Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: Nymeria90    26/09/2020    0 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ovunque, sempre

Udì il fruscio del vento. Udì le strida dei gabbiani. Udì il rumore lontano delle onde. C’era odore di salsedine e fiori. Sul viso percepì un tepore meraviglioso e a lungo dimenticato. Aprì gli occhi, ma una luce che non vedeva da troppo tempo l’abbagliò, costringendola a schermarsi il viso con le mani.
Pian piano i suoi occhi si abituarono alla luce e divenne consapevole dei capelli sciolti che le accarezzavano il viso, mossi dal vento, e del suo corpo disteso sulla nuda terra. Si mise lentamente a sedere e per prima cosa si guardò le mani: non c’era traccia di sangue o fuliggine o sporcizia su di essere. Erano pulite, come non lo erano state mai.
Sollevò lo sguardo al cielo, convinta di vedervi stagliate le orribili sagome dei Razziatori, invece i suoi occhi si posarono su un cielo limpido, di un azzurro talmente puro da sembrare dipinto. D’istinto il suo sguardo scese alla terra: ricordava crateri fumanti e incendi e alberi sradicati e cumuli di macerie. Non era preparata alla rara bellezza che le comparve davanti: si era risvegliata in un campo di papaveri baciato dal sole. Il vento accarezzava i petali rossi con la malizia di un amante. Fin dove lo sguardo riusciva ad arrivare, vedeva solo quella distesa vermiglia che scendeva lungo i dolci declivi delle colline, fino ai bassi pendii di monti scoscesi.
Sasha Shepard girò su se stessa, abbracciando con lo sguardo quel paesaggio incantato e scoprì che più avanti, oltre la marea rossa, c’era il mare. Una vasta, liscia, distesa d’acqua cangiante come un prisma.
Il sole l’abbagliava, impedendole di distinguere i contorni delle cose, ma più avanti, prima delle scogliere che portavano al mare, le parve di intravedere i contorni di una casa.
Prese un respiro profondo e mosse un passo in quella direzione. 
Appena il suo corpo si mise in moto avvertì una strana assenza: non provava più alcun dolore.
Nella sua mente giaceva il ricordo straziante di un corpo martoriato e morente, ma quando abbassò lo sguardo sull’addome, non vide nessuna ferita e nemmeno i resti dell’armatura bruciata; le sue mani tremanti toccarono la stoffa sottile di un abito verde e ocra con una stampa a fiori.
-Questo è …- sussurrò ai papaveri - … questo è il ricordo di un sogno.-
Senza ulteriori indugi s’incamminò verso la casa e poi la sua camminata divenne una corsa, finché non si ritrovò, ansimante e senza fiato, davanti a un portico adornato da una splendida buganvillea rosa scuro.
Rapita dalla bellezza di quei fiori si accorse dell’uomo seduto sul portico solo quando le rivolse un gentile benvenuto – Eccoti, finalmente, Shepard. Pensavo non arrivassi più.-
Sasha sussultò e, con fatica, mise a fuoco l’uomo che le sorrideva da sopra un libro aperto – Anderson? Pensavo … pensavo fossi morto.-
-Lo sono.- rispose lui, con disarmante semplicità.
Sasha si morse un labbro, guardandosi intorno spaesata – Questo è un sogno?-
-No, non lo è.-
Lei rabbrividì – Se non è un sogno … allora che cos’è?-
-Un posto dove ritrovarsi.-
Sasha si torse le mani, sentendosi vulnerabile per la prima volta dopo molto tempo – Sono … sono morta, Anderson?-
Lui non le rispose, limitandosi a rivolgerle un sorriso comprensivo.
