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Autore: Shireith    01/10/2020    4 recensioni
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Raccolta partecipante al Writober di Fanwriter.
Tanti personaggi (soprattutto Shiho), tante ship (di nuovo, soprattutto con Shiho).
01. Backstory [Elena e Atsushi]
02. Cerchio [Shinichi, Shiho, Gin]
03. Scultura [Rei e Akemi]
04. Lettere [Akemi e Shiho]
05. Diventare genitore [James e Jodie]
06. 1k [Eisuke e Masumi]
07. Bromance [Heiji, Shinichi, Shiho]
08. Sera [Kir e Bourbon]
09. Rare ship [Shiho e Higo]
10. Lingua [Vermouth]
11. Favola [Akemi e Shiho]
12. Angst ending [Mary ed Elena]
13. Piatto preferito [Yukiko e Subaru]
14. Carte [Kaito e Aoko]
15. Scuola [Detective Boys]
16. Passato [Rei e Shiho]
17. Matrimonio [Takagi e Sato]
18. Amicizia [Ayumi e Ai/Shiho]
19. Vestiti [Shinichi e Sonoko]
20. Credo [personaggi a sorpresa]
21. Ruolo [Shiho, Atsushi, Agasa]
22. Sentimento [Yukiko e Ai]
23. Abitudine [Ran e Shinichi]
24. Occhiali [Conan e Ai]
25. Posto preferito [Rei e Hidemi]
26. Mutual pining [CoAi/ShinShiho]
27. Sogni [Gin e Sherry]
28. Treno [Bourbon e Vermouth]
29. Relazione [Heiji e Kazuha]
30. Pianto [Gin]
31. Futuro [Elena e Atsushi]
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Atsushi Miyano, Elena Miyano, Rei Furuya, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Prompt: backstory
Personaggi: Elena Miyano,
Atsushi Miyano, altri
Pairing: Elena/Atsushi
Rating: verde

Antichi quadri


 Succedeva spesso, quando Akemi era ancora neonata, che i suoi pianti squarciassero il silenzio che avvolgeva la notte e i suoi lamenti disturbassero il riposo dei suoi genitori. Il loro sonno all’epoca era un quadro colorato in cui il nero appariva sporadico, senza macchiare la tela impregnandola di lugubri pensieri e paure per un futuro incerto; allora uno dei due s’alzava e raggiungeva la piccola nella stanza adiacente.
 Se toccava ad Atsushi, era perché aveva il sonno leggero e non sopportava sentire la sua bambina piangere, le sue lacrime gli davano l’impressione di aver commesso qualche imperdonabile mancanza di padre. Recuperava gli occhiali sul comodino e avanzava silenzioso lungo il corridoio che collegava le due stanze, apprestandosi, una volta varcata la porta, a prendere in braccio Akemi con estrema delicatezza, come fosse di porcellana.
 «Ssh, bambina mia.»
 Se toccava a Elena, era perché suo marito si era coricato a tarda ora e nemmeno i naturali capricci di Akemi potevano restituirlo alla realtà.
 «Vai tu», mormorava lei pigramente, aggrappandosi alla sottile speranza che qualcosa, dentro di lui, si smuovesse e lo inducesse ad alzarsi, risparmiandole quella fatica che, il giorno dopo, si sarebbe manifestata in occhiaie poco estetiche e sonori sbadigli. Lui però mugugnava a stento, lucido forse abbastanza da pensare quanto contraddittoria potesse essere Elena alle volte; e aveva in effetti ragione, perché lei, compresa l’amara sconfitta, gli metteva il broncio mentre scostava le coperte per alzarsi.
 Il freddo l’accoglieva senza che lei l’avesse invitato; inforcava gli occhiali, raccogliendo talvolta i capelli chiari nella prima acconciatura che le risultava più pratica al momento, e stringendosi nella vestaglia da notte compiva piccoli passi verso la camera di Akemi. Entrava senza curarsi di richiudere la porta, covando l’immaturo pensiero che magari, fintanto che Akemi avesse pianto, Atsushi si sarebbe svegliato, alla fine – eccola, una delle sue tante contraddizioni, di quelle che trasformavano la scienziata perspicace in un qualcosa di simile a una bambina capricciosa.
 Mentre cullava Akemi, Elena spesso ci ripensava – ad Atsushi, ai loro modi di fare che agli occhi dei più sarebbero sembrati, forse a ragione, sciocchi e privi d’ogni raziocinio, soprattutto se messi in atto da due menti tanto brillanti. Di questo ci rideva, Elena, considerando inutile preoccuparsi dell’opinione altrui; e forse rideva anche perché Akemi, calmatasi, chiudeva i pugni in aria, come a voler afferrare l’affetto della madre, e sorrideva come solo i bambini sanno fare.
 «Ssh, bambina mia.»
 La prima volta che l’aveva vista sorridere, la prima volta che l’aveva sentita ridere, Elena avrebbe potuto giurare che un fuoco le si fosse acceso in petto. Dapprima scintilla flebile, era diventata poi fiamma che, presto, sarebbe divampata in un incendio controllato, irradiandosi in tutto il corpo, dalla pianta dei piedi alla punta dei capelli.
 
