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Autore: Enchalott    21/09/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I colori di casa
 
Appena il porto elestoryano di Thyda fu distinguibile all’orizzonte, i galeoni pirata ammainarono le insegne con i jolly-roger, per non creare il panico tra gli abitanti della cittadina e per non destare interessi indesiderati. La precauzione risultò eccessiva, poiché il luogo era abitato dai pescatori e dai nativi, senza guarnigione di stanza.
Sebbene il Pelopi non avesse creato la stessa entità di danni riscontrabile al Nord, la sponda meridionale dell’oceano aveva mutato aspetto e l’acqua si era inoltrata oltre la sua sfera di appartenenza, giungendo a lambire il deserto e costringendo le persone a uno spostamento graduale. L’immagine della marea, che bagnava la rena sotto un sole velato da insolite nubi grigie, lasciando la propria traccia salata come su una semplice spiaggia, si impresse alla stregua di un illogico negli occhi di chi conosceva a menadito il paesaggio.
«Dannazione» borbottò Aska Rei, scostandosi dalla fronte un ciuffo corvino, sfuggito alla striscia di cuoio che gli circondava la fronte.
«Pessima avvisaglia» fece eco Dare Yoon, incrociando le braccia sul petto.
Il vento gli mosse i capelli bruni, scoprendo la cicatrice sottile ma visibile sulla tempia priva di bendaggi.
«Per tutte le oasi, sto scalpitando per rientrare a Erinna il prima possibile! Questo senso di incertezza mi fa ribollire il sangue!» imprecò il primo.
«Lo stesso per me. Le manovre d’attracco sono completate. Vorrei chiedere a Tarlach di occuparsi dei suoi, ora che sono al sicuro. Thyda è all’asciutto, i residenti non rifiuteranno di accogliere i bisognosi giunti nella loro terra. La nostra presenza è un di più.»
Il capitano annuì concorde.
«Tutta un’altra atmosfera rispetto a Jarlath. Sì. Non è necessario fare i sorveglianti»
Dare Yoon captò i pensieri dell’amico dalla sua espressione tesa: la sorte di Dionissa e della bambina che stava per nascere erano in cima alla lista.
«Eviterei di cacciarmi a testa bassa in un territorio del quale, per quanto familiare, non conosciamo le attuali condizioni. Prendiamo il tempo per reperire le informazioni indispensabili, qualche ora spesa in questo senso non costituirà certo uno spreco.»
Rei lo fissò sagace, slacciandosi il pesante mantello.
«Da quando sei quello saggio tra noi due?»
«Bah, da sempre. È che non voglio apparirti presuntuoso.»
Si scambiarono uno sguardo d’intesa, sollevati nell’abbraccio di casa dopo quasi nove mesi di assenza forzata. Se entrambi sentivano di aver lasciato al Nord uno spicchio del loro cuore impavido, erano però fermi nel considerare che Elestorya aveva bisogno della loro spada. Posarono gli occhi sugli adorati colori del Sud che, pur adombrati dai sintomi inconfutabili della fine del creato, riuscivano a farli palpitare di una nostalgia impossibile da contenere. All’orizzonte le dune mutevoli di anydri, la distesa di sabbia che li separava da Erinna, emanavano il loro profumo inconfondibile di madre severa e affettuosa.
«Siamo tornati, Yoon!»
 
«Nessuna illustrazione scorta sui libri rende giustizia alla prospera bellezza di questo luogo» disse Tarlach, impressionato dal panorama, che appariva stupefacente tanto quanto l’essersi dovuto liberare delle pellicce e degli abiti pesanti.
Lo sciabordio gentile della Karadocc, ormeggiata alla banchina, accompagnò quei termini carichi d’ammirazione. La gente di Iomhar stava percorrendo i barcarizzi con una ritrosia dovuta all’ambiente sconosciuto e alla tensione che, nonostante la distanza dalla furia del mare e dal male cui era scampata, non era ancora scemata.
Aska Rei sorrise trattenendo per le redini il cavallo, che non vedeva l’ora di sgroppare in piena libertà, interpretando con sincerità istintiva il pensiero di tutti.
