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Autore: Luinloth    20/09/2020    7 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene






23. Parte della famiglia




18 maggio 2009

La febbre salì.

Dean fluttuò per un giorno intero in un perenne stato di dormiveglia e anche quando la sua temperatura corporea si abbassò trascorse le dodici successive a dormire.

Nei brevi momenti di lucidità che quella stanchezza smisurata gli concedeva, sagome sfocate si alternavano nella stanza, frammenti di dialoghi lontani riuscivano appena a raggiungerlo.

Suo fratello, la presenza costante di Jack, l’allegro chiacchiericcio di Charlie, Anna. Ripensandoci, quest’ultima era comparsa al suo capezzale fin troppo spesso.

«Ora che non hai più febbre, secondo Charlie dovresti rimetterti in un paio di giorni»

Dean annuì con molto meno ottimismo rispetto a quanto ne trapelasse dalle parole di Sam. Il riuscire a mettersi seduto sul letto senza aiuto era già stata una fatica immensa, il pensiero che di lì a due giorni sarebbe stato di nuovo in piedi sulle proprie gambe gli pareva davvero un’ingenua assurdità.

Ma, almeno, il tamburo che chissà chi aveva ficcato dentro la sua testa — e che per due giorni l’aveva assordato dall’interno — era finalmente svanito. La calma silenziosa della stanza era piacevole da ascoltare.

Troppo silenziosa.

«Dov’è Jack?»

Sam si mordicchiò l’interno della guancia.

«Con Kevin» disse soltanto «A rimettere a posto dei libri»

Dean alzò un sopracciglio.

«In giro per il bunker?»

«In giro per il bunker» Sam si sedette di fronte a lui, all’estremità opposta del letto «Sono tre giorni che non cresce più» lo informò «Anna crede che abbia raggiunto la sua forma stabile»

«E oltre ad aver ‘raggiunto la sua forma stabile’» principiò Dean, fosco «Cos’altro ha dedotto Anna, mentre io me ne stavo qui a dormire?»

Suo fratello finse di non accorgersi dell’ostilità piccata che lui non aveva nemmeno finto di nascondere, porgendogli quella domanda, e scrollò le spalle.

«A quanto pare Jack sa padroneggiare l’enochiano molto meglio di chiunque altro, qui dentro» si limitò a rispondergli «Ma niente lampi dagli occhi, teletrasporto o…»

«…tendenze assassine»

«Dean!»

«Cosa c’è?» si schermì lui, irrigidendosi «Vogliamo davvero continuare a fingere che non sia vero, Sam? Che lui non sia il figlio di Lucifer?»

Si pentì immediatamente delle proprie parole.

«Scusami Sam, io…»

La testa ricominciò a rimbombargli nell’esatto momento in cui suo fratello si rattrappì sopra le coperte con l’espressione di un animale braccato, e la certezza di esserne stato lui la causa cominciò a perforargli le pareti dello stomaco.

«Non volevo, mi dispiace, sono solo…» il suo misero tentativo di scuse andò a infrangersi contro il bordo del lenzuolo stretto nel pugno tremante di Sam, le cui nocche sbiancate tolsero a Dean il resto delle già poche forze che ancora gli consentivano di rimanere seduto.

«Forse avrò bisogno di un po’ più d’un paio di giorni» rantolò, abbandonandosi di nuovo tra i cuscini.

«Non fa niente»

Sam si rialzò con un movimento che voleva spacciarsi per fluido, ma che comunque non riuscì a dissimulare il tremore nervoso delle sue ginocchia.

«Ma ora meglio che vada a controllare cosa combina» abbozzò «Tu cerca di riposare ancora un po’, va bene?»

La gola di Dean si era ormai seccata tanto da non riuscire a produrre il minimo suono, ma a quel punto il ragazzo non avrebbe saputo dire se per un effetto postumo della febbre, o se si trattasse piuttosto dell’ultimo — ritardatario — tentativo del proprio cervello di metterlo finalmente a tacere. In ogni caso, il mugolio roco che abbandonò le sue labbra fu abbastanza patetico da convincerlo a chiudere definitivamente la bocca, per quel giorno.

