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Autore: Vespertilio    19/09/2020    1 recensioni
Racconto di un sogno personale: I sogni sanno dire tanto di una persona quanto più quella stessa persona sappia raccontare di sé.
Un luogo dove l'es può dar libero sfogo ai suoi più intimi desideri, che siano essi magnifici o terrificanti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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sogno

/só·gno/

sostantivo maschile

  1. L'attività psichica che si svolge durante il sonno.

      "vedere in s."



 

Il trillo del campanello cattura la mia attenzione facendomi alzare la testa dai libri. È tutto il giorno che sto studiando e nel frattempo ho ordinato una pizza d’asporto per cena, così da non dovermi fermare per cucinare qualcosa. Mi alzo pigramente dalla sedia, prendo le chiavi e scendo le scale del palazzo per raggiungere il piano terra. Apro la porta e vedo il solito fattorino, che ormai mi conosce, e mi saluta.

Solo che stavolta sembra star salutando verso un’altra direzione, oltre di me.

Mi volto e vedo mia madre che sta agitando il braccio per salutare anche lei il ragazzo alla porta. Lei non dovrebbe essere qui, non viviamo assieme da molto tempo ormai.

 

« Grazie! »

 

Fa un cenno al fattorino avvicinandosi a lui, che al posto di un cartone di pizza, sta tenendo in mano delle buste rosse della spesa, piene di cianfrusaglie. Lui se ne va lasciando la porta aperta e mia madre comincia subito a frugare dentro le buste, mentre io la osservo attenta. È pieno di miei vecchi peluche e giocattoli, di cui avevo perso memoria ormai da diverso tempo.

 

« Guarda qui, la tua vecchia giraffa! Te la ricordi, vero? »

 

Neanche aspetta di vedere la mia reazione, continua a tirare fuori oggetti a caso e a commentarli entusiasta. Ha lo sguardo assente e sembra completamente immersa in un altro mondo. Potrebbe esserci chiunque davanti a lei e neanche ci farebbe caso. Vuole solo qualcuno che ascolti le sue folli storie ed effettivamente qualcuno c'è. All'uscio di casa si è appena creata una folla di persone che fa a gara per affacciarsi dalla porta principale.

Sono tutti impazienti di sentire quale sarà il prossimo interessantissimo aneddoto inventato di sana pianta da mia madre.

 

Neanche faccio più caso alle loro facce, né ci tengo a sapere chi siano.

 

A mia madre non rispondo, né faccio alcun cenno con la testa, non ce n’è bisogno. Faccio per andarmene ma mi accorgo di non riuscire a muovere i piedi. D’un tratto comincio a vederla farsi lentamente sempre più alta, e ormai riesco le vedo solo le gambe. Mi accorgo in quel momento che non è lei a starsi facendo più alta, ma sono io a starmi abbassando! Faccio scivolare lo sguardo sul pavimento. Prima era in marmo grigio ed ora è a scacchi neri e bianchi. I miei piedi sono paralleli su una piastrella bianca e una nera, e stanno poggiando su ciò che sembra essere gelatina. Sto affondando, ecco perché non riuscivo più a vedere mia madre. La scacchiera si sta distorcendo a causa del mio peso ed io finisco sempre più giù, mentre lei resta ancora in alto, senza accorgersi di cosa stia succedendo. Perché lei è così leggera ed io no?

 

Mi volto di scatto e non appena lo faccio mi trovo in un altro scenario. Vedo dei bambini seduti a dei banchi che ridacchiano e vicino a me una signora anziana con degli occhiali rossi. Noto solo quelli di lei. Guardo le mie mani e mi accorgo che sono diventate piccolissime, sto anche indossando dei vestiti diversi. Mi tocco la faccia. Non riesco a vedermi ma so di essere un bambino di dieci anni, con gli occhi scuri, i capelli riccioluti, e due pesanti occhiaia a solcarmi il viso. Sono in una scuola elementare e sto venendo interrogato a matematica. Me ne accorgo per le equazioni che vedo scritte alla lavagna. 

È troppo complicato per me, sono solo un bambino, come faccio a risolverle?

 

La maestra mi guarda male passandomi un pennarello nero ed io resto bloccato alla lavagna. Sento tutti gli altri bambini cominciare a ridere sottovoce alle mie spalle. Mi viene da piangere, mi sento uno stupido. Perché devo stare così male? Non è giusto!

 

Riabbasso gli occhi per guardare il pennarello che ho in mano e mi accorgo di star reggendo un teschio. Non capisco se sia un teschio finto o uno vero. Non sento più nessuno ridere ma neppure ci faccio più caso.

 

Osservo la mandibola del teschio aprirsi lentamente e cedere a terra. Adesso sto tenendo tra le mani un teschio senza mandibola e resto anche io a bocca aperta. Sento che potrebbe presto cadere anche la mia di mandibola. Non riesco a chiudere più la bocca e mi fa male tutta la faccia. Vorrei stringere e stropicciarmi gli occhi perché mi bruciano, ma sono paralizzato. I miei occhi restano fissate sulle orbite vuote del teschio e il tempo si ferma, letteralmente.

 

Tutto è buio e c’è un solo riflettore immaginario ad illuminarmi. Sono protagonista di uno spettacolo a teatro e i sipari rossi si stanno chiudendo. Nessuno applaude però. Non ho recitato abbastanza bene? No, la verità è che non c’è nessuno a guardarmi.

 

Il palco desolato su cui mi trovo si fa sempre più lontano ed io insieme a lui. È tutto buio e mi si vede sempre meno. Divento un puntino luminoso fino a sparire completamente. Resta tutto buio per un po’, ma io sono ancora cosciente. Sento di starmi muovendo, nonostante il bambino con il teschio sia rimasto bloccato. Non riesco a vedermi, dove sono adesso?

 

Mi percepisco, ma che sto facendo?

 

Un quadrato rosso, un triangolo verde ed un cerchio blu.

 

Queste figure geometriche stanno ora danzando nel buio. Sono piatte e si stanno muovendo in un ambiente anch’esso piatto. A volte si toccano, a volte si distanziano. Restano in movimento però, seppur molto lentamente. Me ne accorgo solo in quel momento.

 

Io sono il triangolo verde! 

 

Sono sempre stata il triangolo verde, solo che non me n’ero accorta! Non so chi fossero quelle altre persone. Credevo di essere tutti loro ma non è mai stato così. Non ha importanza chi loro fossero. Io sono solo un triangolo verde, in compagnia di un cerchio blu e un quadrato rosso.

 

Che sollievo.

 

Che sollievo, davvero.

   
 
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