«Avrete occasione di apprezzarne i dettegli. I nostri conterranei sono molto ospitali. Ho dato disposizioni affinché tutti siano sistemati a dovere. Non esitate a chiedere ciò di cui avvertite la necessità.»
Lo iomharese scosse la testa, continuando a osservare le quattro file ordinate che sbarcavano dalle navi all’ancora.
«Ho avuto tempo per riflettere, in queste settimane di viaggio. E ne ho parlato con i miei uomini. Quelli che tra noi sono in grado di combattere vi seguiranno a Erinna. Non siamo in molti, ma saremmo onorati, se avessimo occasione di manifestare la nostra gratitudine a chi è accorso senza remore in nostro aiuto.»
«Quelle persone hanno bisogno di voi» obiettò Dare Yoon, sistemando i finimenti «Non siete in debito con nessuno. Sapervi al sicuro è una ricompensa più che sufficiente. Sono certo di interpretare i pensieri della principessa Adara.»
Rei guardò il compagno, incredulo. Nemmeno lui avrebbe saputo rispondere in modo tanto fermo quanto caloroso. Sogghignò, lieto che quel viaggio rischioso e complicato fosse stato utile a moderare la scontrosa riservatezza di Dare Yoon.
«Non è una questione di doveroso obbligo, vice comandante» continuò Tarlach «La nostra regina ha rivolto ogni sua energia a Iomhar, dimostrandoci nei fatti che i confini sono un’invenzione umana, spesso deleteria. E che si può amare ciò che ci risulta estraneo con la stessa forza con cui si ama quanto ci è caro da sempre. I due Regni sono un’unica terra ed essa sta correndo il medesimo pericolo. L’oscurità non fa differenze. Così noi.»
«Siete un uomo degno di stima, capitano» rimandò schietto Dare Yoon.
«In questo caso accettiamo con riconoscenza il vostro supporto» interloquì Aska Rei «Comprendo il conto in sospeso che vantate contro i daimar e il desiderio che anima la vostra risoluzione. Partiremo appena avremo inteso quale sia la strada più sicura.»
«Pronti al vostro segnale» ribatté Tarlach marziale.
 
Tsambika era già stata a Thyda e ricordava lo scenario carico di tinte smaglianti che si poteva scorgere dal porto. Una sinfonia di mare e terra che feriva lo sguardo con i suoi accordi stridenti ma perfetti. La stessa che poteva osservare in quel momento dal fianco lucido della Violine.
Rammentava l'aroma speziato dell’aria: un bouquet di salmastro e fiorato portato dal vento, che conservava l’odore polveroso ma gradevole delle dune gialle e sinuose. In quell’occasione il paesaggio stava esercitando su di lei un effetto differente. Come se la stesse interpellando, come se per lei, assuefatta alle onde volubili del mare, quel tratto arido di costa fosse sorgente di un inspiegabile affetto.
Eppure non aveva nulla a che vedere con il Sud o con alcun’altra terra emersa. Era nata sul Pelopi e lì aveva trascorso i suoi trent’anni di pirata divenuto leggendario: perché si sentiva tanto ammaliata da quel luogo? Cercò con lo sguardo i passeggeri sbarcati dalla Karadocc e individuò i due ufficiali elestoryani, inguainati nelle loro uniformi tortora bordate di rosso. Non portavano il mantello, sebbene il tepore della giornata lasciasse spazio a qualche folata d’aria più fresca; le casacche sobrie erano smanicate e la decorazione di seta dorata che cingeva loro la vita si sollevava pigra ai refoli provenienti dall’oceano. Montarono in arcione e si allontanarono dal molo, mandando i destrieri al trotto leggero senza voltarsi.
Il cuore di Tsambika diede una stretta lancinante, un’intimidazione per comunicarle che stava commettendo l’ennesimo errore. O perché esso sapeva e soffriva.
 
«Talon intende sostare un paio di giorni per i rifornimenti e per riposare la ciurma» le comunicò Iker, accostandosi all’impavesata «Invece la riparazione della Orie costerà a Demar tre settimane alla fonda. Quella maledetta tempesta ha prodotto inconvenienti di ogni sorta!»
«Mh. Purché non creino problemi. I soldati del principe Anthos non sono disposti a tollerare atteggiamenti provocatori. Qui noi bucanieri giochiamo fuori casa, conviene conservare un profilo basso» commentò lei pratica.