-Ricordo … - chiuse gli occhi e la sua mente fu invasa dalle terribili immagini dell’ultima battaglia - … ricordo il Catalizzatore, le Scelte che mi ha offerto e la mia decisione. Ricordo il rinculo della pistola nella mano, i proiettili che andavano a segno e infine un accecante lampo rosso. Che ne è stato dei Razziatori? E la Terra … c’è ancora qualcuno vivo sulla Terra? Jeff, Kaidan, Garrus … dov’è il mio equipaggio?-
-Calmati, Shepard.- il sorriso di Anderson era stato sostituito da un’espressione di sincera tenerezza – Il tuo equipaggio è sopravvissuto, a parte IDA. La Normandy è al sicuro. La Terra è salva. I Razziatori sono stati sconfitti e la galassia … è relativamente in pace. Hai compiuto la tua missione, comandante: hai vinto.-
Sentì le ginocchia cedere e dovette aggrapparsi alla balaustra per non cadere – Dopo tutto questo tempo, Anderson …- le tremava la voce – Cosa farò, adesso?-
Lui rise – Solo tu puoi fare una domanda del genere in un posto come questo. Ancora una volta la scelta è tua, comandante Shepard: puoi scegliere di tornare indietro o di andare avanti.-
-Non posso rimanere qui, con te?-
-Questo è solo un posto di passaggio dove i morti aspettano i vivi prima di andare oltre. Io ho … ho qualcuno da aspettare. Se lo vorrai, potrai rimanere anche tu, per tutto il tempo necessario, ma non saremo insieme. Abbiamo … persone diverse da attendere. In ogni caso non si può rimanere qui per sempre, prima o poi bisogna andare oltre.-
Sasha deglutì, guardandosi intorno, spaesata … non sapeva … non sapeva cosa fare.
Anderson si alzò, notando il suo sconforto, e le posò una mano calda sulla spalla – Perché non entri, Sasha? Ci sono delle persone che stanno aspettando te.-
Sasha alzò gli occhi verdi su di lui, provò l’impulso di correre dentro, ma qualcosa la trattenne … la consapevolezza che, varcata quella soglia, non l’avrebbe più rivisto.
-Questo è un addio, Anderson?-
Lui le posò un bacio delicato sulla fronte, in un gesto d’affetto che mai si era concesso in vita – Sono sicuro che, da qualche parte, ci incontreremo ancora: dopotutto siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni.- le asciugò una lacrima con il pollice -Ora vai, Sasha Shepard, ci sono amici che ti aspettano da tanto tempo.-
Lei annuì gravemente e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata all’uomo che le aveva cambiato la vita, si avvicinò alla porta, allungò la mano ed entrò.

L’accolse un immenso salone: la casa era evidentemente molto più vasta di come apparisse all’esterno. C’erano grandi e luminose finestre che mostravano paesaggi diversi, appartenenti ad innumerevoli mondi, che si univano in una melodiosa cacofonia di colori e immagini che erano poco più che impressioni. Dentro quella sala si muovevano figure sfocate, evanescenti come fantasmi. Alcune era più nitide di altre e si stagliavano vive e reali in mezzo a quella foschia di infiniti popoli e infinite genti.
Scorse Bailey, il Consiglio, la matriarca Benezia, Pressly e Jenkins: erano ombre appena più vivide in mezzo a milioni di figure senza volto; i contorni dei loro corpi parevano bozze tracciate a matita da un disegnatore incerto. Le rivolsero cenni di cortese saluto: qualcuno chinò il capo, qualcun altro le sorrise, Jenkins la salutò apertamente con la mano, ma nessuno tentò di parlarle, nessuno le si avvicinò e Sasha capì che non stavano aspettando lei.
Ricambiò il saluto e passò oltre.
Ed ecco apparire una figura così famigliare che quasi si dimenticò del posto in cui si trovava e, per un attimo, le parve di essere di nuovo sul punte della Normandy, nella cabina di pilotaggio, quando lei le veniva incontro con quella sua aria solenne che preannunciava domande importanti.
La colpa le serrò il petto come un pugno ghiacciato, mentre fissava negli occhi quella creatura che di robotico non aveva più nulla. 
Gli occhi grigi avevano la saggezza di infinite coscienze e le labbra pallide tremavano di emozioni a cui nemmeno lei sapeva dare un nome. In quel luogo dove non erano altro che puro pensiero, l’ombra dei loro corpi terreni dava forma allo spirito senza più nasconderlo.
Erano bottiglie di vetro che infine mostravano il loro contenuto.
