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Autore: Alexa_02    20/09/2020    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne
 
 
“Oh, Dio, grazie per avermi fatto arrivare tutto intero!” esclama Lip, quasi baciando l’asfalto. “Grazie, Signore!”.
Peyton sbuffa dal naso. “Oh, smettila! Quante scene”.
Scendo dal maggiolino di Peyton con meno enfasi, ma con la stessa gratitudine di essere viva di Lip. Peyton non è esattamente cauta mentre è al volante. 
Lui le lancia un’occhiataccia. “Guidi come una pazza svalvolata, ne sei consapevole?”.
Lei si posa una mano sul cuore. “Oh, perdonami fiorellino, la mia guida ti ha fatto tremare le giarrettiere?”.
Lip alza il mento. “No, ma ci ha quasi uccisi. Julianne concorda con me”.
Si girano entrambi a guardarmi. “Non tiratemi in mezzo” brontolo, sistemandomi la borsa sulla spalla “Ho mille cose da fare e pochissimo tempo, l’arbitro non rientra tra i miei compiti”.
Li supero, puntando al negozio di articoli per le feste. Ieri, alla fine, Chastity e io non ci siamo più andate. Lei era troppo triste anche solo per alzarsi dal letto, quindi ho deciso di andarci oggi con Peyton e Lip. Mai presa una decisione peggiore.
“Sono sicuro che tu abbia superato tutti i limiti di velocità della città” asserisce lui “E non pensare che non abbia visto la cassetta della posta che hai abbattuto mentre facevi manovra”.
Le porte scorrevoli si aprono e l’aria fresca del condizionatore ci accoglie. Scivolo tra i vari scaffali, curiosando tra gli addobbi e i costumi.
“Non ho abbattuto assolutamente nulla, mi sa proprio che non ci vedi” ribatte Peyton con astio.
La cassetta con i gattini e gli uccellini dipinti sopra che è stesa nel vialetto della vicina di Lip direbbe il contrario.
Raccolgo un cestino di plastica e comincio a buttarci dentro tutto ciò che mi ispira. Piattini, bicchieri e un pacchetto di ragnatele finte.
“Ci vedo benissimo, invece. Più tardi, dovrò aiutare la signora Hollis a sistemare il suo vialetto che tu hai distrutto”.
Raccolgo dei ragnetti di plastica da appendere al soffitto e continuo ad addentrarmi. I due litiganti mi seguono, portando avanti la loro scenetta. Ormai tutto il negozio li sa osservando, ridendo sotto i baffi.
Peyton fa uno strano verso. “Come se tu fossi il tipo che aiuta le signore anziane, mister bicipiti”. 
Lip flette il braccio. “Ti piacerebbe toccare bicipiti come questi, eh, Jackson?” la provoca.
La commessa mi fissa preoccupata, avvertendomi che è il momento di intervenire. “Okay, basta”. Spingo Lip in avanti. “Vai a cercare qualche costume, forza”.
Cerca di protestare. “Ma, Jay…”.
“Muoviti” ribatto. Mi sento una mamma al supermercato.
Si allontana sbuffando e borbottando insulti contro Peyton. Lei gli fissa la nuca con una strana luce nello sguardo.
“L’hai buttata giù davvero la cassetta” le faccio notare con delicatezza.
Lei continua a guardare Lip. “Lo so, non volevo dargli la soddisfazione di avere ragione. È così irritante. Perché lo hai invitato?”.
Tiro su degli strani pipistrelli di carta. “Mi mette di buon umore”.
“A me no” soffia.
Le giro intorno. Il vestito turchese in stile giapponese le sta davvero bene ed uno dei più sobri che le abbia visto addosso. Inoltre, ha adornato la parrucca lilla sbiadito con delle forcine piene di fiori. È veramente molto bella.
“Strano” sussurro “Perché non hai smesso di fissarlo da quando si è allontanato”.
Si gira di scatto e ravana tra gli addobbi. “Solo perché mi fa venire il sangue acido” mormora velocemente “Cosa dobbiamo cercare?”.
Ignoro il suo repentino cambio di discorso e ci mettiamo a riempire il cestino. Quando con le decorazioni abbiamo finito, Lip salta fuori da un espositore stringendo due costumi.
Beh, chiamarli costumi è un parolone.
“Poliziotta sexy?” domanda “O infermiera sexy?”.
Assottiglio lo sguardo. “Con il tuo fisico, io opterei per infermiera sexy” lo scosto, camminando verso l’espositore dei costumi “Per me voglio qualcosa che non includa la parola sexy”.
Lip sembra ferito in modo personale. “Perché?”.
Pey gli toglie di mano i microabiti. “Perché sono un insulto al femminismo, ecco perché”.
Lui scuote la zazzera rossa. “Non sono d’accordo. Esaltano la figura femminile e ne riconosco l’importanza in ambiti in cui spesso è sottovalutata”.
Peyton e io alziamo gli occhi al cielo. “Non esiste che mi metta quella cosa, voglio qualcosa di originale”.
Peyton raccoglie un costume da pagliaccio. “Ho trovato quello adatto a te, O’Connor”.
Lui la fulmina. “Beh, a te non serve un costume, ti mascheri già tutto l’anno”.
“Ehi” lo rimbecco.
Peyton alza le spalle. “Tranquilla, non mi dà fastidio. Esprimere la mia creatività non mi mette a disagio e non mi fa vergognare. Il mio stile mi fa emergere in un agglomerato di adolescenti anonimi, non mi interessa se a lui non piace”.
Lip si corruccia. “Non ho mai detto che non mi piace”.
Una strana tensione aleggia tra i due, ma grazie al cielo il commesso decide che il momento giusto per controllare se ci serve aiuto.
“Avete bisogno ragazzi?” domanda educatamente. È alto, non quanto Lip, ma in ogni caso molto più di me. Ha i capelli neri tagliati corti, la pelle scura e due stupendi occhi marroni. Un velo di barbetta gli adorna un sorriso da capogiro. È bello, molto bello, ma mai quanto Aaron.
Sorrido, grata del suo tempismo. “Sì, stiamo cercando dei costumi per una festa e abbiamo qualche problemino”.
Il suo sguardo caldo mi percorre lentamente. “Avevate qualcosa in mente?”.
Indico un ridicolo vestito da diavolo. “Niente che sia composto solo da trenta centimetri di stoffa e un paio di corna”.
Ride arricciando il naso. “Allora siete nella corsia sbagliata, vieni”. Mi posa una mano sulla schiena e mi guida lungo il negozio. “Da questa parte ci sono i costumi migliori. Dove eravate teniamo quelli che di solito vengono usati agli addii al celibato o festini simili”.
Non mi sorprende che Lip si sia fermato proprio lì. “Grazie dell’aiuto…”.
Mi porge la mano. “Tobias”.
Ha le nocche sbucciate e arrossate, ma la pelle è calda al tatto. “Julianne”.
Si mordicchia il labbro. “Sì, so chi sei. Andiamo nella stessa scuola”.
Ecco, ora sono a disagio. “Davvero?”.
Un certo rossore gli adorna le guance. “Facciamo studi sociali insieme”.
Che figura di merda. Cerco di celare l’imbarazzo con una risatina e un’alzata di spalle. “Non sono bravissima a ricordami le facce o i nomi”. La verità è che durante studi sociali di solito mi concentro su Aaron e il resto scompare totalmente.
Lui sorride di nuovo, toccandomi il braccio. “Tranquilla, ho notato che di solito passi il tempo con i tipi del lacrosse”.
Lip e Peyton hanno finalmente smesso di bisticciare e ci hanno seguito. Lip fa un cenno con il mento verso Tobias. “Guerrero”.
Lui ricambia il gesto. “O’Connor”. Fa un sorriso alla mia amica. “Ciao, Peyton”.
Lei ricambia. “Ehi”. 
A quanto pare ero l’unica che non lo conosceva. Ottimo.
Lip fissa Tobias con circospezione e fastidio. Dopo una lunga occhiata, che io definirei di ghiaccio, fa un passo in avanti e mi appoggia un braccio enorme sulle spalle. “Grazie dell’aiuto, Guerrero, penso che ce la possiamo cavare da soli, da qui”.
Tobias annuisce, comprensivo. “Di nulla, ci vediamo a scuola”. Si allontana silenziosamente e senza il bel sorriso di prima ad abbellirgli il viso.
Quando è lontano, mollo una gomitata nelle costole di Lip. “Si può sapere perché mi hai fatto la pipì intorno come un cretino? Non ci stava provando, era solo gentile”.
“Ci stava provando eccome” si giustifica “In assenza di Aaron, è mio compito difendere il suo territorio”. Sgrana gli occhi e lancia un’occhiata verso Peyton. “Voglio dire…io…non”.
Lei alza gli occhi al cielo. “Rilassati, carotino, so tutto”.
Mi guarda come se fossi fuori di testa. “Glielo hai detto?”.
Peyton fa un verso di scherno. “Non mi ha dovuto dire un bel nulla, ho capito tutto da sola. Io sono intelligente”.
La guarda di sbieco. “Di solito le persone che sottolineano di essere intelligenti, non lo sono poi così tanto”.
Mi infilo in mezzo. “Non ricominciate” brontolo “Cerchiamo questi maledetti costumi e andiamo. Devo andare al lavoro”.
 
