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Autore: _Eclipse    21/09/2020    1 recensioni
Dal capitolo 8:
-Ci sono venti di tempesta che si avvicinano, ormai salpo molto più di frequente, le esercitazioni sono più durature e in maggior numero. Questo addestramento vuol dire solo una cosa, il conflitto si estenderà, dove non lo so, ma ci sarà qualcuno di potente- Hiroto sospirò.
-Se vi è tempesta, all’orizzonte, non importa quanto forte soffierà il vento, quanta pioggia cadrà a terra, quanta sofferenza e distruzione causerà. Alla fine tornerà a splendere il sole e sarà allora il momento di ricostruire ciò che è caduto e preservare ciò che è rimasto. Imparare dai nostri errori e prevenire un nuovo disastro- rispose Shirou.
****
-Possiamo agire come una piovra e allungare i nostri tentacoli sul continente e sulle isole del Pacifico. Per i primi sei o dodici mesi di guerra potremo conseguire una vittoria dopo l'altra, ma se il conflitto dovesse prolungarsi, non ho fiducia nel successo- parole dure, pronunciate davanti al governo, ai generali, ammiragli e all'imperatore in persona, come se fosse un ultimo tentativo per rigettare un conflitto.
-Allora sarà vostro compito assicurarvi la vittoria assoluta il prima possibile- replicò il primo ministro.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Jordan/Ryuuji, Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12: Conseguenze

 
 

Mentre Hong Kong tentava di resistere all’attacco, altri aspri combattimenti si stavano svolgendo in Asia. Il protettorato Statunitense delle Filippine era stato invaso da nord e in modo simile era stata attaccata la Malesia britannica e rapidamente le colonne nipponiche avanzavano verso Singapore.

La piovra stava allungando i suoi tentacoli su tutto il Pacifico meridionale.

Yamamoto prometteva non più di sei mesi di successi da sfruttare appieno per poter piegare le forze degli Occidentali, il governo di Tojo invece era convinto che le forze armate potevano brillare per molto più tempo, ma i nemici erano molti, forse troppi.

Le campagne delle Filippine e della Malesia erano attacchi per saggiare il nemico in vista della vera invasione.

Più a sud, vi era il vero obiettivo dell'impero, i grandi giacimenti di petrolio a Palenbang, sull'isola di Giava, e le numerose risorse tra cui la gomma, essenziale ai fini bellici.

Le Indie orientali olandesi con la loro ricchezza, avrebbero contribuito a mantenere l'onda di successi giapponese e aperto la strada anche alla conquista dell'Oceania e della ben più grande Australia.

I migliori generali e ammiragli stavano già stendendo i piani per lo sbarco.

L'Indonesia sarebbe stata il gioiello della corona imperiale, gli olandesi non destavano preoccupazioni, la loro marina militare era scarsa, tuttavia ben più preoccupanti erano i loro alleati britannici e americani che nonostante la perdita di numerose corazzate vantavano ancora quattro minacciose portaerei in servizio nell'Oceano.

 

****

 

Oahu, clinica del Dr. Wilson

11 dicembre 1941

 

Le sale e le corsie dell'ospedale si stavano lentamente svuotando dei feriti. Molti erano morti, ma la maggior parte si sarebbe ripresa, anche se non necessariamente intatta.

Atsuya Fubuki a stento lasciava la clinica. Molto era il lavoro da fare e troppo pochi erano i medici e le infermiere per seguire tutti i pazienti.

Si era ritrovato addormentato nel suo studio, seduto sulla poltrona e con il busto riverso sulla scrivania. L'ampia vetrata era stata oscurata da delle orribili assi di legno a causa dell'obbligo di oscuramento notturno di tutti gli edifici. Le Hawaii erano ancora vulnerabili e  si decise che era meglio non incoraggiare altri attacchi fornendo un bersaglio ben visibile a eventuali bombardieri o navi nemiche.

Il medico venne destato dal sonno dall'infermiera, Emily, che bussò alla porta.

-Avanti…- biascicò Atsuya con la voce ancora impastata dalle poche ore di sonno che era riuscito a recuperare in quei giorni.

Si levò dalla scrivania stiracchiandosi verso l'alto. Indossò il camice bianco per dare un tocco di professionalità nonostante la situazione.

