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Autore: Asmodeus    30/09/2020    3 recensioni
Roma, 17 febbraio 1944. Una ragazza si aggira di prima mattina per il mercato di Campo de' Fiori. Fa freddo, e la città sotto l'occupazione nazifascista ha poco da offrire anche in quel mercato normalmente così ricco. La ragazza, però, ha deciso di sfidare comunque il gelo invernale e la possibilità di essere fermata con qualche scusa assurda dalle truppe di occupazione per qualcosa di molto importante. Ha un appuntamento con un gappista membro della Resistenza, ma prima deve salutare un vecchio amico che la attende, come sempre, proprio a Campo de' Fiori.
[Terza classificata al Contest "Folclore d'Italia" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP]
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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La Colonna della Libertà




Carla Gullace camminava svelta nell’aria fredda del mattino, il cappotto stretto al petto dalle mani ormai quasi congelate.
Ogni tanto rimpiangeva i bei tempi in cui poteva permettersi dei guanti e le sue mani non finivano per riempirsi di screpolature e ferite per il gelo dell’inverno; ma la vita che aveva scelto non era più quella comoda e tranquilla in cui era cresciuta, e la mancanza dei guanti era l’ultimo dei suoi problemi.
Sbucò in via dei Giubbonari e svoltò in fretta a sinistra entrando nella piazza, piena di gente per il mercato nonostante l’ora e i decreti militari che vietavano assembramenti troppo numerosi. Fortunatamente erano i carabinieri italiani a far rispettare la legge quel giorno, non i soldati tedeschi, per cui il clima nel mercato era abbastanza rilassato se paragonato al solito.
Carla preferì comunque essere cauta: per questo si imbucò tra le bancarelle sparse qua e là comprando poche cose velocemente.
L’occupazione si faceva sentire eccome: non c’era più la folla di un tempo nemmeno tra i venditori, ed era sempre più difficile trovare alcuni beni come l’olio o del buon sapone.
Scivolando tra le bancarelle, la giovane lanciò un’occhiata alla statua di Giordano Bruno rendendogli mentalmente omaggio.
Intorno alla colonna non vi erano più capannelli di liberali a celebrarlo in quel giorno come quando era giovane suo padre, ma lei non voleva saltare quel saluto tradizionale proprio in un momento come quello.
Bruno rappresentava per lei, come per tanti altri, il rifiuto e la ribellione a qualunque imposizione dogmatica: per questo era vitale continuare a mantenere viva quella luce in quei giorni così oscuri e terribili. Anche solo con uno sguardo nascosto, un cenno rubato per tutelare la propria e altrui salvezza.
Sistemò meglio le poche compere fatte nella borsa di tela che portava al braccio, armeggiando in modo da nascondervi sul fondo due scatoline di metallo con un po’ di caffè e tabacco recuperati al mercato nero: il primo per rinfrancare lo spirito dei compagni, il secondo per aiutarli con la miccia della bomba per il giorno dopo. Aveva anche un pizzino per Spartaco, la cosa più importante da consegnare, ma quello gliel’avrebbe dato più tardi: era più al sicuro nascosto ripiegato nel reggiseno, per superare indenne i controlli più superficiali. Avrebbe voluto fare di più per la resistenza, essere al centro dell’azione anche lei: ma c’era bisogno anche di chi facesse queste cose più umili, e lei a malincuore si era adattata.
Carla salutò l’ortolano prima di abbandonare il mercato, dirigendosi verso la fontana all’altro lato della piazza, dove avrebbe aspettato Spartaco fingendosi come sempre la sua fidanzata per non destare sospetti.

Lo stava aspettando da dieci minuti buoni quando finalmente il ragazzo fece la sua comparsa in Campo de’ Fiori.