IDA era il riflesso delle sue scelte: una creatura che aveva modellato la propria anima, passo dopo passo, scoperta dopo scoperta, con la dolce delicatezza del più abile artigiano. Il  risultato era di una bellezza sconcertante. 
Quando le fu davanti, con l’emozione e la colpa che le serrava la gola, Sasha prese le sue mani nelle sue: erano calde e morbide al tocco. L’attirò a sé, finché le loro fronti non si toccarono. Respirò piano, chiudendo gli occhi per evitare di incontrare i suoi.
-Avrei potuto salvarti.- confessò a fior di labbra – Avrei potuto salvare i sintetici e ho scelto di non farlo. Potrai mai perdonarmi, Ida?-Pronunciò il suo acronimo come se fosse stato il suo nome, perché altro non era: non era più un’Intelligenza Difensiva Avanzata. Era Ida, soltanto Ida.
- Shepard, tu mi hai dato la vita, non come semplice esistenza, ma come essenza. Mi hai insegnato a ridere, a piangere, ad arrabbiarmi, a sognare … mi hai posto davanti a domande a cui io, una delle creature più intelligenti e sapienti della galassia, non ho saputo dare risposte. E, più di ogni altra cosa, mi hai insegnato che sopravvivere non basta. Guardami, Shepard.- come attratta da un potentissimo magnete, Sasha sollevò le palpebre e si perse in quegli occhi grigi pieni di umanità – Io potevo aspirare all’eternità, come tutti i sintetici: ma è la morte che ci rende vivi. Non nego che avrei desiderato qualche anno in più insieme a Jeff e a tutti i quanti voi, ma non baratterei mai i miei, pochi, anni insieme a voi con un’eternità solitaria. Come potrei incolparti per aver scelto la morte invece di una spaventosa eternità? Se ti può consolare, io avrei preso la stessa decisione: meriti di riposare in pace, Sasha Shepard, lo meritiamo tutti.-
Sasha strinse forte le mani di Ida tra le sue -Grazie, Ida.-
-Comandante Shepard …-
Sussultò al suono di quella voce famigliare e sconosciuta insieme: in sé racchiudeva l’eco di mille voci diverse.
Aggrottò la fronte alla vista della persona che si stava avvicinando: aveva le sembianze e le movenze di un Quarian, ma il suo viso era offuscato, come se non sapesse esattamente quali tratti assumere. Non indossava tuta o abiti che riuscisse a identificare: tutto il suo corpo  era avvolto da una luminescenza cangiante, come se centinaia di luci brillassero in totale indipendenza e completa armonia.
-Ti stavo aspettando, comandante Shepard.-
Il modo in cui pronunciò il suo nome le fece salire un brivido lungo la schiena – Legion?-
Le luci fremettero -Non volevo andarmene senza averti rivisto.-
Sasha prese un profondo respiro – Io ti devo delle scuse, Legion. Le devo a tutto il tuo popolo. Il tuo sacrificio …- si sforzò a mantenere la voce ferma: non aveva il diritto di mostrarsi debole - … temo che tu ti sia sacrificato invano, Legion: io non ho avuto il tuo stesso coraggio. Ho lasciato che il tuo popolo si estinguesse, perché non volevo rinunciare a …- si guardò intorno, allargando le braccia - … a questo.-
-Comandante Shepard, Sasha.- il suono del suo nome riverberato da mille voci la lasciò senza fiato e, di nuovo, le luci fremettero: capì che era un sorriso – Quando chiunque altro pensava solo a disattivarci tu ci hai parlato. Quando abbiamo scelto, di nuovo, di stare dalla parte delle Antiche Macchine, tu ci hai dato il beneficio del dubbio. Quando abbiamo chiesto la tua incondizionata fiducia, tu ce l’hai concessa. Prima d’incontrarti la nostra sola prospettiva era la perfezione o la disattivazione. Se avessimo voluto solo sopravvivere, avremmo accettato l’offerta delle Antiche Macchine. Loro volevano darci l’eternità, ma tu ci hai dato …- imitò il suo gesto, abbracciando con lo sguardo tutta la stanza - … questo. Adesso anche noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e non avremmo potuto desiderare dono più prezioso.-
