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Autore: Lacus Clyne    27/09/2020    2 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Kate? Mi senti? Kate? – una voce familiare, sebbene un po' ovattata, mi riportò alla realtà. Riaprii gli occhi, ritrovandomi sul divano. Sulle prime, mi ci volle un po' per rendermi conto di dove fossi, ma quando potei tornare in me, presi un gran sospiro di sollievo. Mi voltai verso Lucy, che era accanto a me.

L-Lucy? Che ci fai qui? Come... hai fatto ad entrare? –

Jace... è opera sua. Mi ha chiamato perché non rispondevi alle sue chiamate e dal momento che ero in giro, sono venuta a cercarti e ti ho trovato svenuta a terra. Come stai? Che è successo? Ah, prima che tu ti agiti, avevi lasciato la porta aperta. –

Mi tirai un po' su, subito ripresa dal forte mal di testa. – Mi scoppia la testa... come sapevi che ero qui? –

Lucy mi accarezzò i capelli e i suoi occhi cervoni si fecero più dolci. – Colpo di fortuna? Jace mi ha raccontato, in realtà piuttosto velocemente, che tu e il capitano Graham avevate discusso e che non c'era nessuna dichiarazione da depositare perché era già stato tutto sistemato. Pensava potessi aver seguito il detective, ma non avendo tu quell'indirizzo, ha scartato l'ipotesi. E così, ha pensato avessi dimenticato qualcosa a casa... era così? –

Sospirai, senza capirci granché, ma in quel momento, fui felice di vedere Lucy con me.

Più o meno... Lucy, ascolta... io ho bisogno di tornare a casa... a Shrewsbury... –

Lucy aggrottò le sopracciglia nere. – Eh? Come mai? –

Cercai di prendere fiato, al pensiero di quello che avevo ricordato. Poi, ricordai che nonostante avessi cercato di tenerla fuori dai casi, per proteggerla, un po' come, a suo modo, aveva fatto Alexander, si era ritrovata coinvolta. Alla fine, a cos'era servito tenere tutto segreto, quando ci eravamo dentro fino al collo?

Devo parlare con i miei genitori... e devo farlo di persona. Temo che riuscirebbero a mentirmi pur di proteggermi solo se telefonassi loro... – dissi, prendendo le sue mani. – Io... credo di aver incontrato il Mago da bambina. –

I suoi occhi si spalancarono in una muta espressione di incredulità.

Ti prego, Lucy... vieni con me. –

I-Io? Non sarebbe più indicato il detective Graham? Anzi, dovresti... –

Dirglielo? – finii, stringendo le sue mani. – No... voglio verificare e ho bisogno di farlo per conto mio... senza contare che... lui... lui mi ha mentito. –

Eh? –

Abbassai lo sguardo, pensando che mi aveva deliberatamente tenuta all'oscuro di tutte le sue indagini e, cosa ancor più grave, stava investigando anche su di me.

Kate? –

Scusa, Lucy... io non... ci sono ancora delle cose che non mi sono chiare e ho bisogno di capire. –

Lo so... e va bene, verrò con te. Però, a patto che tu non faccia cose sconsiderate. –

Mi morsi il labbro, al pensiero che, soltanto poche ore prima, avevo detto la stessa cosa ad Alexander. Alla fine, non eravamo poi così diversi. Sollevai il viso e la guardai. Aveva legato i capelli in una bella treccia alla francese, e la sua espressione preoccupata doveva esser stata molto simile alla mia.

Promesso. Grazie, Lucy... –

Mi sorrise appena, poco convinta, a dirla tutta, ma ormai, non avremmo più potuto tirarci indietro.

Non attendemmo oltre. Non potevo rischiare di perdere tempo prezioso, soprattutto dal momento che avevo cominciato a ricordare degli eventi che avevo, evidentemente, sublimato. Chiamai Selina, chiedendole di coprirmi. Sulle prime, preoccupata com'era, mi chiese di ragionare e di attendere il ritorno di Alexander che, ormai, cominciava a tardare. Avevo quasi totalmente la sicurezza del fatto che l'uomo che era andato a cercare non fosse il Mago. Quei contorni confusi restituivano un'immagine diversa e se fossi riuscita a ricordare di più, forse, attraverso il software di Trevor, saremmo riusciti ad ottenere un identikit nitido. Dissi poi a Nicholas che ci saremmo visti dopo un paio di giorni, alla festa organizzata per lui e per il matrimonio e, forse comprendendo la mia agitazione, mi ricordò quanto fossi forte ai suoi occhi. Dovevo esserlo, per affrontare quello che stava accadendo. Spensi il mio telefono per non avere ingerenze che non avrei potuto permettermi e Lucy, dopo aver controllato gli orari dei trasporti pubblici, fece lo stesso, sebbene a malincuore.