Spartaco – o qualunque fosse il suo vero nome dietro quello pseudonimo – indossava un cappotto fin troppo piccolo per lui, ed era decisamente più trasandato di lei al netto del difficile periodo in cui versava la città. I corti capelli chiari erano quasi ritti nell’aria gelida, e le sue orecchie scoperte erano infiammate per il freddo. Almeno lei si era coperta la testa con un pesante foulard, ma per il ragazzo anche un berretto era diventato come un capo di lusso.
Carla si affrettò a salutarlo con affetto mentre era ancora lontano, andandogli incontro e gettandogli le braccia al collo una volta giunta a portata.
Era un comportamento un po’ troppo espansivo per una ragazza di buona famiglia, ma lei pareva decisamente più giovane della sua reale età e poteva essere scusata per questo.
L’importante era non insospettire la pattuglia di carabinieri fascisti che presidiava la piazza quel giorno, e che già era venuta a chiederle pochi minuti prima cosa ci facesse ferma davanti alla fontana con le buste in mano. Lei aveva aperto la borsa per il controllo di routine dopo aver spiegato vagamente che attendeva il fidanzato con la spesa per la madre di lui, che era allettata e non poteva uscire a fare le compere necessarie – e si sa, mai fidarsi degli uomini per queste cose da donna come la spesa!
I carabinieri l’avevano quindi lasciata in pace, ma un ulteriore ritardo di Spartaco sarebbe stato sospetto: per questo aveva preferito lasciarsi andare a quelle effusioni un po’ eccessive.
Il ragazzo rimase stupito dalla sua irruenza, non riuscendo immediatamente a rispondere come dovuto, ma Carla lo prese immediatamente sottobraccio per condurlo il più lontano possibile dalla piazza.
Cominciò da subito a imbeccare il ragazzo con una sfilza di parole, come una fidanzata che ha atteso per troppo tempo il proprio ragazzo ed ora lo rimprovera bonariamente per il ritardo, mentre si avviavano ad uscire dalla piazza.
«Sei in ritardo» lo ammonì con sguardo severo, indicando poi l’orologio scassato che portava al polso, tutto a beneficio dei carabinieri che sapeva li stavano osservando da lontano.
Spartaco lanciò uno sguardo sulla piazza, individuando da subito i militari e afferrando immediatamente il concetto. Evitò dunque di abbassare la voce, ma continuò la farsa inanellando una scusa plausibile, casomai qualcuno intorno a loro li stesse ascoltando.
«Scusami, amore mio! È colpa di mamma…» incominciò, per essere interrotto immediatamente da lei.
«Non dare la colpa a tua madre! Sicuramente ti avrà detto di ricordarti di prendere del cavolfiore, che tu chissà dove hai la testa e te lo sarai già dimenticato!» continuò a rimproverarlo lei, mentre ormai avevano raggiunto l’uscita della piazza.
«Hai ragione amore» ammise lui, intuendo quale scusa avesse scelto di usare la ragazza: «Sei fin troppo gentile ad essertene occupata tu, ma non avresti dovuto! Sono in grado di far compere anche io…»
«Come no!» gli rise cristallina in faccia, fingendo di prenderlo in giro per rasserenare gli animi.
Si imbucarono nella prima via di fronte a loro, evitando di passare davanti al presidio dei carabinieri e continuando a battibeccare su quelle sciocchezze finché non furono abbastanza lontani dalla piazza.
Solo a quel punto rallentarono il passo abbassando anche la voce per parlare di cose più essenziali alla loro missione.
«Sei riuscita a prenderlo?» cominciò lui, alludendo ovviamente al tabacco.
«Certo, per chi mi hai presa?» lo rimbeccò immediatamente lei. «Ho anche un messaggio. E in una scatolina vi ho pure messo del caffè. Non sai quello che mi è costato…»
«Del caffè? Sul serio?» esclamò stupito il giovane.
Carla aveva potuto godere della bevanda scura con regolarità fino a pochi mesi prima, ma uno come Spartaco probabilmente non ne sentiva l’aroma forse da prima della guerra.
La ragazza annuì, e osservò lo scintillio nei suoi occhi alla conferma della splendida notizia.
