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Autore: FDFlames    20/09/2020    0 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Ventisette

Aera raggiunse un albero molto vecchio, che stonava, in quel boschetto di giovani alberelli. La corteccia rugosa e divorata dall’edera le dava un senso di sicurezza. Quell’albero era così vecchio che doveva averne passate di peggio, e forse avrebbe potuto darle consiglio. L’esperienza lo aveva reso ruvido e raggrinzito, ma rimaneva un eccellente maestro. Aera si rese conto che queste erano tutte le caratteristiche che avrebbe ricercato in un padre, e che aveva Ikaon, il capo del clan. Si chiese se Re Divro fosse in qualche modo simile a lui, arrivò a sperarlo, ma si convinse che non importava, perché non lo avrebbe mai conosciuto.
Si sedette e si prese la testa tra le mani: aveva perso tutto, e per la seconda volta aveva perso la persona che aveva ritenuto la più importante per lei. Come quando Zalcen era stato ucciso.
Da Reyns.
Oh, se quel giorno avesse avuto il coraggio di voltarsi forse avrebbe visto il volto di Reyns, e non si sarebbe fidata ciecamente di lui!
Si sentiva una stupida. Era stato il suo cuore a mettere da parte i sospetti per lasciare spazio all’amore, ma aveva sbagliato, non avrebbe mai dovuto riporre la sua fiducia in quel ragazzo!
E ora, che cosa poteva fare? Era sola, c’erano ovunque Ideev che la stavano cercando e che l’avrebbero portata da Vyde non appena avessero visto il ciondolo che portava al collo.
Un fruscio tra i cespugli la fece trasalire, ma si rivelò essere il gatto di Ridd, che le si avvicinò, mentre faceva le fusa, come a consolarla. L’avrebbe stretto a sé, l’avrebbe coccolato e avrebbe tentato di calmarsi, ma non lo voleva. Lo scacciò, come se anche il piccolo felino fosse colpevole del suo malessere. Il gatto soffiò e si infilò di nuovo tra i cespugli. Nessuno del gruppo rivide mai più il piccolo Gatto.
In preda alla disperazione, e ora davvero sola, Aera finse di mettersi a parlare con Zalcen ancora una volta. Dopotutto, lui avrebbe saputo che cosa fare. Ma il ricordo del suo migliore amico, di suo fratello, era stato macchiato, rovinato e sfocato, e ora il ragazzo assomigliava molto di più a Reyns.
Aera si sforzò e riuscì a immaginarlo ancora una volta, esattamente com’era: i capelli scuri e lunghi, perennemente raccolti in una coda bassa, e gli occhi di un azzurro tanto chiaro, un grigio argenteo. Non assomigliava a Reyns, non doveva assomigliare a Reyns.
«Zalcen,» lo chiamò con voce tremante, «Ti prego, dimmi che cosa devo fare...»
Il vento soffiò dolcemente. Una voce che veniva dal cuore riuscì a farsi sentire, e Aera, chiudendo gli occhi, sentì il ragazzo, proprio come se fosse lì accanto a lei e le stesse accarezzando la guancia.
Devi portare a termine ciò che hai iniziato, le suggerì la voce.
«Domattina andrò alla fortezza di Vyde, e libererò la Valle Verde. Non importa se la principessa Orientale morirà.»
Parlava di se stessa ancora come se si trattasse di un’altra persona.
«Ma perché me l’avete tenuto nascosto?»
Questa volta non si udì il fruscio delle foglie. Le chiome degli alberi non si agitarono. Il vento non aveva soffiato. Anche Zalcen sarebbe rimasto in silenzio; era da lui, stare zitto, quando si sentiva colpevole.
«Perché mi sono fidata di quell’assassino?» si rimproverò poi.
Perché lo ami, le rispose il vento.
Conoscendo già da sé la risposta, la ragazza si sentì estremamente stupida.
«Però c’è una cosa che devo fare, prima di andare da Vyde.»
Aera era lacerata. Le era stato portato via tutto, da Reyns, quindi anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte. In fondo, aveva affermato lui stesso che per uccidere un uomo non serve togliergli la vita, ma la ragione che lo spinge a vivere.
Non si rendeva conto del fatto che il giovane aveva già perso tutto, in passato, che ora aveva già pagato, perdendo lei, e che se davvero l’avesse voluto far soffrire, togliendogli ciò che lo spingeva a vivere, avrebbe dovuto commettere un suicidio, e non degli omicidi, perché prima l’unica ragione che spingeva Reyns a vivere era il denaro della ricompensa che avrebbe ottenuto quando l’avrebbe portata da Vyde, ma adesso Aera si era sostituita a quell’ammasso di bugie che erano state le parole del Lord, e aveva preso il posto che mai nessuno aveva avuto nel cuore di Reyns. Il posto che si riserva a ciò in cui crediamo, in cui riporremmo sempre la nostra fiducia, senza dubitare di poter venire traditi. Quello che dedichiamo a chi ha avuto un ruolo importante nella formazione della nostra persona. Quello di un maestro.