«Davvero, Dean. Non fa nulla»

La voce di Sam almeno era limpida, sebbene il suo sguardo fosse ancora leggermente fuori fuoco.

«Pensa solo a riprenderti, adesso»

Aveva la mano sulla maniglia della porta e già un piede fuori dalla stanza quando Dean lo vide esitare, scuotere appena la testa come a voler diradare una nebbia invisibile addensatasi tra i due stipiti, e poi tirare un debole sospiro.

«E comunque» mormorò, un istante prima di richiudersi silenziosamente l’anta alle spalle «Non è solo figlio suo»


30 maggio 2009

Aveva incrociato Patience già due volte quella mattina, stranamente sola. Sembrava molto più piccola, e quasi spaurita, senza la rassicurante presenza della nonna al suo fianco.

Dean vagava alla ricerca di Charlie da una buona mezz’ora ormai, e non l’aveva ancora trovata.

Non era nella sua stanzetta — immersa fino ai gomiti nel disordine dilagante della sua scrivania — nessuno l’aveva vista, Anna pareva essersi volatilizzata insieme a lei e — cosa più irritante di tutto — Dean aveva la sensazione di essere l’unico a preoccuparsene.

Due Occulti sparivano nel nulla senza il minimo preavviso e la vita del bunker continuava placidamente a scorrere come se alla primavera fosse semplicemente seguita l’estate, e tante grazie.

«Andiamo…» Sam, poco dietro di lui, sbuffò rumorosamente «Ammetti di essere così nervoso soltanto perché ieri Charlie ti ha fatto a fettine e tu oggi volevi la rivincita» lo punzecchiò.

Dopo aver vagabondato per un po’ senza risultati, il maggiore aveva deciso di rendere suo fratello partecipe della propria agitazione. Peccato che Sam non fosse stato particolarmente disposto ad assecondarlo, tanto più che Jack stava iniziando a insegnargli a leggere l’enochiano, perciò lui aveva sicuramente di meglio da fare che trascinarsi al seguito di quell’apprensione puerile.

«Si, beh, forse» mugugnò Dean, indovinando il ghigno canzonatorio del minore senza nemmeno voltarsi «Ma avrebbe potuto avvertirmi almeno e… ehi, Rufus! Rufus!»

Dean allungò il passo — finse di non sentire l’imprecazione che Sam non si preoccupò nemmeno di soffocare — e raggiunse il fascio nodoso di muscoli che li aveva scortati nel bunker al loro arrivo, e che ora li squadrava a braccia conserte, con aria indispettita.

«Hai visto Charlie?» gli domandò, senza troppi giri di parole «O Anna, o Missouri, è tutta la mattina che le cerco ma…»

«Sono occupate al momento»

Dean si chiese se la faccia di Rufus fosse mai stata capace di assumere un’espressione diversa dal quel burbero cipiglio perennemente indignato.

«Occupate?»

«Occupate» l’uomo socchiuse gli occhi «In affari che non ti riguardano»

«Ah, faccende da donna quindi?»

L’occhiataccia che lo incenerì fu molto più esplicativa di qualsiasi risposta, e Sam per poco non gli tirò un calcio negli stinchi.

«Muovi quel culo Winchester, e seguimi» brontolò Rufus «Visto che a quanto pare non riesci a startene con le mani in mano per più di due minuti, ti troverò io qualcosa da fare»

Sam si dileguò prima ancora che l’uomo potesse posare lo sguardo su di lui, e Dean avrebbe giurato di aver quasi visto un sorrisetto divertito farsi largo tra le rughe profonde di quel viso tanto segnato, mentre il minore si allontanava a gran velocità.

Seguì Rufus fino ai margini del bunker, dove era stato attrezzato un rudimentale poligono di tiro, ben recintato, e sorvegliato giorno e notte in modo da evitare incidenti.