La stessa frase pronunciata da Anderson: le differenze che avevano segnato tutti quanti loro in vita, sembravano solo il lontano ricordo di un incubo protrattosi troppo a lungo. Sasha allungò lentamente una mano – Il tuo aspetto, Legion …-
La mano luminosa di Legion incontrò la sua a mezz’aria e, quando si sfiorarono, Sasha sentì lo sfrigolio dell’elettricità sulla pelle 
– Questo è ciò che sono. Io sono. È tutto quello che desideravo essere e lo devo solo a te.-
Le sfuggì un risolino – Il bambino si sbagliava … non nel mondo reale, ma qui: Sintesi. Qui dove ogni cosa è come dovrebbe essere, non siamo più organici o sintetici. Qui, semplicemente, siamo.- chinò il capo davanti a Legion – Sei come ti immaginavo, amico mio, e molto di più. Il vostro perdono …- spostò lo sguardo su Ida che ascoltava quietamente il loro scambio - … ha un valore che le sole parole non possono esprimere.-
-Shepard …- mormorò Ida - … dopo tutto quello che hai fatto per noi, come potremmo rimproverarti qualcosa? La vita che ci hai donato avrebbe avuto un sapore molto amaro se, per permetterci di conservarla, tu avessi dovuto rinunciare a tutto questo. Non è la fine perfetta, Sasha, ma è la fine giusta. Qui gli eroi non arrivano: qui ci siamo noi.-
Sasha Shepard annuì, grata, il petto troppo gonfio di commozione per poter dire qualcosa.
-La mia attesa è finita, comandante Shepard.- si congedò Legion con uno sfarfallio di luci – È tempo che io raggiunga il mio popolo.-
Sasha guardò con affetto la sua luminosa figura. Lasciarlo andare, finalmente, le parve giusto – Addio, amico mio.-
Ci fu come un lampo e poi … poi il mondo che la circondava divenne impercettibilmente un po’ più buio.
-E tu? – si rivolse a Ida a voce bassa, timorosa della risposta – Anche tu te ne stai andando?-
- Comandante Shepard, io rimango qui, per un po’.- c’era un sorriso sulle sue labbra e nella sua voce – Aspetto la mia famiglia, il mio amore. Vorrei che fosse una lunga attesa e, se vorrai, mi farà piacere la tua compagnia.-
Sasha aprì la bocca per rispondere, ma Ida la fermò – No: non rispondere, non adesso. Prima, ci sono altre persone da incontrare …- indicò qualcosa alle spalle di Shepard.
Sasha seguì la sua indicazione ma, inizialmente, vide solo altre ombre indistinte, quando si voltò per parlare con Ida scoprì che anche lei era diventata sfocata. Seguì con lo sguardo la sua figura sfuggente perdersi nella folla, prima di incamminarsi nella direzione che le aveva indicato. 
Senza rendersene contò varcò una soglia e si trovò, d’improvviso, in riva a uno splendido mare, su una lunga spiaggia dorata. Alle sue spalle non c’erano né scogliere né case, solo dune e arbusti spinosi. Nell’aria c’era odore di salsedine e sole.
Si tolse le scarpe, abbandonandole nella sabbia. Con un sospiro di pura estasi affondò i piedi nudi nei tiepidi granelli dorati.
Un cantante stonato interruppe il ritmico borbottio delle onde e Shepard si ritrovò a sorridere al cielo mentre la voce raggiungeva acuti che rivaleggiavano con le strida dei gabbiani.
Mordin Solus sgambettava sul bagnasciuga, raccogliendo conchiglie di cui cantava le proprietà man mano che le esaminava per poi scartarle. 
Era così assorbito dalla sua ricerca che arrivò a un passo da lei senza accorgersi della sua presenza.