Prendemmo due autobus: il primo per raggiungere la fermata interurbana più vicina, il secondo, quello utile per Shrewsbury. Lucy, preoccupata come non mai, non mi mollò per un solo istante, in quello che si rivelò un viaggio sofferto e incredibilmente difficile, non soltanto per la distanza, ma anche per le implicazioni.

Se fosse stato così, se Alexander avesse avuto ragione, allora la morte della sua bambina e di Daisy avrebbero avuto avuto direttamente a che fare con me per qualche ragione che ancora non riuscivo a comprendere bene. E questo, avrebbe inevitabilmente cambiato ogni cosa. Sapevo di essere colpevole della morte di Trevor. Lui era legato a me direttamente, ma Lily e Daisy non le conoscevo. Non avevo saputo della loro esistenza fino a quando non ero stata trascinata nei casi che le riguardavano.

Durante il viaggio, mi ritrovai più volte ad avere nausea e forti giramenti di testa, tanto più che Lucy mi domandò se non fosse il caso di tornare indietro, ma non avrei più potuto, nemmeno se avessi voluto. Attanagliata tra impazienza, nausea e terrore, quando finalmente raggiungemmo Shrewsbury, era ormai pomeriggio.

Arrivammo a casa mia a piedi e, ad ogni passo, mi sentii come se fossi stata completamente risucchiata in un vortice di impersonalità. Per quanto ne capissi, in quel momento, ebbi la sensazione di vivere in un incubo senza fine, senza riuscire ad avere il controllo totale del mio corpo. Lucy, del canto suo, non disse altro, ma si limitò a starmi accanto, nonostante l'angoscia.

Armeggiai nella mia borsa per trovare le chiavi di casa e mi ritrovai a imprecare in preda alla rabbia.

Mamma! Papà! Aprite! Sono io! – urlai.

Lucy, sospirando, mi ricordò, facendolo, che sarebbe bastato suonare il campanello.

Fu mio padre ad aprire. L'espressione perplessa dipinta nel volto squadrato e negli occhi scuri si tramutò ben presto in preoccupazione. – Katherine? Lucinda? Che... –

Pochi istanti e anche mia madre si affacciò nel corridoio. – Ho sentito bene? Kate è qui? Teso-- – le sue parole si bloccarono, esattamente come per mio padre.

Deglutii a forza, ormai preda di un forte terrore. Una volta saputa la verità, non sarei più potuta tornare indietro. Cercai di non darla vinta alle lacrime e guardai i miei genitori, che sembravano, in quell'istante, aver capito cosa stesse accadendo. – Io sono stata rapita dal Mago quando avevo tre anni? – domandai, tutto d'un fiato. L'avevo detto, finalmente.

I miei genitori si guardarono tra loro e mia madre, sgranando gli occhi, scoppiò a piangere. Lucy portò la mano al cuore, sconvolta. Avevo avuto la mia prima risposta.

Papà cercò di mantenere il contegno e ci invitò a entrare. – Non qui, Kate. –

Anche lui, nonostante la severità, era scosso. Quando raggiungemmo il soggiorno, il profumo di casa mi fu d'aiuto per cercare di ritrovare un appiglio con la realtà, per quanto dura essa fosse. Mia madre, che continuava a singhiozzare, mi guardava come se fosse colpevole di qualcosa. Le posai la mano sulla spalla e la sua fu sulla mia.

Devo sapere come sono andate le cose. E devo saperlo da voi. Per favore. Io... io sto per impazzire. – spiegai.

Papà si sedette sul divano, chiedendo anche a me e a Lucy di fare altrimenti. Poi disse alla mamma di stare tranquilla e le chiese di portare un po' d'acqua per calmarci. Così, dopo quelli che mi sembrarono interminabili minuti, ma che si rivelarono provvidenziali per evitarmi una crisi di nervi, finalmente, mio padre si decise a raccontare.

