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Autore: Mercurionos    21/09/2020    1 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Cuore Puro di Rabbia III – Marzo 765 del Calendario Terrestre
 
Non sapeva per quale ragione avesse deciso di raggiungere proprio quel pianeta. La larga navicella sferica targata Capsule Corporation atterrò in una radura in un bosco di vecchie piante di Agissa, alte decine di metri. Le piccole foglie bluastre vennero strappate e dilaniate dal vento generato dal reattore, che pian piano si affievolì, fino a lasciare posto alla debole brezza che soffiava da ovest. Ancora in dormiveglia, si infilò la tuta da battaglia che aveva costruito Bulma, mangiò in fretta una barretta di cereali dura come l’acciaio e scese dall’astronave. L’aria fresca del mattino entrò rapida nella stanza principale della nave, facendosi spazio nei polmoni dell’uomo. Si accasciò a terra, nauseato da quell’odore, quell’olezzo che non aveva percepito in molti anni.
 
Vomitò.
 
Non sentiva da anni l’aroma di quei boschi. Presto però si accorse che il profumo delle foglie era mischiato ad un aroma meno gradevole: l’acre puzzo di fumo, di sporco e di immondizia disturbava le percezioni dell’uomo, che cominciò ad incamminarsi verso la città vicina. Non se la ricordava così grande. Non se la ricordava così grigia. Non se la ricordava situata proprio lì.
 
Edifici cinerei si innalzavano sulla sconfinata pianura. La strada principale dell’insediamento pullulava di persone: i mercanti continuavano senza sosta la loro attività, desiderosi di attrarre sempre più clienti. Dai balconi più alti si intravedevano altre figure, che osservavano annoiate il viavai di persone. Era palese che la città avesse vissuto tempi migliori, ma perlomeno non si era trasformata in uno di quei disgustosi bordelli nell’orlo esterno dell’Universo. Le donne, accompagnate dai propri figli, sfruttavano la frescura del mattino per fare compere, mentre gli uomini si radunavano in piccoli gruppetti, discutendo rumorosamente. L’odore di sporco si era lentamente fatto oscurare dal profumo di spezie e frutti, che coloravano il mercato sotto le grigie facciate dei palazzi.
 
Vegeta stava camminando a testa bassa nell’ampio viale quando una donna, allontanandosi da una bancarella, notò la sua armatura. Spaventata, pose un braccio attorno al figlio: “Andiamocene. Su, svelto.” Il saiyan comprese il suo errore e si fermò, stringendo i denti. L’armatura dell’esercito imperiale risvegliava ricordi spiacevoli nella maggior parte degli ex-sudditi dell’impero, specie nella parte più interna dell’universo. Certo, il tenore di vita medio dei pianeti più centrali era decisamente alto, ma nonostante questo Freezer non nascondeva la propria indole malvagia e spietata all’opinione pubblica. Anche l’esercito non era più ben visto dal popolo: i soldati di Freezer, rozzi e violenti, attraversavano i pianeti privi di alcun ritegno, desiderosi di sfogarsi con chiunque non mostrasse il dovuto rispetto. E Vegeta non era certo l’esempio di un soldato rispettoso con i civili. O con chiunque altro.
 
Il saiyan si infilò nell’ingresso di un negozio di abbigliamento, forse uno che un tempo conosceva, per sfuggire agli sguardi malfidenti della gente. Prudente, si fece largo tra scaffali di vestiti, ma l’uomo al bancone lo vide e si rifugiò nel retro del negozio. “Tanto meglio.” Pensò Vegeta, e allungò il braccio verso un’ampia mantella color terra. Il saiyan poi uscì dalla bottega, coperto dal tessuto che aveva molto gentilmente preso in prestito. Vegeta riuscì così a farsi largo tra i passanti senza che qualcun altro potesse notare l’armatura blu e bianca. Piano piano attraversò la cittadina, fino a quando non si trovò di fronte ad una sconfinata pianura verde.
 
Interminabili prati smeraldini si estendevano per chilometri, liberi da insediamenti e boschi. Un singolo fiume attraversava la distesa in lontananza.
Solo all’orizzonte si vedeva un bagliore luminescente, che subito attirò l’attenzione di Vegeta: un titanico edificio si ergeva al confine fra cielo e terra, circondato da una piccola città di grattacieli biancastri. Quando lo scorse, il saiyan rimase come rapito dal disgusto che provava nel vedere quella costruzione, e una violenta scarica di malinconia lo attraversò. Rimase lì, in silenzio, ad osservare la pianura. Poi, sprofondò nella propria aura e spiccò un balzo verso il cielo.
 