Emily entrò col volto basso e ombroso.

-Dottore, ci sono degli uomini… vogliono farle delle domande-

-Chi sono?-

-Non lo so, ma sostengono di essere della polizia… anche se temo possa essere qualcosa di più grosso-

-Polizia? Non capisco…-

La porta si aprì lentamente facendo trapelare la luce del corridoio, ed entrò uno di quegli uomini, ben vestito con un completo grigio e una fedora sul capo.

Teneva una valigetta in mano.

-Dottor Fubuki? Lei deve venire con noi al più presto-

-Per quale motivo?- Atsuya scattò sulla difensiva, un po' gli ricordavano i Kempeitai del suo paese con quel loro fare arrogante e che non ammette repliche.

-Credo che lei già lo sappia, dal suo ufficio ha un'ottima vista della baia di Pearl Harbour… peccato solo che ora sia stata coperta da delle assi di legno…- rispose uno dei due.

-Cosa state insinuando?-

-Lei è giapponese, non è vero?-

-Sì e con questo?-

-Il suo paese ha attaccato il mio, questo le deve bastare. La prego si volti e non opponga resistenza- l'agente si avvicinò con delle manette in mano.

Nel vedere i due bracciali metallici, Atsuya sbottò:

-Volete arrestarmi senza accusarmi di un crimine? Non vi siete neanche identificati!-

Il secondo uomo, vestito identico al primo mise in bella mostra un distintivo brillante.

-Ora è contento? L'avverto che sto perdendo la pazienza- continuò.

L'infermiera spettatrice di tutto ciò si defilò all'istante, come se non volesse avere nulla a che fare con tutto quello che stava accadendo.

Il medico sbuffò e fece come ordinato. Venne voltato con uno scossone da parte dell'agente e ammanettato come da procedura.

Il freddo gelido del metallo avvolgeva i polsi del rosa.

-Tutto questo è assurdo!-

-Allora le consigliamo di trovare un buon avvocato… sempre che ne trovi uno-

-Vorrei almeno sapere di cosa mi si accusa!-

Con un'altra spinta Atsuya venne cacciato fuori dal suo studio.

Non fece in tempo a percorrere pochi metri di quel corridoio completamente bianco che sentì una voce alle spalle intimare ai due agenti di fermarsi.

-Fermatevi!-

Il rosa vide con la coda dell'occhio che era il dottor Wilson accompagnato dall'infermiera. 

Vedendo la piega che stava assumendo la situazione nello studio, si era allontanata per avvertire uno dei dirigenti dell'ospedale.

Il dottor Wilson si avvicinò ad ampie falcate con gli occhi furenti e pieni di rabbia.

-Che state facendo voi? Volete arrestare uno dei miei medici senza che abbia commesso nulla di cui macchiarsi?!-

-Lei chi è?-

-L'uomo a capo di questo ospedale. Chi siete voi che osate entrare e prendere uno dei miei medici per arrestarlo e farlo sfilare in manette sotto gli occhi di tutti i degenti!-

Uno dei due agenti si guardò intorno, alcuni feriti, come anche infermiere e dottori, si erano raggruppati a vedere la causa del trambusto.

-Questo è ciò che le basta sapere di noi- rispose l'altro mettendo in bella mostra il distintivo.

-Agenti federali? Le isole Hawaii non sono uno stato degli Stati Uniti, il governo federale non può intervenire direttamente sull'arcipelago, nè i suoi agenti!- rispose con la sua voce profonda il medico.

Atsuya si sentiva sollevato nel sapere che almeno il suo capo e mentore ad Oahu si stava impegnando per liberarlo.

-Lei ha ragione, ma quando si tratta di spionaggio… la polizia comune non basta…-

-Spionaggio!?- urlò sorpreso Atsuya.

Il signor Wilson impallidì a sentire l'accusa rivolta al rosa.