-Esemplare insolito. Mai visto conchiglia con questa forma.- le lunghe dita si avvicinarono furtivamente al suo alluce – Questo è … oh.- la curiosità divenne sorpresa e poi disgusto – Piede umano.-
-Sei uno scienziato brillante, Mordin.-
Se vederla in quel posto lo sorprese non lo diede a vedere. Fece un sorrisetto mettendosi dritto – Io credevo questo posto perfetto.- lanciò un’ultima occhiata disgustata al suo piede – Chiaramente io illuso. Però potrei migliorare.-
Sasha allontanò velocemente il piede – In trent’anni nessuno si è mai lamentato dei miei piedi: non li farò certo modificare da un dottore Salarian defunto.-
-Peccato. Avevo idea di usare conchiglie …-
Risero entrambi e si lasciarono cadere sulla sabbia.
-Alla fine ce l’hai fatta.- commentò Shepard – Hai avuto la tua spiaggia e le tue conchiglie. Per essere un così gran chiacchierone ti sei scelto un posto molto solitario dove aspettare.-
-Suono di mia voce è sempre stato mio preferito. E poi io non da solo.- indicò un punto più avanti, dove la spiaggia si allargava a formare un piccola laguna – Lui arrivato qui poco dopo me.-
C’era una figura solitaria in piedi sulla sabbia, sottile come un giunco. Aveva le mani intrecciate dietro la schiena e gli occhi senza pupille fissi sull’orizzonte – Thane …- vederlo lì, in riva al mare, non la sorprese affatto.
Riportò la sua attenzione su Mordin che, canticchiando, aveva ripreso la sua ricerca di conchiglie.
-Adesso che farai? – gli domandò.
Per la prima volta da quando lo conosceva lo scienziato Salarian non aveva la risposta pronta.
Dedicò un’attenzione esagerata al banale guscio di una cozza, prima di ributtarla in mare con un’espressione sofferente sul viso rugoso – Io … io non lo so.- confessò. Pronunciare quelle parole parve provocargli un autentico dolore fisico.
Sasha immaginò che mai, durante la sua corta ed iperattiva esistenza, avesse affermato un cosa del genere.
-Mio lavoro non ha lasciato spazio per affetti e affrontare ultimo passo da solo mi …- era a corto di parole.
-… spaventa.- concluse Shepard per lui.
Mordin annuì – Genofagia necessaria, ma difficile. Qui solo verità, Shepard. E verità dice che Genofagia causato molto dolore e io responsabile.-
-Non è la tua volontà a tenerti qui …- mormorò, colta da un’improvvisa rivelazione – Tu non puoi andartene.-
-Credo tutte e due cose, Shepard, non voglio e non posso. Questo posto è difficile da capire. Giudizio su mie azioni negativo e quindi costretto qui, a contare conchiglie.-
-Io credo che dipenda da te, Mordin. Non c’è un tribunale, nessuno giudice divino: ci sei solo tu e quello che hai fatto.-
-Cambia qualcosa? Per tutta mia vita giustificato mio lavoro, detto a me che fatto cosa giusta, ma qui, dove bugie svaniscono, mi accorgo che io sono giudice e condanno mie azioni.-
-La Genofagia è stata un autentico flagello, ma non è il tuo flagello.-
-Shepard …-
Lo zittì con un gesto – Ascoltami: la Genofagia è figlia dei Salarian che hanno elevato i Krogan per i loro scopi; è figlia dei Turian che non hanno esitato ad usarla per porre fine alla guerra; è figlia dei Krogan che hanno giocato a fare i conquistatori di una galassia che non voleva essere sottomessa; e, naturalmente, è anche tua figlia che l’hai aiutata a crescere, ad evolversi, a mutare. Ne sei il tutore, ma non sei stato tu ad averla liberata nel mondo: la decisione di crearla e di usarla non fu tua. I colpevoli della Genofagia sono più di quanti ne potremo mai contare: lo sono anch’io che, se non fosse stato per i Razziatori, avrei continuato a considerarla parte di questa galassia. La Genofagia ha molti padri e molte madri, ma la cura ha solo un padre e …  un patrigno: bisogna dare a Maelon i suoi meriti. - gli puntò il dito al petto – Quando si è trattato di porre rimedio alla Genofagia tu non ti sei tirato indietro: hai creato la cura, l’hai usata e io so, che con o senza i Razziatori, tu l’avresti usata comunque. Migliaia di persone, per innumerevoli secoli, hanno condannato i Krogan senza possibilità di appello, solo una ha scelto di dar loro un futuro.- Mordin distolse lo sguardo, fissandolo sul mare che, placido, continuava il suo moto perpetuo, senza curarsi dei loro problemi. I grandi occhi scuri del Salarian avevano un luccichio inusuale.