Silenzioso, l’uomo si appropinquò in volo alla città. Quando fu abbastanza vicino, notò che l’odore stomachevole dell’insediamento che aveva appena abbandonato non continuava a riempire i suoi polmoni. Inspirò, allargando il petto robusto. In quel momento, rapito dai suoi pensieri, il dolore che lo affliggeva da qualche tempo lo colpì di nuovo. Attorno al cuore, da davanti fin dietro sulla schiena, sentiva come una gelida pugnalata. Si passò una mano sul busto, massaggiando l’area interessata. Non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
 
Atterrò. Un passo, poi un altro passo. Silenzio. Odore di alberi, di erba e di vento. Solo dopo i suoi sensi si affinarono, e riuscì a sentire altro: l’odore stantio della terra e della polvere che si erano fatte largo negli edifici abbandonati; l’odore di calcinaccio e metallo, talvolta un po’ di ruggine; l’umidità che si era accumulata negli androni dei palazzi.
 
Vegeta si fermò, la mente completamente svuotata. Si guardò intorno, non sapendo bene cosa stesse cercando. Ricordava quelle strade, quei ruderi che un tempo erano alti e lucenti palazzi. Ma ricordava anche quanto odiasse tutto ciò. Chiuse gli occhi e aguzzò ulteriormente i suoi sensi. Perdendosi nel buio del proprio sguardo, una fiamma rossa riapparve nella sua memoria, e strinse i denti in preda alla furia. Anche LUI riusciva ad affinare i propri sensi, a muoversi ed a colpire con precisione chirurgica e con la forza di uno scimmione. Quindi, se ci riusciva Kakarot, perché non avrebbe potuto fare lo stesso il suo principe, se non meglio? Non sapeva cosa significasse il Kaioken. Non sapeva se fosse una tecnica o un’abilità innata a quello scarto di saiyan. Ma aveva avuto il coraggio di superarlo, di batterlo, di denigrarlo… e di farlo sopravvivere. E come se non bastasse aveva sconfitto sempre lui Freezer. Quello non era il suo ruolo. Quell’uomo aveva usurpato la leggenda per sé, quando spettava di diritto al più forte dei saiyan. E poi anche quel ragazzo comparso dal nulla si era rivelato più forte di lui, ma ora sapeva che la leggenda non era altro che una diceria.
 
Sentì un rumore, un forte crepitio che attraversò i palazzi. Riaprì gli occhi, e si accorse che forse stava stringendo troppo forte le mani. La sua aura si era invisibilmente fatta largo nel suo corpo, ed era esplosa impattando sui muri degli edifici vicini. Vegeta si guardò intorno ancora e ancora, e finalmente riuscì a calmarsi.
 
Ma i rumori non terminarono. Vegeta piegò le ginocchia ed alzò le braccia nella sua consueta posa di combattimento. Divenne una cosa sola con il mondo che lo circondava e percepì distintamente una debole pressione provenire dalla sua destra. Voltò lentamente lo sguardo e vide mezza dozzina di figure muoversi guardinghe all’ombra di un palazzo.
 
Saibaimen. Kyuukonmen. Un jinkouman. Non ne vedeva da tempo. L’ultima volta che ne aveva visto uno era… non importava. Vegeta cominciò a vibrare, tremare in preda al disgusto e alla rabbia vedendo di cosa un tempo era composta la sua vita. Una vita che aveva abbandonato e che finalmente, come aveva compreso, voleva abbandonare. Accecato dall’odio per quegli orridi esseri, quegli orribili simboli di una vita che era finita, di un Vegeta che era morto, agitò con forza un braccio nella loro direzione, come se avesse voluto scacciare una mosca.
 
L’aria si quietò, ma il silenzio durò un nanosecondo. Un’esplosione dorata attraversò la zona, come un’onda travolgente. Impattò contro le case, i muri, la strada, lo sporco. Cancellò tutto. I saibaiman non ebbero il tempo di reagire, né avrebbero avuto il tempo di fuggire o contrastare l’ira del principe. Lo scricchiolio dei palazzi si fece sempre più forte e Vegeta stette fermo a guardare il cielo, mentre i grattacieli attorno a lui crollavano, uno dopo l’altro. Polvere e macerie schizzarono verso l’alto prima di ripiombare in terra come una greve pioggia.
 
Decine, centinaia di volti si alzarono verso l’alto, inseguendo l’origine di quel forte rimbombo. Occhi su occhi cercarono scrutando l’orizzonte e finalmente videro un’alta colonna di fumo e ceneri librarsi in aria. Tutti stettero a guardare, il mercato che fino ad un attimo prima fremeva di vita e commercio si paralizzò. La città vicina stava venendo spianata, i grattacieli crollavano uno dopo l’altro. Nessuno seppe se gioire o sentirsi impaurito, ma tutti stettero in silenzio.
“Mamma, – chiese un bambino – cosa sta succedendo?”
“Nulla… qualcuno è venuto a radere al suolo la vecchia capitale.”
“E perché?”
“Non lo so… ma è meglio così.”
“Perché? Perché?”
“Perché…”
 
“Non esisti più.” Vegeta aveva terminato la sua opera. In pochi minuti centinaia di enormi e fatiscenti palazzi erano stati trasformati in montagne di polvere. Qua e là rimanevano soltanto alcuni blocchi deformi di cemento, mucchi di sbarre e piloni di metallo. Vegeta ansimava, sudato. Aveva imparato a conoscere quelle strade. Poi aveva imparato a odiarle. Poi ancora aveva compreso che non gli importava, non gli importava più di nulla.
 