-Una spia? Pensate che sia una spia!? Qualche giorno fa, mentre voi bellimbusti eravate sul continente a fare la bella vita, quel giovanotto ha affrontato la pioggia di bombe e proiettili che cadeva là fuori per venire qui. Ha affrontato il rifiuto e il disgusto dei feriti nei suoi confronti perché il suo paese ci ha attaccato! Se non fosse venuto quel giorno, ma al contrario se si fosse dileguato, molte delle persone che vedete qui intorno sarebbero morte. Nonostante sia lui giapponese e il suo governo nostro nemico, si è fatto carico di curare, medicare e salvare la vita dei nostri ragazzi! Con quale arroganza potete voi accusarlo di essere una spia?!- il tono del medico non ammetteva repliche, lui e il personale della sua clinica erano stati tra i primi a prestare soccorso.

I presenti iniziarono a mormorare, alcuni annuivano concordi con le parole del dottor Wilson.

-Se non fosse stato per Atsuya forse non sarei qui neanch'io- si fece avanti un ragazzo dai capelli scuri che camminava con delle stampelle.

-Chi siete?-

-Marinaio di prima classe Eagle, sopravvissuto della USS Oklahoma… credo abbiate visto in che stato è ora. Ho riportato una frattura alla caviglia e ho passato molte ore in una stanza allagata, arroventata da un incendio nelle vicinanze. Disidratato e con un colpo di calore, Atsuya mi ha salvato dopo che sono stato tirato fuori da lì e aver gridato aiuto con tutta la voce che avevo nel corpo-

Poco dopo si aggiunse un secondo, era il giovane ragazzo ustionato. Ora si reggeva in piedi ma era avvolto da delle bende bianche e ingrassate lungo tutto il busto e le braccia.

-Io… avevo rifiutato il suo aiuto, gli ho dato del "muso giallo". Mi sento in colpa per questo, ma ha fatto in modo che il mio corpo, ustionato mentre nuotavo nella baia piena di nafta, venisse curato-

Gli occhi di Atsuya iniziarono a riempirsi di lacrime di gioia.

I due agenti iniziarono a guardarsi intorno indispettiti.

All'improvviso un terzo esordì, ma non era stato uno dei pazienti di Atsuya.

-Se è giapponese, perché è ancora qui? Portatelo via, anzi sparategli un colpo alla nuca a quel bastardo-

Altre due persone gli fecero eco.

-Andiamo- disse l'agente al collega. Voleva evitare uno scontro tra i degenti.

I tre attraversavano le due ali di folla che iniziarono a gridare e discutere, da una parte chi sosteneva il medico, dall'altra chi gli era ostile solo perché giapponese.

Uscirono in tutta fretta dall'ospedale, mentre il personale cercava di placare gli animi dei degenti.

Atsuya venne fatto salire su un'auto nera parcheggiata vicino all'ingresso, e partirono a tutta velocità verso la caserma.

 

****

 

Oceano Pacifico

12 dicembre 1941

 

I compiti di sorveglianza erano noiosi, Hiroto non li sopportava ma doveva piegarsi agli ordini dei suoi superiori.

Sorvolava ad una quota medio-alta l'Oceano Pacifico a bordo di quell'aereo da bombardamento modello B5N2. Privo di un effettivo carico di bombe si rivelava un buon ricognitore grazie alla lunga cabina di vetro e all'equipaggio di tre persone.

Il rosso doveva pilotare il mezzo e allo stesso tempo scrutare le acque sottostanti e i cieli, aiutandosi con un binocolo.

-Nessun segno di navi nemiche in questo settore- commentò il navigatore.

-Confermo, nessuna attività del nemico- rispose Hiroto annotava la posizione su una mappa che teneva sulle ginocchia.

Quella cartina non era che una riproduzione dei settori che stavano sorvolando, opportunatamente suddivisi da una griglia.

-Forse non ci stanno seguendo?- domandò il più giovane navigatore.

-Potrebbe essere, forse non vogliono rischiare le portaerei, ma anche noi non possiamo permetterci di perderle-

-E ci fanno eseguire delle missioni di ricognizione…-

-Non sono un piacere neanche per me, ma permettono di tenere allenati i riflessi e l'abilità alla guida-

Il bombardiere Nakajima, color verde scuro sfrecciava rapido e il ronzio del motore squarciava l'aria.

Per poter avere una visuale ottimale, Hiroto doveva inclinare l'aereo su un fianco, poi con una buona dose di maestria doveva cercare di mantenere il velivolo in posizione e osservare la grande massa d'acqua sotto di lui.

