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Autore: heliodor    01/10/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il nemico è qui
 
Valya lo seguì fuori dalla forgia e poi nel cortile che attraversarono veloci prima di infilarsi in un portone ad arco che fungeva da entrata per un edificio di mattoni di tre livelli.
All’interno c’era odore di muffa ed era buio. Nella penombra intravide brande di legno ammucchiate contro le pareti e lenzuola sparpagliate in giro.
“Che posto è questo?” domandò guardandosi attorno.
“Il vecchio ricovero per i malati” disse Rann.
Appena entrati il ragazzo si era diretto a un vecchio baule messo in un angolo e l’aveva aperto infilandoci dentro le mani.
“Malati di cosa?” chiese Valya.
“Non lo so. Febbre nera. O tosse spaccapetto.”
Deglutì a vuoto. “Se tocchiamo queste cose potremmo ammalarci anche noi?”
Una volta a Cambolt una donna si era ammalato del morbo rosso ed era morta. La sua casa era stata chiusa con i suoi figlio e suo marito all’interno. Ogni giorno un paio di cittadini estratti a sorte calavano per loro del cibo dal camino.
La cosa era andata avanti per un paio di giorni finché da Faerdahm non erano arrivati dei soldati che si erano messi di guardia alla casa impedendo a chiunque di avvicinarsi. I soldati avevano portato il cibo agli occupanti, ma dopo una decina di giorni anche il marito della donna si era ammalato.
Qualcuno aveva proposto di far uscire almeno i bambini, un paio dei quali erano molto piccoli, ma le guardie glielo avevano impedito. C’erano state delle proteste ma i soldati avevano tenuto a bada quelli più intraprendenti.
Myron Chernin in persona aveva parlato alla folla accalcata davanti alla casa per convincerli che per quanto spiacevole, quella era l’unica cosa da fare per il loro bene.
Il loro e quello dei loro figli.
Per qualche giorno si erano udite delle voci e dei pianti provenire dalla casa e poi il silenzio. Dopo altri dieci giorni, le guardie avevano tolto le assi che chiudevano le porte e le finestre della casa.
Valya non riusciva a pensare al resto e non voleva farlo in quel momento, mentre si guardava attorno nella penombra.
“Credo di no” disse Rann. “È successo molti anni fa, dicono. Non penso sia ancora contagioso.”
“Che ne sai tu di queste cose?”
“Niente” rispose il ragazzo con tono allegro.
Valya fece per replicare ma lui tirò fuori dal baule un fagotto di stracci e glielo mostrò.
“Eccolo” disse con voce eccitata.
“Che cos’è?”
Rann aprì il fagotto rivelando un corpetto in metallo e delle cinture in cuoio.
Sapeva bene che cosa fosse perché suo padre ne aveva riparati a decine fino a poco tempo prima e ancora prima di partire ne aveva un paio costruiti da lui stesso.
“È un’armatura?”
Rann annuì deciso. Poggiò a terra il fagotto come se contenesse un bambino in fasce e non un pezzo di metallo forgiato dal fuoco e dal martello.
Valya allungò una mano per toccare la superficie levigata. Era liscia come si era aspettata e sembrava piuttosto consistente. “L’hai fatta tu da solo?”
Rann annuì di nuovo.
“E mio padre lo sa?”
“No. Lui me l’ha vietato.”
“Sì. Lui è bravo a vietare le cose. È davvero bella.”
“Devo ancora decorarla, ma non sono molto abile.”
Valya si sollevò. “L’hai provata?”
Rann scosse la testa. “Porta sfortuna.”
Valya si accigliò.
“Forgiare un’armatura e indossarla” disse Rann. “Non conosci la storia che gira?”
“Sinceramente non ne ho mai sentito parlare.”
“È così” disse lui sicuro. “Se un fabbro forgia un’armatura e poi la indossa, è destinato a morirci dentro.”
“Morirai comunque” disse Valya.
“Sì, ma non dentro questa armatura. E poi per me sarebbe sprecata.”
“Perché dici così?”
“È per un grande guerriero” disse Rann. “E io non lo sono. Sono più bravo a maneggiare martelli e pinze.”
“Un grande guerriero” disse Valya pensosa.
“Certo sarebbe bello vederla addosso a qualcuno famoso, come il signor Abbylan, Dalkon o magari tuo padre.”
“Abbylan un grande guerriero? Non credo proprio che signor baffetto sia così famoso.”
