«Non riesco a trovare le
chiavi dell'ufficio.» La voce di Linda giunse ovattata dal
salotto.
Amenadiel stava dando il biberon al piccolo Charlie e alzò
lo sguardo verso l'arco che separava i due ambienti. «Devi
andare a lavoro?» chiese perplesso.
«No, solo che non riesco a trovarle.»
«Le avrai appoggiate dove non le metti di solito. Per questo
non riesci a trovarle» ipotizzò l'angelo, cullando il
figlioletto.
Linda entrò in cucina, con la vestaglia a coprirne il corpo
ancora testimone della recente gravidanza. «Probabilmente è
così...» mormorò nervosa. Odiava quando capitavano simili
contrattempi. Era andata nello studio per cercare alcuni
documenti che doveva inoltrare al comune per poter mandare
avanti le consuete pratiche che ogni madre doveva far
registrare all'arrivo di un figlio e si era accorta che le
chiavi dell'ufficio a Beverly Hills non erano al loro posto.
Aveva avuto così tanto da fare, prima dell'arrivo di
Charlie, che probabilmente le aveva appoggiate da qualche
parte e ora non si ricordava dove. Aprì il frigo, prese la
bottiglia del latte e si riempì una tazza, per poi riporre
la bottiglia nel frigorifero. Si sedette al tavolo, fissando
con nostalgia la tazza di Amenadiel.
«Cosa non darei per un po' di caffè...» mormorò, bevendo un
sorso di latte.
«Non puoi berlo?» domandò perplesso l'angelo.
«Mmm» mugugnò lei, deglutendo il sorso, poi le leccò il
labbro superiore. «Non vorrei che la caffeina finisca nel
latte di Charlie...» spiegò.
«Credo che qualche strappo potresti farlo. Hai sentito il
medico?»
Lei fece una smorfia. «Lo sai che sono...»
Amenadiel sorrise. «Iperprotettiva?»
La donna arricciò il naso. «Giusto un pochino» commentò,
sbuffando divertita.
«Non me n'ero assolutamente accorto!» scherzò lui, mettendo
il biberon vuoto sul bancone della penisola, per poi
appoggiare Charlie sulla spalla e dargli qualche lieve
colpetto sulla schiena, sino a quando il neonato non fece un
ruttino. A quel punto lo sistemò sulla sdraietta a dondolo
che ormai dominava il tavolo della cucina. «Hai per caso
sentito Chloe?» chiese con voce sommessa, per non disturbare
il piccolo che, dopo il pasto, stava per addormentarsi.
«No, perché?»
«Ieri è venuta al Lux, in compagnia di Maze...» esordì lui.
«Al Lux? Non me l'aspettavo» disse lei stupita.
«Perché?» domandò Amenadiel andando a sedersi vicino a lei.
«Il Lux era la casa di Lucifer e Chloe era molto legata a
lui. Molte persone non riescono a frequentare luoghi così
pieni di ricordi dopo una separazione dolorosa come deve
essere stata questa» mormorò, senza nascondere la tristezza
nella voce. In fondo, Lucifer era anche suo amico, le era
affezionata e non aveva avuto modo di salutarlo ma
soprattutto di ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto
per suo figlio.
«Lucifer non è morto» provò a sdrammatizzare l'angelo.
«Per te è diverso. A te basta aprire le ali per volare da
lui, se solo lo volessi. Mi domando perché tu non lo
faccia...» mormorò. «Per Chloe, per me, per Maze è diverso,
non abbiamo ali per fare avanti e indietro dall'Inferno. E
se anche fosse possibile... con questa sorta di...» di
umettò le labbra, cercando la metafora adatta, qualcosa per
esprimere quel concetto, «fuso demoniaco è tutto più
complicato!»
«Non posso portare un umano vivo all'Inferno» sottolineò
l'altro.
Lei agitò una mano a mezz'aria. «Appunto! Lucifer se n'è
andato, sono sconvolta io che non l'ho nemmeno salutato o
ringraziato, Chloe deve stare passando qualcosa di peggio.
Il loro rapporto era speciale, particolare e ora è finito.
Kaput!» spiegò agitata. «Non era un rapporto semplice, ma
sembrava finalmente arrivato a un punto di svolta... eppure
Chloe si è trovata davanti a un muro» mormorò, bevendo
ancora un poco di latte. «Anche per Lucifer non deve essere
facile. Stava finalmente iniziando a tirare fuori le
emozioni più profonde, quelle che ha sempre nascosto dietro
a quel muro di sarcasmo e ironia per tenere fuori gli
altri...»
Amenadiel aggrottò la fronte. «Tenere fuori gli altri?
Lucifer?» Il tono era decisamente sarcastico, visto la
promiscuità del fratello.
Lei annuì, mandando giù l'ennesimo sorso. «Era una difesa,
Amenadiel. Lucifer è incapace di relazionarsi con i suoi
veri sentimenti, non ha fatto altro che seppellirli per...
eoni! Finalmente aveva iniziato a grattare la superficie, ad
abbassare un poco quelle gigantesche mura che si era
costruito attorno. Metaforicamente parlando» sottolineò,
guardando l'espressione assorta di Amenadiel.
«Forse dovresti parlare con Chloe» propose l'angelo.
Lei scosse il capo. «Deve essere lei a cercare qualcuno con
cui parlare. Deve superare questo periodo con le sue forze.
È una donna equilibrata, lo supererà, ne sono certa... ma ha
bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi. Se la incontri,
comportati normalmente.»
Lui alzò le sopracciglia, ragionando su quelle parole, poi
sospirò. «Sei tu la psicologa...» concluse.