Spartaco non riuscì a far altro che ringraziarla.
«Sei davvero fantastica, Carla! Come ci sei riuscita?» le domandò, dandole un veloce bacio sulla guancia in segno di ringraziamento.
«Segreto! Ho i miei contatti, lo sai!» ammiccò lei, chiudendo lì la questione.
Continuarono a camminare prendendosi mano nella mano, infilandosi nei vicoli più disparati e allungando il giro per disperdere eventuali pedinatori – non si poteva mai sapere, dopotutto – ed evitare le colonne tedesche che pattugliavano la città.
Una volta lontani da Campo de’ Fiori, comunque, entrambi si rilassarono un po’, e presero a chiacchierare normalmente mentre si avvicinavano sempre più al covo.
«Certo che potevi scegliere un punto più vicino per incontrarci» si stava lamentando Spartaco. «Va bene non dare sospetti, ma andare fino al Parione… non c’era un altro mercato più vicino?»
Carla sorrise: gli faceva ridere come un combattente della Resistenza come Spartaco si lamentasse con lei per la scelta dell’appuntamento, come se fossero due fidanzati normali e lei gli avesse fatto fare molta strada in più soltanto per un capriccio.
Ma effettivamente, la realtà non era poi così diversa.
«Dovevo salutare un vecchio amico. E potevo farlo solo oggi» spiegò, criptica.
Spartaco la squadrò confuso: «Un amico? E perché proprio oggi?»
Il suo sguardo tradiva un’ombra di sospetto, e Carla decise di spiegarsi meglio.
«Sì, un amico. Si chiama Giordano. E noi ci incontriamo sempre, il 17 febbraio. È un giorno importante, per lui come per me».
Spartaco rimase zitto per un po’, ragionando in silenzio sulle sue parole; probabilmente cercava di capire se ci si potesse fidare di questo Giordano, ma poi ebbe finalmente l’intuizione giusta e capì.
«Da quando sei amica di Giordano Bruno? Non ti facevo così vecchia» scherzò lui meritandosi un pizzicotto sul braccio per quel commento sulla sua età.
«Ahia! Guarda che scherzavo!» si lamentò, per poi tornare all’attacco: «Beh, quindi? Dovevi andare da quella statua proprio oggi? Abbiamo perso un sacco di tempo per venire entrambi fin qui, e gli altri già sono nervosi e demoralizzati ultimamente, se poi facciamo ritardo…»
Carla sospirò davanti a quell’ignoranza, poi si ricordò che non sapeva nulla della vita di Spartaco: magari non era andato nemmeno al liceo, altro che arrivare all’università come lei. La sua domanda era giustificata, dopotutto. E se il gruppo era così demoralizzato, forse avevano bisogno di una spintarella.
Si infilarono nell’ennesimo vicolo, mentre gli spiegava brevemente il tutto.
«Sono sua amica perché amiamo la stessa cosa: la libertà. E sì, dovevo incontrarlo proprio oggi. Perché è oggi, quattrocentoquarantaquattro anni fa, che lui si è sacrificato per ricordare a tutti noi per cosa vale la pena combattere. E ogni anno, davanti a lui rinnovo la mia promessa di continuare la sua battaglia, costi quel che costi».
Prese fiato, guardandolo dritto negli occhi; poi continuò con un sorriso ironico e duro: «Scusa se abbiamo perso del tempo. Ma questa cosa, ricordarmi ciò per cui combatto e per cui darei tutto, è più importante che fare la spesa per voi o aiutarvi con le istruzioni. Chiamami sognatrice o illusa, ma rinnovare questi miei voti è più importante di un semplice ritardo».
Spartaco si arrestò di colpo, parzialmente interdetto: probabilmente non si aspettava quella risposta così decisa e ispirata, non da una ragazza.
Carla li aveva sentiti, i compagni, lamentarsi con lui del fatto che non era buona cosa avere una donna nella squadra, che non era adatta a quel lavoro, non aveva i giusti nervi. Che non avrebbe mai dato tutto per la causa, e che loro avevano già mille altri problemi a cui pensare e dunque non aveva senso perdere tempo con lei. Probabilmente anche lui pensava lo stesso, dopotutto.