Era così che Reyns considerava Aera, prima di averle mostrato la sua riconoscenza, nel il linguaggio che lei stessa gli aveva insegnato, il linguaggio dell’amore. E in quel modo aveva ottenuto anche il posto dedicato ai nostri affetti, e aveva riempito il cuore di quel povero ragazzo, che ora aveva ammesso di aver tradito tutto ciò in cui credeva, e tutto ciò che amava.
Ma Aera ancora non lo aveva capito, e per come la vedeva lei, il gesto che stava per compiere aveva anche un altro significato: Vyde era un essere talmente spregevole, che non era neanche degno di essere la sua prima vittima.
***
Aveva ancora tutte e quattro le frecce, nella faretra, e il suo pugnale. Lo estrasse dal fodero, senza davvero sapere che cosa stesse facendo. Decise, però, con chissà quale freddezza o follia o entrambe, che non sarebbe stata l’arma più adatta, ma ebbe un’altra idea. Su una delle frecce incise la parola assassino, con la lama, vicino alla coda. Tornò poi, con passi lenti e silenziosi, da dov’era venuta, e vide, attorno al fuoco, che i quattro Ideev stavano riposando; anche Reyns si era addormentato.
«Vedo che ti dispiace...» disse a voce bassa la ragazza, avvicinandosi e osservando il viso del giovane, che ancora sembrava ipnotizzarla con la sua bellezza.
Distolse lo sguardo, pensando che solo guardando altrove avrebbe potuto mantenere la lucidità. Quel ragazzo e la falsa innocenza dei suoi lineamenti l’avevano già resa schiava una volta. Ciò di cui non si rendeva conto era di non essere affatto lucida.
Allora non era stato sincero nemmeno ora, non lo era mai stato, nemmeno quando le aveva confessato quanto struggente fossero il dolore e il senso di colpa per averla tradita, altrimenti ora non sarebbe stato lì, sotto quella coperta, a dormire beatamente, ma i suoi occhi sarebbero rimasti aperti, e il suo corpo agitato, avrebbe sudato, non si sarebbe potuto dare pace...
Così Aera, ignara, prese la sua decisione, la decisione di fare uno sbaglio.
Si avviò verso il punto in cui Venam era accovacciato a dormire. Sarebbe stata la sua prima vittima. Ma ha più importanza che un corpo sia il primo a cadere, o che un uomo sia morto? Aera conosceva la risposta, ma non le importava.
Vide di nuovo Aniène, il suo viso, ingenuo, candido, innocente, come quello di un angelo. Di sicuro non avrebbe voluto che Aera si comportasse in quel modo. Non avrebbe mai chiesto né desiderato la vendetta.
Ma che importava? Era Aera a volerla.
Incoccò silenziosamente una freccia. Caricò.
Poi lasciò andare.
Con un breve sibilo la punta della freccia passò dall’una all’altra tempia dell’uomo, e si conficcò nel terreno.
Era semplice, uccidere, specialmente senza che l’altro implorasse pietà, con le parole o con lo sguardo. Mentre si dorme, non si nota la vita che scorre in noi. Gli occhi sono chiusi, non abbiamo un contatto diretto con il mondo esterno. Siamo incoscienti.
Forse nemmeno Aera era perfettamente cosciente, in quel momento, tant’è che non riuscì a trattenere un sorriso. Anche lei era diventata un’assassina. Era da prima che aveva desiderato di farlo, da quando Reyns le aveva rivelato l’identità dell’assassino di Aniène.
Ma Reyns aveva detto che anche gli altri erano coinvolti, che tutti erano coinvolti. Tutti erano colpevoli di averle portato via la sua famiglia.
Con un folle dispiacere, sospirò, consapevole che Gatto aveva già pagato.
Camminò lentamente verso Daul; eliminare lui avrebbe dovuto pesare di più sulla sua coscienza, dato che non gli era parso così spietato, ma dopotutto sarebbe dovuto essere felice di ricongiungersi con il suo amico Gatto. L’immagine di quella prima notte passata in compagnia del gruppo di Ideev quasi la fermò. Il ricordo di Daul, sorridente, che le porgeva la coperta, fece sorridere anche lei come la prima volta, e si insinuò il dubbio, nel quasi dimenticato cuore di Aera, che Daul fosse buono, e non meritasse la morte.
