Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: _Niente_Paura_    30/09/2020    5 recensioni
In un mondo corroso dalla piaga dei demoni vi è soltanto una sola via d'uscita, ed è bruciare tutto
Questa storia partecipa ai contest "Folclore d'Italia | Prima edizione" indetto da _Vintage_ e "Darkest Fantasy II edizione" indetto da Dark Sider, entrambi svolti sul forum di EFP
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache della Fiamma Nera'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao! Voglio fare un gioco con te! Tranquillo non sono l'enigmista.
Il testo è pieno zeppo di citazioni, vediamo se siete così bravi nello scovarne almeno qualcuna.





 
I giorni della Fiamma Nera




Capitolo 1


1. Come tutto iniziò


Tanto tempo fa, prima che la piaga dei demoni si originasse e si diffondesse, Stadibrant era un regno come gli altri.
Anche in quei tempi antichi la famiglia reale era sempre la stessa, e a quel tempo regnava Kniverod, famosa e rinomata maga.
A quei tempi la famiglia reale dimorava presso Castel d'Avorio, una grande struttura ellittica e biancastra, costruita con mattoni di calce.
Presentava archi a sesto acuto, e guglie che svettavano su per il cielo. Vi erano quattro torri d'avvistamento, le quali erano posizionate ai quattro punti cardinali; altre quattro, posizionate equidistanti dalle torri d'avvistamento erano più basse, adibite all'osservazione del cortile interno.
L'arredo era assai sfarzoso, ed il porpora la faceva da padrone, così da spezzare con i pavimenti fatti interamente d'avorio.
La sala del trono era meravigliosa. Ampia e spaziosa, con una vetrata colorata alle spalle dello Scranno. Esso era il vero protagonista della sala: alto, pomposo ed assolutamente scomodo; ma del resto tale oggetto rappresentava il potere, come poteva essere mai comodo?
La regina Kniverod a tale spiegazione preferiva riderci su, ma non ci si soffermava mai più di tanto, non amava particolarmente pensare a quanto fosse pesante il fardello di regnante.
Del resto, la regina non amava aprirsi con le persone. Preferiva di gran lunga rimuginare sui suoi pensieri, ed abbandonarsi a loro per ore. Poi successivamente li avrebbe appuntati, con rigorosa precisione, dentro il suo taccuino. Ne aveva a decine di quei libricini, e nel corso della sua vita avrebbe riempito un intero scaffale di quella roba. Tali scritti vennero custoditi ad Arcana Bibli, secolare biblioteca, costruita ancor prima di Castel d'Avorio. Tale sontuosa struttura si trovava poco distante dal castello, proprio dinanzi una piazza.
La regina era una donna alta e snella, un seno piccolo, così come il sedere. Il collo, alto e sottile, sosteneva una testa leggermente allungata con le guance scavate. Le labbra sottili spesso erano serrate e raramente da lì vi trapelava anche un solo sorriso.
Lunghi capelli rossicci venivano tenuti saldamente da una semplice acconciatura austera.
Portava sempre lunghi abiti dai colori scuri e preferibilmente con il colletto alto, sui quali teneva le mani giunte sul ventre piatto, con le braccia gracili piegate leggermente.
Era sicuramente una figura molto elegante, pur rimanendo molto semplice. Raramente indossava gioielli, solamente un anello che non toglieva mai. Diceva fosse un amuleto, che le permetteva di poter controllare meglio la propria magia.
Ciò incuriosiva sia i praticanti di magia, sia i non avvezzi a tale arte, ma nonostante ciò Kniverod non era tanto predisposta a spiegare di più su questo amuleto. A dir la verità Kniverod non era molto avvezza a spiegare le cosa in generale. Fu per tale motivo che delle sue conoscenze ciò che non fù scritto andò perduto.


Un giorno, Kniverod annunciò di dover partire per il nord, fuori dai confini di Stadibrant.
Aveva ricevuto una lettera da parte di un suo vecchio amico, e fu costretta ad una partenza frettolosa. Il perchè preciso non si è mai saputo, questo non è altro che uno dei tanti misteri che la storia si porterà con sé nella tomba. Chi è il detentore della verità? Chi la conosce in fondo? A volte neanche chi sa i fatti non sa quale sia la risposta. Ammesso e concesso ce ne sia una.
– Allora io vado – Sibilò la regina tenendo strette le redini del cavallo.
– Mia regina, prima che vada...– Kniverod si voltò verso il fido consigliere.
– Edgar, non ho tempo da perdere –
– Mi prometta che farà ritorno – Esitò per qualche istante la regina, poi dischiuse le labbra senza saper che rispondere.
– Non faccio promesse senza che io sappia con certezza di poterne mantenere le parole – Disse infine. Ingoiò l'amaro rospo il consigliere, e lasciò andar via l'amata regina. Strinse forte i pugni, ed osservò la donna allontanarsi velocemente a cavallo. La osservò fin che fosse possibile, poi quando tramontò all'orizzonte, distolse lo sguardo rammaricato e preoccupato.
Dopo circa cinque giorni, Kniverod superò i confini del regno, abbandonando un paesaggio a lei familiare. Quel che l'attendeva fuori dai confini, era un qualcosa di già visto, ma pochissime volte.
Alti pini contornavano la strada composta da ciottoli, grandi pianure s'estendevano per chissà quanti chilometri, ed ogni tanto, una casetta dalla quale usciva del fumo dal comignolo.
Passò un'altra settimana, e finalmente giunse a destinazione.
Una strana conformazione rocciosa si ergeva fiera dinanzi a lei: roccia scura, ricoperta da alcuni strati di terra.
Solo alcuni arbusti e cespugli bassi avevano il coraggio di crescere in cima a queste strane montagne.
Kniverod tirò fuori la lettera: all'interno vi erano delle indicazioni per poter trovare il rifugio. Scese da cavallo, e si avvicinò ad una parete rocciosa trainandolo con le redini.
– Ostende mihi –
Poggiò una mano sulla parete. D'improvviso una luce partì dalla mano della donna, delle spaccature che s'allargavano per tutta la parete rocciosa. Queste spaccature sembrarono attivare un meccanismo, il quale fece aprire una fessura che altro non era se non l'entrata.
Così la donna, insieme al cavallo, s'addentrò nella fessura buia. Appena entrarono il passaggio alle loro spalle si chiuse rumorosamente, facendo sobbalzare il cavallo.
Il corridoio era buio, freddo ed umido, ma del resto era una caverna scavata all'interno di una montagna.
Dopo alcuni attimi ecco arrivare la luce, appena uscita dal corridoio, si trovò dinanzi ad una spirale rocciosa, la quale sembrava sfidasse le leggi della fisica. Si snodava verso l'alto, un sottile strato di terra che formava una spirale che s'allargava verso l'alto e si stringeva verso il basso. Sotto lo strato terroso fuoriuscivano delle sottili radici, appartenenti alle piante che avevano deciso di dimorarvi sopra, ma la donna non si pose tante domande, in quanto era consapevole del tipo di magia praticata dal suo vecchio amico.