«Non ci sono molte fabbriche di armi ancora in funzione»

L’uomo gli indicò una mezza dozzina di casse di legno — piene fino all’orlo di qualcosa che Dean non avrebbe saputo classificare se non come ‘vecchia ferraglia’ — e da uno di quei mucchi di metallo estrasse i tre pezzi graffiati di un fucile a canne mozze, posandoli poi con cautela su un vecchio tavolo di plastica lì accanto.

«Non ce n’è nemmeno una, per l’esattezza» specificò, con un grugnito contrariato «Quindi dobbiamo accontentarci di quello che recuperiamo in giro»

Dean gli lanciò uno sguardo confuso.

«Ispezionare, pulire, oliare e verificare che i meccanismi interni funzionino ancora» ordinò Rufus, per nulla impressionato dalla linea minacciosa in cui le sopracciglia del ragazzo si erano appena curvate «Mi è stato detto che con le armi te la cavi bene perciò… Buon divertimento!» concluse, regalandogli un’incoraggiante pacca sulla spalla.

«Ti farò un fischio, semmai Charlie dovesse ricomparire» aggiunse infine, poco prima di andarsene, e mentre Rufus spariva attraverso il perpetuo via-vai del terzo livello del bunker — con un decisamente atipico sorrisino furbetto stampato in faccia — Dean dovette davvero riconoscerlo.

Stavolta se l’era proprio andata a cercare.




Sam lo raggiunse qualche ora dopo, quando lui era quasi alla fine della prima cassa, ma la sua pazienza si era esaurita già da un pezzo.

«Ma tu guarda chi si rivede…» lo accolse sibilando «Il traditore della patria»

Suo fratello oppose al suo sarcasmo un sorriso a trentadue denti al quale Dean non sarebbe stato in grado di resistere nemmeno se Sam gli avesse appena infilato un coltello nella schiena.

«Dai, ti aiuto» si offrì il minore, prendendo posto di fronte a lui «Ho incontrato Rufus, ha detto che puoi piantarla quando vuoi con il restauro bellico, ma che sarebbe fantastico se finissimo almeno una cassa»

«Grazie per la gentile concessione…» mugugnò lui, tornando a concentrarsi sugli ingranaggi scheggiati tra i quali cercava di raccapezzarsi ormai da ore.

«E ho anche visto Charlie» gli confidò «Si scusa per non averti avvisato e per averti fatto saltare l’allenamento stamattina, ma lei, Anna e Missouri avevano un incontro con qualcuno di parecchio importante, o almeno così mi è parso di capire»

Dean aggrottò la fronte «Ovvero chi?»

«Questo non me l’ha detto»

Sam si strinse nelle spalle e svuotò il resto della cassa sul tavolo.

«Sam, Dean!» Jack attraversò saltellando il poligono di tiro — completamente vuoto in quel momento, per fortuna — con l’aria estatica di chi ha appena avuto un’apparizione.

«Ehi, Jack, dov’eri finito?» lo salutò allegramente Sam «Pensavo che Ash ti avesse rapito»

«Oh, io… Ash mi aveva chiesto di aiutarlo a rifare i sigilli anti-angelo del primo livello, sì» rispose lui, esibendosi in un sorriso euforico che Dean non avrebbe potuto definire in altro modo se non ebete.

«Ma mentre ero lì ho incontrato questa ragazza, Kaia» proseguì infatti il nephilim, sbattendo le palpebre. I suoi occhioni dorati scintillavano come non mai «E cavoli, è davvero fantastica!» trillò «E’ un’orfana anche lei, da quando era piccolissima, è nata in Oregon e ha girato tutta l’America prima di finire qui e…»

«Tutto questo è meraviglioso, Jack» lo interruppe Dean con un cenno brusco «Ma adesso potresti anche piantarla e darci una mano, che ne dici?»

Il nephilim tacque immediatamente.

«Scusa, Dean» pigolò.