«Pienamente d’accordo. Comunque mi hanno riferito che Tarlach porterà i suoi a Erinna, in appoggio all’esercito del Sud. La capitale è sotto assedio e la situazione si è fatta drammatica. Il reggente non è rientrato e sua moglie sta resistendo a oltranza. Partiranno oggi stesso.»
«Ecco spiegato perché mancano i soldati al presidio.»
«Resta da decidere che cosa faremo noi, Tsambika. Preferisci fermarti con gli altri o ripartire subito? Suppongo tu voglia cogliere l’occasione per salutare come si conviene sia Dalian sia il tuo ex equipaggio.»
Lei si tolse dalla fronte la bandana scarlatta e lo osservò in silenzio. Gli occhi verdi di Iker si infissero nei suoi con una struggente consapevolezza, un’insicurezza che non gli si addiceva. Emise il fiato, conscio di ciò che le attraversava la mente.
«Mi dispiace, non posso sposarti» mormorò la piratessa.
Il capitano della Violine incassò. Poteva andare solo in quel modo, perché auto illudersi in uno stupido puntiglio d’orgoglio?
Tsambika sfilò dal dito il prezioso anello di fidanzamento e fece per restituirlo.
«Ti comprenderei, se tu decidessi di non perdonarmi, Iker.»
«Tienilo tu» mormorò lui «Ti servirà. A me rammenterebbe la donna che mi ha spezzato il cuore e gettarlo tra i flutti costituirebbe uno spreco. Quanto al perdono… tsk! Puoi scordartelo!»
Lei comprese quanto fosse necessario per lui pronunciare quelle parole, che non pensava, per preservare ciò che restava della sua intaccata dignità.
«Vorrei che non fosse mai accaduto. Vorrei non averlo mai incontrato.»
«Già» concesse Iker con una smorfia triste «Ma ritengo che a questo punto tu ed io non abbiamo più nulla da dirci. Perciò vattene dalla mia nave.»
La donna si staccò dal parapetto e lo afferrò per la camicia leggera, baciandolo con trasporto sulla bocca. Lui ricambiò il contatto per un infinitesimo, poi la respinse brusco.
«Addio, Tsambika.»
«Grazie, Iker. Per non avermi uccisa come l’onore richiede.»
L’uomo alzò le spalle con durezza. Quando lei fu lontana, si voltò per osservarla scendere a precipizio lungo il barcarizzo per poi dirigersi di corsa alla Karadocc.
«E come avrei potuto?» bisbigliò disilluso al vento salato «Nemmeno tu sei riuscita a togliere la vita a colui che ami.»
 
Dalian stava seguendo con perizia le operazioni di carico, quando la capitana lo raggiunse nella stiva. La fissò sorpreso. Lei iridi di pece di lei scintillavano sul volto accalorato. I suoi abiti erano poco vistosi, quasi anonimi e non portava gioielli, se non un paio di semplici orecchini a cerchietto. Aveva con sé una sacca di cuoio legata alla cintura, niente armi in bella vista. Ordinò secco a un marinaio di sostituirlo e si allontanò dalle orecchie indiscrete, prendendola sottobraccio.
«Dimmi se stai per domandarmi di farti da testimone di nozze o se desideri da me una semplice benedizione» disse con voce rotta.
«La seconda. Ma non semplice. Fallo come se fossi tua figlia.»
Le iridi grigioverdi del maturo pirata si velarono di lacrime. Appoggiò la mano sul capo della compagna di mille scorrerie, cercando di trattenerle. Non ci riuscì.
«Gli dei ti accompagnino. Che il sommo Manawydan affidi ad Amathira, signora di questa terra senz’acqua, chi porta il mare nelle vene.»
Lei accolse il gesto con un batticuore crescente. Come se fosse stata liberata dall’ultimo dubbio che l’avrebbe trattenuta.
«Tu ne eri certo, vero?» bisbigliò poi, asciugandosi le scie bagnate che le rigavano le guance «Ancora prima di me.»