Shepard gli mise una mano sulla spalla sottile -  Io non posso darti l’assoluzione per la Genofagia, Mordin, nessuno può farlo, ma non è una colpa che devi portare da solo. –
-Rimane mia responsabilità.-
- Sì, lo è. Ma prima di salutarci vorrei porti un’ultima domanda: la Genofagia sarebbe stata modificata anche senza di te?-
Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dalle strida dei gabbiani – Sì.-
-Se tu ti fossi tirato indietro, se avessi lasciato a un altro la tua responsabilità, e se questa persona si fosse sbagliata i Krogan si sarebbero estinti e in questo posto, davanti a questo mare, non ci sarebbe stato nessuno, perché a noi sarebbe stata riservata l’eternità dei Razziatori.- gli strinse la spalla – La Genofagia era una tua responsabilità: qualcun altro avrebbe potuto sbagliare.-
Le labbra dello scienziato tremavano e le doppie palpebre dei suoi grandi occhi globulosi sbattevano più veloce del solito – Credi che Krogan … loro …-
Sasha sorrise – Credo che faranno buon uso della loro nuova vita. Credo che torneranno ad essere grandi.-
-Io … io vorrei saperlo, prima di andare.-
-Li puoi aspettare, Mordin: Bakara, Wrex … l’equipaggio della Normandy. Dopotutto era quella la tua famiglia, no?-
-Sì.- Mordin sorrise – Voi famiglia e Bakara come … come sorella. Io credo di sapere dove andare, adesso. – si alzò spazzolandosi via la sabbia dai vestiti – Tu venire?-
Lo sguardo di Sasha si posò su Thane, immobile nella stessa posizione di prima – Non ancora, Mordin. Ci sono altri amici che voglio salutare.-
Mordin annuì – A presto, Shepard.-
Quando il comandante riportò lo sguardo su di lui era sparito.
Un po’ controvoglia si alzò, restia ad abbandonare il suo tiepido giaciglio di sabbia.
Camminò lentamente lungo la riva del mare, lasciando che le onde le lambissero le caviglie.
Non ricordava di aver mai passato, in vita, una giornata come quella: a passeggiare in riva al mare, godendo del calore del sole sulla pelle, del vento che le scompigliava i capelli e degli spruzzi di acqua marina che le solleticavano le gambe.
Il suo lento passeggiare la condusse accanto alla figura, solitaria e immobile, che scrutava l’orizzonte come se stesse aspettando di vedervi comparire una barca.
L’impercettibile rilassarsi delle sue spalle fu l’unico segno che avesse notato la sua presenza.
Meccanicamente Sasha imitò la sua posa: braccia dietro la schiena e testa eretta, mentre il mare, di fronte a loro, rimaneva immutato, nonostante le ombre che, di tanto in tanto tremolavano sulla superficie come pesci fantasma.
Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente del comandante e, quando si guardò attorno, si accorse che la spiaggia non era poi così deserta come l’aveva dipinta al primo sguardo: anche lì s’intravedevano i contorni di figure evanescenti. Spiriti erranti in attesa dei loro cari.
Quando tornò a guardare Thane si accorse che, dopotutto, non era solo. Accanto a lui l’aria vibrava e s’incurvava assumendo i contorni di qualcuno che non poteva vedere. La persona accanto all’assassino le era sconosciuta, ma sapeva perfettamente chi fosse, anche se era celata al suo sguardo.
-L’universo è un po’ più luminoso in questo posto.- mormorò rompendo il religioso silenzio che alleggiava su di loro.