«Andiamo, Dean non intendeva…» tentò di ammortizzare Sam, ma Jack aveva già messo su un’aria afflitta, mentre suo fratello era tornato a concentrarsi sul carrello arrugginito di una 9 millimetri che doveva aver visto tempi migliori.

«Senti» propose quindi «Perché non vai a vedere se Kevin ha bisogno di aiuto, invece?»

Al sentir nominare colui che doveva essere diventato uno dei suoi migliori amici, Jack parve ringalluzzirsi un poco, annuì deciso e si allontanò in fretta, ma Sam non potè non accorgersi dell’ultimo sguardo amareggiato che il ragazzino aveva lanciato in direzione di Dean, beatamente immerso nella contemplazione della pistola che stava tirando a lucido, con lo zelo sereno di chi non ha nulla di cui pentirsi.

«Perché lo tratti così?»

Dean alzò gli occhi, e Sam quasi non credette alla scintilla di sincera confusione che vi trovò dentro.

«Jack» precisò «Lui ti adora e tu lo tratti come… come se fosse un cane randagio»

«Tu in compenso continui a fargli da balia come se avesse ancora tre anni» osservò il maggiore «O due settimane, o quel che è» si corresse, stizzito «Ormai è grande, sbaglio? E’ stabile. Direi che può cavarsela anche da solo»

«Dean… Jack fa parte della famiglia ormai»

«Io sono la tua famiglia, Sam!»

La coppietta di ragazzini che in quel momento si preparava a entrare nel poligono di tiro per l’allenamento quotidiano si girò a guardarlo, ma Dean non ci badò.

«Papà lo era, e Bobby, e Martha, e Garth! Non lui!» esclamò «Non il figlio di uno di quei… mostri»

«Non mi pare di aver fatto tutte queste storie, quando ti sei presentato alla mia porta insieme a uno di loro»

Era un colpo basso.

Suo fratello lo sapeva, Dean glielo leggeva chiaramente in faccia e probabilmente fu quello il motivo per cui non riuscì più a replicare.

Il capannello di persone che si stava già formando intorno a loro si disperse in fretta.

«Rooney era… credo che fosse convinto di aiutarmi, a modo suo»

Lui non capì a chi si stesse riferendo Sam finché non si accorse del tremolio lucido delle sue pupille.

«Lucifer si stanca presto dei suoi giocattoli. Quando sono arrivato io c’era un tale Rooney ad occupare la sua stanza: poi c’è stato Vince, poi Nick, e infine lei»

Nonostante suo fratello fosse ormai lontano dall’orrore di quell’appartamento, lui non era così fiducioso da credere che sarebbe stato capace di dimenticare tanto facilmente quanto gli aveva raccontato quella sera d’aprile, in cui si era ingenuamente presentato alla sua porta, al fianco di Castiel.

«Credo che avesse assistito alla morte del mio predecessore, e aveva capito che presto o tardi sarebbe toccato anche a lui, e a me, e non vedeva l’ora che succedesse. Ma io ero appena arrivato ed ero soltanto…» Sam inspirò ed espirò, e il suo sguardo si fissò in un punto lontano, oltre il mucchio di armi sopra il tavolo, oltre il rudimentale poligono di tiro recintato all’angolo estremo del bunker, i sigilli anti-angelo appena riverniciati sulle pareti di cemento armato.

«…spaventato» riassunse in un soffio. Inspirò di nuovo e poi si schiarì la voce «E il suo modo di consolarmi era dirmi che… beh, sarei morto di lì a qualche mese»

La pistola lucida che il maggiore stava esaminando — prima che il nome ‘Rooney’ la trasformasse in un pezzo di metallo privo di qualunque importanza — ricadde sul tavolo con un sibilo sferragliante; il palmo di Dean scivolò lungo la superficie irregolare della plastica graffiata fino a posarsi con dolcezza sul polso di suo fratello.

«Non devi farlo per forza»

Era un accordo tacito, stipulato dopo un incubo particolarmente violento che aveva fatto scoppiare Jack in lacrime e spinto lui a porre qualche domanda infelice di troppo, alle quali Sam aveva fornito un’accozzaglia di risposte vaghe, la maggior parte delle quali esauritesi in un imbarazzante balbettare.