«Che non saresti rimasta qui, no. Davvero no. Ma che non ti saresti permessa di perdere quell’uomo, sì. Di ciò ero persuaso. Hai sempre saputo ciò che volevi, Tsambika. Mi auguro che sia così anche ora che hai scelto di seguirlo.»
Lei lo strinse forte, traendo conforto da quell’abbraccio paterno e sincero.
«Al contrario, so solo cosa non voglio. Non voglio essere una leggenda con un finale infelice, non voglio essere sola, vuota, fredda. È come se Elestorya mi stesse chiamando a sé. Non riesco a comprendere, ma non posso ignorarlo.»
Dalian rise bonario, accarezzandole i capelli neri.
«Non c’è nulla da capire, mia cara. Casa è dove il cuore trova pace. Il tuo non appartiene più alle onde, bensì al deserto infuocato del Sud.»
La piratessa lasciò scorrere le proprie emozioni sulla spalla solida dell’amico più caro che avesse mai avuto, preparandosi ad affrontare un nuovo viaggio, diverso da tutti quelli compiuti sino a quel momento. Ripensò alle parole profetiche che Aska Rei le aveva rivolto sulla torre di Neirstrin. Non si era ingannato. Pensò a Dare Yoon: avrebbe combattuto contro le ombre, forse non l’avrebbe più incontrato. No. Non poteva accettarlo.
«Gli ho parlato dopo il salvataggio. Lui sa che cosa provo.»
«Cosa ti ha risposto?»»
«Mi ha guardata come se fossi uscita di senno. Come dargli torto?»
Il pirata si sciolse con garbo dalla stretta, sorridendo scaltro.
«Non ti ha detto di andare al diavolo, è già qualcosa.»
Bicks rise, scacciando la malinconia.
«Penso che mi mancherai, Dalian. Sei la mia famiglia.»
«E tu la mia. Porterò la Karadocc qui a Thyda ogni quaranta giorni a partire da dopodomani, finché non sarò diventato un vecchio rimbambito» garantì «Non solo per mercanteggiare. Se cambierai idea, saprai dove trovarmi e avrai la certezza di un luogo cui poter tornare. Sarai sempre la benvenuta a bordo, Tsambika.»
Lei gli sorrise con profonda gratitudine.
 
Lasciò il galeone all’ancora e si diresse verso la zona in cui gli iomharesi avevano trovato accoglienza, unendosi alla fila di chi attendeva una sistemazione. Non aveva i mezzi per affrontare il viaggio attraverso il deserto e sarebbe stata pura follia tentare di raggiungere Erinna da sola. Avrebbe atteso l’occasione propizia, avrebbe appreso come si viveva al Sud, colto tutte le notizie su quanto stava accadendo. Tra le sue scarse qualità non mancavano né la capacità di imparare né la prudenza.
«Voi non siete del Nord» considerò la donna che la precedeva, osservando i suoi tratti esotici e la sua chioma corvina «State fuggendo dal male come noi? Anche la vostra terra natia è preda dei deamhan
Tsambika annuì senza scendere nei dettagli.
«Vi capisco. Guardare la morte negli occhi rende tutto diverso» continuò la straniera «Sono Imear, lieta di conoscervi. Ci faremo forza gli uni con gli altri, finché non potremo, un giorno, rivedere casa.»
Casa è dove il cuore risiede.
La ex capitana si ritenne più fortunata dei profughi che aveva trasbordato sul suo galeone: lei era già a casa. Quella convinzione le restituì forza. Fece per presentarsi come Bicks, il diminutivo che aveva sempre utilizzato per celare il proprio famoso e temuto nome. Poi cambiò idea.
«Sharen» rispose senza esitazioni «Il piacere è mio.»
 
 
Anshar osservò Daara, che giaceva incosciente sul letto della sua stanza, in preda agli spasmi, il volto imperlato di sudori freddi. Le sue mani tremanti si artigliavano alle lenzuola in contrazioni dolorose e ripetute. La ferita che gli squarciava il fianco aveva smesso di sanguinare e le bende strette sul suo corpo dai guaritori erano pulite; la sua mente però era preda di invisibili piaghe, che tardavano a rimarginarsi.
L’attacco della notte antecedente era stato il più devastante di tutti.