Arrivata finalmente in cima, legò il cavallo ad una trave di legno e bussò ripetutamente alla porta.
La casa che stava in cima alla spirale era molto piccola, composta da mattoni essiccati di fango e paglia. Un comignolo basso e tozzo era appena visibile, e da esso strabordava del fumo biancastro.
La porta era bella spessa, e piuttosto semplice. Molto probabilmente abete, dato che era l'unico albero visibile nelle vicinanze.
Sporgendosi dalla spirale. Guardando di sotto, era possibile vedere, oltre ad un tappeto di Abeti, una voragine, dentro la quale la spirale affondava le radici.
– Un attimo! Quanta fretta.– Borbottò una voce chiaramente disturbata.
Appena questo aprì la porta, si trovò a pochi centimetri il muso lungo di Kniverod.
Si prese un bello spavento il poveretto, il quale dopo alcuni istanti scoppiò a ridere.
– Oh! Finalmente sei qui, vecchia!– L'espressione di Kniverod non cambiò minimamente, e in maniera molto seccata entrò nella casetta.
– C'è poco di cui essere allegri. Sbrighiamoci a fare questa cosa.– Posò lo zaino di fretta e furia, precipitandosi già all'uscita.
Vinz, il caro amico della sovrana, era un uomo basso e con la pancia ben pronunciata; era calvo e portava un folto pizzetto grigio. Questo si portò davanti la regina, e la condusse ad una scalinata più tosto ripida, la forma di tale scala seguiva la spirale, rendendo la discesa poco piacevole.
Non v'erano rumori nei pressi, solo un fastidioso e ripetitivo gracchiare di corvi. Com'era possibile che vi fossero corvi all'interno, questo era un mistero per Vinz, il quale sosteneva di non averne visto uscire neanche uno.
Quando arrivarono all'entrata della voragine, la strada si fece più stretta, divenendo un tunnel claustrofobico che sprofondava nelle viscere della terra per chissà quanti chilometri.
Si addentrarono in quel buco assai buio, e Kniverod, con l'ausilio della magia e del suo dominio, riuscì a far luce grazie ad una fiammella flebile sul palmo della mano.
Le pareti fredde ed umide erano assai vicine fra loro, rendendo il passaggio estremamente claustrofobico. A tratti s'aveva la sensazione di dovervi soffocare all'interno,
ma nonostante ciò, Kniverod non mostrò alcun accenno di paura, non che fosse stupida, era consapevole che quella grotta non era sicura, ma il panico certamente non avrebbe aiutato.
I corvi gracchiarono ancora, ed i loro versi stridenti echeggiavano attraverso le pareti di quella stretta galleria.
La galleria continuava per tanti metri, ed ad ogni passo quel luogo diveniva sempre più buio, fino a diventare completamente nero. Solo la fiamma di Kniverod riusciva a far capire qualcosa ai due avventurieri, tingendo di rosso le pareti rocciose. Alla fine del percorso giunsero verso quello che sembrava un baratro senza fine. Ora il verso dei corvi era molto vicino, l'opprimente gracchiare di quelle creature riecheggiava nelle loro teste.
Vinz provò a lanciare un sasso dentro la voragine, ma non riuscì a sentirne la caduta. Incuriosita da questa peculiarità, Kniverod segno qualcosa sul suo taccuino.
– Vinz, fatti da parte. Voglio provare a comunicare.–
– Dici con i corvi? – Chiese Vinz abbastanza titubante.
– Sì, devono per forza essere qui.–
Così, senza esitazione, l'uomo si allontanò di qualche passo, in modo da non entrare nel raggio di Kniverod.
Quello che vide, fu un qualcosa che mai prima d'ora aveva visto. La sovrana, dopo aver raggiunto la concentrazione necessaria, incanalò l'energia e la convogliò nell'oscurità, sotto forma di un raggio violaceo. Ma nonostante ciò, l'interno dell'abisso sembrò non illuminarsi.
Questo, fu il primo avvistamento di quello che successivamente verrà chiamato Abisso.
Incredulo Vinz osservava la scena, mentre dall'altra parte sembrò levarsi un urlo quasi meccanico. Si tappò d'istinto le orecchie, cosa che però non fece Kniverod, la quale sembrava capisse quel suono .
In quel momento stava dialogando, con qualunque cosa vi fosse dall'altra parte. Il vento gelido s'insinuò nella caverna, scompigliando i capelli di Kniverod. Uno stormo di corvi emerse dall'Abisso, ed investì in pieno i due maghi, facendo così cadere rovinosamente Kniverod a terra.
– Kniverod! Tutto bene?– Cercò d'afferrare il braccio di questa, che stava sdraiata su di un fianco, cercando di alzarsi.
– Sì, sto bene. Andiamocene da qui. –
– Cosa ti ha detto quella voce?– Un attimo di esitazione da parte della sovrana, cosa assai strana da parte sua. Questa si alzò di scatto e tenendo per la mano il suo amico, corse veloce verso l'uscita.
– Cosa è successo Kniverod? –
– Ci avevi visto giusto Vinz, lì dentro c'è qualcuno. –
– Chi?– La donna aveva il fiatone, gli occhi erano sbarrati e fissi sulla voragine,
– Gente di altri mondi.– L'uomo assai perplesso la prese per le braccia e la scosse.
– Sii chiara! Dannazione!–
Lo guardò dritto negli occhi, poi ritornò alla voragine.
– Non lo so Vinz, erano persone! Non sapevano un bel niente!– Vinz la osservò sconcertato
– E allora il suono metallico? Parlavi anche tu in quel modo.– Una faccia stranita da parte della sovrana.
– Ho parlato normalmente per tutto il tempo.–


