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Autore: Lisbeth Salander    29/09/2020    12 recensioni
«Ma tu te lo ricordi James?» sussurra con un filo di voce.
Remus lo osserva a lungo prima di rispondere, beve un altro sorso ancora.
«Certo che me lo ricordo».
C’è di nuovo silenzio tra tutti e due - quattordici anni di lontananza e distacco che non riescono a colmare.
Nessuno di loro due è mai stato bravo a parlare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Through thick and thin



«Perché un’amicizia non finisca non dev’essere sottovalutata».
È una frase che gli ronza nella testa da giorni, mesi - da anni
James lo ripeteva sempre, lo aveva ripetuto ogni volta, ogni singolo giorno dopo Hogwarts dal loro ultimo anno. 
Era stata Lily a dirgli, per la prima volta, quelle parole rivelatrici di chi aveva visto crollare un legame di amicizia che credeva saldo e James aveva ritenuto necessario che tutti loro - tutti e quattro - lo tenessero sempre bene a mente.
James era convinto che a loro non sarebbe successo, che sarebbe riuscito ad evitarlo anche se sulla fronte gli compariva di tanto in tanto una ruga preoccupata. 
Probabilmente, pensa Remus, lo ripeteva così tanto perché era il primo ad aver capito cosa sarebbe successo, ad aver visto come quei legami che tra le mura di Hogwarts apparivano indistruttibili ed indissolubili stavano cedendo sotto il peso della vita reale. 
Dev’essere questo che accade quando diventi il collante di tre persone tanto diverse tra loro e James per loro era questo: il cuore del loro gruppo, quello che riusciva a tenerli uniti sempre. 
La verità era che James era riuscito a vedere la disfatta prima degli altri ed aveva cercato di evitarla con la stessa determinazione con cui cercava di evitare le sconfitte a Quidditch, con la sua incrollabile determinazione nelle possibilità di vittoria.
Quella frase gliel’aveva ripetuta sempre, quasi ogni volta che riuscivano ad incontrarsi dopo una missione dell’Ordine; la ripeteva a voce bassa, dietro gli occhiali che riflettevano lo sguardo preoccupato, mentre versava ad entrambi da bere.
C’era l’idromele per le belle notizie, la Burrobirra per le sere in cui erano allegri, il vino elfico per quelle in cui erano malinconici, il FireWhiskey per quando erano disperati.
Le ultime volte che avevano bevuto insieme James aveva versato soltanto del FireWhiskey, con la voce lievemente graffiata mentre ripeteva quel mantra.
Anche quella sera lui e Sirius bevono FireWhiskey seduti l’uno di fronte all’altro nella vecchia e silenziosa cucina di Grimmauld Place; anche quella sera hanno bisogno di un palliativo alla loro disperazione, come se l’alcol potesse disinfettare e sanare ferite eternamente aperte da quattordici anni.
Quella frase gli rimbomba nella mente come se James avesse appena finito di pronunciarla prima di buttare giù il suo bicchiere.
È questo quel che è successo a loro, a lui e Sirius: si sono sottovalutati e la loro amicizia è rimasta sepolta sotto strati di risentimenti, di fiducia tradita, di amarezze.
Il sottovalutare il loro legame li ha portati a perdersi senza alcun tipo di possibilità - uno in una cella, l’altro solo per il mondo.
Ad un certo punto, durante la guerra, avevano smesso di coprirsi le spalle e tutto era crollato quando James non aveva più potuto coprire le loro, perché qualcuno aveva attaccato le sue.
È un serpente che si morde la coda. 
Di questo Remus è ben sicuro: sono quattordici anni che non smette di rammentare a se stesso le sue colpe.
Se solo avesse visto, se solo avesse capito, se solo fosse riuscito a parlare davvero con Sirius, se avesse avuto il coraggio di non dubitare di lui.
Invece, si erano persi.
Avevano creduto di poter affrontare insieme qualsiasi cosa ma, non avevano avuto nemmeno il tempo di mettere un piede fuori da Hogwarts perché la loro amicizia fosse piegata dalla vita reale, dalle ingiustizie di una guerra che non erano preparati a combattere.
I piccoli battibecchi che portavano avanti a scuola, il risentimento che Remus nutriva per quello scherzo mai realmente perdonato li avevano allontanati.
Di tanto in tanto, quando voleva annegare nei ricordi, Remus sfogliava vecchie foto. 
Indugiava sempre un po’ di più su quelle del matrimonio di Lily e James, un momento felice in un periodo drammatico in cui lui e Sirius erano ai lati opposti della stanza. 
Avevano tutti pensato che potesse bastare quel che avevano a scuola, di poter vivere ovattati così come avevano fatto per sette meravigliosi anni nel dormitorio.
A ripensarci anche lì era James a dormire esattamente tra lui e Sirius. 
Remus versa altro FireWhiskey nel suo bicchiere, cercando di annegare i vecchi dolori. 
Sirius allunga il bicchiere con una richiesta muta nei suoi occhi e fa cenno di continuare a versare fino a quando il liquore non è ormai arrivato all’orlo.
Non dicono una parola. C’è solo lo scoppiettare del camino e i loro respiri appesantiti dall’alcol a smuovere di tanto in tanto l’aria.
Com’è che tra di loro sia mai stato possibile tutto quel silenzio è una domanda alla quale Remus non riesce a trovare risposta.
È stato terribilmente facile lasciarsi andare dopo la guerra, non dubitare di Sirius dopo la morte di James.
Da quando ha scoperto la verità si chiede ogni giorno come abbia fatto ad arrendersi a quell’idea quando ha avuto per anni la dimostrazione che per Sirius non esistesse nessun altro al di fuori di James.
Si è risposto che era più semplice così, che ad aiutarlo c’erano gli sguardi di sospetto e risentimento che Sirius gli rivolgeva alle riunioni dell’Ordine, frecciate insinuanti alle quali ogni volta Remus decideva di non replicare.
Si chiede da sempre cosa sarebbe successo se solo avesse avuto la forza di ribattere e di affrontare l’amico. 
Si domanda ogni giorno se sarebbe bastato a salvare tutti: James, Lily, Sirius e la loro amicizia.
Sirius picchietta le dita contro il bicchiere. È un ticchettare che lo ha sempre infastidito, sin dalle prime volte che bevevano di nascosto dopo aver rimediato qualche bottiglia da Rosmerta.
Nota, nell’espressione meno tesa dell’amico, che l’alcol sta facendo effetto.