Si guardò intorno, ammirando la distruzione che aveva portato su quel pianeta. I suoi palmi ancora brillavano di una fioca luce. Lo sguardo dell’uomo si fermò: c’era una struttura, un grande edificio che non aveva toccato. Continuando a guardarlo si incamminò verso di esso. Deglutì, svuotava continuamente la testa dai suoi pensieri, e continuava a camminare.
 
Si avvicinò più e più al perlescente castello finché non ne raggiunse l’ampia entrata. Tutt’attorno alla struttura si intravedevano ancora i resti di quelli che anni prima erano dei campi di addestramento per soldati. L’uomo, sempre avvolto nel bruno mantello, si mise ad osservare l’altissima torre che si stagliava di fronte a lui, in mezzo al castello circolare. Alzò un braccio, tendendo la mano aperta, come mosso dall’istinto… ma si fermò. Stava per distruggere tutto quando, celato dai suoi pensieri, si fece largo in lui un formicolio. La pressione dell’aria aumentò, quasi come se l’atmosfera si stesse riscaldando. Non ebbe il tempo di alzare lo sguardo e seguire quell’ombra che si era mossa rapidamente sopra di lui.
 
Vegeta scattò all’indietro, chiudendosi nel mantello di duro tessuto. Non era riuscito a distinguere quella figura, ma aveva visto qualcosa cadere in terra. Si avvicinò lentamente senza abbassare la guardia e la vide di fronte a sé, curva, bianca e soffice. Le sue pupille si contrassero, tese ogni muscolo del suo corpo senza volere, i suoi capelli cominciarono ad agitarsi come un fuoco appena attizzato. Alzò lo sguardo e cominciò a correre come posseduto da uno slancio d’ira. L’ombra si era mossa verso sinistra, quindi la seguì. Due ampie porte si trovavano sul suo cammino, e Vegeta vi si lanciò contro, sfondandole e lanciandole in avanti, nel freddo buio del corridoio che proteggevano.
 
Il saiyan si guardò in giro agitando la testa. Cercò risposta nell’aura, e sentì qualcosa qualche metro sopra di lui. Guardò verso l’alto: “Sei sopra?! Non puoi scapparmi!” Saltò con tutta la forza che aveva nelle gambe schiantandosi sul soffitto. Uno, poi due, poi tre pavimentazioni vennero sfondate dalla schiena del principe prima che questi decise di fermarsi. Poi cercò di nuovo l’aura del suo nemico e si mise a seguirla. Corse e corse ancora, senza mai fermarsi, senza mai pensare a quale potesse essere il suo obiettivo. Sfondò una porta dopo l’altra, attraversò cinque lunghi corridoi. Li conosceva e li odiava, come tutto il resto. Non si fece alcun problema ad attraversare con la forza anche qualche parete e qualche soffitto in più.
 
Poi si fermò di nuovo. Lanciò una rapida occhiata fuori dalle ampie finestre della struttura e si accorse di essere al centro di quell’enorme castello. Cercò un’ultima volta l’aura dell’essere che stava inseguendo: si era fermato proprio sopra di lui. Vegeta si strappò di dosso il mantello e lo gettò a terra, alzò un braccio e fece scattare verso l’alto due dita: una violenta deflagrazione fece crollare il soffitto. Vegeta saltò in alto, nell’ombra della stanza che aveva privato del pavimento. Aspettò, pronto a combattere, che i suoi occhi si abituassero al buio e finalmente riconobbe quel grande salone sovrastato da una sporca e ormai opaca cupola di vetro, quella sedia ridicola e altezzosa, la gigantesca scrivania mai usata se non dal suo secondo. Era l’ufficio riservato a Freezer.
 
Tese la sinistra in avanti e scagliò una bordata di fiamme sull’ampio scrittoio del deceduto imperatore dello spazio. Il fuoco si sparse in fretta per tutta la stanza, illuminandola. Così finalmente Vegeta riuscì a vederlo. Scambiò un fugace sguardo con i suoi occhi neri e lucidi e, nonostante fosse avvolto in una cappa nera, lo riconobbe.

E così è già passato un anno da quando ho cominciato a pubblicare questa storia... Questo capitolo in particolare è più vecchio degli ultimi che ho condiviso con voi, e spero che non sia invecchiato troppo male. Come sempre, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Grazie di avermi seguito fin qui.

Ora ho ripreso a studiare e si preannunciano due anni pieni di sforzi e urla alla matematica. Vorrei aver più tempo per scrivere.

Non perdetevi l'inizio del secondo anno al N.I.S.B.A.!
 
   
 
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