Una volta che abbiamo riempito due cestini di cianfrusaglie e recuperato i costumi meno volgari e scontati, mi appresto alla cassa. Tobias mi lancia un’occhiata alle spalle. “Il tuo ragazzo è sempre così minaccioso con chiunque ti parli?”.
Seguo confusa il suo sguardo. Lip e Peyton stanno di nuovo discutendo, questa volta riguardo a chi dei due dovrebbe guidare al ritorno. Si litigano le chiavi come due bambini, quindi immagino che toccherà a me guidare. “Lip non è il mio ragazzo, è solo un amico molto protettivo” metto in chiaro. 
“Sembrava volesse stendermi poco fa” asserisce, battendo i nostri acquisti “Gioco a hockey e me la vedo con un sacco di tipi enormi, ma O’Connor mi fa un po’ paura”.
L’hockey spiega le nocche arrossate e le spalle ampie. “So che può sembrare uno yeti un po’ burbero ma in realtà è un pacioccone”. Lip è una montagna di muscoli e testosterone, ma dietro a tutta quella spavalderia c’è un cuore buono e un animo gentile, basta chiedere alla signora Hollis.
“Se lo dici tu”. Sembra ancora un po’ incerto. “Sono quarantacinque dollari e settanta”.
Tiro fuori il portafoglio e gli passo i soldi. “In ogni caso, scusalo. Era in bagno quando distribuivano il buon senso”.
Ridacchia. “Tutto a posto, tranquilla”.
Non so da dove mi esce ma quando mi passa in sacchetti non posso evitare di chiederglielo. “Hai da fare sabato sera?”. Alza le sopracciglia sorpreso, facendomi realizzare che posta così sembra che gli sto chiedendo di uscire. “Intendevo dire che sabato do una festa per Halloween”.
Annuisce. “Sì, l’ho sentito dire”.
“Potresti fare un salto, se ti va” indico i miei amici con un pollice “Così potresti renderti conto che Lip non è poi così minaccioso e che siamo molto simpatici”.
Il suo sguardo caldo mi scandaglia da cima a piedi. Non so cosa sta tentando di scovare, forse sta solo cercando di capire quali sono le mie intenzioni. Spero abbia capito che è un invito del tutto amichevole.
Si mordicchia il labbro. “Posso portare qualcuno?”.
“Certo”.
“Allora ci vediamo sabato, Julianne” annuncia.
 
 
 
Fisso la ricrescita bionda con fastidio. Sono un paio di giorni che mi sono accorta che la mia testa sta lentamente cercando di tornare bionda, e io proprio non posso permetterglielo.
Lancio un’occhiata scettica alle istruzioni della tinta color cioccolato. Ho già il presentimento che combinerò un disastro, non me la sono mai fatta da sola. Immagino che tra un paio d’ore mi ritroverò, irrimediabilmente, con la faccia macchiata.
“Hai bisogno di aiuto, sorellina?”.
La voce dolce e cauta di Henry mi fa irrigidire la schiena. Gli lancio un’occhiata attraverso lo specchio e il rimorso che gli vedo dipinto sul volto mi fa innervosire. “No, posso farcela benissimo da sola”.
Fa un passo incerto in bagno. “Strano. A me risulta che quando facciamo le cose insieme vengono molto meglio” si alza la manica mostrandomi il tatuaggio che abbiamo fatto insieme “Due pezzi che si incastrano e si completano, ricordi?”.
Apro la scatola, tenendo gli occhi bassi. “No, non ricordo affatto” uso il tono più freddo e distaccato possibile “In realtà, non ho la più pallida idea di chi tu sia”.
Sospira mestamente. “Io invece so chi sei, sono diciassette anni e nove mesi che ti conosco. Mi hai insegnato ad andare in bicicletta. Ti sei rotta il pollice dando un pugno in faccia al vicino, quando mi ha spinto e insultato. Mi hai dato la tua lucina per la notte, quando la mia ha smesso di funzionare, anche se avevi una paura assurda del buio. So che fingi di non essere brillante a scuola perché vuoi che io sia il migliore. Cerchi sempre di aiutarmi e di proteggermi e, per quanto ti possa sembrare assurdo, io stavo cercando di fare lo stesso, Jules”.
La rabbia, che negli scorsi giorni mi era sembrata così cocente e insormontabile, si scioglie lentamente sotto lo sguardo dispiaciuto del mio fratellino. So che non voleva mentirmi per farmi del male, ma che lo ha fatto solo perché voleva evitarmi una delusione. Henry è l’unica persona al mondo di cui mi sono sempre fidata e di cui mi fiderò sempre, non importa quello che succederà. So che mi ha fatta imbestialire, ma voglio davvero cacciarlo dalla mia vita perché mamma e papà si comportano come dei bambini? La risposta è, e sarà sempre, no.
Cerco di ostentare un’espressione neutrale. “Se decidessi di perdonarti, cosa ne guadagnerei?”.
Stringe le labbra per non sorridere. “Che ne diresti di un dolcetto ripieno di cioccolato, che ho rubato in cucina e una tinta da sogno?”.
Mi picchietto sul mento per valutare la sua offerta. “Come inizio può andare, sì”.
Prima che me ne renda conto, lui separa la distanza che ci separa e mi stritola a sé. “Mi sei mancata tantissimo, sono stati i sei giorni più lunghi della mia vita. Non mi hai tenuto il muso per così tanto nemmeno quando ti soffiato Liam Graham, in prima superiore”.
È stata una tortura sia per me che per lui. Sorrido contro la sua spalla. “Liam era proprio bellissimo”.
“E baciava da Dio” mormora.
Mi scosto per guardarlo in faccia. “Che sia l’ultima bugia che mi dici in tutta la tua vita, okay?”.
Annuisce con enfasi. “Assolutamente”.
“Bravo” sospiro “Ora fammi tornare scura e dammi il mio dolcetto”.
Henry ride e mi fa sedere sul bordo della vasca. “Sì, sorellina”.
 