I daimar avevano rinunciato alle lame nere e si erano erti spettrali nell’ombra remota, all’apparenza disarmati, varcando le mura di Erinna senza sforzo e sciamando verso le vittime che, con il senno di poi, dovevano aver individuato da tempo. Ecco a cosa erano servite le offensive precedenti, terminate al sorgere dell’alba in un sospetto pareggio. L’ingloriosa ritirata delle creature del buio non era stata altro che un gioco perverso, che si era teso come un elastico verso una speranza irraggiungibile, poi strappata dalle dita di chi la stava sfiorando. Nient’altro che una dilettevole caccia di anime da carpire.
Il giovane bailye rabbrividì, poggiando la fronte sulle ginocchia raccolte contro il petto.
Posò lo sguardo su Neyosh, che continuava ad asciugarsi gli occhi e a soffocare i singhiozzi: pur trovandosi al fianco dell’amico durante lo scontro, non aveva potuto fare nulla per lui quando il demone lo aveva preso di mira. Daara si era irrigidito e non era stato in grado di opporsi al rovescio di sofferenza che l’essenza nera aveva suscitato in lui, sfruttando le sue più recondite emozioni per abbatterlo. Nonostante l’intervento disperato dei compagni, che sapevano di non dover rimanere soli durante la lotta, il ragazzo era stato sopraffatto. Il daimar lo aveva colpito con gli artigli lividi solo per assestargli il colpo di grazia.
Anshar era riuscito a tenerlo indietro per dare modo a Neyosh di fuggire con il ferito, ma aveva avuto la netta sensazione che l’essere oscuro avesse già raggiunto il suo scopo e si stesse intrattenendo con lui per puro divertimento. Stranamente non lo aveva tentato, pago dello strazio che sino a quel momento aveva inferto a colpo sicuro tra i difensori della città.
Mentre si fronteggiavano, la principessa Dionissa era uscita dalla sicura protezione del palazzo, aprendo le braccia verso il cielo ed elevando un’orazione alla dea: le nubi dense si erano sfilacciate all’invocazione e la luce della luna crescente aveva inondato ogni recesso, facendo brillare le dune argentate e irritando gli sguardi di sangue dei demoni. I nemici si erano ritirati, sibilando di rabbia e insoddisfazione, ma avevano vinto: tranne Daara non c’erano superstiti tra i loro prescelti.
Il portavoce dei Rhevia scacciò le lacrime che gli annebbiavano la vista e circondò con affetto le spalle dell’amico d’infanzia, accovacciato lì accanto. Neyosh sussultò: era il maggiore dei tre e si sentiva responsabile per quelli che, da quando aveva memoria, considerava suoi fratelli. Cinse a sua volta il compagno, appoggiandogli il capo sull’omero. Non fu necessario parlare.
A sua volta Anshar si reputava garante della loro sicurezza, ancor più da quando era divenuto capotribù. Vedere Daara agonizzante lo privava di tutte le energie, spingendolo in un vortice di collera e terrore che non avrebbe dovuto lasciar prevalere. O i daimar avrebbero ottenuto duplice vittoria. Strinse tra le sue le dita dell’amico per infondergli lo stesso coraggio di cui aveva enorme, immediato bisogno. Lui ricambiò.
Qualcuno bussò piano alla porta. Phylana entrò in punta di piedi con un vassoio colmo di cibo tra le mani. Nel vederla Neyosh si scostò e aggrottò la fronte, rabbuiandosi.
«Come sta?» domandò sottovoce la ragazza, accomodandosi a terra e disponendo i piatti che aveva portato.
«Non bene» sospirò il bailye «Abbiamo operato tutto ciò che era in nostro potere. Se la sua anima sarà abbastanza forte e gli dei pietosi, sopravviverà.»
«Pregherò per lui. La principessa Dionissa sostiene che l’unica cura attuabile in queste circostanze sia la vicinanza di chi lo ama. È con la medesima convinzione che l’altra notte ha dato fondo alle proprie forze per invocare Amathira e allontanare da noi le tenebre.»
Anshar spalancò gli occhi e si raddrizzò, accettando il cibo.
«Nelle sue delicate condizioni…»
«È molto indebolita» riferì Phylana preoccupata «Temo che non riuscirà a incanalare il Kalah senza mettere a repentaglio se stessa e la creatura che porta in grembo.»