«Dorian O'Neil, sono il
detective Chloe Decker. Mi sto occupando del caso relativo
alla morte di Josh Carrey» la solita frase introduttiva,
solo che il luogo era insolito. Il sospettato aveva subito
un trauma cranico, oltre alla frattura dell'omero, quindi
era ancora ricoverato sotto osservazione, piantonato da un
agente all'ingresso della stanza.
L'uomo aprì gli occhi, verdi come quelli del gemello, e
fissò la donna, la quale non poté fare a meno di deglutire
impercettibilmente.
Gemelli. Non le era mai capitato di incontrarne una coppia e
la cosa la disturbava, o forse era più l'idea che uno dei
due avesse usato la somiglianza con il fratello per avere
dei vantaggi e, peggio, l'avesse sfruttato e ingannato per
il proprio tornaconto.
Chloe si schiarì la voce e aprì il proprio block notes.
«Abbiamo rintracciato i suoi conti, anche i tre all'estero.
Abbiamo le prove che importava illegalmente avorio. Abbiamo
abbastanza materiale per incriminarla e farle scontare molti
anni di prigione. Abbiamo anche una testimonianza che la
colloca sul luogo della morte di Josh Carrey all'ora in cui
è stato ucciso, presenza confermata anche dal suo DNA
rinvenuto sul luogo del crimine. Se ci mettiamo anche che
avrebbe potuto uccidermi, rischia l'ergastolo, Dorian. Se ci
aiutasse a determinare con esattezza i fatti, potrebbe
ottenere uno sconto di pena.»
Lui si umettò le labbra, quello inferiore era ancora gonfio
e tumefatto, proprio nel punto nel quale Mazikeen glielo
aveva spaccato. «Ho importato l'avorio, è vero, ma non ho
ucciso nessuno...» esordì con voce roca. «Lo stavo
inseguendo, poi quello è caduto a terra e sono corso dietro
a un ragazzo che era con quell'uomo. Non so cosa aveva
visto, non potevo rischiare...»
«Voleva uccidere anche lui?»
«No!» rispose senza esitazione Dorian. «Senta, io non ero
solo. Io mi occupo di far entrare l'avorio e consegnarlo a
chi lo piazza poi sul mercato nero. Quella sera mi ero
incontrato con Pedro Hernandez, lui è arrivato dannatamente
in ritardo. È stato lui a mettere quel poveretto sui binari
mentre il convoglio si muoveva, quando me ne sono accorto,
sono corso indietro per fermarlo, ma era troppo tardi»
confessò con una smorfia, ricordando lo spettacolo che gli
si era parato davanti agli occhi.
«Perché stava minacciando Pedro con una pistola?» chiese
Chloe.
«Come le ho detto, era in ritardo. Più tempo rimanevo in
quel posto, più c'era rischio che qualcuno potesse
vedermi... Doveva essere uno scambio veloce, lo avevo già
fatto diverse volte e non c'erano mai stati problemi»
assicurò.
«Può darmi qualche dettaglio, per determinare la genuinità
della sua storia?»
Dorian chiuse gli occhi, strinse le labbra in una smorfia.
«Quell'uomo... Josh...» Esitò. Era tutto così difficile ora
che quel poveretto aveva un nome. «Josh stava correndo
diversi metri davanti a me. È caduto a terra e l'ho visto
mugugnare a terra, quindi ho proseguito dietro all'altra
persona che era con lui, lasciando Josh a Pedro. C'era un
convoglio che si muoveva, ma era così lento che quello che
correva si è chinato e c'è passato sotto. Ho esitato, ma
dovevo fermarlo e l'ho seguito. Mentre passavo oltre, mentre
ero ancora chinato, ho visto Pedro trascinare... Josh fino
al convoglio e metterlo sulla rotaia. Non sono riuscito a
fermarlo» disse, piangendo. «Sono ripassato sotto ai vagoni,
ma era troppo tardi. Il treno è passato sopra il collo di
quel poveretto, il sangue è schizzato addosso a Pedro. Mi ha
chiesto dov'era l'altro ma ero così scioccato da non
riuscire a rispondergli. Lui si è guardato attorno, s'è
tolto la giacca e l'ha usata per pulirsi il viso, poi ha
preso il borsone con l'avorio e se n'è andato. Sono scappato
anche io... Ce ne siamo andati via divisi» assicurò.
Chloe lo fissò annuando. «Un'ultima domanda: perché? Perché
mettersi a trafficare avorio? Lo ha fatto per denaro?»
Lui scosse il capo. «Sono sempre stato la pecora nera...
Anche quando ho studiato arte per fare il restauratore e poi
sono diventato antiquario, nessuno mi ha mai preso sul
serio» disse con uno sbuffo. «La mia è una famiglia dove
tutti hanno la testa sulle spalle mentre io...» scosse il
capo. «Io non mi sono sposato perché viaggiavo spesso per
lavoro e per i miei era un punto di demerito anche quello.
Un giorno, mentre ero a Zanzibar per l'ennesimo viaggio di
lavoro, mi si avvicina uno e senza troppi giri di parole mi
ordina di portare dell'avorio negli USA. Quando ho detto no,
ha messo sul tavolo una foto di Marvin e la sua famiglia e
una della sua casa. Disse che se non lo facevo, li avrebbero
uccisi tutti, che lo avrebbero fatto anche se fossi andato
alla polizia...» disse, puntando le iridi in quelle di
Chloe. «Lei cosa avrebbe fatto?»
Il ricordo di quando Malcom aveva rapito Trixie riaffiorò
nella mente della detective. Aveva rubato un borsone con il
denaro sequestrato durante la fuga di Malcom, si era recata
da sola a incontrarlo, sapendo che era una trappola, ma
doveva farlo per salvare sua figlia. Quel giorno Lucifer era
quasi morto. Deglutì.
«Non lo so» rispose.