Tutto poteva essere un pericolo, un aereo di pattuglia, una barca in mezzo all'oceano o un sommergibile. Qualsiasi cosa si riuscisse ad avvistare andava annotata e poi segnalata alla flotta.

Hiroto era certo che gli americani si sarebbero fatti vedere, prima o poi.

Tutto andava fin troppo bene. 

Con quattro portaerei in servizio, avrebbero potuto inseguirli e vendicare l'attacco subito.

L'attenzione era alle stelle. 

-Qui non c'è nulla, torniamo indietro- disse Hiroto.

Erano almeno un paio d'ore che erano in volo e il livello carburante stava lentamente calando. 

Con una virata l'aereo invertì la rotta.

Il sole stava proprio sopra di lui, non era quindi più che mezzogiorno.

Il viaggio di ritorno fu certamente più breve, il pilota non doveva perdersi in giri panoramici e osservazioni, doveva solo tornare alla flotta e come sempre appontare sulla Kaga.

Si avvicinò con l'aereo in posizione, carrello abbassato e anche gancio d'arresto. Si avvicinava sempre di più, ma un forte vento da poppa ostacolava l'atterraggio.

L'aria spingeva in avanti il bombardiere che non riuscì ad agganciarsi.

Sul ponte della nave, vi era buona parte dell’equipaggio; meccanici, artiglieri ma anche marinai semplici. Alla vista del mancato appontaggio, dalla folla si levò un insieme di voci amareggiate. 

Hiroto dovette con forza riportare in volo l'aereo se non voleva schiantarsi in acqua, o peggio sul ponte.  Oltrepassò la prua, alzò il carrello e riprese quota per riprovare la manovra.

Virò affianco alla nave e si allontanò.

Sul ponte alcuni operatori si armarono di bandierine di colori diversi e con ampi gesti delle braccia davano indicazioni al pilota.

-Tentativo numero due- esordì Hiroto spezzando il silenzio che si era formato nell'aereo.

-Buona fortuna- gli augurò il navigatore.

Per la seconda volta provò ad appontare sulla nave.

Il vento in coda spingeva l'aereo ad una velocità maggiore del normale.

Hiroto abbassò ulteriormente la potenza del motore e si allineò al ponte.

L'aereo perdeva quota, metro dopo metro. 

Come prima, il pilota armeggiò con i vari pulsanti e leve del pannello di controllo, abbassò il carrello e gancio e si avvicinò nuovamente alla nave.

Nonostante la potenza ridotta, il vento dava una spinta sufficiente per mandare avanti l'aereo.

Il bombardiere mancò il primo cavo, poi il secondo.

Si bloccò al terzo cavo che venne preso dal gancio.

Come sempre la fermata fu accompagnata da un grosso scossone, questa volta più forte.

Hiroto e il suo navigatore quasi rischiarono di urtare il pannello di controllo con la testa.

-Un atterraggio morbido come sempre…- scherzò Hoshi

-Faccio del mio meglio per non schiantarmi- ribattè l'altro con un sorriso amaro per la battuta piuttosto triste del suo navigatore.

Il rosso aprì l'abitacolo, e venne avvolto dal tanfo dei fumi di scarico, tossì, si alzò prendendo la cartina e con un balzo uscì dall'aereo.

Come ogni volta i meccanici e gli operatori di volo vestiti di bianco, iniziarono a spingere l'aereo verso l'ascensore sul ponte e portarlo negli hangar.

Hiroto dovette fare rapporto ai suoi superiori.

Poiché non era stato avvistato alcun nemico, sia in cielo che in mare, venne congedato dopo pochi minuti.

Se ne andò sottocoperta, nella sua camerata.

Si tolse l'equipaggiamento, il caschetto, la tuta da aviatore e qualsiasi cosa potesse appesantirlo e poi si distese sul letto di metalle.

Appena toccato il materasso, la rete di ferro cigolò rumorosamente sollevando alcuni lamentele dei commilitoni che cercavano di riposare.

-Non vorrai addormentarti di già- esordì Ryuuji a bassa voce. Il verde stava sul letto più alto.

-Pensavo fossi tu quello che dormiva- rispose Hiroto.

-La tua grazia nel stenderti sulla branda, mi ha destato dal mondo dei sogni… com'è andata la missione?-

-Noiosa come tutte le ricognizioni-

-Capisco- tagliò corto Ryuuji.

