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Autore: Antocharis    23/09/2020    1 recensioni
Gli abitanti di Fiordland combattono contro la Legge.
Nel passato Èos, figlia della Luce, dovrà scegliere da che parte stare, in subbuglio tra il dovere e il piacere.
Nel presente, Elpìs dovrà ripercorrere il passato alla ricerca delle origini e cercare di mettere a posto le cose.
-
«Elpìs, cosa c’è che non va? Perché non stai con tutti gli altri?» dietro di lei c’è anche il piccolo draghetto, mi guarda con gli occhietti che escono dalle orbite, giallognoli e luccicanti.
«Non so», le rispondo. Non so davvero.
«So cosa provi, sai? Tua mamma non è così, come noi. Lei è... impetuosa, diretta. L’ho sempre ammirata, anche quando sbagliava lei, riusciva a sbagliare con tutta se stessa. Invece noi ci ritiriamo sempre. Siamo sempre un passo indietro.»
Già. Mi sento esattamente così, un passo, due passi, una vita intera a essere indietro.
«Ma non devi abbatterti, sai? Perché se anche tu in questo momento vorresti essere là a... fammi indovinare−» si volta ad osservare velocemente gli altri ragazzi «parlare con Antèros, giusto? Ecco magari a un certo punto sarà qualcun altro a venire da te. E tu scoprirai se riuscirai ad accontentarti o se invece vuoi vincere.»
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2
ELPÌS
LA CITTÀ FANTASMA


 
"Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati,
la prendiamo in prestito dai nostri figli."
-Proverbio indiano


 
 