Ma poi intervennero l’odio, l’ira, e la brama di vendetta, e la convinsero che anche quelle dovevano essere bugie, trappole e imbrogli. Un’apparenza ingannevole, una bontà costruita al fine di fare in modo che Aera si fidasse di lui, e probabilmente tutta un’idea di Reyns. Proprio come un fiume appare limpido e fresco in superficie, ma il cui terreno tradisce, la cui corrente annega, il cui corso serpeggia conducendo a rapide e cascate. No, Daul non meritava il perdono. Non meritava la vita.
Così Aera ripeté gli stessi identici gesti. Incoccò. Caricò. Lasciò andare.
Una soltanto fu la differenza: Daul smise di russare.
Aera si avvicinò a Ridd. Aveva il viso di un bambino mentre sogna di essere immerso in un mare di balocchi, o l’espressione di un adolescente che sogna di avventure in cui lui è il protagonista, l’eroe. Mentre dormiva, Ridd era tutto ciò che non era più – libero e innocente.
Ma Aera aveva preso una decisione, ormai, aveva deciso di dimostrare di essere capace di uccidere, che Reyns non era l’unico in grado di andare avanti dopo aver compiuto gesti tanto spregevoli. Non aveva tenuto conto di quanto però il ragazzo ne soffrisse; era convinta che avesse mentito e che non avesse un cuore. Un cuore non l’aveva mai avuto, prima di incontrarla, e non l’aveva più, ora che se n’era andata.
Le tornò in mente l’esatto momento in cui la mano di Zalcen si era lasciata andare, pensò alla caduta, e pensò alla Morte. Quando era piccola le faceva paura, ora le portava semplicemente dispiacere, e creava un senso di vuoto nel suo cuore.
Da un po’ più lontano, scoccò la terza freccia, ma nemmeno Ridd si accorse di essere passato dal mondo dei sogni al regno dei morti.
A quel punto Aera si avvicinò a Reyns.
Estrasse dalla faretra l’ultima freccia che le rimaneva, quella sulla quale aveva inciso la parola assassino. Sì, quei quattro Ideev erano tutti assassini, ma Reyns l’aveva tradita, le aveva fatto credere di amarla, e lei aveva ceduto. Si sentiva umiliata, e pensava che solo umiliando lui avrebbe trovato pace.
No, non sarebbe stato così, lo sapeva.
Ma questo non la fermò.
Incoccò la freccia, caricò, tirò ancora di più la corda dell’arco, e lasciò andare.
La freccia si conficcò nel terreno, in profondità, e appena Reyns avrebbe riaperto gli occhi si sarebbe trovato davanti la scritta assassino, a ricordargli quello che era.
Aera posò l’arco e la faretra nel fuoco, come ad eliminare le prove dei delitti che aveva commesso. Si scottò la mano a causa di una scintilla, e questa le fece ricordare che era ancora viva.
Si sentì come se fosse appena tornata a galla dopo un lungo tempo passato sott’acqua, in apnea, con gli occhi chiusi. Che cosa aveva fatto? Uno sbaglio, lo sapeva, ma fu come se le fosse appena stato detto.
Il cuore cominciò a batterle a un ritmo che la spaventò ulteriormente, il suo respiro si fece affannoso. Si aspettava una punizione per quello che aveva fatto, ma allo stesso tempo pregava di essere perdonata, perché non era stata lei a uccidere quei tre Ideev, ma un’altra persona.
L’Omicidio cambia.
Una volta che si fu resa conto di questo, capì che la persona in cui l’Omicidio l’aveva trasformata era un essere lontano dai valori e dall’umanità che aveva tentato di proteggere fino a quel momento. Era diventata un’assassina, e al contempo un’ipocrita. Era diventata un mostro. Era diventata un’Ideev.
Scappò di nuovo nel boschetto, in lacrime; si vergognava di se stessa, e ora capiva come si sentiva Reyns. Voleva uscire da quel corpo, pulire le sue mani sporche di sangue con qualcosa che le avrebbe rese pure di nuovo, togliere il peso di quei tre cadaveri dalla sua anima. Ma non poteva.
Si sedette di nuovo alla base dell’albero, di nuovo con la testa tra le mani, di nuovo senza riuscire a fermare il pianto.
Sentì una voce che la chiamava, e temette fossero i fantasmi dei tre Ideev che aveva ucciso. Dicono che succeda così, che i fantasmi delle tue vittime vengano a tormentarti mentre sei solo, ma non è vero. Lo fanno mentre dormi. Se dormi.
«Aera,» sussurrava la voce, «Ehi, Aera, perché piangi?»
La ragazza si voltò. Riconosceva quella voce, sapeva a chi appartenesse, ma non aveva mai sentito quel giovane usare un tono tanto dolce.
«Kired?» lo chiamò, spaventata da quello che avrebbe potuto farle, mentre era disarmata e sola in quel boschetto. Reyns l’aveva avvertita, e il peggio era arrivato. Ma non sembrava il peggio.