Non se ne accorsero immediatamente, ma da quel giorno le cose cambiarono. E cambiarono anche abbastanza in fretta.
Fatto ritorno a Stadibrant, la regina ricevette notizie sconcertanti da ogni parte del regno. Era come se ogni cosa avesse preso vita. Si cominciò a parlare di demoni, creature che fino all'ora erano state relegate a leggende popolane. I morti ritornarono dall'oltretomba, sotto forma di demoni dell'aldilà.
La gente ebbe paura, non capendo cosa stesse succedendo. Ed ebbero assai timore, quando notarono tutti che i corvi adesso erano strani, come se li stessero osservando.
Kniverod quindi, decise di dedicare tutte le sue forze nello studio di questi fenomeni, fondando a conti fatti una nuova scuola di magia : La Negromanzia, in particolar modo lei si specializzò in demonologia.
Kniverod divenne la prima negromante, la prima a poter parlare coi demoni.
Affinò il più possibile la sua capacità, e scrisse tutto ciò che riuscì a capire nei suoi taccuini, i quali ancora oggi risiedono nella biblioteca della odierna Torre Cinerea.
Quando ella raggiunse la fine della sua vita, stava sdraiata sul letto. La pelle rugosa e secca aveva vissuto una lunga vita, ed all'età di novant'anni finalmente era pronta a spirare.
La sera della sua morte, entrando dalla finestra della sua camera si presentò un demone. Questo era fumoso, il volto annerito ma con alcuni tratti somatici appena distinguibili.
La voce era metallica e le corde vocali sembravano stessero per cedere. Sgranò gli occhi la vecchia Kniverod, osservando quella strana creatura. Con quel poco di energie che aveva in corpo, sibilò parole tremanti, che appena uscirono dalla bocca.
– Un demone dell'oltretomba– tossicchiò appena, poi continuò – Sei venuto per porre fine alle mie sofferenze? –
- Non solo, cara – Sorrise genuinamente sotto la fitta nebbia nera che s'allargava in viso. - Sono qui per allietarti con una profezia, per poi concederti il sonno eterno – Distese il collo l'anziana, chiudendo gli occhi.
- Non mentirmi demone, non esiste il sonno eterno – Una vena di disagio parve comparire sul volto del demone.
- Dopo essere morta, la mia anima si staccherà dal mio corpo – Tossì violentemente, costringendo il suo fragile corpo a piegarsi. – E resterà intrappolata in questa dimensione –
Il demone ascoltava stupita le parole della donna, come se non capisse cosa stesse dicendo.
– Così si creano i demoni dell'oltre tomba – Si sforzò di voltarsi verso quella figura fumosa, dopodiché le sorrise dolcemente – Immagino che il mio spirito non abbia più memoria dopo la morte – Ancora un altro colpo, ed il sangue uscì dalla sua bocca, macchiando il lenzuolo bianco.
– Oramai è troppo tardi per capire. Lascia che la morte ti porti sollievo – Il demone con le sue mani ossute si avvicinò al corpo dell'anziana, e le sistemò le mani sopra il ventre.
– Per secoli gli uomini cercheranno di debellare la piaga dei demoni, ma senza riuscirci, ma arriverà un giorno, non molto lontano, in cui delle fiamme nere ci circonderanno. E sarà allora che il corvo non avrà più nulla da vedere.– Dette queste parole indietreggiò il demone, le sorrise dolcemente accarezzandole le mani. Kniverod a sua volta le sorrise di rimando, e dopo aver chiuso gli occhi esalò il suo ultimo respiro. Ma prima d'andare, il demone prese il suo taccuino e vi scrisse la profezia nell'ultima pagina.

