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Autore: Evali    21/09/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Come topi
 
Sentì la pelle umida entrare a contatto con altra pelle.
Il contatto era bruciante.
Si muoveva febbricitante, bagnato dal sudore, dalla brina dell’erba e anche da qualcos’altro di più vischioso.
Anche l’odore era penetrante: un misto di erba fresca, di incenso e di ferro.
L’odore ferroso del sangue gli invadeva le narici come una cascata di catrame.
Gli ansimi di dolore della persona che le sue dita stavano stringendo convulsamente raggiungevano le sue orecchie come ovattati.
Era come se non riuscisse a fermarsi.
Le sensazioni che stava provando erano troppo inebrianti.
Continuava a stringere la carne sotto le sue dita, con ferocia e ardore, come se non avesse desiderato fare altro in vita sua.
Sbatté a terra il corpo sotto di sé, più e più volte, buttandosi sopra di esso, per stringerlo e sentirne l’odore.
Tirò i suoi capelli umidi di sudore e sangue, incapace di privarsi di quel piacere tanto inebriante e rigenerante.
Gli sembrò quasi di raggiungere Dio.
Si lasciò stringere a sua volta, ma non lasciando mai che il predominio gli venisse tolto.
Gridò. Gridò di piacere e dolore, quando raggiunse l’apice del godimento, fino a perdere i sensi.
Le sue mani andarono a posarsi sul proprio corpo.
Il corpo di una donna.
Padre Craig si svegliò di soprassalto, con il letto zuppo di sudore.
Era ancora notte fonda.
Quelle sensazioni tanto belle quanto intense, appartenenti a dei ricordi ormai rimossi, stavano turbando il suo sonno ogni notte, da quel giorno maledetto.
Il suo corpo rabbrividiva per delle sensazioni che non aveva davvero vissuto.
Fremeva per risentire di nuovo quello che la sua mente aveva provato nel corpo di qualcun altro.
Sapeva che, a breve, se avesse continuato così, sarebbe diventato pazzo.
I suoi desideri, desideri che neanche conosceva, avrebbero preso il sopravvento.
La dissolutezza apparteneva al luogo in cui stava sostando, per sin troppo tempo.
Era come se Bliaint lo avesse stregato.
O era lui che si stava aggrappando con tutte le sue forze a quel villaggio dannato da Dio e dal Diavolo.
Continuava a pregare Dio ma lui non lo ascoltava.
Al contrario, lo ripagava confondendolo maggiormente.
Bramava il contatto con ogni corpo gli si avvicinasse, non riuscendo più a distinguere il sogno dalla realtà.
Cominciò a credere che chiunque incontrasse non fosse più al sicuro accanto a lui.
Aveva bisogno di andarsene, ma aveva anche bisogno di scoprire cosa fosse accaduto quella notte.
Ad un tratto, qualcuno bussò lievemente alla sua porta, a quell’ora della notte, sorprendendolo.
- Sì? – rispose titubante, cercando di normalizzare la voce.
A ciò, il volto riccioluto di Heloisa si sporse sull’uscio, illuminato da una candela che la donna teneva in mano. Nel fare un passo per entrare nella stanza dell’ospite, Heloisa si mostrò in vestaglia da notte, nel tessuto leggero e bianco panna che le avvolgeva il corpo formoso, il seno stretto in una scollatura che, per quanto pudica, rendeva la visione ancor più peccaminosa di quanto avrebbe fatto un abito ben più scollato.
I piedi nudi, le mani delicate, i capelli voluminosi che accarezzavano le spalle sottili, il bel volto assonnato.
Padre Craig dovette deglutire a vuoto per discostare gli occhi da ciò e posarli solamente sui suoi occhi.
- Ho udito dalla mia camera che ansimavate. Ho pensato steste male. Desiderate che vi porti un infuso caldo per conciliare il sonno?
- No, no, sto bene, davvero! Grazie, siete molto gentile, Heloisa.
- Seguitemi in cucina. Vi preparo qualcosa di caldo. Niente repliche.
 
Blake si svegliò dal suo dormiveglia tormentato di pensieri, decidendo di porre fine ai suoi tentativi di prendere sonno in una notte evidentemente destinata a tenerlo sveglio.
Si scoprì dalle coperte, percependo il vento freddo autunnale colpirgli in pieno le gambe e accese una candela. Non appena si infilò un paio di pantaloni, afferrò la candela e uscì dalla stanza, attento a non fare rumore, dirigendosi verso la stanza in cui erano contenuti i cristalli.
Chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò lentamente alla teca di cristalli, prendendo a fissare sempre lo stesso frammento dal magnetico colore grigio scuro-bluastro.
Allungò la mano e lo sfiorò, ammirandolo.
Ancora non gli avevano trovato un nome.
Suo padre aveva provato ad estrarre dell’argento da esso, non ritenendolo degno di nessun altro utilizzo, ma non vi era riuscito.
Nonostante suo padre gli avesse sconsigliato di farlo, il ragazzo lo prese in mano, sentendolo quasi scottare tra le dita.
L’energia e il fascino con il quale quella pietra lo attirava a sé erano innati.
Suo padre non era riuscito a fonderlo, ma ciò non voleva dire che non ci avrebbe provato lui. Tuttavia, lo avrebbe fatto senza l’intenzione di estrarre argento da esso. L’argento non gli interessava.
Facendo attenzione a non emettere il minimo suono, tornò in camera, schiavò il cassetto nel quale era contenuta la mandragora e la trasportò nella stanza dei cristalli.
Accese il caminetto presente nello stanzino e utilizzò carbone e legna per alimentare il fuoco.
Dopo di che, scoprì la mandragora dal telo nel quale l’aveva avvolta.
La radice grigiastra si era scurita, divenendo più dura e fredda, quasi come un corpo morto.
Blake la sfiorò d’istinto, per poi afferrare il grosso coltello che si era portato con sé, con la lama accuratamente affilata da due giorni dal fabbro.
Cominciò a tagliare la radice, iniziando ad udire un lieve sibilo provenire da essa, quasi come un sussurro basso, ansante e informe.
Quando ebbe terminato di tagliare un pezzo di mandragora, lo infilò nel recipiente utilizzato per riporvi le pietre e i metalli da fondere.
Posizionò il recipiente in cima alla fiamma del caminetto e poggiò al suo interno anche il frammento tossico grigio-bluastro. Si avvolse bocca e naso con un panno spesso non appena i due ingredienti iniziarono a fondersi insieme, emettendo vapori scuri e densi.
Blake rilesse alcuni appunti che aveva preso giorni orsono nel suo blocchetto utilizzato per annotarsi i dettagli e i procedimenti delle sperimentazioni, arricchendoli con il carboncino.
Quando il ragazzo controllò il contenuto del recipiente, trovò un liquido denso e scuro, con delle venature blu e argentate, impregnato in particolar modo del colore spento e indefinibile che presentava la radice morta della mandragora. A ciò, fece colare il liquido ottenuto dentro un piccolo recipiente ovale, di vetro verdognolo, tanto piccolo da poterne fare un ciondolo. Infine, si affrettò a riporlo in una bacinella di acqua fredda, nella quale aggiunse diverse erbe, foglie e fiori, mischiati insieme.
Ora, non gli rimaneva altro che chiudere la bacinella e seppellirla dietro l’abitazione, attendendo un giorno o due prima di riprenderla.  
Ritornando con gli occhi sul “corpo” della mandragora rimanente, abbandonato sul tavolino, Blake ebbe un angusto presentimento. Si riavvicinò alla radice, ne tagliò un altro pezzo e lo grattugiò dentro una ciotola.
Per accertarsi che gli effetti di quella mandragora corrispondessero alle sue aspettative, nonostante l’avesse sradicata già “morta”, l’avrebbe bevuta sul momento. Decise di andare in cucina e di aggiungerne qualche pizzico in un infuso.
Ma non appena il ragazzo raggiunse la cucina, si accorse di non essere l’unico sveglio a notte fonda in casa.
Con grande sorpresa, e di quella degli altri due inaspettati presenti, raggiunse la cucina dopo essersi chiuso la porta della stanza alle spalle.
Heloisa e padre Craig si pietrificarono sul posto non appena visualizzarono la sua figura.
Ella era in vestaglia da notte, con un’innocua tazza fumante tra le mani, mentre il giovane prete era seduto al tavolo, con le mani congiunte, evidentemente in placida attesa che gli venisse consegnata la tazza, prima che Blake sbucasse dal nulla e li paralizzasse come due bambini colti in fallo.
Il ragazzo, dopo la breve confusione iniziale, agì come se nulla fosse, raggiungendo la pentola colma di acqua già scaldata da sua madre e riponendola sopra il fuoco del camino.