-Sento la mancanza di usare un caccia…- aggiunse il rosso.

-Vuoi chiedere di essere riassegnato? Sai che sarà improbabile-

-Lo so, ma con quelli voli in modo più frenetico e divertente-

-E' anche più pericoloso-

-Dipende, io non mi fido molto del mio mitragliere, non ha mai parlato una volta, non credo di conoscere nemmeno il suo nome. Spero abbia una buona mira, se mai mi trovassi con un aereo in coda-

-Te lo auguro, io torno a dormire, a più tardi-

-A più tardi- rispose Hiroto per poi abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.

 

****

 

Oahu,

13 dicembre 1941

 

Erano ormai trascorsi due giorni dall'arresto di Atsuya.

Le ultime notti le aveva passate in una cella singola, un quadrato dalle pareti di cemento, un pavimento ruvido, con una branda e delle grosse sbarre per impedire che fuggisse.

Non era un carcere, era una cella della centrale di polizia locale.

Più volte al giorno, Atsuya veniva scortato in una stanza scura, con solo un tavolo e qualche sedia.

I due agenti che l'avevano prelevato dall'ospedale cercavano di estorcergli una confessione, usando anche tranelli e inganni, ma la mente del medico era fine e riconosceva gli inganni dei suoi aguzzini.

Era la seconda volta che veniva messo sotto torchio quel giorno.

Stava seduto, composto cercando di nascondere il suo nervosismo sotto una maschera di impassibilità.

Davanti a lui i due federali accompagnati da un poliziotto locale in divisa blu scura.

Accesero il registratore sul tavolo nella speranza di ottenere un nastro contenente la confessione.

Il primo agente si schiarì la voce e prese poi a parlare:

-Come sempre, lei conferma di essere il dottor Atsuya Fubuki, medico presso la clinica Wilson di Oahu?-

-Confermo- rispose secco.

-Conferma lei di essere nato nell'attualmente ostile, Giappone?-

-Confermo-

-Bene, dopo le formalità i fatti. Sappiamo che lei è una spia del governo nipponico, sappiamo anche che lei è implicato nell'attacco di qualche giorno fa alla base navale di Pearl Harbour-

-Con permesso rigetto queste accuse-

-Lei ha confermato di essere giapponese-

-Non posso negarlo essendo nato a Sapporo-

-Credo che lei sia a conoscenza dello stato di guerra che impera tra i nostri paesi-

-Purtroppo ho visto con i miei occhi i danni causati dall'attacco-

-Non mi sorprende dato che lei ha collaborato con il suo governo fornendo informazioni di prima mano- l'agente prese una sigaretta e l'accese davanti all'accusato, come per dimostrare chi comandava in quel frangente.

Atsuya stava con lo sguardo fisso su quell'uomo, capelli brizzolati, volto ben rasato segnato da qualche ruga, indossava una camicia bianca con un panciotto gessato e aveva un cappello sul tavolo.

-Come ho dichiarato precedentemente e anche negli scorsi interrogatori, rigetto queste accuse-

-Ottimo signor Fubuki. Credo che allora ci possa parlare del signor Taro Kimura, lo conosceva bene?-

-Viveva nella mia stessa abitazione-

-Lei sa cosa faceva?-

-Era uno studente dell'università imperiale di Tokyo, come me-

-O forse una spia-

-Non capisco- era la prima volta che quell'agente faceva il nome di Taro e l'accusava di spionaggio.

-Il signor Kimura era dedito alla fotografia, lo conferma?-

-Sì, fotografava le isole Hawaii per catalogare le specie animali e vegetali autoctone-

-Per noi fotografava le isole per altri scopi. Nelle settimane appena precedenti all'attacco, sia lei che il signor Kimura avete spedito molte lettere… è stato da stolti inviare in una busta da lettere delle fotografie di Pearl Harbour e delle sue navi. E' così che l'abbiamo individuato. Peccato solo che sia riuscito a sfuggirci prima che potessimo acciuffarlo. In compenso abbiamo alzato la guardia su chi gli stava vicino, tra cui lei- esordì il collega gettando sul tavolo le fotografie che erano state intercettate. Atsuya trasalì, alcune delle immagini le aveva scattate lui qualche tempo prima sulle alture sovrastanti Oahu.