Il risultato di quella curiosità inopportuna — per quanto animata dalle migliori intenzioni — si era tradotto in un angosciante intensificarsi delle orride allucinazioni notturne di suo fratello, e alla fine Dean aveva preso la drastica decisione di non riaprire più nessuna discussione in merito a quanto accaduto, nei quattro anni precedenti, tra le pareti dorate dell’ottantaquattresimo piano.

Di non farlo di propria iniziativa, almeno.

«Lo so» sospirò Sam, riportando su di lui la convergenza del proprio sguardo «Ma credo sia importante che tu lo sappia»

Dean storse leggermente la bocca, ma si limitò a far oscillare la testa in un rassegnato cenno d’assenso.

Non spostò comunque la mano dal polso di Sam.

«Dopo Rooney» proseguì quindi il minore «E’ stato il turno di Vince. Ma Vince era troppo arrendevole per i suoi gusti, e lui ha iniziato ad annoiarsi dopo nemmeno un mese»

Dean si domandò se l’evitare di pronunciare il nome dell’Arcangelo fosse un modo come un altro per fissare un argine al dilagare dei ricordi, o se invece Sam avesse realmente paura che Lucifer potesse davvero materializzarsi lì, teletrasportarsi all’interno del bunker e trascinarlo di nuovo a Corte, al semplice scandire il suo appellativo durante una conversazione.

«Mese che Vince ha trascorso completamente chiuso nella sua stanza, non ha mai voluto parlarmi o accettare il mio aiuto, né tantomeno… aiutare me, quando se ne è presentata l’occasione»

Sam s’interruppe di nuovo, e stavolta Dean non potè trattenersi dal chiudere le dita intorno al suo polso e accarezzargli istintivamente l’avambraccio con la punta dell’indice.

«Finché una mattina non ho trovato la porta della sua stanza spalancata, ma Vince non c’era già più» riprese, dopo qualche secondo, ma la sua voce continuava ad affievolirsi a ogni parola.

«E poi la settimana successiva è arrivato Nick»

Forse non avrebbe dovuto nemmeno permettere a suo fratello di riavviare una discussione del genere.

Era ancora troppo presto, non erano trascorse che una manciata di settimane dal giorno in cui aveva dovuto spogliarlo a forbiciate e sfilare fuori dal suo corpo una quantità raccapricciante di schegge di vetro.

«Va tutto bene, Dean»

Sam intercettò la sua preoccupazione ancora prima che lui riuscisse a manifestarla.

«Avrei dovuto parlartene giorni fa. Lo so che quando guardi Jack vedi… lui. Lo vedo anch’io» riconobbe, a volume appena udibile «Ma è proprio per questo che vorrei che tu capissi…» deglutì «Che tu capissi che è anche grazie a suo figlio se io sono ancora vivo»

Dean non rispose.

E cosa avrebbe potuto rispondergli?

Suo fratello aveva tentato di ammazzarsi e lui aveva assorbito e nascosto quell’informazione tanto in profondità dentro di sé che non era affatto sicuro sarebbe mai riuscito a riportarla alla luce senza impazzire.

«Dicevo… Nick» ricominciò Sam, sottraendosi alle dita del maggiore che ancora gli carezzavano il polso e intrecciando le mani sopra il tavolo.

«Nick era semplicemente un sadico» i suoi occhi — dagli occhi di Dean — caddero a fissarsi sui suoi pollici «E un Collaborazionista»

Un familiare nodo azzurro cominciò a serrarsi intorno alla gola di Dean.

«Ora sai perché non ho mai smesso di avere paura per te, in quell’appartamento» ammise Sam, piatto «Per lui gli umani sono sempre stati tutti uguali, e non avrebbe contato molto il fatto che tu stessi dalla sua stessa stessa parte. Anche solo teoricamente, certo» ci tenne a puntualizzare, e di questo il ragazzo non potè essergliene più grato.