«Sì, sono io, Aera,» disse la figura incappucciata, avvicinandosi.
Non sembrava malvagio. Era forse un trucco che usavano tutti i nati tra gli Ideev?
Kired le venne più vicino. Le prese un braccio e la attirò a sé. Aera era raggelata dal terrore, e tentò appena di opporsi. Il ragazzo la strinse in un abbraccio.
«Che cosa ti ha detto di me, quel traditore?» le sussurrò all’orecchio, forse con l’intenzione di utilizzare quella voce per far breccia nel cuore di Aera o come minimo nel suo bisogno di affetto, ma suscitando semplicemente ulteriore disgusto, nella giovane.
«Mi ha detto che hai intenzione di portarmi da Vyde, ma credo che ti sarà difficile.» rivelò Aera, senza sciogliersi dall’abbraccio, ma pensando di stare al gioco.
La mano destra di Kired andò a posarsi sul suo fianco, troppo vicino al fodero in cui teneva il pugnale perché il ragazzo non si accorgesse che Aera stava puntando a raggiungere l’arma.
Lo sguardo di Aera incrociò uno solo degli occhi dorati di Kired, l’altro nascosto da un ciuffo di capelli biondi, come se il cappuccio non fosse abbastanza.
Anche se sempre più spaventata dalla figura i cui lineamenti stava scoprendo poco a poco, la ragazza capì che non aveva modo di tirarsi indietro. Ma non aveva la minima intenzione di rimanere ferma, senza fare niente, di lasciare a quell’Ideev la libertà di divertirsi e farla franca, senza nemmeno provare a reagire. Così posò entrambe le mani sul suo petto, delicata, e capì di essere sulla buona strada quando Kired la strinse più forte, forse a sua volta convinto di essere un passo più vicino alla conquista di ciò che bramava.
Mentre la mano sinistra di Aera andò a posarsi sulla spalla dell’Ideev, la destra cominciò a scivolare lentamente verso il basso. Kired non sospettò nulla, ma al contrario si sentì invitato da lei a far collidere le loro labbra.
No, non doveva andare così. Aera capì di dover trovare in fretta un modo per distrarlo non solo dalla sua mano destra, che stava puntando al pugnale che il ragazzo portava al fianco, ma anche dalla sua bocca. D’istinto avrebbe messo una mano sulla sua, per allontanarlo, ma era anche vero che d’istinto avrebbe fatto molto altro, come scappare urlando aiuto. Doveva controllarsi, non ascoltare i propri istinti ma far sì che Kired seguisse i suoi, e diventasse perciò prevedibile e manipolabile. Doveva fare in modo che il cacciatore si comportasse come una preda. Sapeva che non sarebbe stato facile.
Spostò la mano sinistra dalla sua spalla alla sua guancia, e fu sollevata quando ebbe la conferma che le labbra del ragazzo erano d’accordo a perdere tempo con quella, prima di posarsi sulle sue.
Ma quelle labbra non avrebbero aspettato per sempre. Aera fece scivolare l’altra mano ancora più giù, anche se leggermente più a destra di dove il ragazzo avrebbe sperato, e afferrò il pugnale dal fodero che pendeva dal suo fianco sinistro.
Alzò lentamente l’arma, nascondendola alla vista di Kired, allontanò la mano sinistra dal suo viso, intrecciò le braccia attorno al suo collo e lasciò che le mani di lui la sfiorassero dove più avessero avuto piacere di arrivare, ma proprio mentre Aera stava per affondare la lama, si sentì afferrare da Kired entrambi i polsi.
«Lurida sgualdrina!» la offese, per poi toglierle il pugnale dalle mani e spingerla lontano da sé, facendola cadere.
Ora Kired era davanti a lei, aveva un pugnale in mano, e le sorrideva come sorridono gli assassini, eccitati anche al solo pensiero di togliere la vita a un’altra persona.
Aera temette il peggio, ma poi si ricordò che a Kired e al suo complice serviva che lei rimanesse in vita, perché non era una degli Ideev che stavano andando da Vyde, ma l’unica e insostituibile principessa Orientale.
Proprio in quel momento si chiese dove fosse, il compagno di Kired.
Sentì un altro paio di braccia stringerla da dietro, tentò di urlare ma una mano le tappò la bocca. Provò a divincolarsi, a mordere, ad agitare le braccia, ma invano. Eccolo, il complice di Kired. Chi era? Era sicura di avere già sentito quelle braccia, quelle mani, quel respiro, quell’odore.
Era qualcuno del suo clan. Non fece in tempo nemmeno a tentare di voltarsi per guardare il suo viso, che questi l’aveva colpita alla testa con la stessa mazza che aveva fatto perdere conoscenza a Reyns.
E tutto improvvisamente diventò buio.

 
   
 
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