Non sei stata... rapita, Katherine. Ma avevi tre anni, sì. Il giorno del tuo terzo compleanno, la mamma e io decidemmo di festeggiare andando in un ristorante. Di ritorno, dal momento che era una bella serata, facemmo quattro passi nelle vicinanze e fosti incuriosita dalle luci di un circo. Non ne eravamo grandi amanti, ma c'erano anche delle bancarelle e tanta gente intervenuta. Fu in quell'occasione che ti regalai Oz, ricordi? –

Annuii, cercando di fare mente locale. Mi rividi piccina, con un vestitino rosso addosso e Oz grande tra le mie braccia di bimba. – Ricordo che ero stata felicissima di vederlo. E che avrei voluto chiamarlo Oz perché ci sarebbe stato lo spettacolo del Mago di Oz, anche se si trattava di una scimmietta. –

Sì. Infatti fu quello il motivo per cui decidemmo di entrare a guardare lo spettacolo. Non era un circo come gli altri, tanto più che aveva un nome straniero. Ricordi come si chiamava, Christine? –

Mia madre, visibilmente angosciata, cercò di ricordare. – Credo fosse qualcosa come Tŭmen Tsirk, non ricordo bene... –

Guardai Lucy, che ascoltava perplessa e in pena tanto quanto me, poi bevvi un bicchiere d'acqua. Era lo stesso cognome dell'uomo che Alexander e l'agente Jones erano andati a trovare.

E poi? –

Entrammo a vedere lo spettacolo, che rappresentava, in effetti, proprio la storia del Mago di Oz, ma animata da artisti circensi, in una tre giorni. A un certo punto, avesti necessità e tu e la mamma andaste in cerca di un bagno all'esterno. – disse, guardando la mamma, che si morse le labbra.

Ricordo che c'era molta gente in giro e tanto fumo dall'odore forte. Ti tenevo per mano e cercavo di fare attenzione a non avvicinarci alle gabbie degli animali. A un certo punto, tu rischiavi di fare la pipì addosso e chiesi a una delle artiste vestite dalle Streghe che aveva finito il numero di indicarmi un bagno. Purtroppo, non parlava la nostra lingua e non sapevo se stesse capendo. Io, di certo, non ci riuscivo. Tu scoppiasti a piangere e per farmi capire, almeno a gesti, lasciai per qualche istante la tua mano. E in quel momento... oh Dio... in quel momento... – non riuscì ad andare avanti, perché il terrore e il tremore la scuotevano come se stesse rivivendo quella scena.

Oh Kate... – la voce di Lucy, rotta dalla tensione.

Mentre la mamma raccontava, altri ricordi si erano sommati a quelli precedenti.

La ricordavo gesticolare, così come ricordavo di avere tanto mal di testa per il pianto. Ricordavo che tutto quel fumo colorato l'aveva adombrata alla mia vista e la musica che veniva dal tendone, insieme a quella delle bancarelle, copriva sia il mio pianto che la mia voce mentre chiamavo la mamma. Ricordavo di essermi allontanata nella confusione e una sensazione di freddo e di umido nelle mie gambe di bimba coperte dai collant a pois. Ricordavo di aver camminato senza sapere dove stessi andando, fino a che, in quella bolla sospesa nel tempo e nello spazio, mi ero ritrovata a incrociare due occhi neri. Respirai, combattendo l'istinto di serrare i miei. La mano tesa verso di me, l'abito nero dalle maniche larghe, che non nascondevano quella che sembrava una cicatrice rossastra e che, ospitava, al suo interno, una specie di tubicino. Piangevo, anche quando la figura si chinò ad accarezzarmi i capelli e le due trecce in cui li portavo parzialmente legati, come la Dorothy dello spettacolo. Sembrava una mano stranamente gentile. Avevo guardato quella persona, che sembrava aver capito, anche se non parlava. Era completamente calvo, di un'età che, piccola com'ero, non avrei potuto mai definire. Aveva del trucco in viso: due baffi nerissimi disegnati che stonavano con la sua totale assenza di capelli e sopracciglia. Mi guardava incuriosito, come se avesse visto qualcosa di inaspettato. E all'improvviso, mi aveva chiesto quale fosse il mio nome, in un modo strano. Un accento diverso. Katie, gli avevo risposto, come mi chiamavano i miei genitori. Aveva giocato con le mie trecce, dicendo qualcosa che avevo già sentito in passato. Katie è bella con le trecce. Le parole che Julie Dawson mi aveva rivolto quando, dopo averla salvata, ero andata a trovarla insieme all'agente Jones. Proprio in quell'occasione, mi aveva intrecciato i capelli e io gliel'avevo lasciato fare.

