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Autore: Henya    02/10/2020    3 recensioni
Salve a tutti :) questo è il proseguimento della mia prima fanfiction "Never Lose Hope".
Anya , dopo essere partita con Rai per la Cina, ritorna a Tokyo dopo avere ricevuto alcune notizie dalla sua amica Hilary. Da qui ha inizio una lunga e ingarbugliata serie di eventi che, per chi già mi conosce, non saranno certo rose e fiori ^_^""
Spero possa piacervi :) Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Rei Kon, Yuri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Priviet, Boriska”, saluta una voce alle mie spalle.

Sono impegnato, a capo chino, a montare dei pezzi di un aggeggio con un cacciavite e al suono di queste parole i miei movimenti iniziano a rallentare.
È tornato.
Di nuovo.
Prendo un respiro profondo e chiudo gli occhi un istante, prima di girarmi verso di lui e chiedere con aria minacciosa:
“Cosa vuoi?”, senza però scompormi più di tanto.
Lo vedo qui di fronte a me, rigido nella sua posizione, mentre stringe un pugno, come per farsi coraggio e prendere parola.
“Voglio parlare” esordisce, aspettando con ansia la mia reazione.
“Vuoi parlare?” ripeto, avvicinandomi a lui con aria ostile. Sul serio? “E sentiamo, cosa devi dirmi?” pronuncio a pochi centimetri dal suo volto.
Questo contatto ravvicinato mi consente di notare le rughe sul suo viso, segno del passare degli anni. Lo ricordavo molto diverso e, forse, è per questo che non l’ho riconosciuto subito.
“Mne zhal', Boriska”. Queste semplici parole escono come un soffio dalle sue rigide labbra e mi fanno subito pentire di avergli dato l’occasione di dirle.
“Ti…dispiace?”. Ho capito bene? Sorrido con aria stizzita tra me e me, scuotendo la testa e portando gli occhi al cielo. Mi allontano lentamente, massaggiandomi il centro della fronte, come a voler reprimere tutte quelle vocine che, nella mia mente, stanno lottando per far emergere la parte peggiore di me. Per fortuna, però, un altro profondo respiro mi aiuta a portare ossigeno al cervello e reprimerle. Dopo alcuni secondi riesco a destarmi da questo stato confusionale e mi rigiro verso di lui, fissandolo di traverso.
“E sentiamo, per cosa ti dispiace?” . Incrocio le braccia al petto, poggio il sedere sul bordo del tavolo per mettermi comodo e attendere, con impazienza, le sue argomentazioni.
“Di tutto…” riesce a dire, sforzandosi nel parlare in una lingua a lui estranea.
“Troppo generico, non credi?” puntualizzo, con aria seccata.
Ecco che il suo petto si gonfia e le sue mani entrano nelle tasche della giacca di pelle, per trovare appiglio in qualcosa, o probabilmente, questo gesto esprime la sua voglia di nascondersi sottoterra dalla vergogna.
“Per avere abbandonato te” confessa, con tono mesto, mentre io volgo lo sguardo altrove, stringo i denti e indurisco la mascella, cercando di contenere la rabbia.
“Io…” aggiunge poi, alla ricerca delle parole giuste “sofferto molto questa decisione”. Non gli credo alle sue paole e il mio sguardo glielo sta comunicando. “Ho dovuto fare questo” si giustifica, amareggiato. “Io…mai dimenticato di te”. Ok, adesso abbasso la testa per trattenere una risata di sfottimento. È ridicolo! Sarebbe più saggio fermarsi e non aggiungere altre cazzate. Tuttavia, voglio vedere fin dove è disposto ad arrivare ed attenderò qualche attimo prima di esplodere. “Io stato in carcere e pentito per tutto. A capire miei errori”. Quindi il carcere l’avrebbe aiutato a capire che razza di uomo schifoso è veramente?. “E io venuto qui per cercarti e avere tuo perdono…” conclude poi, con tono sommesso e da ciò intuisco che il suo discorso è giunto a conclusione.