2. Cambiamenti


Passarono i secoli dalla morte di Kniverod, e si susseguirono molti sovrani, ma nessuno seppe dare un concreto aiuto per ciò che riguardasse la piaga dei demoni.
A quei tempi regnava il sovrano Brann, lontano discendete della famosa negromante. Esso era un uomo di media altezza, ingobbito ormai dall'età. La testa era ricoperta da radi boccoli candidi come la neve, il volto era coperto dal medesimo colore, ed a circondare le sottili labbra vi era un pizzetto ben curato.
Vestiva molto bene il sovrano, il quale indossava una pesante tonaca color porpora sopra il corpo gracile. Era molto elegante, e alle dita portava tre anelli, di cui uno era l'amuleto appartenuto aKniverod in persona.
Ormai il sovrano era giunto alla fine della sua vita; da un paio di mesi era stato costretto a letto per via degli acciacchi della vecchiaia, ma nonostante la situazione, l'anziano sembrava non troppo preoccupato.
– Ho vissuto senza rimpianti – Rispondeva sempre verso i due figlioli, i quali lo guardavano con rammarico.
I due figli erano entrambi maschi, ma nati da due matrimoni diversi.
Il primogenito si chiamava Svart. Un ragazzo alto, dai capelli neri e lisci che arrivavano alla nuca e due occhi dalle iridi dorate. Sicuramente colori peculiari per quelle zone.
La pelle era assai chiara, mentre il volto era smunto e le labbra sottili. Tratti somatici assai simili alla regina Kniverod, ''qualità'' che causava non poco fastidio in Arakria, la seconda moglie del sovrano, ed anche a Birken, il secondogenito di Brann.
Quest'ultimo assomigliava a sua volta al padre, ma in lui vi era anche una forte influenza materna. Il viso più tondo rispetto al fratello, gli occhi grandi e verdi, le labbra un po' più polpose, ed infine i capelli ricci di un marrone scuro.
Era sicuramente un bel ragazzo, più corpulento rispetto al maggiore, ma anche un po' più basso.
Questo era un gran oratore, molto più spigliato rispetto a Svart. Mentre il primogenito preferiva starsene sulle sue e studiare le arti magiche, l'altro intratteneva lunghe chiacchierate con gli ospiti.
Ma nonostante i due fratelli fossero così diversi, non avevano mai dato accenno di detestarsi.
Ora che i due erano nella stessa stanza con il padre, mentre questo morente sorrideva loro, tale gesto sembrava non aver causato alcun problema.
– Birken, figlio mio … Potresti lasciarci soli un attimo? – Forse per la prima volta vide in volto l'invidia di suo fratello, m non ci fece tanto caso sul momento, si limitò a guardarlo stranito Svart, con le sue iridi dorate.
– Svart, tu sei il più grande … Sai che quando morirò, il trono sarà tuo. – Tossì il vecchio, adocchiando un punto imprecisato della stanza. Lo riprese Svart, poggiando la mano sulla sua spalla con aria assai preoccupata.
– Padre, cosa volete dirmi? – Lo incoraggiò il giovane con un dolce sorriso. Il sovrano gli sorrise di rimando, osservandolo a sua volta. Dolci sguardi di un padre che doveva essere molto affettuoso nei suoi riguardi.
– Il compito che ti aspetta è sicuramente ingrato, ed io non sono riuscito a dare il mio contributo. – – Svart, promettimi che farai del tuo meglio.– Gli occhi lucidi del sovrano s'intrecciarono con lo sguardo titubante del giovane Svart, il quale sul viso aveva impressa l'espressione di chi conosce la portata di quel compito, del fardello che gli spettava, anche se non sapeva se ce l'avrebbe fatta.
– Lo prometto.– e pronunciando quelle fatidiche parole gli strinse forte le mani, due lacrime solcarono il viso del corvino. Le mani tremanti del sovrano furono strette forte del primogenito, il quale lo guardava intensamente, come a cercar speranza negli occhi di un uomo che stava per morire.
– Bravo figliolo, ora va'.– Restò perplesso il giovane, e lo guardò come a cercar risposte
– Vorrei trascorrere un po' di tempo con mia moglie. Sai … Prima di morire– abbozzò un sorriso sbilenco e stanco. Annuì Svart, ed uscì fuori dalla stanza mentre gli occhi vigili del padre lo scrutavano.


Passarono le ore, poi giorni, ma ancora Arakria non voleva saperne d'uscire. La sua presenza non sembrava disturbare il sovrano, che non accennava alcuna obiezione alla presenza della moglie e quella sporadica del figlio.
Notando che anche Birken potesse entrare, Svart provò ad entrare a sua volta nella stanza del padre morente.
Quasi stentò a crederci quando Arakria gli si piazzò dinanzi, impedendogli l'accesso. Era una donna bassa, molto formosa e con un volto tondeggiante.
Era una donna assai corpulenta, ma di sicuro non avrebbe fatto fatica a sbalzarla via.
– Cosa sei venuto a fare? Tuo padre ha bisogno di riposo – Rispose acida questa, e a tratti infastidita. Quasi non la riconobbe in quegli atteggiamenti sguaiati ed ineducati.
– Sono venuto a sapere come sta mio padre – Questa storse il naso indignata, e voltando lo sguardo verso il letto del sovrano sputò veleno dalla bocca.
– Come vuoi che stia? – Sbuffò, come se fosse una cosa inaccettabile che un figlio venisse a visitare il proprio padre.
– Posso entrare?– Chiese Svart cercando di mettere da parte del risentimento crescente.
– Ah! Adesso vuoi entrare? Quando tuo padre è sul letto di morte?– sguardo inferocito da parte sua, mentre dall'altra parte v'era uno Svart che massaggiandosi la tempia, implorava la calma di non abbandonarlo.
– Cosa vorreste insinuare? – obbiettò il corvino a denti stretti. Arakria tutta infuriata lo guardò fisso, con gli occhi infiammati.
– Non ho tempo da perdere con te! Lasciaci in pace, almeno fino a quando mio maritò non sarà morto – e detto ciò provò a chiudergli la porta in faccia, ma questo prontamente piazzò il piede sull'uscio, bloccando la chiusura.
– Dovreste sapere che si da del lei a persone di un certo rango. Ma del resto da dei porci non mi aspetto il rispetto– e sprezzante sfilò via il piede per poi fare un inchino ed andarsene via, lasciando quella donna di stucco. Questa scrollò le spalle, e borbottando qualcosa contro il corvino, chiuse la porta.