Mentre mi spennella la testa con attenzione, io gli faccio il resoconto dell’ultima settimana e amoreggio con un muffin ripieno.
“Quindi hai deciso che vai con loro in campeggio tra le capre? Non hai trovato una scusa decente per scappare?” domando.
Lui scuote la testa. “Vorrei cercare di costruire un rapporto con Jim e di riguadagnarmi la sua stima, e se questo significa pregare tra i montoni e la salsola, che così sia” abbassa il tono “Poi ho pensato di lasciare a te e Aaron un weekend di totale solitudine e amoreggiamenti”.
Piego la testa indietro per guardarlo con amore. “Sei il miglior fratello del mondo”.
Fa schioccare la lingua. “Ricordatelo la prossima volta che ti faccio arrabbiare. Mi cucco zecche e preghiere nel deserto per te”.
“Lo apprezzo molto, Hen” gongolo. Un fine settimana da soli sembra quasi un sogno, eppure da domani pomeriggio saremo ufficialmente soli per la bellezza di quarantotto ore. Voglio battezzare ogni superficie della casa. 
Prima che possa esprimere i miei pensieri osceni, Liv sbuca dalla porta. “Cosa fate?”.
Henry muove le dita fasciate dai guanti e sporche di tinta. “Jules cerca di nascondere al mondo il fatto di essere una bionda naturale e ne rinnega i poteri”.
Liv ridacchia. “Anch’io voglio i superpoteri, tingi anche me”.
La scruto mentre si avvicina. “Con quegli occhi azzurri, bionda starebbe da Dio”.
Henry mi guarda male. “Non abbiamo il permesso di farle la tinta”.
Un’idea strana mi solletica il cervello. Mi alzo, stringendo l’asciugamano sulle spalle, e apro l’armadietto del bagno. Raccolgo due tubetti. “Che dici Liv, blu o verde?”.
Lei spalanca gli occhioni, estasiata. “Blu!”.
Henry scuote la testa con disappunto. “Suo padre ti spara, Jules”.
Gli mostro il tubetto. “È la tinta che sparisce dopo un paio di lavaggi, non se ne accorgerà nemmeno”.
Con cura faccio sedere Liv a terra e le coloro le punte dei capelli. Quando siamo entrambe pronte, ci sciacquiamo i capelli e li asciughiamo. Una volta in piega, i capelli di Liv sono un po’ più scuri di quanto mi aspettassi.
“Come sto?” domanda specchiandosi con cura.
“Sei bellissima” affermo.
Lei mi guarda sorridendo. “Pure tu, anche senza i poteri biondi”.
“Grazie, Livvie”.
Salta giù dal lavandino e corre verso la porta. “Vado a farmi vedere da papino”.
Henry sospira. “Speriamo non gli venga un colpo, rovinerebbe il tuo week-end”.
Mi rigiro la tinta di Liv tra le mani. “Speriamo invece che sia quella che sparisce dopo qualche lavaggio…”.
Lo sgrana gli occhi. “Prego?”.
Alzo le spalle con innocenza. “Non mi ricordo dove l’ho comprata e nemmeno quando, alcuni giorni degli ultimi anni sono ancora un po’ nebbiosi”.
“Oh, Dio” geme.
“Credi che si arrabbierà molto perché gli ho tinto la figlia?” domando.
Il ruggito prorompente e assordante di Jim scuote la casa. “Julianne!”.
Ad Henry scappa una risata. “Nooo”. 
Alzo le spalle fingendo dispiacere. “Ops”.
 