- L’acqua è già calda. L’ho tenuta a scaldare fino a due minuti fa – trovò il coraggio di dire Heloisa a suo figlio, dopo quella che sembrò un’eternità.
- Me ne sono accorto. Lo sai che mi piace bollente, non tiepida come la fai tu, madre – rispose con disinvoltura Blake, poggiandosi con il bacino al bancone della cucina, ponendo le braccia conserte.
Il suo sguardo sembrava tranquillo, ma nascondeva quel cipiglio di irriverente provocazione che era solito celare senza troppo impegno, dietro gli occhi sin troppo espressivi.
Heloisa, per non peggiorare la situazione e renderla ancor più equivoca di quanto già sembrasse, si dileguò con la coda tra le gambe, dando la buonanotte ad entrambi e raggiungendo la propria camera da letto.
Rimasti soli il ragazzo e il giovane prete, quest’ultimo osservò l’altro andare a riprendere la pentola e versarsi l’acqua calda in una tazza, cominciando ad aggiungervi delle erbe prese dalla dispensa.
- Spero vivamente non vi siate fatto strane idee – ruppe il ghiaccio padre Craig sudando freddo, nonostante non avesse alcun motivo per farlo.
- Niente affatto, padre – rispose con tranquillità Blake, mischiando l’infuso con calma.
- Ero afflitto da degli incubi questa notte e vostra madre mi ha udito dalla sua camera.
- Posso ben immaginarlo.
- Si è cordialmente offerta di prepararmi un infuso di erbe calmanti.
- Mia madre è molto gentile.
- Come mai siete sveglio a quest’ora?
- Non siete l’unico ad essere vittima di sonni agitati, padre.
- E come mai eravate nella stanza in cui si trovano le pietre e i cristalli?
Blake alzò un sopracciglio in segno di disappunto.
Padre Craig conosceva quello sguardo, un segnale ben mirato a fargli comprendere di far virare il discorso su strade più sicure e percorribili.
- Non c’è nulla di cui vergognarsi, padre – riprese Blake, continuando ad aggiungere erbe al suo infuso bollente.
- Cosa intendete? Vi ho appena detto che avete frainteso e …
- I desideri degli uomini, quelli che traboccano dai loro occhi trasparenti come acqua di torrente, non sono mai materia di fraintendimento.
Sono solo un ragazzo ma so riconoscerli bene – rispose Blake, mantenendo il suo tono placido.
- Blake …
- Non sono qui per giudicarvi, padre.
Nessuno lo è. Potete dormire sonni tranquilli.
- Per quanto vostra madre e tutti voi possiate possedere un aspetto che indurrebbe ogni uomo o donna in tentazione … io non oserei mai posare le mani su vostra madre.
Oramai mi conoscete.
Sapete bene quanto io tenga alla virtù, all’onore altrui e al …
- … al vostro rapporto con Dio, sì, lo so.
Non sono il vostro confessore, padre.
Sono qui solamente per bere il mio infuso e tornare a dormire – lo rassicurò accennandogli un sorriso che non fece altro che allarmare maggiormente il giovane prete.
- Io non credevo avrei mai potuto guardare con desiderio il corpo di qualcuno.
Non so cosa mi stia succedendo ultimamente … – ammise padre Craig.
- È la prima volta che guardate e desiderate il corpo di una donna?
- Dubitate delle mie parole?
- Dunque deve essere un vero flagello per voi, aver scoperto di essere umano come tutti coloro che vi circondano.
- Siete crudele con me, Blake.
- Oh, padre … - sospirò il ragazzo prendendo posto a sua volta su una delle sedie che circondavano il tavolo, poggiando la tazza fumante su di esso e massaggiandosi la nuca con l’intenzione di rilassarsi un po’. - … è notte fonda e siamo seduti intorno al tavolo della cucina a bere degli infusi per cercare di riprendere sonno: che genere di crudeltà avete subìto nel corso della vostra vita per credere che io sia crudele con voi in questo momento? – domandò lievemente divertito, prendendo qualche pizzico di quelli che padre Craig riconobbe come granelli dall’odore penetrante stranamente familiare, di un colore spento e scuro. Li guardò con circospezione poco prima che Blake li aggiungesse al suo ricco infuso e cominciasse a mischiare anche quelli.
- Che cos’è? – domandò, non riuscendo a trattenersi.
- Secondo voi? – rispose Blake cominciando a bere.
A ciò, il giovane prete sgranò gli occhi incredulo. – Non ditemi che la state bevendo come fosse latte e zucchero …! Blake, avete aggiunto la mandragora nella vostra bevanda??
- Abbassate la voce – gli intimò tra i denti il ragazzo. – O sveglierete mio padre e mio fratello. Suppongo vogliate evitarlo, giusto?
Padre Craig cercò di riprendere il contegno e di calmare i tremori che lo avevano invaso alla consapevolezza che aveva appena acquisito.
- Siete sempre stato esagerato – commentò il ragazzo continuando a bere.
- Non dovreste trattare quell’abominio con tanta leggerezza …
- È solo una pianta curativa, padre.
- Una pianta velenosa …
- Tornando al discorso di poco fa – riprese Blake. – Cosa vi angustia tanto da farvi addirittura vergognare di guardarmi negli occhi, riguardo ciò che sentite di provare nei confronti di mia madre?
- Nulla.
- Allora guardatemi senza distogliere lo sguardo, come siete solito fare – lo sfidò il ragazzo.
A ciò, padre Craig provò a fare come gli era stato detto, fallendo miseramente nel tentativo dopo solo qualche secondo, distogliendo nuovamente gli occhi da lui. – Non ho peccato, né peccherò di immoralità desiderando o tanto meno sfiorando Heloisa.
Non mancherei mai di rispetto a Dio infrangendo il mio voto di castità.
Ma, prima di ogni cosa, non mancherei mai di rispetto a lei, alla promessa che la lega in sposa a vostro padre; né mancherei mai di rispetto a voi, Blake.
- A me …? – domandò il ragazzo incredulo.
- Certo.
- E per quale motivo dovreste mancare di rispetto a me facendo ciò?
- Perché è pur sempre vostra madre.
- Se volessimo considerare un contesto in cui lei sia una donna più disinibita e voi un uomo meno timorato di Dio, potrei solo essere lieto che ella sfoghi i suoi bisogni sessuali con voi ogni tanto.
Padre Craig impietrì nuovamente, a tali parole. – Che cosa state dicendo …? Non sareste infuriato con me? Non nutrireste un minimo di solidarietà con vostro padre? Non desiderereste riparare l’offesa arrecatagli?
- Offesa? Solidarietà? Tutto ciò che nutrirei nei confronti di mio padre in merito ad uno “smacco” simile, sarebbe indifferenza.
- Come potete parlare in tal modo …?
A ciò, Blake rivolse uno sguardo semi esasperato al suo interlocutore, continuando a sorseggiare. – Mio padre ha già offeso l’onore di mia madre. Le ha già mancato di rispetto tradendola con un’altra donna.
- Di cosa state parlando …? Ciò è accaduto durante una delle vostre celebrazioni pubbliche?
- Non c’entrano nulla le orge di piacere occasionali, quelle sono in accordo ad entrambi, padre. Sto parlando di adulterio con un’altra donna, da solo, all’insaputa di Heloisa.
Avete tanta paura di recare offesa a me o di mancare di rispetto a mio padre?
Nulla di tutto ciò accadrebbe, anzi, l’inverso. Io ne sarei felice, poiché mia madre avrebbe ripagato l’infedeltà di mio padre con la stessa moneta; mentre mio padre non avrebbe di che lamentarsi, dato che è stato il primo a tradirla. Infine, mia madre potrebbe sentirsi nuovamente desiderata e avrebbe il suo onore rivendicato.
Solo voi perdereste qualcosa in tutto ciò, padre.
So bene quanto tenete al vostro rapporto con Dio.
Per tale motivo non sarò io a spingervi tra le braccia di mia madre.
Potete stare tranquillo per questo.
- Mi dispiace, Blake. Non ero a conoscenza di tutto ciò – commentò il giovane prete dopo infiniti attimi di silenzio. – Credevo che vostro padre amasse vostra madre profondamente.
- Credo che l’ami comunque. Ma, talvolta, le cose non vanno come dovrebbero, lo sapete.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” – concluse il ragazzo.
Quel discorso, tuttavia, non era servito allo scopo di calmare davvero il giovane prete, e di liberare la sua anima tormentata dal male.
Non poteva dire a Blake che Heloisa non era l’unica che il suo corpo bramava, poiché, ormai, ogni donna che entrava nel suo campo visivo diveniva oggetto dei suoi peccaminosi desideri, inspiegabilmente.
