogno, se non di me, di qualcuno».
Lui non riesce a negare l’evidenza – d’altronde, è stanco, sfiduciato, ma non completamente pazzo – e china il capo, stringendo le mani sul bordo del tavolo.
Non dice una parola, lasciando Hermione a barcollare in quel silenzio, cercandovi risposte introvabili. Si domanda cosa vi sia, in quell’assenza di parole, se solitudine, insoddisfazione, o forse persino paura, cosa spinga Draco Malfoy a non voler guardare nemmeno il proprio riflesso.
«La Guerra è finita, Malfoy» mormora. «Abbiamo sepolto i morti e dimenticato chi è fuggito. Nessuno… ti tratterà come…».
Come tu hai trattato me, vorrebbe dirgli, ma si morde la lingua per non sputare quelle parole piene di rancore.
«Non fingere di essere migliore di quanto tu in realtà non sia, Granger» risponde lui, acido. «Non… non mi convincerai a diventare il tuo nuovo amichetto del cuore».
«Non penso che il mio cuore potrebbe reggerti, in quelle vesti» commenta Hermione, con il medesimo tono. «Ma… che male c’è, a volerti tirare fuori da tutto questo?».
Da quel calore che gli scioglie le ossa, deformandole e rendendole una gabbia dove lui, che è cresciuto nel gelo, viene torturato da un tepore diffuso che lo punge, e che sa di senso di colpa. Fa caldo, nell’inferno personale dove Malfoy è precipitato, un caldo non ustionante, ma dolce e mieloso, opposto al suo mondo fatto di ghiaccio e cristalli di sale.
Lui vuole essere tirato fuori da lì, lo vuole come si desiderano le cose maggiormente proibite e, allo stesso tempo, lo teme come un cambiamento di sorte, l’ennesimo, che capovolgerà d’accapo la sua vita.
«In che modo?» domanda, ironicamente. «Non basta una bacchetta magica, per sistemare tutto questo».
Per cristallizzare il miele e rendere salato il dolce, per scacciar via quel tepore snervante e far tornare l’inverno. Hermione non ha risposte per quell’osservazione, ma Malfoy è sul punto di mettersi a piangere e lei – che è tutta cuore, poi cervello e nient’altro – non ha il cuore di dirgli che, il suo, è un tentativo folle e disperato. Che non puoi salvare tutti, come lei ha detto ad Harry in più occasioni, e alcune persone devono semplicemente scivolare via.
Ma non lui.
Qualcosa, dentro di lei, nel suo cervello, e infine anche nel suo cuore, le urla a gran voce che non può permettere che Draco Malfoy scivoli via. Perché è brutto e poco onorevole, ma aiutare Malfoy è la peggior vendetta che potrebbe impartirgli e lei lo percepisce chiaramente.
Non lui, non scivolerà via come acqua sporca o lacrime; così, Hermione gli sfiora il braccio con la mano, facendogli scuotere il capo, disorientato.
«Un modo c’è» mormora, dolcemente. «Ogni cosa ha il suo modo e questa volta, è…».
«Non dirmelo» commenta Malfoy, storcendo la bocca. «Immagino sia l’amore, come tutto quello che riguarda te, Potter e Weasley».
«Puoi dire quello che ti pare, Malfoy» commenta lei, scuotendo il capo. «Ma l’amore è l’unica occasione che ti resta».
 
***
 
Tra le cose che lasciano il segno
Ci sei sempre stata tu, sì
Sempre stata tu
(…)
Vienimi a prendere al più presto perché qui diluvia
Ti stringo forte tra le labbra non aver paura
Lascia che la pelle resti nuda
 