«Non deve!» sbottò Neyosh furioso «Siamo noi a doverla difendere, non il contrario!»
Il portavoce dei Rhevia scosse la testa in disaccordo.
«Ciascuno di noi ricopre un ruolo difensivo nei confronti degli altri. La principessa lo sa e vuole fornirci un esempio che non sia composto di parole. L’ammirazione infinita che ho per lei si mescola al timore per la sua salute. Nemmeno io vorrei che corresse un tale rischio.»
L’Aethalas sorrise, vedendo che il giovane stava rifocillandosi con appetito, nonostante tutto: offrì il piatto a Neyosh, ma questi rifiutò aspro.
«Non capisco come tu faccia a mangiare, Anshar! Se l’amore fosse sufficiente a dissipare l’influenza nefasta dei daimar, Daara sarebbe già in piedi!»
«Lo sai anche tu che non è così, Neyosh. Oppure saremmo sepolti nella stessa sabbia che custodisce la nostra gente. Stai permettendo all’ira di esprimersi al posto tuo: è come concedere un punto ai nostri avversari.»
Gli occhi bruni del ragazzo si riempirono di lacrime. Abbassò il capo e non ribatté.
«Inoltre» proseguì il bailye con gentilezza «Non è razionale lasciare che il fisico si indebolisca. Come farei a difendere chi amo – cosa che è nelle tue intenzioni - se mi riducessi a uno straccio? Nutrirsi non significa essere insensibili!»
Neyosh sollevò il viso e lo guardò meravigliato.
«E per concludere» ultimò Anshar «Se non accettassi questo dono generoso, offenderei Phylana, che si è data pena per noi a quest’ora della notte.»
Il giovane Rhevia sospirò, scostandosi dal viso una ciocca di capelli castani. I bracciali che portava al polso tintinnarono. Accettò impacciato il vassoio e si sforzò di ingoiare qualcosa.
«Certo che quando prendi la parola tu, bailye, io finisco sempre per sentirmi un idiota. Evidentemente lo sono.»
«Oh, no!» intervenne Phylana con spontaneità disarmante «Anch’io mi sento come te quando lo ascolto! Possiamo continuare a ritenerci una manica di sciocchi oppure riconoscere che Anshar è molto saggio.»
Il capotribù avvampò, imbarazzato dal complimento.
Neyosh inarcò un sopracciglio, interdetto. Poi, finalmente, sulle sue labbra piene affiorò un sorriso sincero.
«Non male come argomentazione. Contando che, quando eravamo dei mocciosi, gli avrò fatto la ramanzina e l’avrò tolto dalla polvere un centinaio di volte, è giusto che ora si porti in pari con me!»
La ragazza versò il chae con sollievo in quell’atmosfera più conciliante. I Rhevia erano retti e coraggiosi, le sarebbe dispiaciuto se gli amici di Anshar avessero continuato a considerarla un’arrogante sulla base del loro primo incontro.
«Non conosco il vostro compagno» disse «E non so quali trappole gli abbiano teso i daimar per sprofondarlo in quest’agonia. Però posso ottenere che il suo corpo non si sfibri, così come ho provveduto per voi. Posso dargli un’opportunità.»
«Ti prego» accettò Neyosh, ponendosi la mano sul cuore «Ho visto che il medicamento che hai dato ad Anshar si è rivelato portentoso. La sua cicatrice non si distingue più! La tua gente è maestra nei farmaci!»
Phylana arrossì, gettando un’occhiata fugace al petto abbronzato del giovane attraverso la camicia scollata del colore della terra. Annuì.
«Non pretendo di avere le competenze di un guaritore, ma conosco una ricetta che si tramanda nella nostra famiglia da generazioni. Ho chiesto a mastro Omiron il permesso di usare il suo laboratorio.»
«Grazie» mormorò Anshar inchinandosi dimentico del proprio rango, mentre lei estraeva la fiala verde dalle pieghe dell’abito maschile «Sai, Daara avrebbe dovuto sposare mia sorella Ishat. Perderlo, sarebbe come dire addio a lei una seconda volta. Non credo di poterlo sostenere.»