Il corpo della donna era simbolo di lussuria, di brama incontrollabile, di peccato della carne, e per tale ragione andava rigettato, evitato a qualsiasi costo. Era tutto ciò che gli avevano da sempre insegnato.
Qualcuno gli aveva lanciato un sortilegio.
Tutto era cambiato da quella notte, quella notte maledetta.
Tuttavia, si era ripromesso che non sarebbe risalito alla realtà dei fatti con l’ausilio degli strumenti magici di cui gli aveva fatto dono Beitris.
No, lo avrebbe fatto da sé, in qualche modo.
Improvvisamente, l’attenzione dei due venne attirata da un ratto che si aggirava nel ripiano della cucina, in cerca di cibo.
- Avete visto, padre? A quanto pare abbiamo un amico che, furtivo, ogni notte, viene a farci visita, sperando di trovarci addormentati, per rubarci il cibo e portarci malattie – disse Blake alzandosi in piedi e avvicinandosi lentamente al roditore, intento a rosicchiare una crosta di pane abbandonata. – Per fortuna questa notte siamo svegli … - continuò a sussurrare il ragazzo, riprendendo in mano la bacinella contenente la mandragora macinata, infilandovi dentro una mano, adagio.
Padre Craig osservò i suoi movimenti come in trance, guardandolo prendere una generosa manciata di granelli sul palmo e offrirla all’inconsapevole topo, il quale cominciò ad annusarli e a nutrirsene.
Dopo solo qualche secondo, il piccolo animale fu colto da un improvviso e violento spasmo. Tremò dalla testa ai piedi, emise un verso acuto di dolore e cadde morto sul ripiano della cucina, con la bocca contorta e gli occhi spalancati.
Padre Craig persistette nell’osservare la scena, come se non riuscisse quasi a distogliere gli occhi dalla figura di Blake che continuava a sorseggiare lo stesso veleno che aveva sradicato la vita del topo con la velocità con la quale si spegne una candela.
 
Un individuo incappucciato entrò nella cattedrale, attirando l’attenzione di padre Lowel, intento ad accendere i candelabri presenti nel salone principale.
- Posso esservi utile, figliolo? – gli domandò cordialmente, avvicinandosi.
- Vorrei confessarmi, padre – rispose questo, senza scoprirsi il volto.
- Certamente – acconsentì il monaco, osservandolo con sospetto, mentre sudori freddi cominciarono a bagnare la sua nuca.
Si guardò intorno, accorgendosi vi fosse solo lui nel salone principale.
Tornò con l’attenzione sullo sconosciuto, il quale si era già diretto verso la stanza per le confessioni, e comprese di non potersi esimere.
Non appena entrò a sua volta nello stanzino, dalla parte del confessore, osservò la rete che lo divideva dal giovane uomo, e che permetteva solo una vista parziale di quest’ultimo.
Consapevole di ciò, Ephram si tolse il cappuccio e rimase di profilo, cominciando a parlare. – Vorrei confessare i miei peccati.
- Che genere di peccati, figliolo?
- Ho peccato d’ira. Una furia cieca mi ha avvolto, nell’essere costretto ad osservare decine di persone a me care bruciare su una pira, un giorno dopo l’altro.
Altri brividi freddi avvolsero le membra del monaco all’udire tali parole.
- Ho imprecato e giurato vendetta contro gli autori di tali carneficine, nella solitudine della mia dimora – continuò senza esitazione lo stregone. – Eppure, tutti quei giovani fedeli del Diavolo brutalmente condannati ad una morte lenta, bestiale e alla mercé degli occhi avidi e famelici di tutti … non avevano commesso alcun peccato.
Nessuno di loro ha mai rivolto un gesto irrispettoso o ingrato al nostro Signore.
Nessuno di loro ha violato alcuna sacra legge di Bliaint.
Siamo, da sempre, stati al servizio della legge e dell’ordine, sin da quando quel sudicio sacco di superbia di Allister Chaim ha operato la divisione, rendendoci tutti suoi schiavi, di generazione in generazione.
Dunque … perché?
Sapete rispondermi, padre?
- Figliolo …
- Non sono una delle vostre pecore – rispose duro il giovane stregone. – Ditemi, padre, vi è rimedio alla mia rabbia cieca?
- Vi prego … ditemi cosa volete … - balbettò il monaco. – Vi prego …
- Mi state supplicando, padre?
- Per quale motivo siete qui …?
- Per confessarmi.
- Posso provare a darvi le informazioni che vi servono, se solo ne fossi a conoscenza …
- State tremando, padre? State grondando di sudore e tremando.
Per caso sono io ad intimorirvi? – domandò Ephram con infinita lentezza, alzandosi nuovamente il cappuccio.
- I vostri compagni sono stati condannati in quanto hanno violato le sacre leggi di Bliaint riguardando l’uso della magia nera …
- Chi decide chi condannare?
- Cosa …?
- Chi decide chi condannare? – ripeté in maniera più scandita lo stregone.
- Si tratta di una decisione condivisa …
A ciò, sfruttando la sala vuota, Ephram uscì dalla cabina, per poi affacciarvisi dentro dalla parte del monaco, artigliandogli strettamente il collo con le dita. – Non ho tempo da perdere, padre. Specialmente con voi.
Sapete per quale motivo, nella nostra generazione, nessuno più prende i voti?
Sapete come mai siete rimasti solamente voi vecchi idioti a servire fedelmente i nostri signori, anima e corpo, nonostante la carica di monaco conferisca privilegi a non finire?
Lo sapete??
Padre Lowell negò con la testa, dimenandosi senza successo, a corto di respiro.
- Perché nessuno vuole restare a contatto per più di un’ora al giorno con voi, vermi schifosi - sussurrò Ephram avvicinando la bocca all’orecchio del monaco. – Ora … ve lo ridomando: vi è qualche informazione interessante, sulle attività poco lecite che vengono compiute nella nostra cattedrale, di cui vorreste informarmi? – sibilò stringendo più forte le dita sulla gola morbida del monaco ansimante.
- Io … non … so …
L’unica … l’unica cosa … che ho visto …
Sospetto … delle ricerche … che stanno compiendo … due fedeli … due fedeli del Diavolo …
Ephram allentò la presa, incuriosito e sorpreso da tale informazione. – Chi sono costoro? Cosa sospettate stiano facendo?
Padre Lowell si prese il tempo necessario per tossire e schiarirsi la voce, in modo da renderla comprensibile. – Li ho visti entrare nella cabina uno dopo l’altra, negli stessi orari, in compagnia della monaca custode della biblioteca. Sospetto che quest’ultima li stia lasciando entrare illecitamente nella biblioteca, ma non ne conosco la ragione … non so quale sia il loro scopo, né cosa stiano tramando …
- Di chi si tratta?
- Del figlio del proprietario della galleria e dell’orfana di Bernadette Livian, la protetta dei monaci dell’altra cattedrale. Non so null’altro … vi prego …
- Quali informazioni cela la biblioteca?
- Non lo so …
- Non fatemi perdere tempo, padre. Voi monaci siete gli unici che hanno accesso al sapere secolare contenuto nella biblioteca, gli unici in grado di leggere e scrivere, nella teoria, dunque gli unici che conoscono cosa vi è scritto in quei tomi.
- I soli tomi che siamo soliti consultare sono quelli che riguardano i nostri due signori.
Dei restanti scritti non conosciamo nulla.
Ephram sorrise innervosito, in seguito a tali parole. – Certo. Posso immaginarlo. E immagino che nei tomi che siete soliti consultare vi è esplicitamente scritto che il metodo migliore per “depurare” un peccatore dei propri peccati è il beneamato rogo – disse pungente. – Dunque i due servitori del Diavolo di cui mi parlate, oltre a saper leggere e scrivere, sono tanto furbi e svegli da imbrogliarvi da sotto il vostro naso. Che vergogna.
- Judith è anche la custode dell’altra biblioteca! Per questo non possiamo negarle l’accesso a …
- Avete la totale certezza che non siano stregoni, nessuno dei due? – lo interruppe Ephram.
- Non posso averne la certezza.
- Bene. Il vostro contributo è esaurito – disse il giovane stregone allontanandosi di un passo. – Tuttavia, fareste meglio a rimembrare questo, padre: conosciamo il luogo in cui vivete e non abbiamo di certo paura a penetrare dentro le cattedrali e raderle al suolo, con l’aiuto del Signore.
Se condannerete alla pena capitale un’altra strega o stregone, preparatevi alla guerra.  
 
Quella mattina si erano divisi.
L’aria pregna di nebbia che invadeva il villaggio sembrava quasi un presagio di un qualche evento funesto.
