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Autore: BabaYagaIsBack    23/09/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Thirty-Three
§ Can you hear the ice craking? §
part two

 

"If I was dying on my knees
You would be the one to rescue me
And if you were drowned at sea
I'd give you my lungs so you could breathe
"

- Brother, Kodaline

 

Infilo il piede lungo la pianta del sandalo, intreccio il cinturino intorno alla caviglia e poi, con un sospiro, lo allaccio. Appena la fibbia si chiude mi concedo qualche minuto di totale stasi, resto immobile osservando le unghie smaltate e il pavimento al di là della scarpa - perché l'umore, da quando mi sono confrontata con Jace, non ne ha voluto sapere di tornare allegro. Mi perdo tra i miei pensieri in continuazione, domandandomi se avessi potuto gestire differentemente la conversazione.

Peccato che non sia brava con le parole, troppo spesso mi restano incastrate in gola e attendono con ansia che la mente le scelga - ma lei va troppo lenta, o forse troppo veloce, per riuscire a notare la loro presenza. 
Ed è così che combino disastri. Uno dietro l'altro come i passi di un ballo scoordinato e senza fine.

Sbuffo.

Ho un istinto naturale per rovinare tutto.

Poco convinta mi alzo dal bordo del letto, traballando qualche istante su questi tacchi troppo alti e poco familiari, presi per una qualche occasione che mi resta ancora sconosciuta: forse un compleanno, oppure una qualche cena galante in cui mamma ci ha obbligati a seguire un dress code
Insicura avanzo sui miei trampoli, fermandomi poi di fronte a uno specchio che riflette tutta la mia silhouette ed evidenzia il disappunto che mi maschera il viso. Sto bene fuori, un po' meno dentro.
I jeans sdrammatizzano l'eleganza del sandalo, mentre la semplicità della maglia monocromatica delinea il busto, facendomi apparire un po' più grande di quello che sono in realtà e dando l'illusione che sia davvero sicura di me e di ciò che sto facendo - eppure non lo sono affatto. Mi pongo troppi quesiti, quando in realtà dovrei semplicemente svuotare la mente e preparare lo stomaco a ingerire pinte di birra o drink dai profumi tropicali.

Mordo il labbro mentre faccio qualche mezza giravolta, in modo da controllare meglio che sia tutto a posto e, quando infine decreto di essere pronta, allungo un braccio in direzione della scrivania, lì dove una vecchia giacca in denim, un tempo appartenuta a mio padre e poi di Jace, mi aspetta per uscire.
Sopra vi sono toppe, spille e sfilacciature che vogliono parlare di un passato un po' allo sbando, sempre in giro a vivere avventure, eppure, ciò che più amo di questo capo è altro. Quando m'infilo nelle maniche e sistemo il colletto logoro, nella stoffa in eccesso mi pare di venir avvolta in un abbraccio caldo e rassicurante - e come adesso, mi sembra di sentire il profumo del mio fratellone.

Mi concedo ancora qualche minuto di contemplazione, certa di non aver fatto del mio meglio per apparire carina ma conscia di non essere dell'umore per fare di più, poi sposto lo sguardo verso la sveglia e solo a questo punto mi rendo conto di dover uscire. Caro e Misha saranno qui a momenti e il timer del tassista non ammette ritardi, così come i nostri portafogli.

Un piede davanti all'altro quindi, scendo le scale e mi avvicino all'ingresso, ma quando sto per togliere la borsa dall'attaccapanni una voce mi interrompe, facendomi sussultare.

«Sbaglio o quella è mia?»

Jace si fissa dal pianerottolo. Con le mani si regge al parapetto, il busto proteso in avanti quasi si stesse preparando a saltar giù. Ha un cipiglio strano, indefinibile per la mia mente spossata, eppure non riesco a smettere di scrutarlo di rimando, quasi sfidando il predatore che da lontano mi ha puntato. Siamo due animali che si studiano, preparandosi all'attacco - peccato che io non abbia alcuna intenzione di farmi ulteriore male.

«Era» soffio infine, stanca alla sola idea di dover discutere nuovamente con lui e spostando gli occhi altrove, lontano dal suo viso. 
Rinuncio alla sfida prima ancora di iniziarla.
Non voglio rovinare maggiormente una serata già vacillante, un umore che oscilla tra l'insoddisfazione, la frustrazione e momenti di momentanea gioia in cui mi ricordo di essermi finalmente liberata di un fardello come la Saint Jeremy. Non ne ho bisogno, la mia vita è abbastanza incasinata anche senza questi extra.