 
“Le chiavi di scorta sono nascoste nel nano da giardino vicino alla gardenia, i numeri di emergenza sono sul frigo e se succede qualcosa chiedete aiuto alla signora Stanford, infondo alla via” mormora Jim tirando il trolley verso la porta “La cassetta del pronto soccorso è sotto il lavello del bagno, mentre…”
“Papà”. Aaron gli posa una mano sulla spalla. “Non siamo due lattanti, sappiamo cavarcela”.
Lo sguardo di Jim si posa su di me. So che la sua preoccupazione non è dovuta al figlio,
ma a me e al mio passato da galeotta.
“Andrà tutto benissimo, promesso” gli assicuro. Non gli ho assicurato che faremo i bravi bambini, quindi tecnicamente non è una bugia.
Jim sospira, come se lasciarci da soli fosse lo sbaglio più grosso della sua vita. “Va bene. Mi raccomando, se succede qualsiasi cosa avvisatemi”.
Aaron spinge e il padre e le valige verso l’ingresso. “Sì, papà”.
Mamma mi affianca e mi porge un post-it lilla. “Qui c’è il numero della dottoressa Dawson, se ne dovessi avere bisogno”.
Non penso proprio che lo userò, ma per farla stare tranquilla lo prendo. “Okay, grazie”.
Mamma sorride e prende la sua borsa. “Divertitevi”.
Jim raccoglie la valigia di Liv e la sua rana di peluche. “Ma non troppo”. Mi lancia un’occhiata un po’ storta e sono sicura sia dovuta al nuovo look di sua figlia.
Cole e Liv abbracciano Aaron e insieme ad Andy zampettano fuori. Henry mi stringe a sé, abbassando la testa vicino al mio orecchio. “Quando torno voglio tutti i dettagli più scabrosi” sussurra.
“Assolutamente” bisbiglio.
Dopo quello che sembra un secolo, l’allegra combriccola monta in macchina e finalmente sparisce oltre la curva. Per qualche minuto fissiamo entrambi la via, aspettandoci un’inversione a U e che il nostro piano vada in fumo, ma la monovolume sembra essersi volatilizzata.
“Siamo soli?” esalo con ancora la tenda in mano.
“Aspetterei ancora un pochino prima di gridare vittoria” afferma Aaron al mio fianco “Rimanderei la corsa senza vestiti a quando avremo la conferma che sono arrivati”.
Mi giro e gli stringo le braccia intorno al bacino. “È questo che include il tuo programma? Una corsa come mamma ti ha fatto?”.
Mi accarezza le guance, appoggiando la fronte contro la mia. “Perché il tuo no? Dobbiamo sincronizzare le agende, tesoro. Ho un sacco di idee per queste quarantotto ore di pura spensieratezza”.
Mi bacia piano, tenendomi il viso tra le mani, come se avesse paura che scomparissi. Come se quest’attimo potesse durare per sempre e al contempo non abbastanza.
“È la prima volta che mi baci in salotto” esalo tra le sue labbra.
Apre lentamente le palpebre. “Ci sono un sacco di stanze che dobbiamo ancora rendere nostre”. Mi solleva senza il minimo sforzo. “Da quale vuoi cominciare?”.
Gli allaccio le gambe intorno ai fianchi. “Cucina”. Non so perché, ma l’idea di amoreggiare con lui tra le sacre pentole di mamma rende la cosa ancora più eccitante.
Mi deposita con delicatezza sull’isola di marmo e si riappropria delle mie labbra. Le sue mani mi scivolano sotto la maglietta e lungo le costole. Esplorano, sfiorano e accarezzano, mandandomi a fuoco la pelle. È come se ogni cellula del mio corpo si incendiasse sotto il suo tocco.
“Ci siamo già baciati qui” mormora tra un bacio e l’altro “Ti ricordi?”.
“Tecnicamente, io ho baciato te” sorrido.
Mi lambisce il collo con la bocca. “Quindi, alla fine, è colpa tua”.
Sospiro mentre mi mordicchia la spalla. “Colpa mia?”.
Mi stringe, facendo aderire ancora di più i nostri corpi. “Mi hai attirato nella tua tela e mi hai intossicato”.
Piego la testa per guardarlo in faccia. “Come una vedova nera?”.
Ha gli occhi dello stesso colore di un prato appena tagliato. “Non mi sto lamentando, Jay. Lo rifarei un altro milione di volte”.
Il calore che mi scorreva sottopelle non è nulla in confronto a quello che mi si sprigiona in mezzo al petto. “Pro e contro?”.
Mi sposta una ciocca scura dietro l’orecchio. “In ogni caso, anche se i contro dovessero quadruplicarsi”.
Non dovrebbe essere possibile volere una persona così intensamente. È pericoloso e potenzialmente una catastrofe, ma diavolo se non mi importa. Vorrei avere il coraggio di dirglielo, di spiegargli che il cuore mi batte a mille proprio come il suo. Vorrei avere il modo giusto per spiegare quello che provo, ma purtroppo a parole sono negata. Posso solo baciarlo con tutto quello che mi frulla dentro e sperare che sia abbastanza.
La vibrazione tenta di lanciare il mio cellulare giù dal bancone. Lo afferro prima che vada in mille pezzi. “Potrebbe essere Henry, gli ho chiesto di avvisarci nel caso dovessero tornare prima”. Aaron non si allontana di un millimetro, si limita a mettersi più comodo per sbirciare il messaggio. 
Abbasso lo sguardo verso lo schermo. “È Chas. Devo andare a farle vedere i costumi per sabato” sospiro.
“Hai preso anche il mio?” chiede, sistemandomi la maglietta lungo la pancia.
Annuisco scivolando via dalle sue braccia. “Dopo te lo faccio vedere”. Prendo il sacchetto con dentro i costumi e mi avvio verso la porta. “Torno tra poco”.
Sorride dolcemente. “Ti aspetto qui”. 
 
 
“Mi prendi in giro?”. Chastity mi squadra come se mi fosse spuntato un corno irsuto in mezzo agli occhi. “È uno scherzo?”.
Mi infilo le mani in tasca, per non gesticolare con rabbia. “Non è uno scherzo” proferisco piano.
Lei afferra la gruccia di metallo con aria nauseata. “Allora ti sei rimbecillita se credi che mi metterò questo scempio. Non mi vesto da cameriera per nessuna ragione al mondo, nemmeno per Halloween”.
Stringo i denti finché non mi fa male la mascella. “Non è un costume da cameriera, è il costume di Magenta”.
“Non mi interessa come si chiama la donna delle pulizie, io non lo metto” ribatte con astio.
Sospiro mestamente. “Magenta è la domestica che presta servizio a Frank -N- Furter nel film The Rocky Horror Picture Show. Non l’hai mai visto?”.
Si passa le mani tra i capelli. “Io non sono come te, non passo la mia vita a guardarmi film da sola nella mia camera, come una perdente”.
Ahi. Assesto il colpo facendo un passo indietro. “Grazie, Chastity”.
Mi ignora e raccoglie l’altro costume. “E questo cosa dovrebbe essere? Un clown?”.
“È il costume da Columbia, fa sempre parte del film…” mormoro lentamente.
Chastity lo butta a terra come se fosse radioattivo. “Stai cercando di sabotare il mio lavoro? Mandi al diavolo tutta la fatica che ho fatto per metterti in lizza per il posto di presidente del corpo studentesco? Per cosa? Per vestirti come una sfigata?”.
“Cosa? Io non capisco cosa…”.
Mi punta un dito contro. “È questo il tuo problema, Julianne, tu non capisci mai niente. Te ne freghi di tutto e di tutti…”.
“Ma di che diavolo stai parlando?” sbotto.
“Sei andata a prendere i costumi senza di me e hai fatto un casino!” sbraita “Hai preferito i tuoi amici scemi…”.
Le afferro la mano. “Smettila. Puoi insultarmi, ma non tirare in mezzo gli altri”.
Scivola via dalla mia presa e comincia a muoversi convulsamente. “Hai preferito loro a me! Tutti preferiscono chiunque altro a me!”.
“Chastity…” pigolo.
Le tremano le mani e gli occhi di solito luminosi sembrano opachi e spenti. Ha i vestiti sgualciti e i capelli in disordine. La camera è nello stesso stato dell’ultima volta che l’ho vista. Ha un occhio poco allenato sembrerebbe quasi in ordine, ma io riconosco il caos mentale quando lo vedo. Lei sembra ancora nel bel mezzo di una crisi.
“Ehi” mormoro sommessamente “Avanti, sediamoci e parliamo un po’. Magari possiamo…”.
“Non mi dire cosa fare!” strepita “Non seguo gli ordini di nessuno!”.
“Chas”.
“Vattene” borbotta dando un calcio ai vestiti “E portati via questo schifo!”.
La mia pazienza si è esaurita circa cinque minuti fa. È durata più di quanto mi aspettassi. Stavo cercando di essere gentile, ma a quanto pare a lei non frega niente. “Arrangiati allora”. Raccolgo i miei stracci e mi allontano dall’uragano Chastity il più velocemente possibile.
Rientro in casa inciampando e proferendo esclamazioni colorite. Lancio i vestiti sull’attaccapanni e, quando mi giro, la rabbia si dissolve in una bolla di sapone. Aaron mi osserva dai fornelli, con un grembiulino pesca molto virile legato ai fianchi e un capello da chef calato in testa.
“È successo qualcosa?” domanda.
Lo fisso qualche secondo, indecisa se fargli una foto o se mettermi a ridere. Opto per entrambe. Sfilo il cellulare dalla tasca e gli faccio una foto. “Ma come sei vestito?” domando ridendo. “Sto cucinando, ovviamente” gongola indicando il suo lavoro con la mano “Lo chef questa sera propone: hamburger di ceci, sformatino di zucchine e dolce a sorpresa”.
La cucina ha un odore buonissimo. “Non pensavo sapessi davvero cucinare”.
Si appoggia una mano sul petto. “Sono husband-material, tesoro”.
Ridacchio. “Se lo dici tu”.
Si abbassa per controllare il forno con aria critica. “Hai dato il costume a Chastity?”.
Mi avvicino ai fornelli. “Non puoi capire che cavolo è successo” sospiro “In realtà, non l’ho capito nemmeno io”.
Mi guarda spaesato. “Ne vuoi parlare?”.
Scuoto la testa. “Dopo. Ora sento il bisogno primordiale di baciare il cuoco”.
Chef” precisa, sorridendo malizioso “È il potere del cappello” mi stringe i fianchi “Ne sarai presto succube, non provare a lottare”.
“Non ne avevo intenzione” mormoro, alzandomi sulle punte per baciare lo chef più bello del mondo.
 