Forse per tale sinistra sensazione o forse per semplice scrupolo, quella mattina, diversamente dal solito, Blake e Judith avevano deciso di continuare la loro ricerca separatamente, l’una nella cattedrale del Creatore e l’altro nella cattedrale del Diavolo.
Quando si rincontrarono all’esterno, nella piazza, in mezzo al mercato affollato, i due si rivolsero uno sguardo schivo e complice, avvicinandosi con apparente non curanza agli occhi dei passanti.
- Oramai tutti coloro che ci hanno intravisti nelle scorse mattinate credono che tra noi vi sia un legame intimo. Non c’è bisogno di tanta circospezione – gli sussurrò Judith palpando distrattamente un melograno maturo su una bancone di frutta.
- Avete qualcosa da dirmi riguardo quello che avete scoperto stamani? – gli domandò il ragazzo osservando con finto interesse delle castagne nello stesso bancone.
- Nulla di nuovo. Purtroppo è stata una ricerca improduttiva. Voi?
- I nostri timori erano fondati.
- A cosa vi riferite?
- Oggi un fedele incappucciato si è fatto confessare ed è rimasto per parecchio tempo nella saletta in compagnia di uno dei monaci. L’ho intravisto uscire dalla cattedrale poco fa.
Forse ho qualche idea su chi possano essere coloro per cui reperisce informazioni, ma non ne ho la certezza.
Vi metto in guardia sul fatto che il monaco che probabilmente stava interrogando lo sconosciuto, potrebbe aver rivelato qualcosa di noi due. Oramai anche nella nostra cattedrale cominciano a diffondersi voci su di noi.
- Le uniche voci che circolano riguardano il fatto che due servi del Diavolo si dilettano in attività poco caste nella casa del loro signore, Blake. Essendo io loro protetta, i monaci non fanno altro che riderci su. Nulla di cui preoccuparsi.
- Ciò non significa che possiamo permetterci di abbassare la guardia.
- Nel caso lo sconosciuto o coloro in accordo con lui vengano a cercarci, dobbiamo mantenere la guardia alta e agire d’astuzia – aggiunse la ragazza, continuando a passare da un frutto all’altro.
- La nebbia oggi sembra solida per quanto fitta.
- Non mi avete ancora detto se almeno la vostra ricerca è stata fruttuosa – riprese la ragazza.
- A dir la verità, sì.
A tali parole, Judith non riuscì a trattenersi dal voltare leggermente il volto verso di lui. – Dunque?
- Non qui, non ora.
Dovete lasciarmi agire da solo per ora.
- Cosa intendete dire?
- Quando sarò giunto al risultato sperato, ritorneremo a collaborare, unendo le forze e vagliando ogni angolo delle biblioteche insieme, come eravamo soliti fare.
Tuttavia, riguardo ciò che ho scoperto stamani, è meglio che lasciate agire me per il momento.
So che forse ciò potrebbe richiedervi uno sforzo non indifferente, Judith, ma fidatevi di me.
Credo di esser riuscito a trovare qualcuno che può dirci come realizzare la polvere nera.
Judith sgranò gli occhi scuri, cercando di mantenere il suo granitico contegno e la sua aria di apparente incuranza. – Dite davvero …?
- Davvero. Vi ripeto: lasciatemi agire da solo per questa volta.
Se riuscirò realmente a trovarlo e ad ottenere da lui ciò che desidero, tornerò da voi vittorioso.
Nel frattempo, se qualche sconosciuto dovesse entrare nella cattedrale o seguirvi per richiamare la vostra attenzione in questi giorni, cercate di prendere tempo.
- Me la vedrò da sola, non preoccupatevi.
Voi pensate al vostro compito e cercate di non infilarvi in situazioni dalle quali non potete uscire.
Mi fido della vostra intelligenza ma non della vostra impulsività.
Blake sorrise in risposta, posando una mela nel cesto dal quale l’aveva presa. - Una giovane coppia infatuata, dunque? – domandò per una conferma non necessaria.
- Una giovane coppia infatuata un po’ distaccata oserei dire, considerando la natura del rapporto, ma sì – rispose la ragazza trattenendo un sorriso divertito.
- Non vi bacerò la mano con passione e venerazione in mezzo alla piazza, neanche sotto vostra supplica.
A ciò, Judith cedette a delle risa divertite, seguita da Blake.
- Siete senza speranza – rispose al ragazzo, continuando a sorridere con quella distratta leggerezza che sentiva di non poter mai mostrare. – Ora andate. Ci incontreremo a tempo debito e fate attenzione.
- Anche voi  - le rispose egli, poco prima che qualcosa, o meglio, qualcuno, andò a sbattere contro le sue gambe con impeto.
Blake abbassò lo sguardo contrariato, incontrando i visini mortificati di due ragazzini orfani, servitori del Diavolo anch’essi. La prima caratteristica che il ragazzo notò dei due, fu la loro strabiliante somiglianza: entrambi della stessa altezza, entrambi con una spettinata chioma biondo cenere, entrambi col viso tondo come quello di una mela, il colorito roseo, il naso lievemente appuntito e luminosi occhi d’ambra.
Erano esattamente identici e dimostravano massimo undici o dodici anni.
Vi erano diverse leggende trasmesse dai villaggi circonstanti riguardo i gemelli perfettamente uguali.
Alcuni credevano rappresentassero un cattivo presagio, altri grande prosperità.
A Bliaint, invece, i gemelli erano semplicemente simbolo dell’immenso amore di entrambi i signori nei confronti dei loro fedeli servitori; come un’ulteriore dimostrazione che, sia il Creatore che il suo angelo caduto, fossero due facce della stessa medaglia, entrambi meritevoli di essere serviti e adorati in egual modo.
Tuttavia, nessun trattamento speciale era riservato ai gemelli.
- Scusate, signore, ci dispiace tanto! Purtroppo mio fratello non mostra mai attenzione a dove mette i piedi! – esclamò uno dei due, quello più vicino alle gambe di Blake e con un sacco semivuoto sulle spalle.
- Non scaricare sempre la colpa su di me! Eri tu a non sapere dove mettere i piedi!
- Chiudi quella lurida bocca!
- Ehi voi due, va tutto bene – li interruppe il ragazzo, calmando la rissa.
- Non vi siete fatto male?
- No, niente affatto. Non avete nulla di cui scusarvi. Voi state bene?
- Sì, siamo abituati a ben di peggio!
- Grazie per la gentilezza, signore! Avete un pacco da consegnare per caso? – chiese il più evidentemente eloquente dei due gemelli.
- Siete voi due i furfantelli che consegnano i pacchi? – domandò il ragazzo realizzando solo in quel momento di trovarsi dinnanzi ai due messaggeri del villaggio.
- Ira Maroine e Ira Maringlen al vostro servizio! Diteci il vostro nome, poi il nome della persona a cui volete consegnare il pacco e infine dove abita. Sono due monete per pacco.
- Dove le scrivete queste informazioni? – domandò il ragazzo affilando lo sguardo incuriosito.
- Non sappiamo leggere.
- Né scrivere. Le teniamo nella mente!
- E riuscite a ricordare tutto quello che vi dicono? – chiese Blake perplesso.
- Sì! Quando abbiamo troppi pacchi da consegnare dividiamo la memoria in due! – esclamò il meno esuberante. – Metà io, metà mio fratello.
- Allora? Volete consegnare un pacco a qualcuno? O una lettera?
- No, non devo consegnare nulla per oggi. Tuttavia, vi darò comunque due monete – disse il ragazzo tirando fuori dalla sua tasca due monete d’argento, donandone una ad ognuno, vedendoli animarsi e illuminarsi come due raggi di sole.
- Grazie, signore!
- Voi siete molto gentile!
- Non ringraziatemi. Fate attenzione a non scontrarvi con ogni passante della piazza e buon lavoro! – li salutò sorridendo Blake, allontanandosi e imboccando la sua strada.
A ciò, i due ragazzini iniziarono a correre, evitando abilmente di andare addosso agli altri popolani che affollavano il luogo.
Raggiunsero il confine con il bosco e la palude, addentrandosi nella natura incontaminata che caratterizzava quei luoghi, percorrendo una strada che sin troppe volte avevano imboccato, una traiettoria ben impressa nella loro giovane e allenata memoria.
Arrivati alla porta della grande abitazione di legno nascosta dietro la grotta, i due bussarono, attendendo pazienti.
Dopo qualche minuto, una giovane strega aprì la porta, sorridendo loro provocatoria. – Cosa ci fate qui, voi due piccole canaglie? Non vi ho visti uscire di qui giusto due ore fa? Avete fatto tutte le consegne che dovevate portare a termine entro oggi? – domandò la donna, ponendo le braccia conserte, poggiandosi all’uscio.