Sono commosso, veramente.
“Ti ci sono voluti quasi vent’anni per capire questo?” domando in tono sarcastico, al limite dell’incredulità. “ Tu vieni qui, dopo anni, per chiedere il mio perdono?”. Senza rendermi conto mi sono avvicinato a lui per guardarlo dritto negli occhi. “ Hai idea… di quello che ho passato da quel maledetto giorno? Quando, senza un minimo di scrupolo, mi hai usato come merce di scambio?” sibilo con rabbia, avvicinandomi sempre di più al suo volto, che, ad ogni parola vomitatagli addosso, chiude ritmicamente gli occhi.
La tensione nell’aria è quasi palpabile.
Sento pulsare la rabbia nelle vene e il cuore, in petto, mi martella in un ritmo sempre più crescente, fino a sentirlo in gola.
“Hai una vaga idea di quello che ho passato in quella sottospecie di monastero?! Hai idea di quello che ho subito?”. Digrigno i denti sempre di più, facendo persino fatica a pronunciar chiaramente le parole. Penso che non reggerò a lungo tutte queste emozioni. Mi sento strano, e perciò decido di allontanarmi per sfogare la rabbia dando un pugno sul tavolo con tutta la forza che ho, facendo scuotere i vari oggetti violentemente “No che non lo sai!”.
Porto le mani ai capelli, cercando in tutti i modi di regolarizzare il respiro e il battito.
Controllati, Boris, mi ripeto mentalmente.
Ma i ricordi riaffiorano prepotentemente  alla mente, facendomi rivivere, in sequenza, momenti della mia vita che avevo sepolto nella memoria. E fanno male.
“ Nessuno mi ha mai adottato…” rivelo, inghiottendo un boccone amaro. “ Perché ero troppo grande e tutti preferivano i bambini di pochi mesi. Nessuno… voleva il figlio di un drogato. Troppo problematico da gestire…”.
Abbasso la testa e chiudo gli occhi, prendendo un ultimo e profondo respiro.
“ Sono cresciuto da solo” dico, poi, incrociando quegli occhi. “Tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho oggi” continuo a dire con risentimento, puntando un dito verso una direzione ignota “l’ho ottenuto da solo! Devo tutto a me stesso e non ho bisogno di nessuno, tantomeno di te! Sinceramente, non so che farmene delle tue scuse! Non ti conosco e non voglio conoscerti…” puntualizzo con serietà. “Quindi, così come sei venuto, te ne vai e non farti più vedere!” concludo categorico, svuotando, finalmente, tutto quello che per anni ho tenuto dentro.
Detto questo, gli rivolgo un’ultima occhiata piena di odio e gli giro le spalle, tornando al mio lavoro, come segnale che questa conversazione è giunta alla sua tragica fine.
Tuttavia, nonostante io cerchi di ignorare la sua presenza, fingendomi indaffarato ad armeggiare con un cacciavite, lui rimane ancora lì per un tempo che mi sembra indefinito.
Credo di essere stato abbastanza chiaro e non ho intenzione di ripeterglielo un’altra volta, perché non mi limiterei a utilizzare solo le parole.
“Boriska…”.
Ancora con questo nome del cazzo!
Stringo i denti, usando tutta la forza che ho per stringere questa maledetta vite.
“Sono comunque contento di averti visto…”. Wow, ad un tratto sembra conoscere la nostra lingua o forse sta iniziando parlando in russo e non ci sto capendo più un cazzo nella mia testa. Maledetta vite! Con un gesto repentino cambio arnese, nella speranza di riuscirci. Ma vedo tutto sfocato e non riesco a vedere bene.