Quel pensiero che anche lui potesse giudicarla come gli altri in quel momento la rese immediatamente nervosa.
«Beh, che fai lì impalato?» abbaiò, mollandogli il braccio e facendogli segno di riprendere a camminare. «Andiamo dai! Hai detto tu che abbiamo già perso un sacco di tempo, che gli altri sono nervosi…»
Spartaco però la blocco, prendendola per le braccia e tirandola a sé.
I loro volti erano vicinissimi, e loro due riempivano quel vicolo praticamente deserto.
La baciò – lì dove erano, con una passione che non aveva mai sentito in tutti quei baci finti di copertura che si erano invece scambiati fino a quel momento.
«Lo sapevo, Carla! Lo sapevo che eri quella giusta!» mormorò sulle sue labbra sorridente, le sue parole che si trasformavano in nuvole di fumo nell’aria gelida. Lei lo guardò confusa, i suoi occhi azzurri a pochi centimetri dalle pozze nere pece del finto gladiatore.
«Gli altri… nessuno era d’accordo ad averti con noi, nemmeno come supporto. Nessuno voleva una donna, pensano che siate tutte stupide, ma io… lo sapevo che tu eri diversa. Lo sapevo, avevo visto questa luce in te!»
Le passò le mani congelate sotto il foulard, tra i capelli, stringendola ancora più a sé.
Non era il momento né il luogo adatto, avrebbero dovuto togliersi dalla strada il prima possibile: eppure in quel momento nemmeno lei voleva muoversi da quel vicolo angusto e gelido.
«Io… quello che hai detto oggi… meriti molto di più, che aiutarci solamente con la spesa e portandoci le istruzioni. Lo so che ti chiedo molto, che sarà una vita di sacrificio e dolore ma… Dentro di te hai la fiamma giusta!»
Prese fiato, e poi concluse finalmente quella richiesta: «Noi abbiamo bisogno di qualcuno come te, che ci ricordi sempre per cosa combattiamo, che ci rinnovi giorno dopo giorno il perché abbiamo sacrificato tutto per questa battaglia. Qualcuno che ci metta in riga, come una madre che ci riprende per il nostro bene. Quindi… Carla, vuoi essere anche tu con noi, domani, sul campo?»
Carla non aveva parole davanti a tutto ciò. Rimase in silenzio per un po’, registrando quella proposta, guardandolo intensamente negli occhi.
Poi prese coraggio e annuì con forza. «Sì, lo voglio! Voglio aiutarvi in ogni modo possibile! E se tu mi vuoi sul campo, io ci sarò!»
Si baciarono ancora, con la stessa passione di prima, poi in qualche modo si ricomposero e ripresero la loro marcia verso il rifugio. Per il resto del tragitto parlarono del più e del meno per non destare sospetti, ma dentro di sé Carla era al settimo cielo: le parole di Spartaco l’avevano fatta sentire tale e uguale a lui, una guerriera per la libertà come il suo amato Giordano Bruno.

Passarono tutto il resto della giornata con gli altri al rifugio, programmando gli ultimi dettagli per il sabotaggio dell’indomani. Il pizzino che Carla aveva portato ai compagni si era rivelato vitale per completare la costruzione della bomba, e ciò insieme al vero caffè bollente aveva contribuito a guadagnarle più rispetto presso quegli uomini. Spartaco aveva comunque dovuto lottare duramente con loro per metterli in riga e convincerli ad accettarla non solo per l’operazione del giorno dopo, ma come membro a pieno titolo del Gruppo di Azione Patriottica. Ma era ormai troppo determinata e felice per lasciarsi abbattere dal maschilismo ottuso degli altri compagni: aveva ripetuto loro le parole della mattina che avevano convinto Spartaco, e alla fine anche loro avevano ceduto e accettato la sua presenza. Era un’accettazione con riserva, e lei avrebbe dovuto dimostrare sul campo l’indomani la sua determinazione a dare tutta sé stessa. Ma alla fine, lo scoglio più grande era stato superato.