 
“E ha buttato i costumi a terra?”. La luce della candela illumina fioca la stanza, mentre Aaron mi imbocca un pezzo di soufflé al cioccolato. Il dessert a sorpresa è la ciliegina sulla perfetta cena che ha preparato. È davvero bravo, non me lo aspettavo. Mi ricordavo mi avesse detto di aver frequentato economia domestica, ma non pensavo fosse così portato.
“Sì e li ha chiamati schifo” brontolo, gustandomi il cioccolato fuso.
Prende una forchettata per sé. “Non è molto carino”.
La sua mano mi accarezza lentamente la gamba. Siamo così vicini che a questo punto basterebbe una sedia per entrambi. “Non la capisco. Non siamo andate insieme perché era triste e non le andava di uscire, non perché io non volessi andare con lei”.
Mi porge un’altra forchettata. “Non è colpa sua, Jay”.
Mastico con gusto. “E di chi? Mi sto perdendo qualcosa?”.
Si pulisce un angolo della bocca con la mano, facendo vacillare la mia concentrazione. “Non conosco i dettagli o il nome esatto, ma so che lei ha un qualche tipo di disturbo. La psicologa della scuola le ha fatto la diagnosi l’anno scorso, dopo un crollo e le ha dato una terapia. Non credo però che i suoi genitori gliela abbiano fatta seguire, sai come sono”.
Ora tutto acquista un senso. La depressione, gli scoppi d’ira e il suo comportamento impulsivo sono tutti figli di un mostro che conosco bene. “Oh, cavolo. Dovevo intuirlo”.
Mi passa altro soufflé. “Non potevi saperlo. Lei non ama spiattellare i fatti suoi e i suoi genitori adorano fingere che non esista niente di diverso dalla perfezione, quindi Chastity è abituata a fare finta che sia tutto a posto”.
Avrei dovuto capirlo in ogni caso, non è la prima volta che me lo trovo davanti. “Domani provo a parlarle, magari posso aiutarla”.
“È un’ottima idea” concorda.
Finito il dolce e sistemata la cucina, ci traferiamo sul divano. Porto i costumi in salotto e glieli mostro. “Il tuo è questo qui. Sei Riff Raff”.
Mi guarda spaesato. “Chi?”.
Sbuffo. “Oh, mio Dio. Cosa c’è che non va in questa generazione? Nessuno guarda i bei film?”.
Alza le spalle con aria innocente. “Sai che non sono un cinofilo”.
“Cinefilo” ridacchio.
“Sì, quello lì. Ci sei tu a istruirmi” asserisce “Sono super sicuro che hai il film e che ora vorrai farmelo vedere, vero?”.
Stropiccio il mio costume da Magenta. “Sono così prevedibile?”.
Fa un sorrisino. “Non sarò un cinefilo ma sono assolutamente un Juliannefilo”.
Gli bacio la punta del naso. “Di sicuro sei strano forte”.
Raggiungo la mia stanza, recupero il film e torno di sotto.
“Quindi chi è questo Ruff Ruff?” domanda rigirandosi il costume tra le mani.
Riff Raff. È l'inquietante, gobbo, tenebroso servitore di Frank -N- Furter” spiego “Io sarei Magenta, la cameriera. Chas potrebbe essere Columbia e Lip è Frank -N- Furter”.
Mi guarda sorpreso. “Lip vuole fare il travestito?”.
Gli mostro i costumi indossati da delle persone attraverso il cellulare. “Ha detto che è così sexy e mascolino che non importa cosa indossa, resta un Dio in ogni caso” alzo le spalle “Non ho voluto commentare e nemmeno ribattere”.
Indica lo schermo. “Ho la pelata?”.
“Già” sospiro “Caspico se non vuoi indossarlo. Magari domani mattina possiamo andare a cercarne altri”.
Scuote la testa con decisione. “Se Lip indossa le autoreggenti, io voglio la pelata. Sarà divertentissimo”.
Ridacchio. “Va bene”.
Scorre le foto per vedere gli altri personaggi. “Riff Raff e Magenta stanno tipo insieme?”.
Mi gratto la fronte con il pollice. “Sono fratello e sorella” pigolo.
Aaron contrae il viso, schifato. “Ora sì che fa paura”.
“Lo so” mugolo “Non potevo prendere un costume di coppia, la gente avrebbe fatto supposizioni e domande. Siamo in quattro e tutti legati, diamo meno nell’occhio”.
Annuisce. “Capisco”.
“E alla fine è un po’ come nella realtà” spiego “Interpretiamo solo delle parti”.
Stringe le labbra, acconsentendo. “Lo so, Jay. Speravo solo fosse tutto un po’ meno complicato”.
Non ha idea di quanto lo vorrei. “È complicato se lo rendiamo tale”. Intreccio le dita con le sue. “Ora come ora, siamo solo due ragazzi qualsiasi che guardano un film, sgranocchiando popcorn”.
Mi guarda di sbieco. “È un modo sottile per chiedermi di fare i popcorn?”.
Sorrido dolcemente. “Forse”.
Si alza scuotendo la testa con disapprovazione, ma non riesce a non sorridere. “Sarà un disastro quando vivremo insieme, finiremo in bancarotta solo per colpa dei dolci. Cosa ci vuoi sopra?”.
La prima parte della frase mi lascia spaesata. “C-cioccolato” asserisco.
Si avvia verso la cucina. “Naturalmente, non so nemmeno perché l’ho chiesto”.
Quando vivremo insieme? Non lo pensa davvero. Non può pensarlo. Questa situazione non ha un vero futuro, alla fine dell’estate andremo al college e molto probabilmente mia madre e Jim si sposeranno. Non c’è un domani assicurato per noi due e non credo ci sarà mai. Pensavo lo avesse capito ormai.
Il messaggio di Chastity mi riscuote. Mi dispiace tanto.  
Fisso la notifica senza sapere cosa fare. Dovrei perdonarla? Dovrei chiederle spiegazioni? Dovrei ignorarla?
“Chastity mi ha scritto che le dispiace” asserisco alzandomi ed entrando in cucina. “Che dovrei fare?”.
Aaron scuote il sacchetto dei popcorn nella ciotola di plastica. “Dille che la perdoni. Dille che è tutto okay”.
“Dovrei?”.
Butta il sacchetto vuoto nel cestino. “Cosa ti blocca?”.
Lo osservo mettere una barretta di cioccolato in un pentolino e accendere il fornello. “Non lo so”.
“Jay…” mi esorta.
“È un altro problema, un'altra cosa da aggiungere alla lista delle preoccupazioni” sospiro “Sono uscita con persone come Chastity e molto spesso mi ha portato solo guai”.
Gira il cioccolato con un cucchiaio di legno. “È tua amica?”.
Lo è? Beh, mi ha sempre coperto le spalle ed è stata sempre leale. E, in fin dei conti, mi piace stare con lei. Voglio davvero scaricarla perché non è tutto sempre rose e fiori? Non esiste. “Sì, lo è”.
“Allora sai cosa fare” afferma.
Non ho idea di come faccia ad avere sempre la risposta giusta o come faccia a sapere sempre quale sia la cosa migliore da fare.  
J: Dispiace anche a me.
La sua risposta non tarda ad arrivare. C: Ti va di venire qui? Mi sento tanto sola.
Aaron versa il cioccolato sui popcorn. “Dovresti andare” mormora dopo che gli ho letto il messaggio.
“E la nostra serata?” mugolo. Non voglio mollarlo per correre a coccolare Chastity, questo mi rende una brutta persona?
“Sta male e ha bisogno di qualcuno che le dica che è tutto a posto e che non è sola” sospira “Ha bisogno di te”.
Perché deve essere sempre così perfetto? “Non voglio lasciarti qui” brontolo “Abbiamo dei piani”.
“Allora dille di venire a vedere il film con noi” propone.
“Non potremmo essere noi stessi se lei è qui” gli ricordo.
Mi sfiora la guancia. “Lo so, ma è solo per un paio d’ore. Finito il film, lei torna in casa sua e noi riprendiamo da dove abbiamo lasciato”.
So che è la cosa giusta da fare, questo però non significa che sia quella che mi rende più felice. Se Aaron non mi avesse convinto, non so se le avrei detto di venire. Lui è veramente una persona straordinaria, mentre io sono un mostro egoista. “Sei meraviglioso” esalo facendo dondolare il telefono.
Mi passa un popcorn avvolto nel cacao. “Lo so, tesoro”.
 