Già da tempo Castel d'Avorio non esisteva più; solo ceneri e rovine restavano, ed una torre solitaria annerita dal grande incendio. Tale avvenimento era rimasto impresso nei cuori della gente, e la storia del tragico incendio si tramandò di generazione in generazione.
La luce prima o poi sarebbe scomparsa, e quella torre nera altro non era che l'avvisaglia dei giorni della Fiamma Nera.
Dopo tale incidente fu disegnato immediatamente un nuovo castello, il quale si sviluppava intorno alla torre Nera. Più che un castello pareva un grande sistema di torri di varie altezze realizzate con mattoni in pietra vulcanica. Il suo nome era Forte Fenice.
Davanti quella che era la nuova reggia, vi era una piazza, la quale esisteva addirittura prima della costruzione di Castel d'Avorio.
Era una semplice piazza, con il pavimento realizzato con dei semplici ciottoli grigiastri. Al centro una fontana raffigurante un eroe ormai dimenticato.
Tante strutture sono state costruite lì attorno, tante sono cadute in disuso e poi riutilizzate, ma una sola restava immutata nei secoli, la meravigliosa e secolare Arcana Bibli.
Il principe Svart era solito andarci e passarci intere giornate, studiando dozzine e dozzine di libri. Spesso tramontava il sole e neanche si accorgeva che fosse ora di rincasare. Come di normale amministrazione andò presso la secolare biblioteca.
In vero era da un paio di mesi che aveva perso l'abitudine, in quanto suo padre morente aveva scosso la quotidianità del ragazzo.
Seppur col cuor pesante ripensando agli avvenimenti spiacevoli di qualche ora fa, il ragazzo si diresse verso Arcana Bibli.
Una volta varcata la soglia si guardò bene attorno, lo sguardo dorato incrociava gli enormi scaffali ed i bibliotecari che ordinavano i libri. Era un luogo assai affollato, ma di norma molto silenzioso, tranne quando rincasava un esploratore. Divertente come esploratori e bibliotecari fossero così opposti, era una cosa che incuriosiva non poco Svart, il quale sotto i baffi rideva sempre al ritorno di uno di questi.
Fu una lieta scoperta quando dopo un paio di minuti sentì riaprire lo spesso portone di Arcana. Si voltò e rintracciò una magra figura avvolta da un panno di lino verdastro, un turbante sul capo che copriva il viso e lasciava una fessura per gli occhi color nocciola.
Assottigliò gli occhi, cercando di capir chi fosse quella figura. Che fosse un esploratore l'aveva già capito, osservando lo zaino di Arcana Bibli stracolmo di tesori e mappe.
La figura srotolò il turbante lasciando intravedere una morbida barba lunga ma curata, gli occhi vispi di un color nocciola erano dietro due lenti graduate. Un sorriso si stampò sul viso del nuovo arrivato, così come su Svart.
– Da quanto tempo Svart! – Esclamò l'uomo andando incontro a quest'ultimo ed abbracciandolo. L'altro d'altro canto ricambiò l'abbraccio stringendolo forte a sé.
– Troppo tempo amico mio! – L'espressione del principe era assai sollevata e rilassata, chiuse gli occhi per qualche istante ispirando per bene e saggiando il sapore di sabbia dell'amico. L'uomo in questione si chiamava Logan, esploratore di Arcana Bibli, e Vice capo della sua sezione. Era un bravissimo ragazzo, anche se assai sbadato e con la testa fra le nuvole, ma era proprio questo ciò che amava Svart di lui. Era uno spirito libero, curioso e instancabile e sopratutto fedele amico.
Era un uomo di media altezza, sicuramente più basso di Svart e Birken. Non possedeva i tratti tipici di Stadibrant, infatti esso proveniva dal deserto di Sukkrage, vicino alla dimora dei draghi e della Gente Bianca.
Il volto allungato e piccolo, il collo era alto e la corporatura esile. Aveva dei morbidi capelli marroncini e li portava ad una media lunghezza, ma quello che più colpiva di lui era lo sguardo. Aveva un dolce sorriso, il quale però trasmetteva sicurezza e forse un pizzico di spavalderia. Portava quasi sempre le braccia incrociate e la testa alta, cercando sempre un dettaglio nascosto nella parete.
Aveva trent'anni, ma sicuramente nell'atteggiamento era rimasto un ragazzino sognatore.
Passò non poco tempo ed i due andarono a chiacchierare in una delle serre di Arcana, onde evitare di disturbare eventuali fruitori della biblioteca pubblica.
Andarono in una delle serre secondarie, abbastanza piccolina ma comunque sufficiente per contenere un paio di piante. Mentre Logan dava spuntatine ai cespugli di rose, Svart l'osservava incuriosito ma silente. Fu l'esploratore a interrompere il silenzio, mantenendo lo sguardo sui cespugli e dando le spalle al principe sogghignò leggermente.
– Allora Svart, cosa mi racconta il mio bel principe? – Un sorriso sornione sul volto dello studioso, il quale aveva appena deciso di voltarsi verso l'amico per qualche istante, tempo d'ottenere risposta da parte di questo.
– Da dove cominciare … Sono successe troppe cose dalla tua partenza – Strinse dolcemente il mento tra il pollice l'indice socchiudendo gli occhi dorati. L'altro si voltò verso il cespuglio, aspettando pazientemente risposta.
– Comincia dall'avvenimento più vicino, per poi andare a quello più lontano – Suggerì l'amico dai capelli nocciola. Senza troppa esitazione Svart vuotò il sacco
– A quanto pare la moglie di mio padre ha qualcosa contro di me, ma non capisco il perchè –
Logan ridacchiò, poi si voltò verso Svart con un sopracciglio inarcato
– Sicuro che sia una cosa assurda? Non so … hai mai sentito parlare di gelosia? – Al che sgranò gli occhi il corvino – Voglio dire, sei il primogenito e non sei suo figlio. Una gelosia sensata –
Scosse la testa Svart, cercando di mandar via i brutti pensieri.
– Allora perchè sta venendo fuori questa storia? – Se la rise di gusto Logan, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, ma era chiaro a lui da esterno, non da chi è offuscato da sentimenti e legami. – Andiamo, lo sai pure tu. Passati una mano sul cuore e pensa attentamente ai loro atteggiamenti. Non c'è stata una volta dove ti hanno dato l'impressione di non tenerci alla tua persona? –
Gli occhi del principe divennero sempre più pensierosi, così come l'espressione crucciata. Vedendo tale reazione si ammorbidì l'amico, andando a dargli una pacca sulla spalla.
– Non è sicuro quel che penso io, ma è molto probabile. Ti prego Svart, non illuderti e sta' attento – Uno sguardo d'intesa fra i due – Io sono e sarò sempre dalla tua parte – Aggiunge un secondo dopo, poi lo strinse forte in un abbraccio.