Quella giornata gelida passata al covo era dunque volata in un lampo e giunta l’ora di tornare a casa la ragazza si sentiva piena di energie e speranza. Sarebbe rimasta volentieri con Spartaco e gli altri già da quella notte, ma sua madre non le avrebbe mai permesso di dormire fuori di casa e dopotutto era meglio che lei se ne stesse al sicuro a casa sua, invece che in mezzo a un gruppo di uomini semisconosciuti. E poi, il suo valore aggiunto non stava soltanto nella sua nuova adesione alle operazioni sul campo, bensì anche nel suo poter continuare a condurre una vita “normale” con tutti i benefici del caso, sopperendo alla semi- o totale clandestinità di tutto il resto del gruppo.
Spartaco aveva insistito per accompagnarla a casa, e avevano finito per attardarsi all’esterno, facendo il giro lungo per godersi la città nelle tinte del tramonto invernale, come una qualunque coppia normale. Quando erano arrivati nei pressi di casa sua era ormai quasi sera, e Spartaco l’aveva salutata in fretta prima di lasciarla. Si erano dati un veloce bacio sulle labbra, mentre ripassavano l’orario di ritrovo per la mattina successiva, e poi il ragazzo era svanito nella notte che incombeva sulla città.
Carla passò tutto il resto della serata in piena eccitazione, l’adrenalina alle stelle per la sua prima operazione sul campo imminente. In qualche modo riuscì a svicolarsi da ogni domanda della madre, che passò gran parte della cena interrogandola senza successo sulle motivazioni di tale euforia. La signora Gullace aveva intuito immediatamente che c’entrasse un ragazzo in tutto ciò – aveva notato i capelli scarmigliati della ragazza al suo rientro – ma non era riuscita a recuperare altro da lei se non dopo la cena, quando si erano messe a lavorare un po’ a maglia prima di andare a dormire. Non aveva compreso del tutto cosa fosse successo, ma Carla l’aveva avvisata che la mattina seguente sarebbe uscita molto presto di casa e lei si era messa subito in allarme. Aveva domandato con insistenza cosa dovesse fare, e davanti alla sua vaghezza nelle risposte l’ansia della donna non aveva fatto che aumentare.
«Niña, stai attenta!» l’aveva immediatamente apostrofata nella sua lingua natale, lo spagnolo. «Non capisco cosa ti passa per la testa, ma non metterti in pericolo, mi querida
La donna le aveva preso le mani tra le sue, rischiando di incastrare i rispettivi aghi e lavori in quel miscuglio di mani e fili. Carla aveva provato a tranquillizzarla, dicendole che non si sarebbe cacciata in nulla di pericoloso, ma la madre ormai non si beveva più le sue bugie. Avevano finito per litigare a causa del suo silenzio incrollabile, e lei se n’era andata infine andata in camera esasperata, lasciando sola la donna ormai piangente.
Non aveva capito come la situazione fosse precipitata così alla svelta, anche perché non pensava che fosse così palese che avevano in mente di fare qualcosa di grosso e pericoloso per l’indomani. Ma alla fine si rassegnò ad ammettere che forse era il bene di sua madre che l’aveva smascherata, sondandole dentro e rivelando ciò che voleva nascondere. Provò a mettersi a dormire, in preda ai pensieri per la madre sofferente, che nella stanza a fianco udiva recitare il rosario e pregare la Virgen del Pilar affinché proteggesse sempre la figlia.

La mattina seguente si alzò di buon’ora, pronta per la missione che la aspettava, la discussione della sera prima che continuava però a tormentarla nel retro della sua mente. Lasciò di soppiatto la sua stanza per non svegliare la madre, e si infilò silenziosa in cucina per prendersi un tozzo di pane con cui far colazione. Fu sorpresa di trovare la donna in cucina, addormentata appoggiata al tavolo e con una corona del rosario in mano. Doveva aver passato tutta la notte in preghiera, finché non si era addormentata sfinita lì dov’era.