 
Si abitua alla sua presenza, come un animale selvatico impara a condividere la tana con i propri simili, lentamente, e senza concederle mai una briciola della propria fiducia. Come il cuculo che ha insidiato il nido, forse teme di esservi gettato giù, ancor prima che gli sia possibile volar via?
Ma, Hermione, è tenace e ostinata come i suoi simili, ed è infestante come l’uccello-parassita, così che Draco risulta costretto a convivere con quella tenacia e quella ostinazione, senza poterci far nulla. È sempre lei, a iniziare conversazioni, che a lui paiono senza senso e senza scopo. Ma come non notare che, alla Granger, spesso e volentieri brillano gli occhi – quando parla di libri, lezioni, dei suoi amici, della famiglia – e allora lui si ritrova ad ascoltarla, rapito.
«Come fai a essere così sicura di te?» le domanda un giorno, nel vederla fulminare dei ragazzini del Terzo anno, che li indicano con fare divertito. «Di essere sempre nel giusto, intendo».
«Tutte le persone, in qualche modo, lasciano un segno del proprio passaggio» commenta Hermione, scrollando le spalle. «Anche tu».
Lui pensa che non c’è un modo, né un mondo, in cui il mondo possa ricordarsi di lui – che è un codardo e un traditore, perché la Guerra quest’unico nobile titolo gli ha concesso – se non per essere stato un caso perso della Granger, forse un suo hobby, uno sfogatoio per la sua cupa ostinazione.
Così, Draco la guarda e un po’ vuole sfidarla, quella ostinazione, e un po’ vorrebbe semplicemente cancellarla con un colpetto di bacchetta. Così, compie quel gesto che è insondabile, sì, ma anche terrificante.
Una manica che scoperchia una vita passata – la sua – che avrebbe dovuto scancellare, lavar via con le lacrime di sua madre e di sua zia. Ma che, nonostante tutti i suoi sforzi, è ancora lì.
Perché il Marchio riluce sulla sua pelle candida, ed è nero come il buco in cui s’è nascosto, nella sua mente, dopo la Guerra. Emerge chiaramente in una mappa di graffi rossastri, che sono solamente l’ennesima manifestazione di ogni suo incubo, reale o onirico.
Ma Hermione sorride. E non vi è compassione, in lei, né luminosa solidarietà: ha gli occhi illuminati di comprensione, come ogni volta che le riesce un nuovo incantesimo, o quando ricorda perfettamente una delle sequenze di numeri per Aritmanzia.
«Ha lasciato il segno su di te» commenta, sfiorandogli il braccio con dolorosa delicatezza. «Ma è solamente l’ennesima cicatrice».
Lui la guarda, scettico, e i capelli gli proiettano un’ombra – l’ennesima cicatrice – lungo il viso, ancora magro, ancora spezzato.
«Vorrei non doverlo più guardare» risponde, infine, in un momento di insolita sincerità. «Non… mi sembra quasi di sentirlo urlare, di notte».
Perché il Signore Oscuro non concede requie o dimenticanza, nemmeno al minore dei suoi sottoposti. Forse poteva essere perdono, ricompensa, ma dimenticare, come si potrebbe dimenticare? È doloroso, quel ricordo, dolceamaro come una Cruciatus che ti spacca le vene, inondandoti del tuo stesso sangue.
Ma, questo, Malfoy non potrebbe mai dirlo. Nemmeno – soprattutto – a lei.
«Non sono pazzo» aggiunge, sottovoce. «Ma ci sono giorni in cui riprende a bruciare».
Hermione lo guarda – ed è seria, ma non offesa o indignata, lo ascolta come se quella confessione le interessasse per davvero – e si trattiene dal carezzargli il capo chino. Le trema, la mano, prima di tornare indietro e sfiorare la manica della propria divisa.
«Guarda» gli dice, semplicemente.
Sotto la camicia, anche la Granger nasconde un segno e, guardandolo, Draco si rende conto di conoscerlo, come conosce il proprio viso. O il suo Marchio.
La guarda in viso – e non è spaventata, né sull’orlo delle lacrime – mentre osserva silenziosamente quella cicatrice che le squarcia la pelle del braccio.
Malfoy inghiotte un bolo di paura, rimorso e lacrime, mentre la osserva percorrere con le dita quell’incisione, che è stata fatta con una lama Black, come lui è stato fatto con il sangue della medesima famiglia, ed è affilato nella medesima maniera. Potrebbe tagliarla anche lui, con la forza di un singolo respiro?
Ma lei posa la mano sulla sua, con una decisione che lo spiazza, e scuote il capo, suggerendogli sottovoce la risposta ai suoi pensieri.
«È solamente l’ennesima cicatrice».
 