Anche se non sarebbe mai più riuscito a indossare una cravatta — di qualsivoglia colore — in vita sua.

«Ad ogni modo» proseguì il più piccolo «Nick lo divertiva. Quasi più di me, oserei dire. Lo divertiva scoprire fin dove un uomo potesse spingersi, nei confronti di un altro essere umano»

Il maggiore schiuse le labbra, ma non reagì.

Non sapeva cosa sarebbe potuto accadere, se si fosse soffermato sulle implicazioni contenute in una simile confessione un istante in più.

Sapeva soltanto che lo avrebbe ucciso.

Avrebbe incatenato Lucifer al soffitto e l’avrebbe costretto a guardare mentre lo apriva in due fino a fargli gocciolare le viscere sul pavimento.

«Ho resistito per due mesi, ma erano ormai tre anni che ero lì e semplicemente…»

A quel punto, se Sam non si fosse sforzato a rialzare la testa, e a riallacciare quello straziante — eppure indispensabile — contatto visivo, avrebbero entrambi ceduto.

«…una mattina Nick mi ha trovato riverso nel mio stesso sangue»

Dean avrebbe fatto a pezzi il tavolo di plastica e ogni altro oggetto alla sua portata — gettando alle ortiche ore e ore di lavoro — Sam si sarebbe raggomitolato su se stesso, in un silenzio subdolamente confortevole, e la notte seguente le sue urla avrebbero fatto svegliare di nuovo metà del bunker.

«Non ho ricordi chiari, di quel giorno»

Il maggiore inghiottì bile, e un blocco di marmo, mentre Sam riprendeva lentamente a parlare.

«Nick è corso fuori — a cercare aiuto o forse soltanto per avvisare che non c’entrava niente, che non era colpa sua se io avevo deciso di morire dissanguato sulla moquette — e nel momento in cui ha oltrepassato la porta i sigilli sulle sue costole devono essersi attivati, perché lui è arrivato una manciata di minuti dopo»

Dean rabbrividì.

«Non so cosa Nick gli abbia detto, o abbia fatto, ma lui l’ha mandato a schiantarsi contro la parete, e da lì Nick non si è mai più rialzato» fece schioccare la lingua contro il palato «Non che mi sia mai dispiaciuto, comunque. Ma nei giorni successivi ho imparato che non era solo la mia vita a essere diventata di sua proprietà: una volta entrato in quell’appartamento, anche la mia morte aveva smesso di appartenermi»

Sam teneva ancora le dita intrecciate davanti a sé, aveva piantato le unghie della mano destra nel dorso di quella sinistra, e adesso piccole mezzelune rosse spiccavano sulla sua pelle chiara.

«E poi… poi arrivò Kelly, no?»

Quando finalmente Sam smise di tormentarsi le mani e annuì, Dean era abbastanza sicuro di avere appena battuto ogni suo precedente record di apnea.

«Non saprei dirti in che condizioni fossi, quando conobbi Kelly» mormorò il più piccolo «Semplicemente me ne stavo lì, ad aspettare che lui arrivasse, che facesse quello che voleva e che se ne andasse, e ogni volta speravo che quella fosse la volta buona che decidesse di farla finita. Non avevo nemmeno più il coraggio di riprovarci, ad ammazzarmi»

Eppure, nonostante la brutalità di quel ricordo, le sue pupille avevano appena smesso di tremare.

«Kelly era gentile» continuò «Mi raccontava di lei, della sua famiglia: aveva una sorella più piccola, sai?» gli confidò «Avresti dovuto sentire come ne parlava…»

Dean sorrise: era abbastanza sicuro di essere perfettamente in grado di immaginarselo.

«Avrei voluto conoscerla» disse «Sì, insomma, conoscerla prima di…»

«Vedi, la cosa buffa è che io non ho mai smesso di desiderare la morte, anche dopo il suo arrivo»

Sam aveva cominciato a mordicchiarsi nervosamente le labbra.