Carla si mosse ancora più silenziosamente, recuperando il pano dalla dispensa e optando per mangiarlo più tardi mentre si incamminava verso il luogo dell’operazione. Scivolò a fianco della donna addormentata, osservandone il viso contratto dal dolore anche nel sonno: probabilmente stava sognando qualcosa di brutto su di lei, perché stringeva con forza il rosario come se fosse l’unica ancora di salvezza che avesse.
La ragazza notò anche un libriccino di preghiere in spagnolo, stropicciato sotto il gomito della madre. Era una vecchia raccolta di preghiere proveniente direttamente dal santuario di Saragozza, la città d’origine della donna: sulla copertina era raffigurato un disegno della Basilica di Nostra Signora del Pilar, ovvero la Madonna della Colonna a cui la madre, come tutti i saragozzani, era profondamente devota.
Carla aveva sentito parlare mille volte di quel santuario, e la madre le aveva promesso che un giorno l’avrebbe portata a visitare quella splendida Basilica affinché anche lei potesse baciare la Sacra Colonna. La leggenda narrava che fosse stata donata dalla Madonna all’apostolo Giacomo per rinforzare la sua fede in un momento di sconforto durante la sua predicazione in terra spagnola, prima del suo rientro in Giudea e il conseguente martirio per non aver mai smesso di seguire i propri ideali. Per questo, baciare la Colonna avrebbe rinvigorito chiunque, dandogli lo slancio per sostenere a qualunque costo i propri ideali senza cedere davanti a nessuna difficoltà.
Carla non era mai stata religiosa, proprio come suo padre, e fino ad allora non aveva mai considerato molto quella leggenda. Eppure, quella mattina, osservando quel libretto sentì qualcosa di diverso dentro di sé.
Abbandonò casa sua in silenzio, senza svegliare la donna, e fu pensierosa finché non arrivò al luogo d’incontro prestabilito. Là i compagni la aspettavano, pronti per gli ultimi preparativi prima dell’attentato. Salutò per primo Spartaco, che le rubò un bacio e ruppe finalmente il silenzio in cui lei si era intrappolata da quando aveva lasciato la sua cucina.
«Va tutto bene? Ti senti pronta, Carla?» le chiese, fissandola dritta negli occhi.
Lei rispose al suo sguardo con uno scintillio nuovo, eccitato ma diverso da quello che aveva il giorno precedente.
«Sì, va tutto bene» lo rassicurò, prima di continuare: «Ma non chiamarmi Carla. Se sono davvero dei vostri, devo avere anche io un nome di battaglia, giusto?»
Quell’osservazione, fatta proprio in un momento del genere, colpì Spartaco di sorpresa.
«Hai ragione. Non ci avevo pensato, ma… sì, devi avere anche tu un nome di battaglia» ammise l’altro. «Hai già pensato a quale usare?» domando dunque.
Carla aveva riflettuto molto durante il tragitto di quella mattinata gelida.
Dopo aver osservato la madre così esausta in cucina per tutte quelle preghiere fatte per proteggerla, aveva messo in dubbio che quello che stava per fare fosse la cosa giusta. Avrebbe potuto continuare a dare il suo contributo come staffetta e rifornitrice dei gappisti, senza impegnarsi in prima persona sul campo nonostante desiderasse davvero l’azione da tanto tempo. Avrebbe reso sua madre più felice, correndo meno rischi e facendo comunque la sua parte.
Però questo andava contro a ciò che la portava ogni anno, il 17 febbraio, davanti alla statua di Bruno per rendergli omaggio come martire della libertà. E andava anche contro ciò che le aveva sempre insegnato in realtà sua madre, grazie a quella grande vita come donna devota.