La sera era ormai calata, e Svart era già rientrato da un paio d'ore. Questo non volle cenar difronte la sua matrigna, e anche se sperava in cuor suo di suscitarle una qualche reazione con il suo comportamento, solo il silenzio gli fu concesso.
Triste e solo, il corvino decise di bussare alle stanza di Birken. Ora che ci pensava era sempre stato lui a cercar Birken, era stato sempre lui a preoccuparsi per lui, mai il contrario. Una fitta al cuore, ma preferì stringere i denti e bussare alla stanza. Mai come allora quel corridoio gli era parso ignoto e freddo.
Quando fu aperta la stanza, sull'uscio v'era Birken. Da sempre aveva quell'espressione? L'aveva sempre visto così sprezzante? Qual'era la ragione di quell'atteggiamento freddo misto a sorpresa. Era normale che lui fosse lì a chiarire, lui era Svart, suo fratello.
Eppure Svart ebbe la netta sensazione che quello non fosse Birken, che suo fratello fosse stato rimpiazzato da un qualche fantoccio.
– Birken … io … io sono venuto … – questo, scocciato ed infastidito sbuffò ; ciò fece sgranare gli occhi di Svart, oramai increduli.
– Non capisco, perchè ti stai comportando così? – Questo si voltò dall'altra parte
– Perchè ti sei rifiutato di cenare con mia madre? – Un tono di risentimento salì dalla gola di Birken, quasi stentava a crederci stesse accadendo realmente.
– Tu non c'entri niente in questa situazione –
– Sì, ma hai ferito qualcuno vicino a me –
– Ed io? Io non sono nessuno per te? Non abbiamo la stessa importanza ai tuoi occhi? Sono tuo fratello! – Un attimo di silenzio, un silenzio assordante e pesante, ricolmo d'odio, risentimento. Mai prima d'ora era stato ferito, e mai più sarà trafitto in tale maniera. Ingoiò il rospo amaro ed indietreggiò atterrito.
– Siamo fratellastri, ricorda – Parole fredde, che mai avrebbe immaginato potessero uscire dalla bocca di quel ragazzo che tanto aveva amato. Nessuno era stato amato come lui, neanche la sua promessa, neanche suo padre. Quante cose gli aveva confidato. Ogni volta che aveva bisogno di conforto o voleva esultare, chiamava lui, ma solo ora capì che quel meraviglioso sentimento non era ricambiato.
– Addio Birken, ammesso e concesso sia realmente esistito il Birken che io ho conosciuto –




3. Rotto


Tempo fa, Kniverod forgiò una lancia. Tale oggetto possedeva una punta romboidale d'ossidiana, il manico nero era intarsiato ed impreziosito da rifiniture dorate.
La scelta della punta in ossidiana non era affatto casuale, questo materiale s'era scoperto fosse il punto debole dei demoni, qualsiasi fosse la loro classe e provenienza. Quest'arma fu tramandata, insieme alla corona dorata.
Svart stava maneggiando questa pregiata arma, la osservava con aria stupita ed esterrefatta. Passò l'indice sulla parte piatta della punta, poi sfiorò il filo dell'arma.
Quasi non credeva questa meravigliosa lancia dovesse divenire sua. Mentre lui osservava con meraviglia tale arnese, dietro lui v'era Arakria, i quali occhi erano arcigni come quelli di un falco.
Si voltò il giovane corvino, gli occhi dorati incrociarono quelli della donna. Essa ebbe un sussulto, e quasi fosse stata disturbata si voltò d'altra parte.
– Sono venuta a dirti di andare da tuo padre, non ha molto tempo – Disse lei con voce stridula ed acida. Annuì e non proferì parola alcuna Svart, non degnandola completamente di alcuno sguardo. Lei non esisteva più, era solo nessuno.
Una volta entrato nella stanza del padre, notò immediatamente quell'atmosfera cupa. Il silenzio aleggiava ingordo sulle teste dei presenti, solo il fiato mozzato del sovrano s'udiva. Con ampie falcate, Svart si diresse al suo letto, vedendo avvicinarsi la figura morente di suo padre.
Quasi non gli pareva vero, un uomo che ricordava gagliardo, vigoroso e forte, ora era divenuto l'ombra di sé stesso. Ma del resto la morte rende tutti uguali, miseri esseri inermi.
Occhi grigiastri, che cercavano disperatamente il figlio e quando lo vide ebbe un rapido sospiro.
Con le ultime forze rimaste il sovrano cercò di prendere le forti mani di Svart, sollevò lo sguardo e fissò quelle iridi dorate, contemplando quel figlio che sembrava lo avesse amato così tanto.
– Figlio … nella mia vita … ho capito solo una cosa … – Una flebile voce uscì da quelle labbra tremanti e da quel volto sciupato – Il destino è crudele … figliolo … e gli uomini … sono miserabili … – Una lacrima solcò il viso del sovrano ormai stremato – Essi vivono nel terrore della morte … ma fuggendo da essa … la rincorrono … – Le parole erano biascicate, ma non voleva saperne di fermarsi, stringeva con tutte le sue forze le mani del figlio. Nel mentre Svart era in ginocchio, alla destra del padre e pendeva dalle sue labbra.
– Io ti affido questo regno … spero tu possa essere un sovrano migliore … di quello che io sono stato – Sul volto si dipinse un sorriso tirato – Trova … la fiamma nera … Svart … trova un modo– e così dicendo si lasciò andare sul letto, ormai fin troppo stanco pure per parlare.