-Taro… una spia? Non capisco...-

-Inoltre siamo riusciti a ottenere questo- l'agente posò sul tavolo una busta gialla, la aprì e prese il singolo foglio di carta che conteneva.

-E' la trascrizione di una telefonata da Tokyo al suo studio, appena qualche giorno prima dell'attacco. Ovviamente abbiamo intercettato le sue comunicazioni e la sua corrispondenza, può immaginare la nostra sorpresa quando abbiamo trascritto e tradotto la telefonata in questione-

Atsuya non rispose. Sapeva bene di cosa parlava.

-Non si ricorda? Mi permetta di rinfrescarle la memoria: il suo interlocutore si è presentato come l'incaricato di eseguire un sondaggio ignoto, a noi ma credo anche a lei. Le ha chiesto del tempo qui ad Oahu e successivamente ha domandato se aveva mai visto la baia di Pearl Harbour. Ora si ricorda che le ha risposto?-

-Che la stavo guardando dal mio studio…- mormorò Atsuya. Lentamente stava realizzando di essere stato ingannato da quell'ignoto interlocutore.

-Successivamente le chiese se vi fossero ancorate "navi piatte" e lei rispose: "Ci saranno forse cinque o sei navi di grandi dimensioni ma nulla di piatto". Le hanno chiesto palesemente della presenza delle nostre portaerei e lei ha risposto con tutta tranquillità che vedeva almeno cinque delle nostre corazzate nella baia! Questo come lo spiega!? Ha ancora il coraggio di negare di essere una spia!?- tuonò il secondo battendo con il pugno un colpo sul tavolo così forte da farlo tremare.

Atsuya sobbalzò. Alla luce della trascrizione, non poteva negare di aver rivelato la presenza della flotta americana al suo paese, ma non si sentiva colpevole, ma confuso. Non comprendeva il perché il suo governo, lo avesse chiamato in chiaro come se fosse una telefonata di piacere, così facendo era ovvio che avrebbe passato dei guai seri se fosse stato scoperto.

-Allora, che fate? Negate l'evidenza?-

-Io, credo ci sia un errore in tutto ciò. Non sono una spia, io sono venuto qui grazie all'Università imperiale di Tokyo che mi ha permesso di completare la mia formazione apprendendo le ultime scoperte scientifiche dell'Occidente!-

-E guarda caso anche il suo amico Taro, fuggito di recente, era anche lui inviato dall'Università di Tokyo ed era una spia. Casualmente entrambi siete stati inviati ad Oahu, sede della più grande base navale statunitense nell'Oceano Pacifico. Casualmente il signor Kimura è tornato in patria dopo esser stato scoperto, casualmente lei ha ricevuto una telefonata da Tokyo e rivelato la posizione delle nostre navi. Direi che tutto ciò può essere una mera coincidenza, ma a quanto pare la sua università si dedica anche alla formazione e addestramento di spie!-

-Questo non è vero!- esclamò Atsuya alzandosi di scatto.

-Non è vero? Allora come spiega tutte queste coincidenze?-

-Se fossi una spia, non avrebbe senso abbandonarmi qui, non crede?-

-Forse ha pestato i piedi alla persona sbagliata nel suo paese, o era una persona scomoda che ha fatto qualcosa che non doveva. Qualsiasi sia il motivo, non cambia il fatto che lei è accusato di spionaggio e nega l'evidenza dei fatti-

-E continuerò a farlo se necessario!- nonostante le accuse e le prove, il medico non sopportava essere considerato una spia, si sentiva tradito da quella telefonata. Probabilmente l'attacco sarebbe avvenuto lo stesso in un modo o nell'altro.

-Signori, abbiamo sprecato altro tempo, dovremo passare a metodi più convincenti- l'agente spense il registratore e prese il nastro poi si rivolse verso il medico.

-Fossi in lei mi affretterei a confessare, se non vuole che la sua incolumità sia messa, come dire… a repentaglio. Qui ad Oahu è protetto, ma sul continente è un'altra storia-

L'agente indossò il proprio cappello e la giacca, prese i documenti sul tavolo e uscì insieme al collega.

Il poliziotto in divisa si avvicinò al medico e lo riportò a meditare nella propria cella.