Quella mattina, osservando la madre e il suo rosario, per la prima volta aveva davvero capito cosa le voleva trasmettere con tutte quelle sue preghiere: il coraggio di non arrendersi, di andare avanti saldi come se sostenuti interiormente dalle forti colonne dei propri ideali. Di essere pronti a sacrificare tutto, anche la vita col martirio, pur di non rinunciare ai propri ideali per il bene di tutte le altre persone.
Giordano Bruno, san Giacomo con la Madonna, soprattutto sua madre: tutti e quattro nelle ultime ore le avevano indicato in qualche modo la strada, e ora sapeva cosa fare.
Fissò Spartaco negli occhi, poi rispose decisa e sorridente.
«Sì, ci ho pensato. Da oggi sono la vostra colonna: “Pilar”. Ed ora andiamo a liberarci da questi fascisti!»




Note dell'Autore:
E alla fine, anche questa storia è venuta alla luce. Vedendo lo splendido contest di _Vintage_ all'inizio di questo mese non ho potuto fare a meno di iscrivermi, dato che questo pacchetto e la relativa leggenda correlata mi avevano ispirato tantissimo. Sin dall'inizio, infatti, nella mia testa si è palesata l'immagine di questa ragazza di nome Pilar (in spagnolo, colonna/pilastro, in riferimento proprio alla Madonna del Pilar di Saragozza) di fronte al monumento di Giordano Bruno sito in Campo de' Fiori, a Roma, poichè avevo giusto riletto la storia di questo grande pensatore pochi giorni prima e mi arrovellavo su come scrivere qualcosa su di lui. Poi però la storia ha preso una piega inaspettata, e mi sono voluto cimentare in questa mia prima OS ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e con tematica la Resistenza, in particolare dei romani durante l'occupazione nazifascista della capitale. Ammetto di non essere ancora molto convinto di lei: avrei voluto rendere omaggio, a quel punto, ai caduti della Resistenza e agli sforzi con cui questi giovani uomini e donne sono riusciti a resistere all'oppressore vincendo infine la libertà per questo paese. Non so se sono riuscito nell'intento, ma punto a ritornare su questo tema con altre storie in futuro, magari riprendendo i personaggi di Carla/Pilar e Spartaco.
Qua e là ho sparso vari riferimenti a persone realmente esistite e facenti parte della Resistenza romana, nonchè ad avvenimenti storicamente reali. Carla Gullace porta il nome di due antifasciste, Carla Capponi (membro del GAP che realizzò l'attentato di via Rasella il 23 marzo 1944, e più tardi deputata della Repubblica nonchè medaglia d'oro al valor militare) e Teresa Gullace (si trattava di una donna uccisa da un soldato nazista mentre cercava di parlare con il marito prigioniero in seguito ad un rastrellamento; la sua vicenda ispirò le donne della Resistenza romana, nonchè la figura di Pina nel film Roma città aperta); Spartaco, invece, è un personaggio che fa ampiamente riferimento a Carlo Salinari, l'organizzatore dei fatti di via Rasella che portava il medesimo nome di battaglia (le due figure, comunque, sono distinte: ho scelto tale nome di battaglia in quanto rimanda al Gladiatore morto per la libertà). Prima del fascismo, inoltre, il 17 febbraio era una data simbolica per alcuni patrioti liberali italiani, che andavano appunto a rendere omaggio alla statua di Giordano Bruno ricordando il suo sacrificio in nome della difesa delle proprie idee.
Spero che questa storia sia comunque risultata interessante, e qualora voleste lasciarmi un vostro parere in merito (con anche dei consigli su cosa migliorare!) siete assolutamente i benvenuti!
Vi ringrazio per aver letto fino a qui, ringrazio di nuovo _Vintage_ per il suo splendido contest e faccio un grosso in bocca al lupo agli altri partecipanti.
A presto!

Pacchetto utilizzato: La leggenda di Colapesce
Obbligo: Qualcuno si sacrifica per il bene di uno o più persone
Prompt: Colonna

   
 
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