Appoggio la catenella di ferro alla spalla, con le dita afferro la borsa. Giro i piedi verso la porta, intenzionata a uscire seppur frenata da qualcosa, una sensazione che non mi piace e vorrei togliermi di dosso.

«Uhm...»

Lancio un'occhiata veloce al di sopra della spalla, tornando a Jace. 
Sembra stia riflettendo.

Vedo le sue braccia flettersi lievemente, a mo' di molla, e la sua bocca torcersi in una strana smorfia. Ora non mi fissa più, sta piuttosto guardando le proprie mani.
Starà pensando a quanto sia deludente. A come, in questo anno di lontananza, intervallato da messaggi, video-chiamate e visite sempre troppo brevi, la sua amata sorellina sia cambiata, sfuggendo al suo controllo e al buon senso.

A labbra strette mi sfugge un sospiro, o un soffio dal naso, non saprei ben dire, e alla fine mi convinco che sia giunto il momento di andare - dopotutto ho già rovinato la situazione a sufficienza, non mi serve esitare. Così torno a fissare la porta, ma prima che le mie dita possano stringersi intorno al pomello il suono dei suoi passi riempie l'ingresso. Il fruscio di una giacca che viene afferrata e indossata mi accarezza le orecchie, scatenando un brivido che non riesco a spiegarmi, e subito dopo sento il corpo di mio fratello sfiorarmi la spalla. Il suo torace si appoggia per pochi istanti a me, mi scalda, poi la sua mano precede la mia: «Non ricordo di avertelo regalato, ma anche se fosse non mi piace l'idea che tu lo possa rovinare. Quindi mi spiace, ma mi toccherà supervisionare».

Sussulto.

Ho capito bene?

Con occhi grandi di stupore mi volto verso di lui. Fatica a sorridere, le sue labbra sono piegate in una curva tanto lieve che potrebbe quasi apparire come un'allucinazione - però nei suoi occhi posso scorgere sia lo sforzo nell'accettare il mio invito, sia l'affetto che gli impedisce di restare a casa tutta la sera.

E taccio. Non una parola riesce a uscirmi di bocca. Non un suono, un grazie, un grugnito... nulla, solo riverenza. Una muta accettazione, una gioia afona che mi fa mollare la presa sulla borsa per andare a prendere la sua mano - calda, bollente, ma che non afferra con la medesima convinzione la mia.

Eppure va bene così. Il semplice fatto che abbia scelto di venire con me è sufficiente a colmare ogni crepa creatasi oggi tra noi.

***

 

Stretta al braccio di Jace, e con accanto Caroline e Misha, ho varcato l'entrata del The Elder and the Moon senza riuscire a nascondere il sorriso di gioia che mi ha teso le labbra nel momento in cui sia io sia mio fratello ci siamo seduti nell'abitacolo del taxi. Solo poggiando il deretano sul sedile morbido della vettura ho realizzato la situazione nel suo insieme e, soprattutto, la svolta che la serata ha inaspettatamente preso. Come nei miei sogni più rosei sono circondata dalle persone a me più care, tutte riunite per festeggiare un avvenimento al limite del miracolo - ciò che manca, per rendere il tutto perfetto, è solo la presenza di Charlie.

Non nego di avergli scritto - e ancor meno fingo di non aver fissato il display della nostra chat per interminabili minuti, magari anche ore, nella speranza di una chiamata -, ma la sua risposta è arrivata sotto forma di messaggio apparendomi terribilmente incompleta, come se mancasse qualcosa. Forse si tratta della gioia che tanto lo contraddistingue, la spumeggiante nota che prende la sua voce quando è felice; oppure qualche frase, parola, emoji... non so. Ciò che è certo è che, in primis, manca lui.

Eppure, nonostante il vuoto che sento pizzicarmi la pancia, mi è impossibile essere triste: almeno Jace è qui, così come Seth che, vedendoci entrare, si stacca dal bancone per venirci incontro. 
Il suo sorriso color latte mi accoglie e richiama a sé al pari delle sirene con Ulisse, peccato che a ogni passo verso di noi si attenui un po' di più, finché arrivato al mio cospetto - o meglio quello di mio fratello - ciò che resta sul suo viso è una smorfia non troppo convinta. La tensione tra di loro è palpabile, seppur mi sia augurata fino all'ultimo di non trovarmi in una situazione tanto fastidiosa. Avverto i muscoli di mio fratello tendersi, così come vedo la mascella del ragazzo davanti a noi contrarsi, quasi uno sia pronto a colpire e l'altro a ringhiare. Eccoli qui, due esemplari che ferocemente si studiano, marcano il territorio e gonfiano i petti - peccato che non sia la serata giusta per certe sceneggiate.