“Ma girano delle voci.”
Valya lo ignorò. Vedere quell’armatura, poterla toccare, le aveva messo addosso un desiderio che non riusciva a dominare.
“E se la provassi io?” chiese.
Rann sgranò gli occhi. “Tu sei una ragazza.”
“E allora? Anche Margry Mallor lo era e indossava un’armatura ingioiellata, dono del re degli Elfi.”
“Io non conosco questa Margry e degli elfi ho sentito solo nelle storie, ma non mi sembra una buona idea.”
“Perché no? Cos’ho io che non va bene?”
“Non lo so” fece Rann imbarazzato. “Sarebbe strano se tu la indossassi, non credi?”
“Non lo credo affatto” disse Valya. Iniziò a slacciare i lacci che chiudevano il corpetto che copriva la tunica. “Voglio indossarla.”
Rann fece per chinarsi verso l’armatura. “Sai cosa ti dico? Ci ho ripensato.”
“Voglio indossarla” disse Valya sfilandosi il corpetto.
Rann girò la testa di lato. “Che fai?”
“Tranquillo” disse Valya divertita. “Non mi voglio spogliare. Il corpetto mi darebbe fastidio.”
“Io non so se…”
Valya sospirò. “Mio padre sarebbe molto rattristato se sapesse che hai forgiato un’armatura di nascosto, soprattutto se ti aveva vietato di farlo.”
Rann la guardò inorridito. “Non farlo” esclamò.
“Potrebbe persino cacciarti.”
“Non saprei dove andare.”
“È un vero peccato” disse Valya. “Mi dai una mano con quella o no? Guarda che non te la sciupo indossandola.”
Rann trasse un profondo respiro e sollevò l’armatura. “Girati.”
Valya lo aiutò a passare le cinghie e stringere le fibbie fino a far aderire l’armatura al corpo. Le bastarono un paio di passi per abituarsi al suo peso.
“Credevo fosse più pesante” disse sorpresa e divertita al tempo stesso.
“Ho usato una formula diversa da quella comune” disse Rann come se quello spiegasse tutto.
“Formula?”
Il ragazzo annuì. “Me l’ha insegnata maestro Keltel.”
A uno sconosciuto ha insegnato come costruire armature, pensò Valya. E a me che sono sua figlia non vuole insegnare a usare la spada.
“Tutto qui?” chiese per allontanare quel pensiero.
Rann si strinse nelle spalle.
“C’è solo il busto qui” disse Valya dando un colpetto sull’addome. “Dov’è tutto il resto? Schinieri, spallacci, gambali. Quelle cose lì.”
“Devo ancora completarli.”
“Che aspetti a farlo? La voglio vedere completa.”
“Potrei metterci parecchio tempo. C’è tanto lavoro alla forgia.”
“E tu trovalo, il tempo. Sei l’apprendista di Simm Keltel, no? Per molti sarebbe un privilegio.”
Rann arrossì.
“Che ho detto di strano?”
“Niente” fece lui. “Ora però devo tornare alla forgia. Se maestro Keltel non mi trovasse potrebbe arrabbiarsi.”
 Valya sciolse i legacci e gli ridiede l’armatura. Una dietro l’altro uscirono dall’edificio abbandonato e si diressero alla forgia, dove si era riunita una piccola folla.
Da uno dei capannoni stavano alzando fiamme che illuminavano di rosso cupo il cielo che si stava tingendo di nero.
Rann accelerò il passo per raggiungerli e Valya faticò a seguirlo.
Avvicinandosi vide Tannisk sbracciarsi e urlare qualcosa ai suoi uomini mentre stavano formando una catena umana passandosi un secchio pieno d’acqua.
“Gettateli sulla base delle fiamme” urlò l’uomo con voce roca. Aveva il viso annerito dove spiccavano occhi grandi e spiritati che fissavano il fuoco che lambiva il cielo.
“Se non lo fermiamo quel maledetto si mangerà mezza forgia” si lamentò uno degli uomini.
“Che succede?” chiese Valya.
“Che ci fai qui, ragazzina?” le sbraitò contro Tannisk. “Tornatene immediatamente al palazzo. Non è posto per te questo.” Solo allora sembrò notare Rann. “Tu invece rimani qui. Mi servi.”
“Dimmi quello che devo fare” disse il ragazzo.
“Aiuta gli altri con i secchi d’acqua.”