***
 
Hermione non domanda mai perché spesso Draco si perda nei propri pensieri, ritrovandosi a fissare il vuoto per tempi infiniti. In un certo senso, potrebbe dire di saperlo già, a cosa pensa Malfoy, al sicuro nella propria mente.
Pensa ai suoi amici: qualcuno è morto, qualcuno è sparito, altri l’hanno semplicemente dimenticato o non possono più riconoscerlo. Persino Pansy, che sognava di sposarlo da quando avevano undici anni, ha smesso di scrivergli e ha preferito dedicargli il proprio silenzio che, unito a quello degli altri, ha preso a divorarlo pian piano.
Pensa alle voci che popolano i muri, accompagnandolo da una lezione alla seguente, finché non s’addormenta e, allora, qualche volta capita che s’infiltrino persino tra i suoi incubi. Lo cullano, lo riscaldano, donandogli un tepore opprimente e asfissiante, e costringendolo a dimenarsi dai suoi soldi, stanco e accaldato.
Nessuno dice niente di nuovo: codardo e traditore lo è per davvero, questo sì, ma nessuno si rende conto che sta provando a salvarsi da solo. Che sta cercando di arrampicarsi lungo l’impervia scogliera della propria mente, dove ogni roccia si sgretola o è troppo scivolosa per continuare la scalata, e lui rischia continuamente di crollare come corpo morto nel mare gelido. Che prova ad aggrapparsi a ogni pensiero o parola che possa suggerirgli come ricostruirsi da solo.
La Granger ha detto, con la serietà che la contraddistingue, che solamente l’amore potrà ricostruirlo, perché è l’unica corda di sicurezza in una scalata impervia. Ma Draco, che è fermo a un’altezza inumana, sente quasi il sale sulla pelle e l’acqua pronta a inghiottirlo.
E pensa a chi dice che lei è impazzita e lo ama, perché solamente l’amore potrebbe spiegare quell’interessamento insensato che prova per Malfoy, e allora deve amarlo per forza, fino a consumarsi come una candela in un banco di nebbia.
La Granger forse negherebbe questi pensieri, se fosse in grado di coglierli, ma lui è punto e tormentato da essi al punto che, il più delle volte, si ritrova a crogiolarsi in quel dolore o fastidio, chiedendosi quanta verità ci possa essere, in essi.
E pensa che non può desiderarlo, l’amore della Granger, non può desiderarlo, né potrebbe appigliarvisi, ché sarebbe ingiusto e insensato – che amore è, se lui non riesce a ricambiare? – e non desidera ferirla. Non più di quanto lei già non lo sia.
Eppure.
«Granger?».
Lei lo guarda e ha gli occhi grandi come scodelle, pronte a riempirsi delle sue parole.
«Dimmi» risponde, inclinando leggermente il capo. «Non hai capito qualcosa?».
Indica i compiti di Pozioni come se, da quelli, dipendesse il loro futuro – Draco scuote il capo, e ha l’espressione del colpevole dipinta addosso – e non fosse solamente l’ennesimo inutile tema, senza senso, che si trova a scrivere senza impegno.
«Hai detto che l’amore era l’unica occasione che avevo» comincia, incerto. «Intendevi…».
Hermione tace, insondabile, tenendo il dito lungo la riga del libro che ha appena terminato di leggere.
A lui mancano le parole.
 
