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Autore: fantaysytrash    20/09/2020    4 recensioni
[Albus!Centric | Gellert/Albus | Angst/Introspettivo | Missing Moment | 1899] [Questa storia si è classificata terza al contest “It’s a family affair” indetto da CatherineC94 sul forum di EFP] [Questa storia si è classificata dodicesima al contest “Hold my Angst – Seconda edizione” indetto da BessieB sul forum di EFP] [Questa storia partecipa alla challenge “La challenge delle quattro stagioni” indetta da rhys89 sul forum di EFP]
È il giorno del funerale di Ariana, ma Albus non può fare a meno di pensare all’unica persona che farebbe meglio a dimenticare.
Dal testo:
“Sogni di gloria e notti infuocate lo avevano inevitabilmente allontanato dai suoi impegni di fratello maggiore, ma non riusciva a trovare nel suo animo abbastanza senso di colpa per pentirsi del profondo sollievo che lo pervadeva ogni volta che posava lo sguardo sul ghigno divertito di Gellert, invece del cipiglio di Aberforth.”
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note dell’Autrice

Vado abbastanza di fretta perché il contest scade a momenti, ma ci tenevo ugualmente a scrivere un paio di noticine com’è mio solito fare.

Scopo del concorso era di raccontare uno spezzato di vita famigliare e il pacchetto da me selezionato mi ha aiutato a indirizzarmi verso la travagliata storia dei Silente. Per quanto siano molto interessanti, si tratta in realtà di personaggi su cui scrivo pochissimo, per cui mi ha fatto piacere mettermi alla prova uscendo dalla mia comfort zone.

Inoltre, ho incluso in maniera sostanziale Gellert nei pensieri di Albus, non solo perché è a tutti gli effetti uno dei protagonisti della tragedia intorno alla figura di Ariana, ma perché sicuramente i due hanno un rapporto talmente stretto da potersi considerare alla stregua di una famiglia.

Il titolo significa “memoria aptica”, ovvero il processo di riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto, concetto ripreso verso la fine della storia e ispirato da un prompt del contest e un prompt della challenge che, per puro caso, coincidevano.

Buona lettura,

Federica ♛

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a J.K. Rowling. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

HAPTIC MEMORY


Albus osservò in silenzio la tomba bianca di Ariana che veniva adagiata nel terreno arido e ingiallito, mentre i raggi solari battevano forti sul suo capo come un ultimo affronto alla memoria della sorella.

Un cielo plumbeo e saette dirompenti sarebbero stati più consoni all’occasione, anche se – ragionò Albus guardandosi intorno – quattro persone in croce, di cui due semplici abitanti di Godric’s Hollow che probabilmente non avevano idea di chi si celasse in quell’anonima bara, non costituivano certo il corteo che Ariana avrebbe meritato.

Se avesse avuto voce in capitolo, avrebbe senz’altro diffuso l’annuncio per la cittadina, aspettando qualche giorno in modo che ci potesse essere una folla più corposa a rendere omaggio a una vita spezzata troppo presto. Ma ovviamente non aveva esposto lamentele quando Aberforth gli aveva comunicato, con un grugnito e un odio malcelato nello sguardo, la data e il luogo della sepoltura.

Albus aveva avuto l’impressione che il fratello quasi non si aspettasse la sua presenza e, se in un primo momento il maggiore si era sentito oltraggiato, non era stato difficile comprendere le ragioni dell’altro.

Aveva sempre considerato Ariana come una seccatura, un fardello da dover accudire dopo la morte della madre. Ricordava ancora come si era sentito braccato alla notizia di dover prendersi cura di lei, senza riservare neanche una lacrima alla deceduta figura materna, troppo occupato a compiangere sogni sfumati e ambizioni che avrebbero dovuto essere quantomeno posticipate.

E la verità era che Albus aveva da tempo smesso di considerare i fratelli come il legame più stretto di cui era provvisto; si era costruito una nuova famiglia, più piccola e meno confusionaria, capace di donargli il giusto equilibrio tra amore e sprono, che lo aveva scaldato dall’interno anche negli inverni più freddi.

Il suo arrivo gli era sembrato provvidenziale; proprio quando gli si prospettavano davanti lunghi anni di doveri e oneri, aveva incontrato Gellert, e niente era più stato come prima.

Le giornate trascorse a decifrare antichi libri magici o a praticare incantesimi sul retro di casa Bagshot rendevano più tollerabili le sere in cui doveva recuperare Aberforth dall’ennesimo duello che aveva scatenato nel pub più vicino.

Se Ariana era particolarmente fastidiosa e rischiava di farlo impazzire, ad Albus bastava percorrere poche vie per ritrovarsi in un mondo completamente diverso.

Sogni di gloria e notti infuocate lo avevano inevitabilmente allontanato dai suoi impegni di fratello maggiore, ma non riusciva a trovare nel suo animo abbastanza senso di colpa per pentirsi del profondo sollievo che lo pervadeva ogni volta che posava lo sguardo sul ghigno divertito di Gellert, invece del cipiglio di Aberforth.

Il giovane mago ungherese costituiva una compagnia brillante e stimolante, sempre in grado di far nascere nuovi dubbi nella mente del giovane Albus, il quale si era ritrovato ben presto a pendere dalle sue labbra così invitanti e peccaminose.

La costante presenza dell’altro, inoltre, gli aveva fatto capire la differenza abissale che vi era tra il piccolo universo che avevano creato intorno a loro e l’aria che tirava invece tra i membri della famiglia Silente.