 
Alla fine, mi ritrovo seduta tra Aaron e Chastity, con la ciotola di popcorn in mano e una coperta ricamata sulle gambe. Lui mi accarezza la coscia sotto il plaid, mentre Chas spilucca qualche popcorn con aria distrutta. Ha il viso arrossato e il naso screpolato. Ha l’aspetto di chi ha pianto per ore e poi ha cercato di cancellare i segni stropicciandosi la faccia. Ho fatto bene a farla venire, Aaron aveva ragione, ha bisogno di qualcuno che le dica che è tutto okay.
Sistemo le impostazioni del film con il telecomando e poi lo mollo sul tavolino. Il codino alla fine della treccia di Chastity le è scivolato sulla spalla. Mi allungo per aggiustarle l’intreccio e per legarle bene insieme le ciocche d’orate. I suoi occhi ombrosi si scontrano con i miei e due oscurità parallele sbirciano l’una nell’altra. Riconosco i segni di chi sta lottando con ferocia contro sé stesso, perciò, dopo averle lasciato i capelli, le sfioro la guancia con la mano. Un gesto alquanto insolito per me, ma che in qualche modo la fa rilassare contro il divano e le fa appoggiare la testa sulla mia spalla. Con la coda dell’occhio, vedo Aaron sorridere e sento la sua mano stringermi dolcemente la gamba. Perciò, mi accucciolo contro di lui e stringo la mano alla mia amica, sperando che questo basti a darle conforto.


Più o meno a metà film, Chastity si raggomitola contro il bracciolo del divano e crolla tra le braccia di Morfeo. Sembra assolutamente devastata, perciò la lasciamo riposare.
Quando i titoli di coda ci scorrono davanti, mi giro lentamente verso Aaron.
“Che facciamo? La svegliamo?” chiedo.
Lui scuote la testa. “Forse è la prima volta in diversi giorni che dorme profondamente, lasciala restare qui”.
“E noi che facciamo?” bisbiglio spegnendo il televisore.
“Andiamo a dormire?” ribatte.
“Non possiamo” spiego “Se si dovesse svegliare nel cuore della notte e venisse in camera mia, ti troverebbe nel mio letto. Come glielo spiegheremmo?”.
Soppesa la mia affermazione con cura, poi si allunga e recupera due coperta dalla poltrona. “Mettigliene una addosso”.
Faccio come ha detto ma non posso non protestare. “Vuoi dormire qui? Sei impazzito?”.
Ci copre con un’altra coperta. “L’unico modo che abbiamo di dormire insieme è fingere di essere crollati tutti sul divano”.
“Quando si sveglierà ci troverà abbarbicati, tu non sai stare nel tuo spazio” affermo.
“Senti chi parla” borbotta mettendosi comodo “Daremo la colpa al sonno. Le diremo che ci siamo mossi senza pensare mentre dormivamo, tutto qui”.
“Non lo so…”.
Mi tira verso il suo petto. “Non possiamo avere sempre paura, Jay”.
Non sono molto d’accordo. La paura ti rende vigile e ti tiene in vita, non bisogna denigrarla.
Con ancora qualche rimostranza, mi sdraio contro il suo torace. Non mi sembra un buon piano, ma l’idea di dormire da sola mi sembra cento volte peggio.     