 

****

 

Quella stessa sera, ad Oahu, in uno dei tanti locali per i marinai, vi era seduto al banco Mark Krueger.

Aveva già ordinato un bicchiere di whiskey americano.

Il locale era ben tenuto, pavimento in legno, luce soffusa, un lungo bancone con degli sgabelli in pelle e un barista cordiale. Alle sue spalle decine di bottiglie di ogni cosa si potesse bere.

I clienti erano soprattutto marinai e piloti, pronti a prendere il mare e affrontare il nuovo nemico.

Improvvisamente un uomo, ben più grande e vecchio di Mark, con un paio di folti baffi sotto al naso, si avvicinò al giovane ragazzo.

Si sedette al suo fianco e vedendo il bicchiere del vicino, chiamò il barista:

-Mi faccia lo stesso per favore-

-Come desidera- l'uomo dietro al bancone prese la bottiglia e ne versò mezzo bicchiere, poi lo allungò verso il nuovo cliente.

Mark si voltò alla sua sinistra e riconobbe subito il vicino:

-Dottor Wilson, non avrei mai pensato di trovarla qua!-

-Di solito frequento altri locali, ma se devo dire la mia,  ero certo che ti avrei trovato qui, Atsuya mi aveva parlato di questo posto- rispose mentre rigirava il bicchiere nella sua mano agitando il proprio whiskey per assaporarlo meglio.

-Beh, il bere è buono e costa meno che da altre parti-

Il dottore assaggiò la propria ordinazione, aspettò qualche secondo e poi deglutì.

-Non ti do torto-

-Allora cosa la porta qui, doc?- Mark palesava i primi effetti dell'alcol.

-Cercavo te-

-Me? E perché?-

-Riguarda Atsuya-

Mark sospirò, il suo amico era stato arrestato sotto i propri occhi e non era riuscito a far nulla per impedirlo.

-So che è detenuto nella centrale di polizia qui ad Oahu e che lo interrogano ogni giorno… ma lui non demorde-

-Come fa a saperlo?- 

-Ho i miei informatori-

-Crede che sia una spia?-

-Ne dubito fortemente. Cosa ha da guadagnarci una spia a restare su un'isola che sarebbe stata bombardata? Per non parlare che era con te durante l'attacco ed è rimasto sorpreso come tutti noi…-

-Ed ha voluto a tutti i costi andare in ospedale ad aiutare i feriti- concluse Mark finendo anche l'ultimo sorso del suo bicchiere e poi posarlo in modo tutt’altro che aggraziato sul bancone.

-Esattamente. Non credo che una spia si sarebbe sottoposta a tutti questi rischi-

-Anche se non lo fosse, ora è in mano a quegli avvoltoi! E non lo lasceranno di certo!-

-Dipende… uno dei tanti marinai che Atsuya ha salvato in ospedale, è il figlio di un poliziotto della zona. E' lui che mi passa tutte le informazioni. Da quanto mi ha detto pare che i federali vogliano trasferirlo sul continente- il tono del dottore era più basso, non voleva farsi sentire da orecchie indiscrete. Con lo sguardo puntava il barista assicurandosi che non fosse troppo vicino o che non stesse ascoltando.

-Possono farlo?-

-Certo che no, le Hawaii non sono uno stato degli Stati Uniti, non ancora, quindi in teoria i federali non hanno alcun potere. A trasferirlo sulla nave che lo porterà negli Stati Uniti deve essere la polizia di Oahu-

-Forse sto iniziando a capire-

-Io credo che potremmo avere l'occasione di liberarlo, ma ho bisogno anche del tuo aiuto-

-E come? Sono stato richiamato sotto e dovrò partire a breve-

-Tutto qui il problema?-

-Doc, se per lei è così semplice, lo dica ai miei superiori!- Mark era amareggiato, ma il dovere lo chiamava e sarebbe dovuto partire a bordo della USS Enterprise.