- Togliti di mezzo, Annabel – disse uno dei due ragazzini.
- Se non ci fai passare, ti buttiamo giù e ti passiamo sopra – aggiunse l’altro.
- Quanta maleducazione per due giovanissimi gentiluomini come voi! – esclamò la strega finta offesa, permettendo loro di entrare.
Chiusa la porta dietro di loro, i due gemelli si liberarono del sacco vuoto di pacchi all’ingresso, e imboccarono di corsa uno dei lunghi corridoi della grande abitazione illuminata dalla luce fioca delle candele, spintonandosi l’un l’altro.
- Stai indietro, Maringlen! Mi farai inciampare!
- Tappati la bocca e mangia la mia polvere! – esclamò il fratello, sorpassandolo e correndo come un fulmine verso un grosso stanzone.
Non appena entrarono, i due fecero cessare la loro corsa, fermandosi improvvisamente.
Il silenzio tombale che invadeva la stanza era quasi spettrale.
Niente a cui non erano abituati, ad ogni modo.
I due entrarono nella stanza e cominciarono silenziosamente a spogliarsi dagli strati di vestiti pesanti che avevano indossato per ripararsi dal freddo. Alcuni di questi, come i guanti tagliati all’altezza delle dita, gli scaldapolsi e gli scaldacollo, servivano a coprire i simboli neri con i quali erano stati marchiati anche loro, sul collo e sugli avanbracci, circondati di collane di corda nere con dei ciondoli di cristalli, e di bracciali di pietre di legno. Una volta liberate anche le disordinate zazzere di capelli biondi legati dalle cuffie, i due si diressero verso un punto della stanza in particolare.
Da un lato, lo stanzone era occupato da una donna, una strega non appartenente al villaggio di Bliaint, seduta a terra a gambe incrociate e con gli occhi chiusi, impegnata a compiere un rito di purificazione, circondata da un cerchio di streghe e stregoni nella stessa posizione.
Dall’altra parte, invece, si trovava una donna di spalle, dinnanzi ad una piccola teca di vetro, riempita di fiori profumati, erbe e spezie, al centro della quale si trovava disposto il corpo di un bambino senza vita.
I due gemelli si diressero verso quest’ultimo.
A ciò, Beitris, voltata verso la teca e impegnata a riempirla di petali e erbe, si voltò a guardarli, sorridendo amorevolmente. – Era più freddo del solito oggi al villaggio? – domandò loro placidamente.
- C’era una nebbia tremenda e gelida – rispose il meno esuberante dei due, Maringlen, avvicinandosi alla teca, rapito, poggiando il palmo della mano sul vetro, all’altezza del volto spento del bambino.
Maroine, d’altro canto, girò intorno alla teca osservando il corpicino da ogni angolazione. – Quanti anni aveva? – domandò.
- Non lo so. Forse, era un po’ più piccolo di voi – rispose Beitris, continuando il suo operato.
- Per essere uno straniero, è un bel bambino – commentò Maroine.
- Non riesci mai a rimanere zitto un secondo, vero, Maroine? – lo riprese il fratello.
- Quello che deve tacere sei tu, Maringlen. Anche quando siamo davanti agli altri devi lasciar parlare me. Te l’ho detto mille volte. Sono io il più furbo e bravo con le parole tra noi due. E anche il più persuasivo – disse con la voce arrochita un po’ dal freddo e un po’ dallo sforzo costante di renderla tale.
Beitris sorrise in risposta. – Non vantarti troppo, Maroine. Hai ragione, sei sicuramente tu il più estroverso, il più portato ad estrapolare informazioni e a mentire. Tuttavia, non dimenticare che tuo fratello è quello in grado di gestire le situazioni a mente fredda, in maniera più matura e responsabile.
A ciò, i due ragazzini si guardarono in cagnesco, per poi addolcire lo sguardo complice e sorridersi furbescamente, prima di tornare con gli occhi sul corpicino senza vita.
- Perché lo tieni ancora qui? Perché non lo seppellisci? Infondo, ti ha solo aiutato a sradicare la mandragora - disse con semplicità Maroine.
Beitris lo fulminò con lo sguardo in risposta. – È un bambino come voi. Mi piace tenerlo qui per rendergli omaggio.
- Come una bambola? Puoi usare l’incantesimo della lucertola per farlo crescere anche se non può più crescere.
- Non voglio più sentire una parola, Maroine.
- Che ho detto di male??
- Se continuerete a fare commenti innecessari, non potrete più vederlo e portargli i fiori.
- D’accordo, allora staremo zitti. Mi piace avere un bambino in casa che non sia mio fratello – acconsentì Maroine.
- Se lo spirito del bambino senza nome dovesse trovarsi ancora nei paraggi non sarebbe una bella cosa – intervenne Maringlen, facendo vagare distrattamente il palmo sul vetro della teca. – Io, al suo posto, sarei molto arrabbiato se scoprissi che la mia morte non è servita a nulla. La mandragora serviva per l’incantesimo di fertilità. Era l’unico modo. Ma non è bastata neanche quella. Non è servita a niente. La sua morte non è servita a niente. La colpa è di chi l’ha voluta a tutti i costi, la colpa è di … - la bocca del bambino venne immediatamente tappata da Beitris, la quale si trattenne dall’istinto di riversargli uno schiaffo in pieno volto, come era già accaduto altre volte. Si era ripromessa di non farlo più, di non rovinare più quel volto ancora troppo acerbo per subire qualsiasi tipo di violenza. Prese un bel respiro e spostò la mano sulla sua guancia, con delicatezza. – Non ti azzardare più a dire parole che sai di non poter mai dire, Maringlen. Non costringermi ad essere cattiva con te. Lo sai che lo odio.
A ciò, il ragazzino annuì, attendendo che Beitris si distanziasse da lui.
Allontanando l’attenzione da Maringlen, Beitris posò involontariamente lo sguardo su Maroine, notando un ematoma viola che gli macchiava la mascella, del quale non si era accorta prima. – Cos’è quello? – gli domandò avvicinandosi, vedendolo indietreggiare e coprirsi la zona lesa.
- Nulla – rispose Maroine.
- Come te lo sei fatto? Hai fatto di nuovo a botte con gli altri orfanelli?
Maroine non rispose, confermando le supposizioni della ragazza. – Per quale motivo? – insistette Beitris. – Ti ho chiesto per quale motivo hai fatto a botte questa volta, Maroine – si impose Beitris strattonando il braccio del ragazzino.
- Alcuni ragazzi gli hanno chiesto di urinare insieme a loro – rispose per lui Maringlen.
- Per quale motivo ti hanno chiesto una cosa del genere, Maroine?
- Non lo so – si decise a rispondere l’interpellato, con lo sguardo basso.
- Per quale motivo??
- Perché mi hanno dato un calcio proprio lì e si sono accorti che non ho niente lì sotto!! – esclamò Maroine sull’orlo delle lacrime.
- Si sono accorti che sei una ragazza, Maroine …?
- Mi hanno chiesto di urinare davanti a loro per provargli di essere un maschio, perché sembro un maschio ma lì sotto non c’era niente secondo loro. Io non l’ho fatto e ho cominciato a picchiarli. Maringlen mi ha aiutato a dargli una lezione – spiegò Maroine nuovamente con lo sguardo basso.
Beitris sospirò, cercando di non perdere la calma. – Maroine, ricordi il tuo vero nome? Il tuo nome da ragazza? – le domandò con calma.
- No. Il mio nome è Maroine.
- Ma non è il nome che ti ha dato tua madre.
- Maroine è il mio nome perché io sono un ragazzo! – urlò l’interpellata. – Parlo come un ragazzo, mi comporto come un ragazzo e sembro un ragazzo!! Nessuno si è mai accorto di niente.
- Quando sarai più grande non sarà più così facile fingere.
- Me lo ripeti sempre, non voglio più sentirlo!
- Il tuo seno si gonfierà e periodicamente sanguinerai da là sotto. Come pensi di poterlo nascondere?
- Ci riuscirò!! Ci riuscirò comunque!!
- Perché vuoi continuare a farlo, Maroine? Per quale motivo vuoi continuare ad essere qualcosa che non sei? - la testò ancora Beitris.
- Perché è quello che voglio! Perché mi sento bene ad essere un maschio!
- Voglio sapere il perché. Dimmelo.
- Perché i ragazzi non finiscono alla Taverna come le ragazze, perché i ragazzi orfani vengono presi sul serio per guadagnare soldi, per lavorare! Perché non mi piace essere una ragazza! Non mi piacerà mai!