***
 
Novembre si ciba del sole, sbocconcellandolo di nubi gonfie di pioggia, e oscurandolo in una penombra senza inizio o fine. Draco ha preso a trascorrere i pomeriggi a nascondersi dalla Granger, sotto un albero dietro il campo di Quidditch – ma lei è sempre sul punto di trovarlo, costringendolo a correr via per prolungare quell’insolita partita a nascondino.
Hermione non s’arrende, farlo sarebbe tremendamente contrario alla sua essenza, dunque passa ogni secondo libero a vagare fuori dal castello, alla ricerca di un fuggitivo dai capelli biondissimi.
Quando lo trova, è finalmente quasi dicembre, e nevica così fitto che s’intravede ogni respiro: lui respira forte e chiaro sulle proprie mani, prive di guanti e ferite dal gelo.
«Malfoy» lo apostrofa, sprofondando nella neve a ogni passo. «Si può sapere che problema ti affligge? Sono settimane, non giorni, settimane, che mi costringi a cercarti in giro per tutta la scuola».
Lui la guarda, con gli occhi liquidi: non ha pianto, ma pare come se la neve ne abbia diluito lo sguardo, sciogliendosi in lacrime prive di sale.
«Passerai il Natale con Weasley?» le domanda, fingendo un disinteresse che non prova. «E Potter».
Aggiunge, poi, cercando di dissimulare l’urgenza con cui desidera quella risposta.
«Sì» risponde lei, con ovvietà. «Tu non lo passerai con la tua famiglia?».
Draco scuote il capo, guardandosi le scarpe. «Non credo» ammette. «Non c’è aria di festa, a casa mia».
Pronuncia casa con una tale rassegnazione che, a Hermione, per un attimo trema il cuore.
«Potresti…» comincia, incerta. Ma Malfoy scuote il capo e la guarda con un’intensità tale da trasmettere il suo tremolio dal cuore alle mani a ogni nervo o cellula del suo corpo.
«No» la interrompe. «Non potrei».
La neve si è tramutata in pioggia, ma non riescono nemmeno a rendersene conto: l’acqua non uccide, ferisce soltanto e, sul volto di Draco, è solamente l’ennesimo gelo che ne raffredda l’ansia bollente che lo riscalda dall’interno.
«Se è per Ron, lui…» borbotta Hermione, a disagio. «Ha un brutto carattere, ma se gli parlassi…».
«Sei innamorata di lui» risponde Malfoy e suona come un’accusa. «E lui di te».
Lei  non comprende e lo guarda in attesa della soluzione a quell’enigma. Che non arriva. Perché Malfoy ha il volto umido di pioggia, ma sorride di un ghigno che erano mesi che lei cercava sul suo viso, senza trovarlo.
«Malfoy, cosa…» comincia, senza sapere bene come concludere la frase, ma pronunciare il suo nome è diventata un’esigenza incontenibile. «Io…».
«Mi basta sapere questo» risponde Draco, scuotendo via l’acqua dai capelli. «Non amo le fiabe, Granger. Ma grazie per la risposta».
Hermione rimane ad ascoltare il rumore dei suoi passi sul terreno umido, disorientata.
 
***
 
Le ha sfiorato il cervello come fosse nuda, inutile, pelle e l’ha marchiato dell’ennesima cicatrice. Hermione ha smesso di cercarlo ma, nella sua mente, Draco Malfoy non le lascia scampo durante l’ennesima giornata di pioggia.
 
***
 
«Granger».
La voce è solamente l’ennesima incrinatura della notte, che lentamente si schianta sull’alba in un miliardo di frammenti.
Hermione si volta, certa che anche quella volta Draco Malfoy le sfiorerà col pensiero ogni lembo di pelle.
«Non andare da Weasley a Natale» lo dice talmente piano da far credere che si sia pentito di quelle parole ancor prima di pronunciarlo. «Resta».
Lei vorrebbe rispondere, ma lui la sta assordando con un pensiero che emerge evidente nel suo sguardo, persino nella postura, e che le impedisce di formulare una qualunque frase.
 
Sceglimi.
 
(Irama, Sceglimi)

 
Delle volanti note d'autore:

Ciao a tutti e scusate se ho fretta, ma devo consegnare questa storia e correre ad asciugare i capelli prima che mi venga una polmonite. Ho poco da dire su questo mio ennesimo tentativo di far coesistere questa coppia e l'IC (avvertimento OOC messo per paraculaggine), ma spero di esserci riuscita - senza contare che il settimo anno alternativo è per me fonte di ispirazione e di odio per me stessa che non so usarlo bene.
Non sono presente altre citazioni oltre alla canzone di Irama, non mi sembra ci siano cose da chiarire, quindi...

Grazie per avermi letta
Gaia
   
 
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