Quel giorno Svart fece ritorno ad Arcana Bibli, con la speranza di trovare Logan. Caso fortuito ancora non era partito per la successiva spedizione, era ancora lì a bisticciare con la Mentore di Arcana, Nadieta. Quella donna era proprio insopportabile, una sessantenne nel corpo di una quarantenne. Faceva innervosire Svart, figuriamoci uno spirito libero come Logan.
Nell'istante in cui Svart trovò Logan, sentì una trafila di lamentele da parte di Nadieta. Erano richieste assurde, che mai Logan avrebbe accolto. Infatti dopo poco tempo s'allontanò da quest'ultima. Colse la palla al balzo Svart, ed andò a rintracciare Logan.
– Oh! Principe Svart, quale onore riavervi qui in biblioteca, mi dica pure cosa cerca – Nadieta stava a pochi metri da loro, con le mani giunte ed il volto rivolto verso il corvino e il sottoposto. Questi si voltarono lentamente, mentre Logan accennò un sorriso nervoso per poi darsela a gambe con scuse, Svart restò lì, seppur di malavoglia.
– Buon giorno signora Nadieta, volevo svolgere una ricerca in merito ad una profezia – dichiarò immediatamente il principe osservando la donna. Ella era una donna di media altezza, capelli color biondo cenere ed una soffice pelle chiara. Gli occhi erano vispi e di un color nocciola, mentre le labbra appena carnose spesso s'inclinavano in un sorriso.
– Capisco, mi può dire quale di preciso ? – era una donna assai disponibile ed era un vero piacere passar del tempo con lei, se non fosse per quegli scatti d'improvvisa pazzia che ogni tanto le saltavano fuori.
– La profezia della Fiamma Nera – a tale risposta il volto della donna s'incupì e fece cenno di seguirla. Nadieta lo condusse davanti uno scaffale che all'apparenza era uno come gli altri, ma bastava prendere un libro, per poi rendersi conto che questi erano dei taccuini su cui vi erano annotati pensieri e supposizioni, e a volte dei risultati di ricerche.
– Quello che cerca nessuno l'ha mai capito, ma magari Kniverod potrebbe aiutarla principe – Nadieta adocchiò Svart per un lungo istante, poi chinò il capo – Se vi serve altro aiuto, consultate pure la scuola di Negromanzia, ne sapranno sicuramente di più – Annuì il corvino con aria comprensiva.
Le pagine dei taccuini erano tutte ingiallite e sottili, sfogliava quei manufatti con estrema cautela. Ogni qual volta che sentiva il frusciare di una pagina, aveva la sensazione che questa si sarebbe sgretolata sotto le sue mani.
Fra le pagine antiche e le parole alte e strette, sembrava quasi non ci fosse nulla, ma invece ecco comparir le prime notizie. Queste stavano sparse ed in penombra, ma ora che Svart andava leggendo, ecco che pian piano emergevano.


Non so cosa diavolo sia quel pozzo, ma ho sentito delle voci. Erano umane, esattamente come me! Anche loro chiedevano chi fossi, per chissà quale motivo, Vinz non ha sentito nulla di tutto ciò”


Sono comparse delle creature qualche minuto fa, non le avevo mai viste. Erano eteree, come i fantasmi delle ballate. Dicono di essere spiriti, spiriti dei fiumi, delle montagne … Non ne sto capendo più nulla”


Demoni, credo sia questa la giusta parola che definisce queste strane creature. Credo che abbiano qualcosa a che fare con quel baratro.”


Dopo circa un paio d'ore passate a cercare indizi fra i taccuini, arrivò la Mentore alle spalle di Svart e con tono pacato lo richiamò alla sua attenzione
– Mi scusi Principe Svart, ma credo dovrebbe ritornare – Sollevò il capo questo, andando ad osservare il volto preoccupato della donna.
– Per quale motivo Mentore ? – Tossicchiò nervosamente la donna, poi distogliendo lo sguardo dal viso di Svart biascicò una timida frase
– Vostro padre … il nostro sovrano … è morto – Era chiaro che la donna non trovasse il modo di dare una notizia così dura. Da poco era giunta alle sue orecchie, e già era calato il silenzio in tutta la città.
Si bloccò il tempo attorno al giovane principe, il quale d'improvviso percepì l'intero mondo crollargli addosso. Le pupille si restrinsero e le nocche sbiancarono talmente tanto vennero strette. Il torpore prese il sopravvento sul corvino, adagiandolo in un mare di freddo torpore ed insensibilità. Lui non sentiva d'appartenere a quella realtà, non era vero, non era mai morto nessuno, ma era tutto vero e si ruppe qualcosa quando vide il gelido cadavere del padre.
Toccò le mani giunte sul ventre, fredde come il mare d'inverno, poi diede un bacio su quella morbida guancia, ma nulla sorse in lui, neanche un pigro sentimento. Non v'era nulla dentro Svart, se non il nero puro e profondo.
La luce che illuminava gli occhi del corvino era sinistra, non erano più vispi e vivaci come quelli d'un tempo.
Il corpo del defunto sovrano venne adagiato sulla pira, ed un singhiozzo da parte d'Arakria s'udì in tutta la piazza. Le fiamme avvamparono la catasta di legno, poi avvolsero il corpo inerme di Brann e se l'inghiottirono. Fiamme riflesse sugli occhi di Svart, oramai privi di alcuna emozione, le labbra serrate in una gelida pace d'emozioni.
Arakria oramai era raggomitolata su sé stessa e pianse tutte le sue lacrime, mentre il figlio Birken la teneva stretta a sé con gli occhi fissi sulla pira in fiamme.
Brann era morto, ed ora il testimone andava passato.