 
Rotolo lentamente su un fianco, presumibilmente alla ricerca di Aaron, ma l’unica cosa che trovo è la distanza che mi separa dal pavimento. L’impatto con il tappeto ispido mi fa aprire gli occhi di scatto. Mi ritrovo stesa tra il divano e il tavolino, insalamata nelle coperte come un burrito. Mugolo di disappunto contro la gravità e contro la luce accecante che mi inonda la faccia.
“E poi ero io quello che non sapeva stare nei suoi spazi, eh?”.
Quanto vorrei avere qualcosa da lanciarli in faccia. “Dov’è Chas?”.
“È andata via mezz’ora fa, mi ha chiesto di ringraziarti e di dirti che russi come un trattore” afferma.
Lentamente mi metto a sedere. “Io non russo”.
Sorride, rendendo sempre più difficile trovarlo fastidioso. “Russi e sbavi pure”. Sfilo le braccia dalle coperte, afferro un cuscino e glielo tiro. Il lancio è così scarso che la mia arma rimbalza debolmente sul divano. “E tiri proprio come una ragazza”.
Gli faccio una pernacchia. “Sei antipatico”.
“È tu sei proprio un raggio di sole la mattina” ridacchia “Vieni, la colazione è pronta”.
Mi alzo come un’antilope appena nata. “Hai preparato la colazione?” sospiro estasiata.
“Basta così poco per farti cambiare umore? Del cibo?” domanda.
“Dipende” mormoro “Include del cioccolato?”.
Annuisce chiudendo gli occhi. “E una cascata di caffè”.
Mugolo. “Sembra il paradiso”.
Appoggia un braccio sulle mie spalle. “Mi stavo domandando una cosa, ora che ci penso”.
Mi godo il contatto con il suo corpo caldo. “Cioè?”.
“Cosa succederebbe se mi trovassi in una vasca di caffè, spalmato di cioccolato dalla testa ai piedi?”.
Inchiodo, bloccando anche lui. “Annulliamo subito la festa, ho cambiato idea su quello che voglio fare”.
Aaron ride, baciandomi la testa. “Un giorno, baby. Un giorno”.
 
 

“Te lo chiedo per favore” mugugna Aaron, tirandomi il calzino “Solo una canzone, una qualsiasi. Ti prego”.
Appoggio i contenitori vuoti del cibo cinese sul pavimento. “Non ne concepisco la necessità”.
Toglie un chicco di riso dal mio copriletto viola. “Sarebbe una cosa carina che faresti per me”.
Alzo le spalle e i capelli umidi mi scivolano lungo la schiena. “Non mi sembra un buon motivo”.
Mi afferra entrambe le caviglie e mi tira contro di lui. “Sei proprio antipatica oggi”.
Mi siedo sul suo bacino e giocherello con i laccetti della sua felpa. “Magari è correlato con l’aver dormito raggomitolata sul divano più scomodo del mondo, chissà”.
Apre la bocca, offeso. “Ma se hai dormito sopra di me, non lo hai nemmeno sfiorato il divano. Sono io che dovrei lamentarmi”.
In effetti, ho riposato come una bambina sdraiata sopra il corpo di Aaron, ma col cavolo che gliela do vinta. “Ti stai lagnando perché ti ho fatto da coperta umana?”.
Mi pizzica un fianco. “Le coperte non ti sbavano addosso, di solito”.
Sbuffo. “Io non sbavo, e non russo nemmeno”.
Sospira scuotendo la testa. “Va bene, cambiamo approccio”. Mi prende il mento tra l’indice e il pollice e china la testa per baciarmi. Lentamente e profondamente, così da far agitare ogni cellula del mio corpo.
“Così non vale” esalo.
Mi bacia la punta del naso. “Vale perché funziona”.
Gli accarezzo il mento ispido. “Okay, ma solo una canzone”.
Sorride, accecandomi. “Grazie”.
Rotolo via dalle sue braccia per recuperare il mio quaderno e la chitarra. Mi siedo tra i cuscini e sfoglio le pagine. Trovare qualcosa di non troppo personale e di non troppo pesante sembra un’impresa. Ci sono canzoni incise sulla carta che farebbero venire la pelle d’oca anche alla persona più temprata del mondo. Non voglio spaventarlo, ma soprattutto non voglio aprire porte che condurrebbero a discorsi scomodi che non voglio assolutamente affrontare.
Quando trovo quello che cerco, posiziono il diario difronte a me e imbraccio la chitarra.
“Sii magnanimo, okay?”.
Annuisce solennemente e si mette comodo.
Espiro lentamente, cercando di non perdere il controllo, e poi lascio che la musica faccia il resto.

Darling, I've just left the bar
And I've misplaced all my credit cards
My self-preservation and all of my reservations
Are sittin' and contemplating what to do with me, do with me
Think I took it way too far
And I'm stumblin' drunk, getting in a car
My insecurities are hurtin' me
Someone please come and flirt with me
I really need a mirror that'll come along and tell me that I'm fine
I do it every time
 
I keep on hanging on the line, ignoring every warning sign
Come on and make me feel alright again
 
'Cause it's 3 AM
And I'm callin' everybody that I know
And here we go again
While I'm runnin' through the numbers in my phone
And yeah, I'll take fake moans and dial tones
Let 'em spill right down the microphone
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone, end up alone
 
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone, end up alone
 
And every night, I wanna live in color through a white-blue screen
I got a technicolor vision going vivid in my white-blue jeans
I know it's complicated
'Cause everyone that I've dated says they hate it
'Cause they don't know what to do with me, do with me
Know that my identity's always getting the best of me
I'm the worst of my enemies
And I don't really know what to do with me
Yeah, I don't really know what to do with me
 
I keep on hanging on the line, ignoring every warning sign
Come on and make me feel alright again
 
'Cause it's 3 AM
And I'm callin' everybody that I know
And here we go again
While I'm runnin' through the numbers in my phone
And yeah, I'll take fake moans and dial tones
Let 'em spill right down the microphone
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone, end up alone
 
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone, end up alone
 
I'm reckless, treat it like a necklace
Take a different version and I try it on for size with everybody that I know
And will you please pick up the fucking phone?
 
'Cause it's 3 AM
And I'm callin' everybody that I know
And here we go again
While I'm runnin' through the numbers in my phone
And yeah, I'll take fake moans and dial tones
Let 'em spill right down the microphone
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone, end up alone
 
I need it digital 'cause, baby, when it's physical
I end up alone.
 