 Con Shiho era tutto diverso. La notizia del suo arrivo era sopraggiunta quando il loro piccolo quadro familiare era armonico e pieno di colori in cui predominavano il giallo della speranza, il rosso dell’amore, il rosa dell’affetto. Il nero era arrivato dopo, mesi dopo, quando Elena e Atsushi avevano capito che errore era l’unica parola che potesse definire la scelta di accettare quella maledetta offerta di lavoro.
 Se n’erano accorti troppo tardi, quando il nero li aveva già avvolti, catturandoli come una bestia fa con le proprie prede e affondando famelica le sue fauci nelle loro carni, da cui, lentamente, avrebbe sottratto loro la vita stessa.
 Con Shiho era tutto diverso perché lei era diversa.
 Le notti erano vittime d’un silenzio che era semplicemente troppo – innaturale, opprimente, che s’attorcigliava attorno all’intera casa come un pesante mantello e le rubava l’ossigeno.
 Shiho piangeva di rado, tanto che, quando lo faceva, era più un sollievo che altro. Quasi sempre era Atsushi ad andare a controllare. Scostava le coperte e si metteva a sedere, il tempo per osservare Elena e chiedersi che cosa vedesse contro le palpebre chiuse, se gli inafferrabili momenti felici del passato o i fantasmi del presente. Probabilmente la seconda, perché poi, il giorno, la vedeva con gli occhi stanchi, alle cui ciglia erano ancorati quegli stessi fantasmi che nemmeno al sole volevano scomparire.
 La osservava sonnecchiare, Atsushi, e poi se ne andava, raggiungendo la camera un tempo di Akemi che ora era anche di Shiho.
 «Papà, papà, Shiho piange! Che cosa devo fare?»
 «Tranquilla, Akemi, ci penso io.»
 La prendeva in braccio, accogliendola come una pietra preziosa, e la stringeva forte, forse anche troppo, per sopperire alla paura costante che da un momento all’altro l’avrebbe persa.
 
E forse tuo padre ha ragione, Shiho. Forse ben presto non ci saremo più. Non potremo vederti crescere; non potremo vederti compiere i primi passi, né potremo insegnarti ad andare in bicicletta. Non sapremo mai che colore ha la tua risata. Di questo, Shiho, la mamma ti chiede scusa.
Ti abbiamo voluto bene, e abbiamo sperato davvero di poter uscire da questo inferno – è troppo tardi.
Buon diciannovesimo compleanno, figlia mia.

 
NOTE ➳ Ed eccomi, per il rotto della cuffia, a pubblicare qualcosa per questo Writober! Sono le 23:51, se qualcuno (ma chi?) se lo stesse chiedendo, e , sono scema. Soprattutto, amo procrastinare.
 Come da titolo, questa sarà una raccolta incentrata su tanti personaggi e pairing diversi. Spero di riuscire a portarla avanti per quasi tutto ottobre; non conto di scrivere tutti i giorni, ma nemmeno di fermarmi troppo presto. Si vedrà!
 Da me potete sicuramente aspettarvi la ShinShiho (avevo in mente qualcosa con il prompt riflesso, ma non ce l’ho fatta), però non vi nascondo che ho in mente accoppiate un po’ strane – parecchio strane, sarebbe meglio dire.
 Le storie saranno tutte scollegate tra loro; nel caso accadesse diversamente, lo segnalerò.
   
 
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