Le labbra di Thane s’incurvarono appena – Qui ci sono occhi che hanno il colore del tramonto.-
-Lei è qui?-
-Sì.- vide la mano di Thane allungarsi alla sua destra e sfiorare qualcosa che lei non poteva vedere – Dice che non esistono parole adatte per esprimere la sua gratitudine nei tuoi confronti.-
Sasha Shepard sospirò, scuotendo mestamente il capo -Avrei voluto poter fare di più. Tu, meritavi di meglio.-
Thane rise e, per la prima volta, lo sentì libero dalla malattia: la sua risata era profonda, lunga, senza pause per respirare. Era potente come il rombo del vento.
-Mi hai riportato dalla mia famiglia, Shepard, dai miei dèi. Hai dato un senso agli ultimi anni della mia vita e mi hai concesso di morire in pace. Guardami, comandante …- i loro occhi si incrociarono e nei profondi occhi del Drell lesse un senso di pace che le fece venir voglia di piangere - … questa è la mia anima ed è integra, grazie a te. Ho ritrovato la mia amata e qui, sulla riva di questo mare, attendiamo insieme nostro figlio.-
Sheapard prese una mano del Drell tra le sue – Un giorno mi dicesti che solo poche persone hanno quello che meritano, nel bene o nel male. Tu meriti tutto questo, Thane Krios: meriti di essere felice qui, oltre il mare, con la tua famiglia.-
Thane si portò la sua mano alle labbra e vi posò un bacio lieve. Le sue labbra erano fredde sulla sua pelle – La Normandy è stata la mia seconda casa e voi una famiglia. Tuttavia non sarò al vostro fianco per l’ultimo viaggio. Il mio è posto è qui.-
-Lo so e non ti chiederei mai di abbandonarlo. Riposa in pace, amico mio.-
-Anche tu.-
Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, era di nuovo sola.
Le onde placide del mare lambivano pigramente i suoi piedi nudi mentre il sole scendeva oltre l’orizzonte: una sfera rossa e tremante che sprofondava nel mare. Davanti allo spettacolo di quel tramonto sul mare, Sasha Shepard pianse.
Non avrebbe saputo dare un nome a quelle lacrime. 
Erano gioia per il mondo che aveva salvato e gli amici che aveva ritrovato. 
Erano dolore per la sua nave perduta e l’equipaggio abbandonato in una galassia da ricostruire.
Ed erano vergogna per il timore che covava in fondo al suo petto. 
Oltre quella spiaggia c’erano altri luoghi e, in quei luoghi, altre anime da affrontare e non tutte sarebbero state quiete e pacifiche come quelle appena incontrate. 
Ida e Legion, Mordin e Thane, erano morti in nome di un bene superiore, per rendere la galassia un luogo finalmente libero. 
Non era una galassia giusta; non era equa; certamente non era buona. Era solamente libera: era più di quanto fosse mai stata, più di quanto avrebbe mai meritato di essere. 
In ognuna di quelle morti c’era la consapevolezza di aver raggiunto uno scopo più grande della vita stessa.
Ma non era sempre stato così. Non tutti i sacrifici erano stati compiuti in nome di un bene superiore. Alcuni, i più terribili, avevano come unica causa il mero egoismo. Erano quelle le anime che Sasha paventava d’incontrare: le anime degli amici morti perché il comandante Shepard potesse diventare … ciò che era diventato.  
Il vento le scompigliò i capelli e uno spruzzo d’acqua salata le solleticò il viso. Dietro di lei sentì il rombo di un tuono.
Era tempo di andare.
Avanzò nell’acqua e le sovvenne un ricordo d’infanzia, quando ancora credeva in una salvezza che sarebbe giunta dalle stelle.
Il Mar Egeo l’aveva accolta come una madre amorevole e nelle sue acque aveva versato in segreto le sue lacrime di bambina. Come stava facendo ora.
Nelle acque cristalline di quel luogo che non esisteva, ritrovò i suoi ricordi perduti e scoprì che erano belli.
La distesa di acqua che, sconfinata, si stendeva fino all’orizzonte non le fu più sconosciuta. 
Era a casa.
Prese il mare tra le mani e se lo buttò in faccia, non più donna, di nuovo bambina.
E con un riso che si perse tra le onde, si tuffò in quel mare dipinto dai colori del tramonto.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: Nymeria90