  Zero. Un’unica parola per esprimere uno stato d’animo. Il mio, anzi, il nostro stato d’animo.
  Sono sola. Il mare sporco mi accarezza i piedi nudi. Seduta sul ponte delle imbarcazioni, osservo per quel che posso il mio mondo. Efiliph: la città fantasma. Un leggero tremolio percorre la mia schiena, mi stringo ancora di più alla mantellina nera, calda. L’unica cosa calda in quel mondo gelato.
  Il freddo è così forte che mi sembra di poterlo toccare, come un guanto aderisce alle mani. Non le sento più. 
  Il mare è immobile, come sempre. Come tutto, del resto. Sento solo il mio fiato, i miei pensieri a farmi compagnia. Nessun senso di vita, né l’infrangersi delle onde.
  Dei passi familiari mi fanno voltare. Hermàs cammina sempre velocemente, come se avesse perennemente qualcosa da fare. Non appena mi vede gli sfugge un sorriso, i neri baffi si muovono soffiati dal tepore del suo respiro.
  «Buongiorno, Elpìs».
  «Buongiorno, Hermàs. Quali misteri devi scoprire oggi?»
Lui ride un po’, ma non mi risponde, non lo fa mai. E io ci sono abituata. Siamo tutti un po’ strani, qui ad Efiliph.
  La sensazione di essere prigionieri di questa cupola c’ha intrappolato l’anima.
  L’uomo rimane ancora un po’ di tempo ad osservarmi, ma poi slega la sua barca con tale velocità da non sembrare umano, finché non scompare dalla mia vista, navigando lontano. Rema su e giù e i miei occhi seguono quei movimenti.
  Con tutte quelle barche, un tempo il porto non doveva essere la discarica che adesso è diventato. Un tempo, certo, ormai molto e troppo lontano.
  E noi, invece, siamo i sopravvissuti. Sopravvissuti a cosa, però, nessuno sa rispondermi.
  Non capisco che ore siano, non sono mai stata in grado di capirlo in base alla luce del generatore. Non è come il sole che scaldava il vecchio mondo: tu potevi guardarlo sorgere e tramontare ogni giorno, nascendo e scomparendo inghiottito dal mare. Noi invece abbiamo solo quel vecchio aggeggio, tutto arrugginito e sempre più spento. La luce è debole e fioca e per questo viene risparmiata il più possibile. Potrebbe essere mattina o notte, il cielo nero non sarebbe cambiato.  Cosa succederà quando anche il generatore non funzionerà più?
  Ma è inutile soffermarsi su questi pensieri: mia madre si potrebbe preoccupare, perciò è meglio affrettarsi per tornare a casa.
  Non tornare, Elpìs, non tornare.
Mi scuoto e mi alzo, mentre l’acqua nera mi scivola sotto i piedi e sulle caviglie. Meglio rimettersi subito gli scarponi per non rischiare una febbre.
  Ma già mentre percorro i primi passi, subito mi fermo: le gote arrossate. Non ho ancora invitato Hermàs e Antèros alla festa di mezza estate. Sì, certo, ormai do per scontato che ci siano tutti, ma se poi Antèros se ne dimentica? Come potrei a quel punto confessargli il mio segreto? No, no. È meglio parlarne subito con Hermàs, alla svelta.
  Ma i secondi non passano mai quando aspetti qualcosa che potrebbe cambiare la tua vita, o la tua morte, nel mio caso.
  Il nero totale in cui piomba il mondo appena fuori dalla cupola protettrice mi impedisce di scorgere null’altro al di fuori del mio naso e della mia torcia, che con cura avevo poggiato accanto a me.
  Un puntino bianco all’orizzonte: è Hermàs, finalmente di ritorno. Quando giunge di nuovo al ponte, mi guarda con le sopracciglia aggrottate, cercando di capire forse cosa ci faccia io ancora lì.
  «Ho dimenticato di chiederti se questa sera tu e Antèros ci sarete... »
  Hermàs si fa improvvisamente serio e, abbassando lo sguardo, annuisce. «Verrà anche una sua nuova amica, Leena».
Una fitta alla spina dorsale. Leena? Chi diavolo è questa Leena?  E soprattutto, perché sembra essere spuntata fuori all’improvviso?       Non è certo grande questa città. Gli unici bambini che si trovano siamo noi, da dove viene lei, invece? E soprattutto, perché Hermàs ha improvvisamente cambiato espressione?
  «Dunque?» insisto io, che non posso ritornare a casa dopo essere scappata dalle ore di “prigione di studio mattutino” senza aver ottenuto nulla dal mio giro di perlustrazione.
  «Che cosa, piccola Elpìs?» il suo tono sembra celare una forte impazienza, quasi fastidio nei miei confronti, nascosto dietro la voce cortese e gentile con cui si è rivolto.
  Non ho intenzione di discutere con Hermàs, neppure mi parrebbe giusto, dato che è stato mio complice per tanti anni ad aiutarmi a trovare i nascondigli per scappare dalla cupola.
  «Dunque... che hai trovato?» cerco di deviare il discorso, ma, a quanto pare, la mia domanda sembra centrare un punto molto più oscuro di quel che avevo pensato talmente il volto dell’uomo si fa cupo.
  Sempre col volto abbassato, Hermàs borbotta un: «Nulla di importante» ma più abbassa il tono di voce, più si fa serio, più c’è qualcosa di cui sono rimasta all’oscuro. Chissà se Antèros saprà qualcosa...
  Lui sa, sa per forza e non ti ha detto nulla.
  Non mi va più di rimanere a osservare quel mare buio e silenzioso, così sordo ai miei richiami; voglio tornare a casa.
E qual è la tua casa?
  «D’accordo... ci vediamo stasera, allora». Io cerco di sorridere, ma l’ambiguità delle sue parole mi ha lasciato troppo perplessa perché possa concedergli un sorriso. Non aspetto nemmeno una sua risposta, subito scappo via, camminando veloce. Con la coda dell’occhio cerco di vedere con che sguardo mi stia osservando, ma Hermàs sembra anche lui essersi dileguato in fretta e l’unica cosa che noto è la sua torcia in mezzo al buio.
  La mia, invece, ha già iniziato a spegnersi: la luce che ne fuoriesce è fioca e davvero non riesco a vedere che a un palmo della mia mano. Rallento, muovendo le braccia come scudo, cercando di tastare forte i piedi sul terreno, per evitare di lasciarmi sfuggire il tombino come una sciocca.
  Il cammino sembra davvero troppo lungo, molto più lungo dell’andata, la luce si fa sempre più leggera e comincio a tremare. Stavolta non per il freddo.
  Passi. Sento qualcosa che si avvicina con insistenza nella mia direzione. Sgrano gli occhi: ho paura. Rimango immobile, i capelli si rizzano sempre di più, così come la mia pelle.
  È evidente che quei passi non siano di Hermàs, lui è troppo silenzioso, mentre questi sono pesanti e non si premurano di nascondersi a me. Mi cercano.
  Riesco a sentire, adesso, persino il respiro di quella figura che mi sta dietro. Devo voltarmi e forse la paura scomparirà, devo... dare un volto al mostro.
  Ma non è un mostro, non lo è affatto. Con la torcia puntata in alto riesco a vederne gli occhi verdi brillanti e languidi, i capelli rossi che mai finora avevo visto e una divisa che riconosco subito: è blu, con sul petto ricamato un rettangolo in cui v’è disegnato un giglio argentato. Quest’uomo che mi sta di fronte è un militare, eppure non è un automa.
  “Guardie militari portano dolori” si dice in giro.
  Mi domando perché, con tutti i giorni che ho vissuto in questi miei quasi undici anni di vita, è proprio adesso che devo incontrare il mio giustiziere.
  Ha sulle mani un fucile.
  «Non dovresti essere qui».
Io non riesco a parlare, apro la bocca, ma le parole rimangono bloccate in gola.
  «È pericoloso, soprattutto per una bambina come te».
  Non mi muovo, non oso farlo. L’uomo mi squadra truce, borbotta qualcosa che non capisco e prosegue il proprio cammino, lasciandomi in pace.
  Esiste un modo per descrivere una sensazione del genere? La delusione, la gioia e il senso di colpa che si prova quando si aspetta una ferita che non arriva? E io, vedendo quell’uomo così forte, fiero e dagli occhi incredibilmente tristi, attendevo dolore.
  Invece niente. Nulla. L’uomo mi ha completamente ignorato, adesso continua ad andare avanti a passo felpato. Il cuore ricomincia a battere all’impazzata. Che cosa sta cercando? Perché non l’ho mai visto da nessuna parte? Perché tutto oggi, all’improvviso?
  Sulle labbra un sorriso. Sembra proprio l’inizio. L’inizio di un’avventura.
E io non posso lasciarmelo sfuggire.



 
Note d'Autrice: Eccoci qui, questa al presente è la parte che più amo scrivere. Avremo quasi esclusivamente Elpìs come pov. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non abbandoniate la nave solo perché ci sono più punti di vista e cronologie differenti. In effetti, mi rendo conto che si tratta di qualcosa di un po' più complesso, ma che divertimento c'è se non si spremono le meningi?
Infine, vorrei ringraziare anche qui, dal profondo del cuore, l'unica persona che ha avuto il coraggio di commentare fino ad ora, 
Leyazara. Grazie mille!!! 
❤❤❤
   
 
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