Ricordavo che le dita fredde di quell'uomo mi avevano sollevato il viso e che i suoi occhi mi scrutavano. Un abisso nero. Ricordavo la voce di papà in lontananza e di lì a poco, sempre più vicina, insieme alle persone che mi stavano cercando. Ricordavo che quando mi trovarono, quella persona, che un giorno avrebbe assunto l'identità del Mago, non c'era più. Ma ricordavo anche che, da quel momento in poi, aveva continuato a seguirmi, nei modi più disparati, a ricordarmi, mio malgrado che sarebbe stato una curiosa, sempre presente costante nella mia vita.

Kate? – Lucy mi mise una mano sulla spalla e io sobbalzai, riprendendomi. Stavo ansimando e sentivo il viso incandescente per le lacrime. Alzai lo sguardo verso i miei genitori, che avevano assistito preoccupati.

Ho bisogno di un foglio... – farfugliai.

Papà si alzò a prendere il taccuino vicino al telefono di casa e me lo portò, insieme a una penna. Incontrai i suoi occhi. – Va bene così, Kate. Ci siamo noi con te, tesoro. Sei al sicuro. –

Annuii e mi misi a scrivere. Tutto ciò che ricordavo, tutto ciò che potesse servire ad elaborare il profilo completo di quell'uomo. Scrissi a lungo, come se fossi stata presa dalla necessità di dover buttare fuori tutto ciò che avevo rimosso e sepolto nel mio subconscio. Quante cose sarebbero state diverse se avessi ricordato prima? Quanta sofferenza sarebbe stata risparmiata? Quante vite non sarebbero state spezzate?

Scrivevo e piangevo, pensando che tutto quello che era accaduto dopo, era stato una conseguenza di quell'incontro. I miei genitori che litigavano. Le volte in cui vedevo mio padre buttare delle scatoline aperte, con un'espressione di terrore e disgusto. Le volte in cui la mamma aveva protestato contro gli ufficiali incaricati delle indagini perché non riuscivano ad assicurare alla giustizia i criminali. A pensarci, forse era stato proprio quello, inconsciamente, a spingermi verso scelte accademiche e lavorative di quel tipo. Quando terminai, avevo totalmente riempito il mio taccuino.

Ora posso tornare a Boston... e possiamo scoprire l'identità del Mago... – dissi.

La mamma fece cenno di no. – Non se ne parla! Non puoi rientrare in queste condizioni, Kate! Lucy, Ben, vi prego, diteglielo anche voi! –

Scossi la testa. – No, mamma io sto... –

Lucy mi prese le mani. – Tua madre ha ragione... non possiamo rientrare ora. È tardi ed è stata una giornata lunga e stressante, Kate. Hai bisogno di riposare... e anch'io. Non avrei mai pensato che avessi potuto vivere un'esperienza del genere... e questo, spiega tante cose... non solo per te, ma anche nell'atteggiamento del detective Graham... –

Sgranai gli occhi e sentii un tuffo al cuore. La sua indagine doveva essersi conclusa ormai. E potevo soltanto immaginare l'inferno che aveva fatto venir giù davanti alla reticenza di Selina e, probabilmente, anche di Jace. Mi chiesi se avesse visto il disastro che avevo lasciato nel suo ufficio. Cominciavo a capire perché non mi avesse detto nulla, ma nel mio cuore si faceva strada un pensiero ancora più duro da accettare. E questo pensiero aveva a che fare con Lily, con Daisy, con Julie. E con me.

Scusate... torno subito... – dissi, alzandomi.

Tesoro, dove vuoi andare? – mi chiese mia madre.

La guardai. Quanto si era sentita in colpa, per tutti quegli anni, per quell'unico momento di distrazione che Dio solo sa cos'avrebbe comportato, se non fossero arrivati in tempo?