Così si fissano per lunghissimi, interminabili secondi, poi d'un tratto, forse comprendendo il mio disagio e volendo scongiurare il peggio, Caroline si mette in mezzo e con una pacca sulle braccia di entrambi urla: «Tutto questo testosterone inizia a nausearmi, quindi, che ne pensate di prenderci una buona birra e raggiungerci al tavolo?» Fa dapprima cadere lo sguardo su Morgenstern, che tutto sommato conosce meglio, poi cerca l'attenzione del maggiore dei Raven che, a dire il vero, annuisce senza ricambiare l'occhiata.
Il braccio di Jace scivola via dalla mia presa, i suoi piedi si muovono senza essere inseguiti dai miei. Con la spalla passa a filo di quella di Seth, dandomi l'idea che per un momento, uno soltanto, abbia pensato di andarci a sbattere contro e aizzare la sua furia, come gasolio sui tizzoni ancora ardenti e che non vedono l'ora di riprendere a bruciare tra le fiamme - qualcosa però, proprio all'ultimo, deve averlo fatto rinsavire e l'impatto si è trasformato in una mera scintilla.

Scorgo gli occhi del mio ragazzo rincorrere quel gesto, aspettarlo, forse bramarlo. Riesco a vedere i suoi denti stringersi con forza per prepararsi all'attacco, ma alla fine nulla accade. O quantomeno per ora.

Misha mi poggia le mani sulle spalle, la sua testa spunta accanto alla mia come quella di un rapace e, sforzandosi - perché la conosco abbastanza bene da riconoscere toni, espressioni e atteggiamenti -, la sento aggiungere: «Mi raccomando, bionde. Ho un debole per loro» e involontariamente un brivido mi corre lungo la schiena.

Lo ha fatto apposta. E' stata una frecciatina generale per sottolineare la tensione, per metterla di fronte agli occhi di tutti e sguazzare nelle conseguenze delle sue parole su di me - perché a lei piace giocare con il fuoco quando io corro verso il pozzo.

Seth le lancia un'occhiata di tralice, il suo sguardo saetta dietro di me e, se fossi al posto della signorina McCoy, probabilmente raggelerei.

Non so perché, ma temo fortemente che questa serata possa andare come previsto mesi fa o semplicemente come sui sedili del taxi mentre raggiungevamo questo angolo di mondo. Avverto sullo stomaco un peso fastidioso, una consapevolezza che si sta trasformando in boccone amaro - forse avrei dovuto disdire tutto; forse avrei dovuto accettare il fatto che non sarò io il collante che rimetterà insieme i cocci del loro rapporto.

Charlie, certamente, avrebbe saputo aiutarmi.
Lui sarebbe stato in grado di mettere fine a questa faida, avrebbe trovato un accordo, un sorriso capace di rasserenare gli animi e una battuta in grado di riportare il buon umore. Ma non c'è. E' sparito e io mi sento persa come il giorno in cui Jace è partito per Parigi, forse peggio - perché la sua mancanza non ha ancora smesso di logorarmi e, si sa, la ruggine pian piano è in grado di ossidare altre cose; ad esempio il mio rapporto con Morgenstern.

Con uno strattone Caroline mi riporta al presente. I suoi enormi occhi scuri da cerbiatta si posizionano davanti ai miei e, con una smorfia buffa, prova a infondermi serenità. Vorrei affermare che ne sia in grado, che basti questo per distrarmi da tutti i pensieri e le preoccupazioni, peccato che non ci riesca - o quantomeno non del tutto.
Tiro un sorriso, in modo da confortarla, e subito lei mi prende una mano, intreccia le dita con le mie e mi trascina con sé verso il primo tavolo libero che riesce a trovare.
Misha ci segue come un'ombra, resta un po' distante, ma non abbastanza da poterci perdere nella confusione di clienti. Cerco di guardarla, di capire il motivo del suo distacco, eppure non ci riesco. Che stia tramando qualcosa? Che abbia deciso di mettere fine alla nostra tregua? Che la rabbia per il mio rifiuto sia tornato a galla vedendo Seth e ora abbia deciso di vendicarsi? Non capisco, ma sembro l'unica ad accorgersi del suo comportamento.

Caro mi fa sedere accanto a lei, mi invita battendo più volte la manina sull'imbottitura della panca - da un lato c'è la finestra sabbiata, dall'altro ci sono io, con il vuoto lasciato da un'altra persona - e la sua bella si sposta sul lato opposto per poterci guardare meglio.

