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Autore: queenjane    27/09/2020    2 recensioni
dal testo "...Prima ancora delle risposte, mi interrogo sulle sensazioni, desidero provare qualcosa e dentro, lucida, percepisco il nulla, tutto il vuoto che mi circonda, il ricordo e la dura ostinazione.
Ho costruito un muro di altezzosa freddezza per sopravvivere, i sogni dimenticati, cammino senza meta, solo a me stessa devo rendere conto, ieri e oggi sono sola con le mie paure.. almeno in questo momento, non oso provare la colpa di avere compassione .. il tuo sorriso scioglieva il cuore, non riesco a dimenticare e rincominciare."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Prima ancora delle risposte, mi interrogo sulle sensazioni, desidero provare qualcosa e dentro, lucida, percepisco il nulla, tutto il vuoto che mi circonda,  il ricordo e la dura ostinazione.
Ho costruito un muro di altezzosa freddezza per sopravvivere, i sogni dimenticati, cammino senza meta, solo a me stessa devo rendere conto, ieri e oggi sono sola con le mie paure.. almeno in questo momento, non oso provare la colpa di avere compassione .. il tuo sorriso scioglieva il cuore, non riesco a dimenticare e rincominciare, non restano solo i silenzi e giornate e anni che condivideremo, i ricordi sotto la cenere dell'anima...cerco di non pensare nulla e chiedere meno ancora.

La perdita.

Mi stendo supina sull’erba, gambe e braccia allargate a forma di stella, tutto riaffiora, un gioco di specchi, memorie rovesciate, il glorioso profumo di rose e glicine, edera, partite infinite a tennis e scacchi, due ragazzine che pattinano, frammenti di dialoghi, lei bionda, io con i capelli castani venati da sfumature di rame, ci sei, riposa, sono stanca, ho avuto paura di perderti.. un sogno che forse non era reale..esistevano noi ed ancora la fine del mondo non era arrivata e tanto era già troppo tardi.

Mi tasto la fronte, la cicatrice occultata dall’attaccatura dei capelli, ricordo di una caduta a cavallo dove sbattei la testa, una commozione celebrale e lei che mi chiamava mia principessa, un inchino e un sorriso, ero tornata, e di contrabbando, una sigaretta in due, che principianti, sorsi furtivi di vino, confidenze, avide di vita e diversi i sorrisi.
Eravamo giovani e belle, con solo una punta di tristezza e inquietudini sottili.
Era la mia migliore amica, mia sorella, la mia ultima e prima amica.

La Grande Guerra è terminata, i sopravvissuti celebrano il caso di essere sempre vivi, riti inventati e pronti sul momento.
Al diavolo i morti, quando si lessero i titoli su “Le Matin”, giornale parigino,  lo zar fucilato nel luglio 1918 a Ekatenerimburg, nessun accenno alla famiglia imperiale, molti compresero che era finita, o non importava a nessuno.
 
Od era il principio.


Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11 del 1917 agosto Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. E le conversazioni,  per fare cambiare idea. Senza esito “Olga, ti prego” “NO” “Veniamo con voi, ci possiamo permettere di pagare .. la trasferta e il soggiorno, dico, Olga. Non saremo a sbafo, ti prego” “No, Catherine, NO”  "Olga, veniamo ..." Dio, come eri cocciuta, non ti rassegnavi, e mi volevi bene, la scocciatura una tua forma di affetto, come il mio no. Ci avevano proposto di raggiungere mia nonna a Livadia, decidemmo di non andare, per non lasciare i miei genitori. MA tu a Livadia ci dovevi andare eccome, meritavi una pausa (..)Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi.. dire addio.. . Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..”
 “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo, mia madre, un tempo seria, inflessibile e dogmatica, piangeva, le sue ferree logiche regole del dare ed avere, i doveri, le avevano recato solo dolore e sconfitta. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale, in superficie lineare e perfetta. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo, sfinente e cocciuta, mica mollavi. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena. Eri mia amica, mia sorella, la mia famiglia, le tue gioie e sconfitte le mie, da sempre, e viceversa “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, come quella frase, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe, insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Andres ti trattenne per la vita, ricambiasti la stretta, magari per non correrci dietro. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto, la tua testa castana non si scostò di un millimetro, mia prima e ultima amica, superficiale solo in apparenza, fingevi temendo le lacrime, le parole inutili, gli addii, temendo di essere sconfitta, te che hai lottato e vinto palmo su palmo, Catherine, eri sempre te stessa”

Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino.




Il respiro.
La solitudine.

Non voglio, non posso credere che sia finita, che sei tornata e tornerai solo nei ricordi, nelle foto e nei tuoi quaderni .. mia ultima e prima amica, questo è un dolore senza ritorno od appello.
 .. where are you now…



 
Catherine, la principessa delle rose e delle assenze, la signora della solitudine. Un sogno che era stato ed era terminato,la fine del mondo era giunta.Erede della desolazione, che risorgeva a nuova gioia.
 
   
 
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