Sirius deglutisce e si schiarisce la voce. Prova ad articolare delle frasi ma le parole non collaborano e lui stringe la presa attorno al bicchiere.
Beve ancora una volta prima di trovare il coraggio di parlare.
«Ma tu te lo ricordi James?» sussurra con un filo di voce.
Remus lo osserva a lungo prima di rispondere, beve un altro sorso ancora.
«Certo che me lo ricordo».
C’è di nuovo silenzio tra tutti e due - quattordici anni di lontananza e distacco che non riescono a colmare. 
Nessuno di loro due è mai stato bravo a parlare.
C’erano James e Peter a parlare per entrambi, a riempire di chiacchiere l’atmosfera, a cancellare i loro silenzi. 
Era così che andava: James li faceva ragionare, Peter li consolava offrendo dolci come cura ad ogni ferita.
Loro due non erano mai stati bravi a parlarsi. C’era sempre qualcosa di inafferrabile tra di loro, che li rendeva più suscettibili alle discussioni, che rendeva incredibilmente semplice prendersela con l’altro, che aveva reso irrimediabile l’allontanamento.
«Lui lo sapeva, eh? Alla fine lo sapeva sempre» mormora Sirius riempendo ancora il bicchiere.
«Non dovresti bere così tanto» lo rimprovera Remus, «Che cosa sapeva?».
«Che ci saremmo persi».
Quelle parole pesano come i loro quattordici anni di silenzi, come le convinzioni da diciassettenni che si erano scontrate con quelle ben più dure della guerra.
«Perché un’amicizia non finisca, non dev’essere sottovalutata» ripete Remus citando l’amico e bevendo ancora, come avrebbe fatto lui.
«Lo ripeteva sempre anche a me ed io non gli davo retta. Ero convinto che fossi tu la spia».
«Lo so».
«Non credevo che la guerra avrebbe avuto questo impatto su di me. Credevo sarebbe stato tutto come a scuola, come sempre». 
«Non eravamo preparati, Sirius. Eravamo dei ragazzini. Non capivamo niente».
«Credevamo di cambiare il mondo» sussurra ancora lui con un sorriso amarissimo sul volto.
Remus ricorda ancora dell’entusiasmo delle prime riunioni dell’Ordine, di come si erano buttati a capofitto, tutti desiderosi di voler fare la propria parte. 
In un primo momento, gli sembrava di essere ancora all’avventura ed il loro territorio non era più confinato al parco di Hogwarts. 
Potevano andare ovunque.
Poi era sopraggiunta la realtà, che era fatta di morti, di arti mancanti, di Maledizioni Senza Perdono dalle quali dovevano fuggire. Era fatta dei volti delle persone che avrebbero dovuto salvare e che, invece, erano morti davanti ai loro occhi. 
Lui e Sirius non erano riusciti a tenersi. C’era stato James a provare a tenere insieme i pezzi, a dir loro di non lasciarsi andare ma non poteva più farlo. 
«È andato tutto nel verso sbagliato» biascica Remus con la bocca impastata dal FireWhiskey.
«Ci siamo sottovalutati».
Sirius butta giù l’ultimo sorso con una foga disperata, gocce di liquore gli cascano all’angolo della bocca nello stesso modo buffo delle prime volte che bevevano insieme, tutti e quattro.
«E tu? Tu te lo ricordi James?» chiede Remus.
Sirius non risponde e fissa il bicchiere ormai vuoto. Picchietta ancora le dita sul vetro e solo in quel momento Remus realizza che non prova più fastidio.
«Ad Azkaban riuscivo solo a pensare al suo corpo e a quello di Lily. Non me lo ricordavo vivo, capisci?».
Sirius è il fantasma di quello che è stato un tempo.
Lo sono entrambi.
Remus annuisce. Il cottage di James e Lily distrutto è uno spettacolo orribile che ancora gli compare in sogno. Il modo in cui l’orrore aveva invaso quel posto che era stato casa per tutti loro lo aveva sempre impressionato. 
L’odore di bruciato e morte che aveva percepito entrando lì dentro era l’odore che immaginava esistesse all’inferno.
Del resto, quello era stato il suo inferno personale - il suo e di Sirius.
Anche lui non riusciva a dimenticare i volti di James e Lily morti, sebbene fosse arrivato dopo, quando qualcuno - non ricorda più nemmeno chi - aveva avuto cura di sistemarli in camera da letto, l’uno accanto all’altra.
Non li aveva visti riversi sul pavimento, non aveva visto l’espressione vitrea.
Sembravano quasi addormentati, come quando, dopo riunioni particolarmente lunghe, Lily appoggiava la testa sulla spalla di James e si addormentavano insieme sul divano malandato del Quartier Generale dell’Ordine ed erano puntualmente svegliati dai borbottii di Malocchio.
«Io sono arrivato il giorno dopo, quando Silente mi ha avvertito. Ti avevano già portato ad Azkaban» dice, poi, Remus. 
Non lo hai detto a nessuno. A chi altri avrebbe potuto dirlo? Non era rimasto nessuno.
«Ho rovinato tutto. È tutta colpa mia».
«Non sei il cattivo della storia, Sirius. Non lo sei mai stato» ribatte Remus appellando dell’altro FireWhiskey.
«Sono stato io a dubitare di te, sono stato io a dire a James e Lily di usare Peter come Custode Segreto».
Remus sospira mentre i loro bicchieri sono di nuovo colmi fino all’orlo. 
«Non ti ho mai parlato, Sirius. Non ti ho mai chiesto cosa ti prendesse. Ho soltanto accettato e basta che le cose andassero così. Non è colpa tua».
Sirius stringe il bicchiere con forza ma non beve. Ha lo sguardo perso su un punto indefinibile dietro la testa di Remus, probabilmente perso nel ricordo di un tempo che non è mai stato così lontano.
«Siamo ancora amici?» gli chiede a bruciapelo, spostando lo sguardo su di lui.
Quattordici anni di silenzi pesano sempre come macigni tra loro, quattordici anni di orrori che non hanno il coraggio di raccontarsi.
Prima c’è stata una diffidenza insopportabile ad instaurarsi tra loro, tale da averli resi debolissimi, fragili e pronti a cadere al primo sospetto.
Non possono più permetterselo.
Tra di loro, però, ci sono ancora gli echi degli amici che sono stati un tempo, di due ragazzi pronti a sfidare il mondo per l’amicizia che li univa.
Remus annuisce.
«Certo che siamo ancora amici, Sirius».
Sirius ride con quella sua risata che assomiglia tanto ad un latrato ed alza il bicchiere invitandolo a fare altrettanto.
Remus non esita e avvicina il suo a quello di Sirius.
Non se ne accorgono nemmeno ma incrociando i calici lo ripetono entrambi, come un mantra, come una promessa.
«Perché un’amicizia non finisca, non dev’essere sottovalutata».