Non è colpa tua, mamma... ok? E... – guardai mio padre stavolta, con cui avevo avuto scontri per le mie scelte lavorative, ma che, indiscutibilmente, aveva fatto radicato in me il bisogno di dare giustizia, di salvare le persone. – Grazie... per avermi salvato quella volta, papà. –

Il volto di papà si incrinò e vidi di colpo tutto il suo rimorso. Dovevo essere forte. Nicholas me l'aveva ricordato soltanto qualche ora prima.

Scambiai uno sguardo con Lucy, che cercava di consolare mia madre e mi allontanai, salendo al piano superiore e raggiungendo la mia stanza. Ormai erano mesi che non ci tornavo. E solo la notte precedente avevo dormito insieme ad Alexander e a quel bambino che entrambi avevamo messo in salvo e che aveva cambiato le vite di tutti noi, al Dipartimento. Tutto sembrava improvvisamente così lontano e io mi sentivo tanto stanca.

Mi voltai verso lo specchio e l'immagine che mi restituì fu pietosa. Avevo gli occhi rossi per il pianto infinito. Rivolsi un'occhiata stanca al mio riflesso e portai le dita al viso, poi tra i capelli. Erano sempre stati lunghi. Mi piacevano, perché adoravo sentirmi una principessa, come quelle che vedevo sui libri di fiabe che tanto amavo da piccolina. Lisciai le ciocche di un intenso castano cioccolato. Il Mago mi aveva accarezzato i capelli quand'ero bambina. Katie è bella con le trecce. Provai a intrecciare qualche ciocca. Julie aveva i capelli legati in due codini. Katie è bella con le trecce. Anche Daisy, quando la ritrovai, aveva i capelli legati in quel modo. Quel giorno, Lily portava i capelli legati in due codini. Elizabeth adorava farglieli e Lily sembrava apprezzare. Non andavano bene. Nessuna di loro aveva le trecce. Non poteva ricreare la sua fantasia. Strinsi con forza la ciocca.

Le hai uccise... perché non avevano la mia stessa pettinatura... non è così? –

Il mio volto sconosciuto non rispose, ma si limitò a replicare la domanda con un tono torvo.

Hai ucciso quelle bambine... per... questo?! – alzai la voce tremando di rabbia, tirando la ciocca e realizzando l'enorme banalità del male. Mi sentivo morire dentro. – Lily... Daisy... mi dispiace... mi dispiace tanto... è colpa mia se... se... – Se siete state strappate all'amore dei vostri cari...

Guardai quel riflesso. Lui aveva rapito e ucciso delle bambine innocenti sol perché non rappresentavano quell'ideale. E l'ideale ero io... con i miei capelli lunghi intrecciati. Una principessa... una bambola... Dorothy? Il caso zero? L'origine della sua fantasia... mi venne da vomitare al sol pensiero e, in preda al panico, totalmente risucchiata di un vortice di emozioni, afferrai le forbici che si trovavano nel portapenne, inutilizzate da mesi. Fuori di me, mi rivolsi a quell'invisibile interlocutore. – Guarda! Guarda che cosa ne faccio!! Così la smetterai di cercare bambine innocenti!! – urlai e cominciai a tagliare le ciocche, una dietro l'altra, finchè non sentii la porta aprirsi e vidi i miei genitori e Lucy.

Kate, no!! –

All'improvviso, mi sentii tirare via.

Lasciatemi!! Lasciatemi subito!! È colpa mia!! Se Lily è morta, è colpa mia!! E anche Daisy... e Trevor! Sono io la causa di tutto!! Io!! – urlai, mentre papà mi toglieva di mano le forbici. Mia madre piangeva disperata, così come Lucy, che cercava invano di riportarmi alla ragione.

Ridammele, papà!! Ti prego!! Io non... io... quelle bambine... Lily... – singhiozzai. Papà lanciò via le forbici e mi strinse forte a sé.

No, Katie! No! Va tutto bene, tesoro! Va tutto bene! Ti prego, calmati ora! – esclamò, tenendomi stretta a sé.

Mi divincolai, inizialmente, ma nel sentire il suo calore e il suo profumo, che tanto amavo, le energie cominciarono a venir meno e mi abbandonai al suo abbraccio ed entrambi sedemmo a terra. – Papà... papà!! – invocai, tra le lacrime.

Non so quanto tempo passammo così, ma solo quando fu certo che mi fossi calmata, mio padre mi lasciò andare. Intorno a noi, sul pavimento in legno, c'erano tante ciocche e Lucy si sedette accanto a me, raccogliendone alcune.