A ciò, Beitris si accovacciò dinnanzi a lei. – Lo sai che, per continuare a fare ciò che hai sempre fatto, dovrai metterci sempre più impegno, Maroine? Per tuo fratello è facile, perché lui è nato ragazzo mentre tu no, ma vuoi essere come lui.
Dovrai sempre fare il doppio dello sforzo, dovrai arrochire la voce sempre di più, dovrai stringere le labbra per farle sembrare meno carnose, dovrai indurire le mascelle quante più volte potrai per farle sembrare più pronunciate, dovrai indossare vestiti che ti ingrandiscono le spalle, dovrai coprire i tuoi fianchi quando si incurveranno più di quanto già sono. Dovrai tagliarti questi bei capelli.
- Ma anche Maringlen ha i capelli lunghi.
- Ma Maringlen è un ragazzo vero! Lui non ha bisogno di sembrarlo! Mi hai udito, Maroine?! O devo ripeterti tutto daccapo?? Guarda tuo fratello! Guardalo! Siete uguali, ma tu hai i lineamenti più dolci di lui, più femminei! È evidente!! Per questo devi continuare a fare tutto quello che ti ho detto, tutto quello che hai sempre fatto per mantenere il tuo segreto! Mi hai capito??
Maroine annuì con convinzione, asciugandosi con violenza le lacrime che le bagnavano gli occhi.
- Se dovessi scoprire che quei piccoli bifolchi là fuori ti hanno fatto del male di nuovo perché non sei stata abbastanza attenta, ti costringerò con la forza ad essere ciò che sei nata per essere!
- Starà attenta! – si impose Maringlen, ponendosi tra Beitris e sua sorella, in posizione di difesa, penetrando lo sguardo della strega con i suoi occhi decisi. – Mostrerà la massima attenzione. Te lo garantisco. La aiuterò io. Nessuno scoprirà mai niente.
A ciò, Beitris si rialzò in piedi, guardandoli con uno sguardo più sereno.
- Si può sapere perché ogni volta che voi due belve entrate in casa, non è più possibile avere un minimo di silenzio?? – si lamentò seccata la strega dall’altra parte della stanza, muovendosi dall’interno del cerchio e sciogliendolo, avvicinandosi ai tre con le braccia conserte, in attesa. – Dunque? Non vi abbiamo mandato al villaggio per un motivo specifico? Allora, cosa avete scoperto?
A ciò, i due gemellini si rianimarono, ricordando le informazioni accumulate. – Ephram aveva ragione. La figlia di Bernadette Livian e l’amico di Beitris stanno cercando qualcosa – disse Maringlen.
- Siete state veloci. Ephram è tornato dalla sua gita alla cattedrale giusto qualche ora fa, dicendoci cosa avesse scoperto, e voi siete partiti subito, tornando in un batter d’occhio. Mi complimento con voi – disse la strega straniera, sorridendo soddisfatta, per poi rivolgere lo sguardo a Beitris. – Quello che stai udendo ti sorprende, mia cara?
- Come ho detto anche ad Ephram poco fa, mi sfugge il motivo per cui le misteriose ricerche dei due soggetti in questione dovrebbero interessarci, Selma.
A tali parole, la strega straniera si avvicinò maggiormente a Beitris. – Perché, si dà il caso, che la figlia di Bernadette Livian viva a stretto contatto con i nostri carnefici e probabilmente sia in combutta con loro, e, improvvisamente, il tuo giovane amico sembra andare parecchio d’accordo con lei.
- Maringlen, Maroine – li richiamò nuovamente Beitris, distogliendo l’attenzione da Selma. – Siete riusciti a scoprire cosa stanno cercando?
- Ho sentito che il ragazzo ha nominato una certa “polvere nera” – rispose Maroine cercando di ricordare tutto ciò che aveva udito.
Ma non appena pronunciò quelle due parole, Selma sbiancò totalmente, indietreggiando di qualche passo, facendo allarmare tutti gli altri presenti in stanza, i quali non l’avevano mai vista in quelle condizioni.
- Si suppone che qualcuno di noi debba sapere di cosa si tratti, Selma …? – domandò Beitris, allarmandosi a sua volta.
La donna, in risposta, iniziò a tremare, aggrappandosi a tutto ciò che gli si trovava intorno per reggersi in piedi. – Polvere nera …? Avete detto “polvere nera”??
I due ragazzini annuirono, guardandola confusi e lievemente intimoriti.
- Di che cosa si tratta, Selma? Parlaci! Ha a che fare con la magia nera?
- È molto peggio. È molto, molto peggio di tutto ciò che siete abituati a conoscere e a vedere su questa terra – sussurrò sconvolta Selma. – Voi non vi rendete conto. Non riuscireste mai a comprendere la portata di ciò a cui stiamo andando incontro solamente parlandone …
- Se non è magia nera e ti spaventa tanto … allora di cosa si tratta? – azzardò un altro stregone.
- Il nostro Signore … il nostro Signore, che sempre sia lodato … non può fornirci un potere del genere … non è nelle sue facoltà. Esula da tutto ciò che Egli potrebbe offrirci.
- Parla chiaro, Selma. Che cos’è la polvere nera?
- Un potere ultraterreno che non proviene né dal nostro Signore né dal Creatore.
Qualcosa dall’origine sconosciuta e dagli effetti catastrofici.
Motivo per cui dovremmo starne alla larga e tutti dovrebbero.
Il flagello dell’umanità non deve essere neanche nominato.
- Allora per quale motivo Blake lo sta cercando? Come ha fatto a scoprirlo?
Tu come conosci questo “flagello dell’umanità”?? – domandò impaziente Beitris.
- Ho viaggiato molto prima di raggiungere Bliaint, esplorando terre che voi ragazzini imprigionati in questo covo di vipere non vedrete e conoscerete mai. Ho almeno il doppio della vostra età. Fareste meglio ad ascoltarmi e a portarmi rispetto quando vi suggerisco di tirarci fuori da una questione del genere.
Non voglio più sentire parlare di ciò che ho solo visto da lontano e che mi ha terrorizzato e gelato il sangue, portandomi a sentirmi pari ad un verme, dinnanzi a tanta orrorifica grandezza.
Fidatevi di me, è meglio non sapere.
- E io ti ripeto che un abitante di questo villaggio sta cercando questa dannata polvere nera, all’insaputa di tutti. Non credi sia meglio tentare di ingraziarcelo, qualsiasi cosa accada, in modo da sapere cosa ha intenzione di fare con questo flagello da cui vuoi che ci teniamo alla larga? – suggerì Beitris.
Selma vi pensò su, eternamente combattuta. – Cos’altro avete udito uscire dalla bocca del ragazzo? – domandò ai due gemelli.
- Diceva di aver trovato qualcuno che può dirgli come realizzare la polvere nera.
Il colorito di Selma si fece ancor più ceruleo a tali parole. – Il nome di tale individuo? Lo ha pronunciato …?
- No.
- Sai di chi potrebbe trattarsi? – chiese conferma Beitris, speranzosa.
- Esiste un solo uomo nelle terre del Nord Occidente che ha assistito a ciò a cui ho assistito io. Ma non sarà facile trovarlo. Dovete lasciarmi almeno un giorno.
- Un giorno di tempo, non di più. Se Blake dovesse andare a cercare questo individuo da solo, potremmo aver perso ogni speranza di trovare un alleato che potrebbe possedere quella che, a tua detta, sarebbe l’arma peggiore nelle mani di un uomo – decretò Beitris.
La tensione e il silenzio formatisi nello stanzone vennero interrotti dal rumore dei denti di un topo intenti a rosicchiare qualcosa, accanto ad una delle candele disposte a terra.
L’attenzione dei due gemelli si spostò sull’animale, lo raggiunsero inginocchiandosi accanto a lui e osservandolo sorridenti. – Guarda, Maringlen, avremo un animaletto da compagnia! – esclamò Maroine accarezzando la testa del topolino con un dito.
- Potremo dargli da mangiare ogni giorno, la mattina e la sera – propose l’altro gemello, sorridendo a sua volta, offrendogli qualche briciola che aveva in tasca.
Dopo qualche minuto che i due trascorsero a nutrire il topo e a cercare di comunicare con lui, qualcuno entrò in casa, aprendo la porta dell’abitazione e richiudendola con forza, facendo tremare il pavimento dall’entrata, sino allo stanzone in cui si trovavano. Il tremolìo del terreno fece oscillare alcune delle candele verticali poste a terra, tra cui anche quella vicinissima all’animaletto.
Nel giro di qualche secondo, la candela cadde addosso al topo e quest’ultimo prese fuoco, cominciando a strillare come uno dei tanti corpi bruciati al rogo nella piazza del villaggio, ma con una vocina più stridula ed estremamente fastidiosa.