Rann si unì alla catena umana.
“Voglio dare una mano” disse Valya.
L’incendio era divampato lontano dalla forgia dove lavorava suo padre, ma anche se i palazzi erano di pietra le fiamme potevano espandersi in fretta.
“Ti ho detto di tornare a palazzo” disse Tannisk.
“Ma…”
“Vai” esclamò l’uomo. “Se ti succede qualcosa tuo padre mi farà rimpiangere di non essere bruciato nell’incendio.”
Dalkon Quynn apparve alle loro spalle come la prima volta che lo aveva visto. Il suo viso era preoccupato e i riflessi dell’incendio lo rendevano ancora più cupo.
“Per i demoni dei sette inferi” disse fissando le fiamme che avevano avvolto il palazzo. “Com’è potuto accadere?”
“Non lo so ancora, ma lo scoprirò” disse Tannisk sicuro.
“Farai bene a darti da fare, vecchio o Hylana ti farà appendere fuori dalle mura.”
“Sei qui per dare una mano o minacciare?” disse una voce.
Valya guardò suo padre arrivare con passo veloce.
“Tu che fai qui fuori?” le chiese.
“Ero passata a trovarti” disse sulla difensiva.
“Torna a palazzo.”
“È quello che le ho detto anche io” disse Tannisk. “Ma quella ragazza sembra non sentirci.”
“Sì, fa sempre così.”
Valya ignorò l’offesa e decise di restare. I tre camminarono verso il centro della piazza discutendo tra loro.
“Presto le fiamme si vedranno in tutta Ferrador” disse Dalkon preoccupato. “Hylana non sarà affatto contenta.”
Il tetto dell’edificio in fiamme crollò con un boato, seguito da una cascata di scintille rosse e gialle che illuminarono il cielo.
A quel punto nella piazza d’arme si era radunata una folla e c’erano almeno trecento uomini e ragazzi che partecipavano alla catena umana di secchi.
Un paio di stregoni dal mantello bianco e rosso fecero piovere cascate di acqua sopra le fiamme, ma questa evaporò subito.
“Dovete puntare alla base” sbraitò Tannisk.
Il più anziano dei due lo fissò con disgusto. “Non pendo ordini da te.”
“Ma da me sì” disse Hylana sopraggiungendo. “Fate come vi dice lui” aggiunse con tono perentorio.
I due stregoni diressero i loro incantesimi verso la base delle fiamme, facendole arretrare.
“Finalmente ti degni di farti vedere” disse Dalkon.
Hylana gli scoccò un’occhiataccia. “Sono tornata prima che potevo.”
“Dov’eri, se posso chiedertelo?”
“Ecco, non chiedermelo” disse la governatrice. Adocchiò Simm e gli si avvicinò. “Che ne pensi?”
Lui scosse la testa. “Bisognerà abbattere le due palazzine laterali per bloccare l’incendio.”
Hylana annuì. “Perderemo un quinto dei forni.”
“Se non lo facciamo, li perderemo tutti.”
La governatrice fece un cenno agli stregoni nella piazza. “Preparate gli incantesimi. Niente fuoco, ce n’è già abbastanza.”
“Useremo il raggio incantato” disse uno di loro facendo cenno ad altri dieci di seguirlo.
Valya fece per andare con loro. Voleva vedere in azione gli stregoni, ma una mano le afferrò la spalla costringendola a voltarsi.
Apparteneva a suo padre. “Torna a palazzo. È un ordine.”
“Voglio stare qui.”
“Non è posto per te e non saresti utile. Vai a palazzo. Ora.”
Valya sospirò e con la testa bassa andò verso il palazzo dall’altra parte della piazza d’arme. Proprio sotto l’ingresso intravide le figure di Olethe, Izora e le altre ancelle.
“Che succederà adesso?” domandò Brenye.
“Non è affar vostro” disse Olethe, gli occhi fissi sull’incendio che stava avvolgendo la forgia.
Il boato di un palazzo che crollava fece trasalire Valya e la costrinse a voltarsi di scatto. “Che disastro” disse camminando all’indietro. “Questo incidente non ci voleva proprio.”
“Non è stato un incidente” disse Olethe. “Qualcuno ha appiccato quell’incendio.”
“Chi?” fece Izora spaventata.
“Il nemico” disse la donna. “Ora sappiamo che è qui, a Ferrador.”

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