   
Riapro gli occhi solo quando l’ultima nota si è librata leggera in mezzo a noi. Aaron mi scruta dall’altro capo del letto, intento a cercare di non sorridere come un idiota. I suoi occhi verdi traboccano di così tante emozioni da spaventarmi. Appoggio la chitarra tra noi, cercando di creare una sorta barriera. “Com’era?” sibilo.
Si stropiccia il mento. “Jay…Wow”.
“Wow buono o Wow schifo?”.
Ride. “Wow fantastico. Non so come tu faccia a non rendertene conto ma sei assolutamente spettacolare. So perché non canti più in pubblico e lo capisco, ma posso assicurarti che potresti intonare le canzoni dell’asilo e il mondo impazzirebbe per te lo stesso. Sono sempre dell’idea che dovresti fare domanda alla Julliard, ucciderebbero per averti”.
Questa sua totale e incondizionata fiducia nelle mie capacità mi fa sentire vulnerabile. “Ci sto pensando, lo sai”.
Annuisce lentamente. “Lo so, sto solo dicendo che sei fenomenale e che credo da morire in te”.
Gli sorrido. “Anche tu dovresti fare domanda ad una scuola di musica, sul palco sei grandioso”.
Alza le spalle. “Non credo di avere quello serve, e poi dovrei scavalcare il cadavere di mio padre per poter fare della musica la mia vita”.
“Quando vinceremo il concorso tra band non potrà obbiettare in nessun modo” assicuro.
“A proposito del contest”. Si alza e sparisce in corridoio. Ritorna un minuto più tardi con un foglio tra le mani e un sorriso timido che non gli ho mai visto prima. “Ho buttato giù un testo che mi piacerebbe farti sentire”.
Annuisco sorpresa. “Certo”.
Prende la mia chitarra e si siede. “È ancora in lavorazione e non sono sicuro di aver rispettato…”.
“Aaron” i suoi occhi si piantano nei miei “Suona”.
Si morde il labbro inferiore. “Okay”.

When you’re talking to your girls
Do you talk about me?
Do you say that I’m a sweetheart?
Do you say that I’m a freak?
Do you tell them white lies?
Do you tell 'em the truth?
Do you tell 'em that you love me
The way I been lovin’ you?
 
'Cause every night you and I find ourselves
Kissing and touching like no one else
Falling and falling until I fell
For you
 
'Cause I been talking to my friends
The way you take away my breath
It’s something bigger than myself
It’s something I don’t understand, no, no
I know we’re young and people change
And we may never feel the same
So, baby, tell me what you say
When the girls, when the girls talk
When the girls talk boys
I can hear ‘em talking
Oh, when the girls
When the girls
When the girls talk
When the girls talk boys, hey
 
When you’re talking to your girls
Do you talk about me?
Do you tell I’m your lover?
That I’m all that you need?
Do you tell ‘em white lies?
Do you tell ‘em the truth?
(Do you tell 'em that you love me)
The way that I’ve been loving you?
 
'Cause every night you and I find ourselves
Kissing and touching like no one else
Falling and falling until I fell
For you
 
'Cause I been talking to my friends
The way you take away my breath
It’s something bigger than myself
It’s something I don’t understand, no, no
I know we’re young and people change
And we may never feel the same
So, baby, tell me what you say
When the girls, when the girls talk
When the girls talk boys
I can hear ‘em talking
Oh, when the girls, when the girls talk
When the girls talk boys
When the girls talk boys
Talk talk talk talk
Talk talk talk talk
When the girls talk boys
Talk talk talk talk (when the girls)
Talk talk talk talk, hey
 
Stringo il cuscino al petto con irruenza. Ho il bisogno fisiologico di frapporre qualcosa tra di noi, non importa se si tratta di piume o di un muro di cemento, ho solo bisogno che non mi veda tremare come una foglia.
Una goccia bollente mi piomba sulle braccia.
“Jay…” sospira.
Quando ho iniziato a piangere?
Perché sto piangendo?
“Non volevo farti stare male” afferma allungando la mano verso di me “So che non è un granché…”. Ruzzolo giù dal letto come se ne dipendesse la mia salute mentale, e al momento sembra che sia così. “Julianne”.
Come fanno le persone a farlo? Come snoccioli l’amore per qualcuno con tanta facilità, come se fosse facile come respirare? Io non so farlo, non so spiegare tutto quello che mi ribolle sottopelle. Non so come dirgli che per me è lo stesso. E se non ne sarò mai capace? Aspetterà? Perché deve essere tutto così complicato nella mia testa?
Aaron mi segue mentre esco in corridoio. “Jay, non volevo…”.
Sbatto contro un torace solido. Lip mi afferra gli avanbracci. “Dolcezza, va tutto bene? Perché piangi?”.
Mi scrollo la sua apprensione di dosso. “Tutto okay” gracchio “Devo sistemare una cosa, ci vediamo in garage tra poco”.
Scendo le scale di corsa, con la coda tra le gambe e la voce di Aaron che mi segue.
 
 
Fisso il succo alla pesca aspettandomi che abbia le risposte alle mie domande.
“Julianne”. La voce di Aaron mi fa sobbalzare e metà del succo finisce nel lavandino.
Mi asciugo la guancia freneticamente e mi giro per aprire il rubinetto. “Mi dispiace, dovevo…”.
“No, è a me che dispiace” sospira “Ti ho spaventata”.
Mando giù una lunga sorsata per inghiottire il nodo che mi stringe la gola. “No, io…”.
Mi prende le mani per farmi girare. “Ti conosco ormai, quella era una fuga in piena regola”.
Mi fisso i piedi. “Scusa”.
Mi accarezza le guance ancora umide e mi fa alzare lo sguardo verso di lui. “Sono spaventato anche io”. Non credo che le nostre paure si assomiglino. “Ma non c’è nulla che mi farà allontanare da te”.
Come fa ad esserne sicuro? Gli sfioro le braccia. “La canzone è stupenda”.
“Ti è piaciuta davvero?”.
Sorrido timidamente. “Direi che la mia reazione può darti la conferma”.
“Mi aiuti ad arrangiarla?”.
Giocherello con la sua maglietta. “Assolutamente”.
Si china leggermente in avanti, come per baciarmi, ma una gola che si schiarisce interrompe il suo movimento. Matt ci osserva dalla soglia con aria confusa. Il suo sguardo spaesato si sposta tra di noi, viaggiando dalle mani di Aaron che mi toccano alla poca distanza che ci separa. Facciamo qualche passo indietro cercando di non sembrare colpevoli.
“Andiamo a provare” sentenzia Aaron.   
Matt lo segue senza proferire parola ma con lo sguardo di qualcuno che sta tirando lentamente le somme.
   
 
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