 
And no one called us to the land
And no one crosses there alive
No one speaks and no one tries
No one flies around the sun
Echoes - Pink Floyd

 
Note: Parlare del rapporto tra i Malandrini e, soprattutto, dei due che più conosciamo mi viene sempre difficile anche perché mi sembra sempre che sia stato detto già tutto. Tuttavia, ho voluto comunque provare a dare una mia versione dei rapporti tra Sirius e Remus, quelli più diversi tra loro, per cui è facilissimo dubitare l'uno dell'altro durante la guerra quando il collante - che per me è sempre stato James - viene per forza di cose meno e loro si ritrovano lontanissimi.
Il titolo è una tipica espressione inglese che significa Nel bene e nel male, un augurio, una fotografia di quel che verrà poi per loro due che sono gli unici sopravvissuti e che si staranno accanto nel periodo peggiore.
La storia è ipoteticamente ambientata durante il periodo a Grimmauld Place n. 12, in cui Remus ha vissuto lì, e la frase che ricorre durante tutta la storia è, con ogni probabilità, il più grande insegnamento che mi abbia lasciato... Dawson's Creek.
Sto delirando, lo so. Perdonate se non ho ancora risposto alle recensioni passate - prima o poi arriverò davvero.
Intanto, grazie a chiunque abbia dedicato alle mie storie un pizzico del suo tempo.
 
   
 
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