«Kelly era… buona» ripetè «Dormiva sul pavimento accanto a me, quando sapeva che avrebbe fatto solo più male se avesse provato a spostarmi. Ma paradossalmente, se avessi provato di nuovo a tagliarmi le vene ero sicuro che lei non sarebbe corsa a chiamare aiuto e anzi, credo che fosse rimasta lucida soltanto un giorno in più, il primo che avesse rimesso piede in quell’appartamento si sarebbe ritrovato con due cadaveri per le mani»

La tiepida cappa di sollievo che il nome di Kelly aveva fatto scendere su di loro venne sgarbatamente spazzata via.

Dean si congelò di nuovo sulla sedia.

Ma per quanto assurdo fosse, per la prima volta da quando si era addentrato in quel macabro racconto, Sam invece sembrava non vedesse l’ora di proseguire.

«Stava già male, quando scoprimmo che era incinta» spiegò, con una strana nota di tenerezza ad ammorbidirgli la voce «Trascorse un giorno intero a vomitare e a piangere, e a farfugliare frasi prive di senso, e fu solo a quel punto mi resi conto che non avrei mai potuto abbandonarla. Che non avrei mai potuto togliermi la vita e lasciarla sola, né lei, né…»

«Jack!»

Troppo distante per decifrare gli estremi della loro conversazione, abbastanza vicino da intuire di aver appena interrotto qualcosa di importante, il nephilim era appena ricomparso dall’altra parte del poligono di tiro e li stava fissando con l’aria imbarazzata di chi avrebbe preferito piuttosto sprofondare.

«Mi dispiace, io…» tentò di scusarsi, accostandosi goffamente al tavolo di plastica «Kevin è occupato con Rufus e avevo pensato di tornare ad aiutarvi ma non… Se vi do fastidio posso andarmene in camera e…»

E Dean lo vide di nuovo.

Dietro l’afflizione dorata delle sue iridi luccicanti, il ghigno ferale che si era aperto la strada attraverso la folla di umani — senza nemmeno sfiorarla — ammassata sotto la torre, finché Lucifer non si era fermato — le mani sui fianchi, la testa leggermente inclinata da un lato — davanti al viso attonito di suo fratello.

Però, poi vide anche qualcos’altro.

Il bambolotto biondo che dormiva — e sbavava — sulla sua camicia azzurra. Le fossette che gli bucavano ancora le guance quando rideva, quando una mattina era stato svegliato da rumori inusitati e aveva trovato il nephilim e Sam impegnati in una battaglia di solletico e cuscini che lo aveva portato a pizzicarsi insistentemente il braccio per assicurarsi di non stare ancora sognando.

Il cadavere esangue di suo fratello che si sarebbe ritrovato a piangere fino alla fine dei suoi giorni, se non fosse stato per Kelly.

Se non fosse stato per Jack.

«Ci sono abbastanza sedie per tutti, mi pare» il maggiore si spostò per fargli posto tra lui e Sam, e il sorriso che si allargò sulla faccia del nephilim non era il sogghigno sprezzante di un Arcangelo.

E forse, prima o poi, Dean avrebbe imparato gestire la rabbia, e il dolore, senza comportarsi da perfetto idiota.

«Sai come funziona una pistola, Jack?» gli domandò Sam, mentre una curva molto simile si allungava anche sulle sue labbra.

«Oh, abbiamo tutto il tempo per quello!» lo interruppe suo fratello, sventolando una mano verso di lui.

«Piuttosto, Jack, parlaci un po’ di questa Kaia…»













Buongiorno, e buona domenica!
Sono in ritardo, lo so. La stesura e la revisione di questo capitolo sono state decisamente complicate ^^’’ quindi sappiate che aspetterò con grande ansia la vostra opinione in merito a questa parentesi tutta incentrata su Sam, Dean e Jack ^^
Nel frattempo, vi ringrazio per tutto l’affetto con il quale continuate a seguire e commentare questa storia, vi mando un grande abbraccio e ci rivediamo — puntuali, promesso — sabato prossimo.
Cheers ❀*

   
 
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