-Mark, sono un medico… lo decido io chi parte e chi sta a terra, basta un certificato con la mia firma. Entro domani posso darti dei documenti firmati e timbrati in cui dichiaro che non sei più idoneo al servizio attivo-

-Funzionerà?-

-Perché non dovrebbe funzionare? Per essere certi posso mettere per iscritto che sei stato ricoverato nella mia clinica in seguito all'attacco… Atsuya mi diceva che piloti aerei, giusto?-

-Sì, aerei imbarcati-

-Diciamo che hai perso la vista da un occhio, ti basterà indossare una benda temporaneamente, se non erro serve una vista perfetta per servire in aeronautica-

Mark era indeciso, in realtà era entrato nelle forze armate più per il prestigio derivato che non per vocazione e non era di certo sua intenzione farsi sparare mentre guidava un apparecchio nel mezzo dell’oceano.

-Se io accettassi, quale sarebbe la mia parte?-

-Parliamone di fuori, c'è troppa gente qui intorno-

Mark annuì con un cenno e uscirono in strada. Tutta l'isola era buia, le finestre delle abitazioni erano oscurate con assi di legno, in modo simile allo studio di Atsuya, anche i lampioni erano spenti.

-Allora il piano sarebbe far evadere Atsuya durante il trasferimento, nasconderlo per qualche tempo facendo pensare che sia fuggito e imbarcarlo sulla nave con false generalità. Dobbiamo tuttavia sbarazzarci di quei due scagnozzi del governo, tengono sott'occhio Atsuya giorno e notte-

Mark sospirò,  non aveva idea di come fare.

-Dobbiamo trovare anche qualcuno disposto a falsificare i suoi documenti-

-Qui entri in gioco tu, grazie ad Emily posso far rilasciare dalla Croce Rossa un lasciapassare per il continente e dei documenti falsi come di cittadino cinese in fuga. Serve una fotografia di Atsuya. Probabilmente la sua casa sarà stata messa a soqquadro dai federali, ma devi trovarne una e se possibile elimina i suoi documenti di identità-

-E dopo? Vuol farlo andare sul continente? Mi sembra rischioso…-

-Gli Stati Uniti sono molto vasti, certamente è più sicuro nascondersi lì da qualche parte che non su questi scogli vulcanici nel Pacifico-

-Ma non ha idea di come sia l’America, non conosce la società, le leggi… potrebbe cacciarsi solo nei guai secondo me!- esclamò Mark.

-Cosa hai intenzione di fare? Attraversare il mare, riportarlo a casa e tornare qui? Se non ti fidi a lasciarlo da solo, allora vai con lui e fate quello che secondo voi è la cosa giusta!- rispose bruscamente il dottore.

Mark sospirò, si passò la mano tra i capelli e poi alzò lo sguardo verso il cielo. Poteva vedere le stelle per una volta.

-E va bene… lei faccia quel certificato in cui dichiara che non sono idoneo e io farò quello che mi ha chiesto- rispose il ragazzo.

-Bene, abbiamo un patto- il medico strinse la mano del più giovane.

I due si salutarono, ma il biondo fece solo alcuni passi prima di essere fermato dal dottor Wilson.

-Ovviamente Mark, noi non ci siamo mai visti dopo l’attacco-

Con quelle parole il medico riprese a camminare e scomparì nel buio della strada.

 

****


Piccolo angolo d’autore…

 

Questa volta mi sono assentato per molto tempo…

ma ora dopo le vacanze e tutto ciò che l’estate ha portato,

sono tornato con questo capitolo, di certo non il più lungo

che abbia mai scritto ma comunque di un certo spessore.

Ultimamente mi sto concentrando molto su Atsuya e su

quello che accade nelle isole Hawaii, ma presto tornerò

a parlare di chi è rimasto in Giappone e che si è

visto molto sporadicamente in questi ultimi capitoli.

Atsuya in cella e accusato di spionaggio, Nagumo e Suzuno

fanno razzie in Cina, Shirou e Yukimura che affrontano l’entrata

in guerra del proprio paese.

Paradossalmente Hiroto e Midorikawa potrebbero essere quelli

nella situazione migliore, su una grossa nave nel mezzo del Pacifico

sulla rotta per casa e senza americani all’inseguimento.

Come sempre mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto…

tra l’altro negli ultimi tempi ho notato un piccolo incremento nelle 

visualizzazioni dei precedenti nonostante sia da qualche mese 

che non aggiorno, questo mi fa sperare bene!

Detto questo è ora che io mi assenti,

un saluto

 

_Eclipse


 
   
 
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