I due gemelli scattarono immediatamente lontano dall’animale, osservando il macabro spettacolo a distanza, allibiti.
A ciò, Beitris si riavvicinò a loro. - Ecco il motivo per cui vi sprono sempre a mostrare la massima attenzione, miei topolini: in men che non si dica, potrei ritrovarvi carbonizzati in qualche vicolo come lui, o peggio, sopra un soppalco.
Ora capite cosa intendo?
 
Padre Craig seguì Blake fino all’entrata della Taverna, stringendosi nel suo nuovo mantello di pelliccia pesante, appena cucito dalla sarta. – Sembra quasi una serata d’inverno … - sospirò osservando il cielo buio e costellato di stelle dietro di lui, poco prima di varcare la soglia del locale.
- Vi abituerete al freddo – gli disse il ragazzo facendosi strada dentro la Taverna.
- Come mai siamo qui questa sera, Blake? Vi ho già detto che preferisco rimanere in casa per evitare tentazioni di ogni tipo in questo periodo complicato per me e per la mia fede.
- Tra poco mi ringrazierete – gli rispose il ragazzo facendogli segno con la testa verso un tavolo in particolare tra i molti occupati.
Padre Craig seguì la traiettoria del suo sguardo e sgranò gli occhi non appena individuò la figura di Judith seduta su un tavolo, che lo guardava sorridendo, lieta di vederlo, mentre attendeva che la raggiungessero.
A ciò, il giovane prete guardò il ragazzo stupito, in cerca di spiegazioni.
- Sono a conoscenza della vostra amicizia con la signorina Judith. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere rivederla e scambiarvi due parole, passando una serata diversa dal solito – gli spiegò il ragazzo, incoraggiandolo a prendere posto accanto a Judith.
Padre Craig, in risposta, gli rivolse uno sorriso radioso e riconoscente, improvvisamente dimentico di ogni supplizio che sentiva invadere la sua mente, alla sola prospettiva di trascorrere una serena e gioviale serata in compagnia dei due ragazzi.
- Buonasera, padre – lo salutò Judith, vedendolo sfilarsi l’ingombrante mantello, disporlo sullo schienale della sedia e sedersi accanto a lei.
- Buonasera a voi, mia cara Judith – ricambiò il saluto sorridendole, felice di trovarla bene.
- Come state?
- Ora che sono in compagnia di voi due mi sento rinvigorito – ammise guardandosi intorno.
- Ringraziate Blake, è merito suo. Mi ha chiesto di venire qui questa sera, nonostante siamo soliti incontrarci sempre allo stesso luogo e allo stesso orario – spiegò la ragazza, facendo virare lo sguardo sul ragazzo, impegnato a sistemare il suo mantello sullo schienale della sedia accanto a quella di padre Craig.
- Passare tutte le mattinate rinchiuso in quelle cattedrali non è esattamente il mio idillio – commentò egli.
- Voi due vi conoscete più di quanto immaginassi, dunque – constatò il giovane prete.
- Abbiamo un accordo io e Blake, padre. Lui mi aiuta per una mia ricerca, e io aiuto lui – rispose Judith, rimanendo volutamente criptica, ma senza alcuna diffidenza; semplicemente per non invischiare il giovane prete in argomentazioni che gli avrebbero affollato la mente maggiormente.
- Sono lieto che voi due abbiate avuto modo di approfondire la vostra conoscenza. Vi ritengo entrambi due ragazzi con una profonda intelligenza, in grado di donare molto l’uno all’altra.
- Andateci piano, padre. La nostra è solo una pacifica collaborazione – lo ragguardò scherzosamente il ragazzo, facendo sorridere anche Judith.
- E voi, padre? Blake mi ha accennato qualcosa, riguardo i vostri proibiti desideri che non vi lasciano in pace neanche durante la notte e che vi stanno prosciugando le forze – disse la ragazza in tono preoccupato.
- Non ne voglio parlare ora, mia cara Judith. Avrò modo di comprendere e di spiegarvi ciò che mi tormenta, a tempo debito. Ora vorrei solo godermi la vostra compagnia serenamente – rispose padre Craig guardando prima l’una, poi l’altro.
- Dunque, non mi avete ancora detto se vi piace questo posto, padre – esordì Blake cambiando argomento.
- Sì, lo trovo piacevole. Le locandiere sono cordiali e allegre, non vi è troppo baccano, e non circola neanche un’eccessiva quantità di vino, in fin dei conti.
Padre Craig cominciò a domandarsi per quale motivo Blake avesse deciso di trascorrere quella serata in loro compagnia proprio quel giorno, se fosse stata un’improvvisa voglia di rivisitare la Taverna e di evadere da casa sua e dalla pesante atmosfera che aleggiava nel villaggio; oppure la causa risiedeva in altro.
Se lo domandò mentre lo scorgeva con la coda dell’occhio, annuire distrattamente in seguito alla sua risposta.
Apparentemente, la mandragora non aveva sortito effetti negativi su di lui, fortunatamente.
Tuttavia, con Blake non si poteva mai tirare un sospiro di sollievo.
Se ciò che lo teneva sveglio la notte avesse a che fare con la questione della mandragora o con qualche altro arcano turbamento, padre Craig non lo avrebbe mai saputo, poiché quel ragazzo evadeva ogni discorso che iniziavano e che sospettava avrebbe condotto a lui stesso, a qualsiasi cosa lo riguardasse nello specifico.
Ultimamente, lo aveva visto anche trascorrere meno tempo con Ioan, impegnato com’era nelle sue attività e nei suoi pensieri.
Come se il ragazzo potesse leggergli nel pensiero, parlò prima che altri prendessero la parola. – Io e Judith abbiamo concordato di agire separatamente per qualche giorno – lo informò.
- Che cosa vorrebbe dire ciò?
- Blake partirà domani, padre – spiegò Judith, lasciando il giovane prete visibilmente stupito e angosciato da tale notizia. – Non starà via molto – si premurò di rassicurargli la ragazza. – Deve sbrigare un’importante impegno da solo.
A ciò, padre Craig si voltò nuovamente verso Blake. – Dunque è così? E dove andrete? Quando lo avete deciso?
- Stamani. Devo raggiungere un villaggio non molto distante da qui. Tuttavia, come ben sapete, anche i villaggi più vicini a Bliaint, in realtà sono lontani – gli rispose rivolgendogli un sorriso amichevole, lievemente macchiato da qualche sorta di preoccupazione. – Voi dovrete badare a mio fratello in mia assenza, padre. Mi raccomando con voi – aggiunse guardandolo negli occhi, tornando serio.
- Blake, non potete dirmi realmente nulla sullo scopo e la destinazione del vostro viaggio?
- Non vi servirà saperlo, padre. Inoltre, avrete anche Judith qui. Non vi sentirete perso, di certo.
- Ordunque avete la mia parola. Al vostro ritorno, che mi auguro avvenga il prima possibile, troverete esattamente tutto come lo avete lasciato. Mi occuperò di Ioan per voi, lo tratterò esattamente come fosse mio fratello – gli assicurò il giovane prete, vedendolo annuirgli fiducioso in risposta.
- Mi sento bene con voi due – riprese a parlare improvvisamente padre Craig. – Mi sento completo. È una sensazione che vorrei rimanesse con me per il resto dei miei giorni.
Il particolare idillio creato dai tre venne interrotto dall’intromissione di una locandiera.
- Qualcuno vi ha offerto un boccale, mio signore – disse la ragazza poggiando il boccale esattamente sotto il naso di Blake, sorridendogli, per poi andarsene.
A ciò, il ragazzo si sporse per guardarvi all’interno, trovando un raro e splendido fiore all’interno del liquido rosso.
Immediatamente, Blake realizzò, cominciando a guardarsi intorno con attenzione per individuare il mittente.
Colei che glielo aveva mandato amava alla follia quel delicato fiore, e anche se era difficilissimo da trovare, in qualche sconosciuto modo, lei riusciva sempre a reperirlo. E glielo faceva trovare ogniqualvolta aveva voglia di vederlo.
Scrutò nuovamente ogni presente, vicino o lontano da lui, non riuscendo ad individuare la figura della ragazza.
- Che bel fiore. Non credo di averne mai visto uno così. Chi ve lo ha mandato? – domandò padre Craig.
- È un anemone – gli rispose Blake.
- Che strana scelta. La persona in questione deve sentire la vostra mancanza – commentò Judith.
- Che cosa intendete con ciò? – domandò il giovane prete.
- L’anemone simboleggia l’abbandono, l’attesa, ma, soprattutto, la mancanza – spiegò Judith accennando un sorriso.