I tuoi capelli, Kate... –

Li guardai, troppo svuotata anche per replicare, incapace di realizzare fino in fondo cosa fosse accaduto. Mi sentivo come se tagliando tutte quelle ciocche, avessi reciso anche parte del legame con quell'assassino. Però non volevo che mi prendessero per pazza.

Mi dispiace... – sussurrai senza voce.

Anche la mamma si sedette con noi e mi accarezzò piano il viso. – Non puoi tenerli così... dobbiamo sistemarli... –

Annuii, non avendo il coraggio di guardarmi allo specchio. Dovevo aver combinato un gran disastro. Intanto, al piano inferiore, il telefono squillò.

Al diavolo chiunque sia. – disse papà.

Ben, può essere importante. Va' pure, ci pensiamo noi... – ribatté la mamma.

Con un mugugno di protesta e con tanta insistenza da parte di chiunque stesse telefonando, papà andò a rispondere e noi rimanemmo da sole.

Credi che sia... – esordì Lucy.

La guardai, mentre mia madre andava a prendere la spazzola. – Alexander... –

Sarà in pensiero... anche ammettendo che la dottoressa Howell non l'abbia avvisato, Jace non sarà stato con le mani in mano... e poi, immagino che non ci abbia messo troppo a fare due più due... –

Sarà furioso... – mormorai.

Oh Kate... –

La mamma intanto, tornò. – Diamo una sistemata a questi capelli? –

Annuii, rassegnata.

Raggiungo tuo padre. Magari ci parlo io col detective Graham, ok? –

Ok, grazie... –

Lucy sorrise e mi lasciò con mia madre che, nonostante non fosse una parrucchiera, fece del suo meglio per arginare i danni. Ciocca dopo ciocca, il bacio metallico delle forbici scese a risistemarmi il taglio e quando ebbe finito, mia madre mi chiese di alzarmi e guardarmi allo specchio. Presi un enorme sospiro prima di trovare il coraggio di guardarmi. Non avevo mai portato i capelli corti e sentivo chiaramente il collo scoperto. Quando la guardai, la figura davanti a me era incerta tanto quanto la sottoscritta. Mia mamma accanto, che mi guardava con gli occhi lucidi, ma comprensivi, mi sorrideva appena, sforzandosi di mostrare sicurezza. Sollevai le dita per accarezzare le ciocche corte dei miei capelli, acconciati in una specie di bob liscio.

Forse sarebbe il caso che ti facessi dare una spuntatina migliore dal parrucchiere... se vuoi, domattina ci andiamo, ok? –

N-No... vanno bene... insomma... è che... ecco... devo abituarmici... ho fatto un casino, mamma... mi dispiace... –

Lei mi posò le mani sulle spalle e il suo viso si avvicinò al mio, così come nello specchio.

Sei sempre la mia bellissima bambina... e nessuno... Kate, non permetterò a nessuno di farti sentire quella che non sei. –

Mi appoggiai a lei. – Ti voglio bene, mamma... –

Anch'io, tesoro... sempre. –

Scusate il disturbo... –

Lucy si riaffacciò e noi ci voltammo a guardarla.

Wow, Kate! Stai bene con i capelli corti! –

Feci spallucce. – Grazie... era chi pensavamo che fosse? –

Lucy annuì, con aria rassegnata. – Son riuscita a temporeggiare. Ma domattina verrà personalmente qui. –

Chi verrà qui? – domandò la mamma.

Sospirai. – Il detective Graham... –

Oh... –

Annuii. – Già... oh... – borbottai.

Sapevo che, razionalmente parlando, non avrei potuto prendere tempo, ma in quel momento, temevo che non saremmo riusciti a comprenderci. Ma per quella sera, al termine di quella che era stata una giornata lunghissima, non avevo più le forze per fare altro.




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Update veloce stasera, ma molto importante ai fini della storia. Alla fine, ecco spiegato il perché del legame tra Kate, Daisy, Lily e Julie e il Mago... e Kate, dopo aver ricordato ogni cosa, è crollata. ç_ç La scena in cui taglia i capelli è stata forse una delle più forti da scrivere, emotivamente parlando. Sono stata male anch'io per lei. ç__ç Vi aspettavate tutto questo? Alla prossima!!

  
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