«Vedo che le cose non si sono ancora appianate tra quei due...»
Mi mordo l'interno guancia: «Già. Eppure non ne capisco il motivo».
Lei allunga un braccio, prende ad accarezzare il dorso della mano di Caroline come si farebbe con un gatto: «Beh, i motivi possono essere tanti, magari si è immedesimato nei panni di... quell'altro tuo amico, il ragazzo con lo skate... come si chiama?»

«Charlie.»
«Sì, lui.» La vedo spostarsi il ciuffo, deglutire: «Dicevo... magari l'ha vissuta così male per quel motivo. Oppure perché conoscendo Seth non vuole che ti tratti come una delle sue tante conquiste» il suo tono, sul finire della frase, cambia appena - una nota quasi impercettibile che mi mette ancor più in agitazione.

«Tesoro, lasciala stare» stavolta è la mia migliore amica a parlare, il suo caschetto si piega da un lato, sottolineando il disappunto: «siamo qui per festeggiare la nostra liberazione dal liceo, non voglio che Jay si rovini la serata per due polli che non riescono a condividere l'aia».

Che?

Mi volto verso di lei, confusa quanto la sua fidanzata.

«Che c'è?! Ho solo descritto la situazione in modo... alternativo. Non mi sembra di aver detto cavolate!» Afferma, in parte esasperata e in parte divertita, così apro bocca nel vano tentativo di risponderle, ma una risata stanca mi si riversa fuori dalle labbra e prima che possa ritrovare il respiro necessario per parlare, il suono di un boccale che si poggia sul legno mi distrae.

Quasi sussulto nel notare che Seth e Jace sono nuovamente con noi, uno al fianco dell'altro e con le mani che rilucono scoordinatamente a causa della birra straripata dai margini. Le loro espressioni provano a camuffare la tensione ancora visibile negli sguardi, eppure io non riesco a trovare pace nonostante sappia che lo stanno facendo proprio per me, per rendere questa uscita speciale come dovrebbe essere. Più li osservo però, meno mi convinco che le speranze nutrite nelle ultime ore possano trovare modo di realizzarsi - ma taccio, rimettendomi a pregare di essere in torto.

«Signorine, ecco a voi ciò che avete chiesto» annuncia mio fratello allungando un boccale verso Misha. Questa prima di afferrarlo lo fissa qualche istante, arriccia le labbra e poi, facendo un calcolo veloce, afferma: «Ne manca una.»

E, in effetti, non ha torto.

«Jay ed io facciamo a metà» Seth sorride con più naturalezza, lasciandosi cadere nello spazio accanto a me e ignorando completamente il fatto che Jace possa non apprezzare questo suo gesto. Ma si sa, non è tipo da tenere eccessivamente in considerazione gli altri.
Con il braccio mi cinge la schiena e, tirandomi un poco a sé, mi deposita un bacio sulla fronte, spiazzandomi. Non so se a sorprendermi sia l'inaspettata dolcezza a cui si concede o l'innegabile sprezzo del pericolo a cui si sta esponendo, però non posso negare di sentire il cuore accelerare il ritmo.

«Mi duole ricordartelo, amico, ma Jane non si è mai tirata indietro di fronte a una pinta» Jace alza il suo boccale, fa una sorta di brindisi con l'orgoglio che prova per la sua sorellina che potrebbe essere tranquillamente scambiata per un'alcolizzata alle volte, ma c'è anche dell'altro, forse l'ennesima sfida.

E che vi sia o meno, Morgenstern la coglie.

«Di questo ne sono consapevole, ma metterla a letto dopo che se l'è scolata non è impresa semplice.»

Seppur senza vederlo, riesco a sentire i denti di mio fratello mordere la carne della lingua - affondano con forza e provano a trattenere un commento volgare. Ma fatica, lo so.

«Metterla o portarla? Perché c'è una differenza, sai? Un po' come tra essere attratti e amare

Che vorrebbe dire?

Le dita di Seth si premono involontariamente sul mio fianco, mi tirano a lui con maggior impeto, rivendicandomi al pari di un cavaliere di fronte al drago che minaccia la sua donzella. Ma perché? Cosa teme?
Con lo sguardo cerco il suo viso, provo a predire la prossima mossa attraverso le sue reazioni, ma ciò che trovo è ancor meno piacevole di ciò che sto udendo; ha gli occhi ridotti a due fessure, le labbra strette in una linea dura e la mascella contratta, tutti sintomi della rabbia che sta trattenendo - peccato che non sia bravo quanto Jace a gestire simili situazioni, anche se al momento nemmeno lui si sta dimostrando tanto maturo.