Phylana si morse le labbra per non cedere al pianto, ma sua voce tremò.
«Narsas ha scelto di andarsene in silenzio per evitare che io dovessi farlo. In questo modo, nel mio cuore, lui è vivo come nel giorno in cui si è allontanato dalle nostre tende. Anche se nostro padre l’ha designato portavoce sia per merito sia per tenerlo vicino fino all’ultimo, mio fratello si è limitato a indossare la fascia di comando in segno di rispetto, ma ha rifiutato la successione.»
Neyosh abbasso lo sguardo nel liquido chiaro, pentendosi di essere stato tanto sgarbato e comprendendo il senso di quell’arco guerriero sulle sue spalle femminili. Daara portava allo stesso modo il ciondolo della sua amata. Nemmeno lui aveva potuto salutarla. Nessuno di loro.
Phylana si avvicinò al letto del giovane agonizzante, spezzando il sigillo dell’ampolla e accostandogliela alle labbra aride. La lampada a quattro becchi gettava sul suo giovane volto una luce diffusa, che chiariva senza eufemismi la precarietà del suo stato. Anshar gli sollevò il capo dai cuscini bagnati di sudore, affinché potesse deglutire il medicamento. Dovette invece trattenerlo, perché Daara emise un lamento e prese ad agitarsi, pur nell’incoscienza in cui era sprofondato, pronunciando parole sconnesse. Neyosh si avvicinò e provò a bloccare gli spasmi violenti, avendo cura che la lesione non si riaprisse. Impiegò più forza di quanto avesse previsto.
I gemiti si trasformarono in grida di sofferenza indicibile e i due Rhevia dovettero frenare i movimenti convulsi con il loro peso, osservandosi a vicenda con l’anima in pezzi, nella strenua disperazione di quel gesto.
«Daara!» ansimò Anshar, inchiodandolo al materasso «Cerca di reagire! Siamo noi! Coraggio, Daara, bevi!»
«Non ho cuore di pensare a cosa stia vedendo» mormorò Neyosh, distogliendo lo sguardo.
Phylana riuscì a fargli inghiottire il preparato e Anshar gli chiuse la bocca in modo che non lo sputasse, continuando a esercitare pressione su di lui. La mano del ferito sfuggì alla presa del bailye e si artigliò al braccio della Aethalas, accompagnata da un rantolo soffocato. Lei strillò, cercando di liberarsi dal tocco imprevisto con la precipitazione di chi percepisce sulla pelle un ferro rovente. Impallidì, piombando sulle ginocchia in preda al terrore, tremando e ansimando. Strattonò ancora.
Anshar intese nell’immediato e iniziò a sganciare una per una, con rapidità, le dita contratte dell’amico dall’arto della ragazza. Cercò di non sfiorarla, ma fu impossibile.
Quando riuscì a scioglierla, Phylana balzò all’indietro, fissandolo a metà tra la vergogna e il dispiacere. Poi corse fuori a precipizio.
«Che le è preso?!» esclamò Neyosh esterrefatto, fissando la porta spalancata senza trovare una valida spiegazione alla reazione sproporzionata cui aveva assistito «Capisco che si sia spaventata, ma…»
«Aiutami a sistemare Daara» rispose il capotribù, ignorando la giusta osservazione.
Il compagno accomodò le lenzuola, borbottando. Il ferito parve subito placarsi.
«Anshar, sei certo che quella non sia fuori di testa?»
«È una persona che, come noi, ha sofferto molto» tagliò corto il bailye.
 
Phylana si accasciò contro l’orlo ondulato di una delle fontane mosaicate che impreziosivano il giardino della reggia, respirando affannosa.
Le sue braccia erano fradice. Le aveva immerse e tenute a lungo nell’acqua, per sbarazzarsi della sensazione viscerale di ripugnanza che l’aveva invasa. Non era colpa del povero Daara, che non era consapevole di ciò che stava facendo. Il suo difetto era quello di essere un uomo.
Ripensò a mente fredda all’accaduto, convincendosi che i Rhevia l’avrebbero mantenuta a distanza dopo quella scena da folle. Un particolare la sorprese nel rievocare l’esperienza: quando Anshar l’aveva toccata, non aveva provato ribrezzo alcuno.
   
 
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