Il cambiamento di Svart non passò inosservato, ma inizialmente tale cambiamento, s'attribuì alla scomparsa del padre. Anche se a dirla tutta Arakria non era di tale opinione, né tanto meno Birken. Dicevano fosse più uomo che bestia, che non fosse adatto a governare, ma su quale base lo dicessero, questo proprio gli altri non lo sapevano. Così i due furono semplicemente ignorati, e sperarono che Svart ritornasse quello d'un tempo, ma le cose non sembravano affatto migliorare.
Che il primogenito fosse sempre stato strano non v'era alcun dubbio, quei capelli neri come la pece e quegli occhi dorati non erano per nulla normali.
Quando nacque, il bambino uscì dall'utero della madre accompagnato da budella e una sostanza nera. Ovviamente la madre morì sul colpo, ed il sovrano restò solo con il bambino, anche sé non impiegò tanto tempo a ritrovar moglie.


Era un giorno come gli altri, le nuvole s'erano dissipate, il sole era alto nel cielo e la vita sembrava procedere come se nulla fosse.
L'incoronazione di Svart era ormai alle porte, i preparativi si sentivano dentro il forte annerito. I Nobili di tutto Stadibrant erano giunti dai loro possedimenti per assistere all'incoronazione del loro nuovo sovrano. Da poco giungeva la principessa Berenice, non che sposa del futuro Re Svart.
Questa era una bellezza esotica che attirava spesso lo sguardo su di sé. La pelle biancastra, con un timido accenno di rosato sotto gli occhi e sulle guance morbide. I capelli sottili erano argentati, spesso venivano legati in una stretta treccia a spiga di pesce.
Berenice faceva parte di quell'etnia chiamata “gente bianca”, ed il motivo di tale nome era più che ovvio. Chi faceva parte di quest'etnia possedeva dei lineamenti smussati e delicati, i colori della pelle, degli occhi e dei capelli erano tendenti al bianco.
La donna appena arrivata all'entrata di Forte Fenice, non potè fare a meno di osservare la struttura ed il panorama mozzafiato che si godeva da lì.
Il forte si trovava proprio al di sopra d'una collina, era visibile l'intera capitale, anche se da lì pareva un grande tappeto di tetti e guglie.
Osservò il forte, notando una leggera differenza nei mattoni tra una torre e le altre. Pareva che l'intero fortino si sviluppasse a partire da questa, ed effettivamente così era.
Alte torri svettavano su per il cielo, al di sopra dei tetti spioventi con delle tegole verdi e brillanti come lo smeraldo.
La ragazza osservava i dettagli gotici della struttura nera, mentre dei corvi gracchiando rumorosamente si posarono su dei davanzali osservandoli. Gargoyle sopra i tetti di prismarino, alti e stretti vasi era posizionati agli angoli delle inferriate.
Berenice dopo aver scrutato con cura l'intera abitazione, entrò seguendo la servitù che l'aspettava sulla soglia della porta.


Fu immediatamente sera, ed i preparativi per la cerimonia divennero ancor più soffocanti e frenetici. Svart era stato tirato a lucido, doveva dar il meglio di sé in tale sede. La pelle levigata e vellutata venne incipriata, i capelli corvini vennero lavati e le mani ed i piedi vennero levigati, liberandoli da eventuali calli.
La corona d'oro massiccio fu messa a nuovo, lustrata in ogni minimo intarsio. La lancia fu riparata ove fosse necessario, riportando la punta in vetro di drago al suo antico splendore. L'anello fu lustrato per poi essere infilato al dito medio del futuro sovrano.
Svart pareva un'altra persona sotto quella luce così regale. Seppur d'aspetto rimaneva uguale, così come nel portamento, lo sguardo era cambiato. Assente, triste, offuscato. Non proferiva parola da quando il padre era morto, accennava un sì biascicato od un no con il cenno della testa.
Seppur fosse passato un paio di giorni, questo lasso di tempo non sembrava fosse bastato al giovane Svart per riprendersi, ma nonostante questo fardello sul cuore non esitò minimamente nell'adempiere ai suoi doveri da sovrano.
Nera l'armatura di cui fu rivestito, rossi gli intarsi che impreziosivano le lastre di metallo. Rosso il pennacchio dell'elmo che teneva nel braccio destro.
Aprì l'immenso portone di legno con ambe le mani, i palmi premettero sulle assi e dai cardini fuoriuscì uno stridente rumore.
Silenzio in sala, una miriade di gente era accalcata sul tappeto rosso e dorato ed attendevano un suo passo.
Deglutì Svart, osservando i presenti con un pizzico di pressione. Gli occhi da sbarrati cercò di riportarli alla normalità, fessure dorate che saettavano da una parte all'altra.
Avanzò d'un passo, poi di un altro. Ampie falcate che lo condussero per tutto il tappeto fino alla sua fine.
Si fermò dinanzi delle brevi scalinate, salì queste dopo aver visto il cerimoniere. S'inginocchio e rivolse lo sguardo verso il basso.
Il fiato del pubblico era mozzato, non una mosca osava proferir parola, solo il cerimoniere dischiudette la bocca per lasciarsi fuggire delle frasi d'apertura, ma Svart non le sentiva era tutto così offuscato e veloce.
– Principe Svart, giura sul suo onore, sulla sua vita e sulla sua progenie? –
– Lo giuro – Rispose secco lui
– Giura di onorare il paese con i suoi servigi, di rispettarlo e di servirlo al massimo delle sue possibilità ?–
– Lo giuro –
– Io nomino Svart, di casa Rejen, primo del suo nome, protettore del regno di Stadibrant e ricercatore della Fiamma Nera – Poggiò con dolcezza la corona sul capo corvino dell'ormai Re. Svart ora si alzò ed osservò la platea che l'osservava trepidante. Prese in mano la lancia che gli fu posta e la baciò.
– Lunga vita al Re! – e da lì s'udirono forti applausi da parte dei nobili nella sala. Svart cercò disperatamente nella folla un viso a lui amico, ma non trovò nessuno. Fu allora che capì d'essere solo.




 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: _Niente_Paura_