«Non metterti in mezzo, Raven, te l'ho già detto.»
«Oppure? E' di mia sorella che stiamo parlando» bofonchia uno, sporgendosi in avanti con il busto, avvicinando il viso e offrendo chiaramente una guancia, in modo da tentare le nocche di Morgenstern - nocche che so desiderare carne.
«E lei ora è qui, JJ, volontariamente. Ma soprattutto è qui con me» risponde l'altro, visibilmente combattuto tra il colpire e il trattenersi dal farlo.

Il disagio che provo si fa sempre più intenso; avverto lo stomaco stringersi, il cuore accelerare e le gambe ambire la porta d'uscita del locale, ma era la mia serata, anzi, la nostra, e l'idea di abbandonarla mi fa sentire una persona terribile.

Eppure, al commento successivo, non riesco a frenarmi.

«Solo perché non hai il minimo rispetto per gli alt-»
«Smettetela!» Quella che ringhia come un animale furioso, adesso, sono io. Io che fino all'ultimo ho sperato avessero un minimo di autocontrollo e buonsenso. Io che nel disappunto ho cercato di cogliere la gioia. Io che ho creduto di poter accomunare due migliori amici, armati fino ai denti, posizionati sui fronti opposti di un medesimo campo da guerra. Io che vorrei piangere per la troppa frustrazione, per la sensazione soffocante che provo, per tutto ciò che sfugge al mio controllo e rintanarmi in un posto sicuro - quel, posto sicuro.

Devo allontanarmi.

Mi divincolo dalla presa di Seth, sopraffatta da una foga che non mi sarei mai aspettata in un simile momento. «Fammi passare» gli ordino poi, avvertendo gli occhi di tutti appiccicarmisi addosso. Ci sono quelli di Misha, colmi di compassione, quelli di Caroline, preoccupati. C'è Jace con il suo sguardo confuso e persino Morgenstern con la sua totale confusione - eppure nessuno di loro mi fa trovare un appiglio, una ragione per restare nonostante dovesse essere una serata gioiosa, una celebrazione amichevole.
Il ragazzo accanto a me cerca di fare resistenza, di placarmi, ma non c'è modo. Devo andare via. Devo scrollarmi dalle spalle questa sensazione disorientante, questo desiderio di piangere e urlare e chiedere una tregua a tutti - solo pace.

«Jay, per favore...»
«Ho detto "fammi passare", Seth. La capisci la mia lingua?»

Non si muove, quindi lo scavalco mettendomi pericolosamente in piedi sull'imbottitura della panca, dove il tacco prova a farmi perdere più volte l'equilibrio.
Ora nessuno osa fermarmi, forse minacciati da una possibile e rovinosa caduta - ed io colgo l'occasione. 
A guardarmi, adesso, c'è altra gente.

«Jay, ti prego, aspetta» sento le dita di lui cercare il mio polso, sfiorarlo senza riuscire a prenderlo.

Mi volto un'ultima volta verso il tavolo.
«No!» Sibilo: «Non ho idea di quali siano i vostri problemi, ma avrei gradito, almeno per stasera, che aveste avuto un minimo di decenza. Sono venuta qui per festeggiare con le mie amiche la nostra promozione, invece il mio ragazzo e mio fratello non sanno fare le persone civili! Possibile? Da amici del cuore siete passati a comportarvi come cani rabbiosi e a me questa situazione non sta bene!» Mi mordo le labbra, avvertendo la gola secca, bruciante: «Anche io sono arrabbiata con Seth per ciò che ha fatto a Charlie, Jace, credimi. Ho il pensiero di quello che è successo bloccato nel petto, ma è affare loro, non capisco per quale ragione tu ti debba mettere in mezzo a tal punto da ferire anche me! Noi siamo estranei, non dovremmo prendere alcuna posizione perché vogliamo bene a entrambi, eppure non è così, non ci riesci, e mi fai sentire una persona terribile!»

Mio fratello abbassa lo sguardo, lo porta sul bordo del boccale - e capisco con chiarezza che si sta trattenendo dal dire qualcosa, esattamente come Morgenstern.

«Io me ne vado. Grazie per la serata.»

Pochi passi decisi. Qualche spallata a degli sconosciuti che forse mi insultano di rimando, poi sono fuori. Sola. Triste. Senza un rifugio a cui far ritorno.

Merda!



 

Ania:

Don't hate me cause it's long, love me cause it's done <3

Ciò dicendo, eccoci qui a quello che era il terzultimo capitolo, ma che non so se lo resterà ancora. Quindi, fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi aspettate prossimamente!

Ciao, ciao :D


 
   
 
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