- Vogliate scusarmi – si congedò il ragazzo alzandosi in piedi e prendendo il suo mantello. – Tornerò appena possibile – concluse avviandosi verso l’uscita della Taverna.
Uscito dal locale, una ventata fredda lo invase, spingendolo ad alzarsi il cappuccio sopra la testa.
Finalmente, riuscì a trovare la persona che lo aveva richiesto, la quale lo attendeva fuori l’ingresso, a qualche metro da lui, sorridendogli con i suoi smeraldi verdi nascosti dietro il cappuccio grigio.
Blake si avvicinò, accostandosele. – Stavo trascorrendo una serata tranquilla, Beitris – esordì, guardando la strada semivuota dinnanzi a sé.
- Non era mia intenzione rubarti ai tuoi fortunati compagni di svago – rispose ella melliflua. – Non ci vediamo da quella notte, Blake. La ricordi?
- Nessuno ricorda quella notte.
- Quando ho riacquisito i sensi, riaprendo gli occhi, ti ho trovato accanto a me, coperto di sangue. Per la prima volta, dopo diverso tempo, mi sono spaventata.
- Lo eravamo tutti.
- Sei adirato con me? – gli domandò voltandosi a guardarlo.
A ciò, egli fece lo stesso, mantenendo uno sguardo neutro. – Perché me lo domandi? Dovrei esserlo?
- Ho sempre amato e invidiato la tua astuzia, la tua abilità nel dialogare, sai? È il motivo principale per cui l’hai sempre vinta, in ogni contesto – disse sorridendo, per poi tornare seria. – Non sei curioso di scoprire cosa ci è successo? Cosa ti è successo?
- Se quello che è accaduto non è più nella mia memoria e non ha provocato alcun effetto su di me ora, per quale motivo dovrei voler sapere cosa è accaduto?
- In ogni caso c’è già qualcun altro che se ne sta preoccupando al tuo posto.
- Cosa intendi? Perché hai voluto vedermi, Beitris?
- Volevo vederti. Tutto qui.
Il ragazzo la guardò in aspettativa, fin quando ella non si decise a parlare nuovamente.
- Sai che non ho mai voluto coinvolgerti nelle nostre faccende, Blake.
- Sono io che non mi sono immischiato, perché non l’ho voluto. Fosse stato per te, mi avresti fatto passare ventiquattro ore al giorno in quella casa in mezzo al bosco.
- Sai bene quanto sia fondamentale la compagnia di cui faccio parte, non solo per me, ma per il benessere dell’intero villaggio. Noi facciamo del bene. E veniamo puniti per questo. Doverti ripetere tutto ciò è un insulto alla tua intelligenza.
- Non ho mai voluto praticare la magia nera, Beitris, ne abbiamo già parlato. Sono in cerca di altro.
- Certo, quello che fai tu ha uno scopo più alto – controbatté ella pungente. – Ne hai sempre fatto uso, volente o nolente, anche senza rendertene conto. Myriam ti ha istruito a riguardo.
- Cosa c’entra ora Myriam …? – chiese voltandosi nuovamente a guardarla, irritato nell’udire quel nome in un momento simile.
- Nulla. Sai bene, nel profondo, che ciò che sta avvenendo in questo villaggio è una fredda e lenta carneficina. Se non ci affrettiamo a porvi rimedio, ci stermineranno tutti, dal primo all’ultimo.
Siamo noi servitori del Diavolo le prede, le loro vittime impenitenti.
Per qualche motivo che ancora non conosciamo, i monaci vogliono decimarci. I monaci del Creatore in particolare.
Noi non abbiamo fatto nulla, non abbiamo commesso alcun crimine nei confronti del nostro Signore.
- Il nostro Signore non è sempre la misura e il giudice di qualsiasi cosa, Beitris. Quando lo capirete sarà troppo tardi.
- Non cominciare a parlare in maniera blasfema ora. Non sono qui per discutere questa sera.
- Allora perché sei qui?
- Per chiedere il tuo aiuto.
- Beitris …
- So cosa stai cercando. So cosa hai intenzione di fare domani, chi desideri incontrare – lo interruppe lei, stupendolo. – Noi tutti servitori del Diavolo dovremmo essere alleati tra noi. È così che dovrebbe essere. Aiutarci a vicenda non farebbe altro che giovare ad entrambi, non credi?
Blake la osservò assorto, confuso. – E i servi del Creatore? I semplici popolani come noi, che condividono questa terra con noi e che non hanno alcuna colpa in merito alla vita che i nostri antenati ci hanno obbligato a condurre? Dovremmo scontrarci con loro a prescindere, perché serviamo un Signore differente?
Beitris non rispose, gli si pose davanti e lo guardò negli occhi per diversi minuti. – Domani. Incontriamoci qui a quest’ora. Voglio presentarti qualcuno che potrebbe farti cambiare idea, prima che tu parta per un viaggio di cui potresti pentirti amaramente – gli sussurrò, per poi sporgersi verso l’alto e salutarlo con un bacio, profondo e famelico.
Quando si staccò da lui, lo guardò soddisfatta. – Mi era mancato.
- Buonanotte, Beitris.
- Buonanotte, e salutami il tuo ospite straniero.
 
Rimasta sola con padre Craig, gli occhi di Judith si concentrarono su una particolare scena che stava avvenendo nel retro del bancone della Taverna, visibile ai suoi occhi dal tavolo in cui sedeva.
Una delle locandiere aveva scoperto vi fossero dei topi tra le riserve di cibo della Taverna, così aveva iniziato a colpirli violentemente con una scopa, per ucciderli.
- Sono duri a morire questi mostriciattoli maledetti! – esclamò colpendoli con ancor più forza.
- Zelda, perché ti accanisci tanto? Basta spaventarli un po’, e se ne andranno da soli – le disse un’altra.
- Parli sul serio?? Queste bestiacce si riproducono ad una velocità incontrollabile. Se non li ammazziamo ora ci ritroveremo infestate! – le rispose continuando a schiacciarli a terra, fin quando il sangue degli animaletti non macchiò il pavimento.
Ipnotizzata da quella cupa visuale, la mano di Judith si ritrovò involontariamente spostata sul suo ventre.
- Judith … Judith – la richiamò padre Craig poggiandole una mano sul braccio, riscuotendola.
- Sì?
- Sono quasi cinque minuti che vi sto richiamando … mi avete fatto preoccupare – le disse allarmato. – Tutto bene? Avete male all’addome? – le domandò poi, spostando gli occhi sulla mano della ragazza poggiata sul ventre.
Judith la tolse immediatamente, riservandogli il sorriso più rassicurante che riuscisse a tirare fuori in quel momento. Non il meglio del suo repertorio. Difatti, padre Craig la guardò ancor più preoccupato di prima.
- Prima Blake se ne va all’improvviso, ed ora voi vi comportate come se aveste un macigno che vi preme lo stomaco e l’anima … potete parlare con me, Judith, lo sapete. Io sono vostro amico. Farei qualsiasi cosa per aiutarvi.
Udendo le parole tanto amorevoli e sincere del giovane uomo, Judith riuscì quasi a sentirsi più leggera.
Cullata dalle sue cure e dalla sua dolce innocenza, decise di liberarsi di quel dilaniante peso che sentiva opprimerla dalla mattina in cui aveva ricevuto la terribile notizia. – C’è una cosa che vorrei dirvi, padre.
- Parlate pure. Vi ascolto.
- Io e Naren non abbiamo ancora mai giaciuto insieme.
Tuttavia, qualche giorno fa, ho saputo di ospitare un bambino nel mio grembo.
Padre Craig sbiancò a quelle parole.
- Non allarmatevi, padre, non sono stata violentata da nessuno, almeno da cosciente.
Tuttavia, quella notte …
- La notte delle celebrazioni …? Credete sia accaduto tutto la notte delle celebrazioni?? Sospettate che qualcuno vi abbia … ? – l’uomo non riuscì a completare la frase, troppo scosso, afflitto e infuriato per la notizia appena udita.
- Crescere una vita dentro di sé è il dono più bello che il vostro Signore vi ha fatto.
E qualcuno, senza alcuno scrupolo, vi ha rovinato tale preziosissimo dono.
Quest’uomo non rimarrà impunito.
Egli dovrà pagare per ciò che ha compiuto.
Ve lo garantisco.
- Padre … Naren mi ha confessato di sapere cosa è accaduto quella notte.
Egli era presente ed è l’unico a ricordare – gli rivelò la ragazza stringendogli la mano nella sua con forza. – Se volete davvero sapere cos’è accaduto quella notte … rivolgetevi a lui.
 
 
 
   
 
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