Tra le braccia con cui Gellert lo stringeva così spesso, Albus aveva avuto la scioccante realizzazione di non aver ricevuto un vero abbraccio da anni, la famiglia sempre più lacerata con il trascorrere del tempo per perdersi in simili gesti affettuosi.

E per questo – nonché il senso di sicurezza che lo prevedeva ogniqualvolta si trovava in compagnia del biondo – Gellert aveva rappresentato a tutti gli effetti un’ancora di salvataggio, la prima vera occasione in cui Albus si fosse sentito apprezzato e amato.

Non che avesse fatto differenza quando le cose si erano evolute nel peggiore dei modi.

Nessuno doveva rimanere ferito, su quello concordavano tutti, eppure era bastato un incantesimo deviato, un lampo luminoso, e di colpo aveva perso la sua intera famiglia; Ariana era morta, Aberforth lo odiava e Gellert…

Per quanto Albus si fosse sforzato di non pensare all’amico – di non pensare a quanto fosse molto di più di quello – Gellert aveva inevitabilmente occupato la sua mente fin da quando aveva seguito Aberforth a casa, un corpo senza vita tra le braccia possenti e un’ira funesta nello sguardo ceruleo.

Si chiese dove potesse essere ora; non si era di certo aspettato di vederlo al funerale, ma una piccola parte traditrice del suo animo aveva ugualmente avuto il coraggio di esserne dispiaciuta.

E ancora una volta si rese conto di quanto il loro rapporto fosse più saldo e importante di quello presente tra il suo stesso sangue; se anche fosse stato Gellert a uccidere Ariana – e, per quanto ne sapeva, aveva una probabilità pari a quella di Aberforth o dello stesso Albus – era lui la persona che voleva al proprio fianco in un momento simile.

Perché Albus sapeva che, indipendentemente dal proprietario della bacchetta incriminata, la colpa ultima era solamente la propria. Aveva scelto Gellert invece della sua effettiva famiglia – continuamente, senza indugio, sempre – e ora ne stava pagando le conseguenze.

Allontanarsi era stata la scelta più logica – forse la prima da quando l’aveva conosciuto – ma non certo che la distanza fisica sarebbe stata sufficiente ad alterare i sentimenti che continuava a provare per lui, ostinati e più prorompenti che mai.

Ne era talmente provato che ora, mentre osservava di sottecchi Aberforth a pochi passi di distanza, lo sguardo fisso davanti a sé e un’aria risoluta che gli pervadeva tutto il corpo, Albus ebbe lo strano desiderio di avvicinarsi a lui, di provare a trarre un po’ di conforto l’uno dall’altro, magari persino di abbracciarlo. Albus non ricordava una singola occasione in cui i due si erano ritrovati a scambiarsi gesti d’affetto invece che accuse e insulti mirati a ferirsi a vicenda. Era una fantasia vana, improbabile fino a qualche giorno prima, impossibile dopo gli eventi più recenti.

Si rimproverò mentalmente per aver provato un simile impulso; la morte aveva davvero il potere di unire persone che avevano passato anni a disdegnarsi, e il pensiero di essere tanto comune lo riempì di astio.

E odiò se stesso ancora di più quando si ritrovò a pensare che uno dei caldi abbracci di Gellert lo avrebbe senz’altro fatto sentire meglio. Il pensiero – il ricordo – di dita affusolate tra i suoi capelli, di baci infuocati sulla pelle e dell’adrenalina che si propagava in lui indipendentemente dal tipo di attività in cui erano coinvolti costrinse Albus a fare un passo indietro.

Improvvisamente gli mancò il respiro e, sebbene avesse voluto fermarsi – per tentare di quantomeno a ricucire i rapporti con Aberforth, per dare un ultimo saluto ad Ariana, per fare qualsiasi cosa –, non riuscì più a stare fermo e far finta che la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi fosse veramente qualcosa di inaspettato. Aveva perso la sua famiglia tempo prima, e tutto ciò che poteva fare ora era escogitare un piano per superare anche questo terribile ostacolo.

Focalizzarsi sulle vere implicazioni della sua brama di potere lo avrebbe solamente fatto affondare completamente.


La camera di Gellert era esattamente come la ricordava, disordinata e confusionaria, con libri e vestiti gettati in ogni angolo senza troppa considerazione o cura.

Albus non sapeva cosa stesse cercando esattamente, e non era certo di averne nemmeno il diritto dopo le ultime parole che aveva riservato a Gellert prima di allontanarsi, ma sapeva di non poter restare senza quantomeno cercare di rintracciarlo.

Stava per aprire l’ennesimo cassetto nella speranza di trovarvi una qualche lettera o anche solo un breve messaggio in codice, quando un alone scuro catturò la sua attenzione.

Appoggiata su una sedia del grande tavolo di mogano, i contorni accentuati dalla quantità di fogli bianchi sparsi tutt’intorno, vi era la sciarpa preferita di Gellert.

Lentamente, quasi timoroso che sarebbe sparita se l’avesse afferrata con troppa forza, Albus prese il piccolo indumento di seta e lo fece passare tra le dita callose, saggiandone la consistenza e l’evidente materiale di qualità.

Accertandosi che nessuno lo stesse osservando – Bathilda aveva sempre avuto la brutta abitudine di irrompere nella stanza senza preavviso –, Albus accarezzò la sciarpa con una gentilezza che probabilmente non meritava e, mentre la stringeva forte contro di sé, gli sembrò quasi di poter percepire le braccia di Gellert strette intorno al suo corpo.

Inspirò profondamente il suo odore e, nel luogo più sicuro che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, si lasciò finalmente andare in un pianto sommesso.

   
 
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