“…E che sei diventato una persona migliore rispetto a me! So di non meritare il tuo perdono, ma spero che un giorno riuscirai a farlo e magari potremo parlare un po’. Ci sono delle cose che vorrei raccontarti. Io ho…mi sono sposato qualche anno fa e…ho avuto un bambino. Mi piacerebbe che lo conoscessi. Lui sa di te e gli farebbe piacere conoscerti. Se un giorno dovessi cambiare idea, questo è il mio numero e il mio indirizzo a Mosca. Non so se tornerai mai, ma voglio almeno sperarci”.

Fanculo, non ci riesco, non riesco a vedere un cazzo. Con un gesto del polso asciugo il naso da cui sembrano fuoriuscire gocce di acqua salata. Avverto un gran dolore all’altezza della gola e mi è difficile persino deglutire.

“ Ti auguro buona fortuna, Boriska. Addio”.

Queste sono state le ultime parole di mio padre, prima di uscire dall’officina. Il rumore dei suoi passi risuona nella mia mente, facendo riaffiorare immagini del passato che sembrano ancora vivide nella memoria.

Mi trascinava lungo le gelide vie della periferia di Mosca. Volevo tornare a casa, ma lui mi costringeva a camminare, dicendomi di smetterla di dimenarmi per non attirare l’attenzione dei passanti. Poi, giunti a un vicolo buio, ci fermammo. Alzai gli occhi e vidi altre persone a cui mi consegnò. Non volevo abbandonare la sua mano, ma la sua lasciò facilmente la mia. E lo vidi andarsene, senza mai voltarsi, anche solo per salutarmi o guardarmi un’ultima volta. Io rimasi a fissare la sua figura svanire, richiamandolo una, due e forse chissà quante volte. Ma non si voltò mai.

“Hey”.

Una mano si poggia sulla mia schiena, facendomi ripiombare improvvisamente nella realtà.





***








“ Boris, tu stai…”.
Ero venuta in officina con la scusa di portargli un caffè, ma mi sono dovuta fermare notando la presenza di un altro uomo con cui Boris parlava animatamente. E così ho capito che era lui: suo padre. Sono rimasta in silenzio fuori ad origliare ciò che si dicevano, anche se è stato difficile capire tutto. Soprattutto le ultime frasi, dette in russo, da quell’uomo. Non ne ho capito il significato, ma avevano tutta l’aria di essere un addio. Una volta andato via e assicuratami che fosse rimasto solo, ho deciso di entrare. Sembrava perso in chissà quali pensieri, tanto da non essersi accorto del mio arrivo e, delicatamente, gli ho messo una mano sulla schiena.
“ Boris…tu stai piangendo” affermo, osservandolo sconvolta.
“No” nega, dandomi subito le spalle. “E’ solo allergia”, inventa, con tono di voce strano. “Cazzo…” lo sento imprecare a bassa voce, asciugandosi il viso con un lembo della maglietta.
Sorrido tra me e me, osservandolo questa scena.
“ Boris, non devi vergognarti” lo tranquillizzo, strofinandogli una mano sulla schiena, come a farlo calmare.
“Te l’ho detto, è l’allergia” ripete a dire, girandosi di nuovo, dall’altra parte.
“ Ok, ok” affermo arrendevole, portando gli occhi al cielo.
Decide di sedersi a terra, con schiena poggiata al muro, muovendo gli occhi, in modo da auto-costringersi a non piangere. Cioè, voglio dire, per non permettere all’allergia di far uscire lacrime dai suoi occhi.
“ E sentiamo…” inizio a dire, poggiando le ginocchia a terra per posizionarmi di fronte a lui. “ A cosa sei allergico?” domando, muovendo la testa in modo da costringerlo a incrociare il mio sguardo.
“ Ai rapporti familiari” confessa, abbozzando una risata.
“ Capisco…” mi limito a dire, abbassando gli occhi.
Ho sentito la maggior parte delle cose che si sono detti e capisco che deve essere stato difficile affrontare una situazione del genere.
“Mi sento così ridicolo” ammette, cercando di nascondere l’imbarazzo.
“Non sei ridicolo, sei solo umano” gli spiego, sorridendo e accarezzandogli una gote.
“ Preferirei che non dicessi agli altri…”.
“ Della tua allergia, lo so” intervengo prontamente a completare la sua frase, consapevole di ciò che stava per chiedere.
Tranquillo, non dirò ai tuoi amichetti che Boris Huznestov ha pianto.
È strano vedere in questo stato un ragazzo come lui, all’apparenza, emotivamente inscalfibile.
Da quando è riapparso suo padre, si è comportato in maniera diversa, è diventato emotivamente instabile. Fino a pochi minuti fa era così arrabbiato che sembrava volesse esplodere e adesso, eccolo qui, seduto a terra nella sua officina con gli occhi arrossati, ad asciugarsi il viso con la maglietta.
Per la prima volta, Boris riesce a trasmettermi una gran tenerezza, lo ammetto. Sembra come un grande orso bisognoso di affetto, seppur si ostini a non ammetterlo. Sono sicura che in questo momento il suo orgoglio sia stato gravemente ferito dalla mia presenza. Insomma, uno come lui che piange davanti ad una ragazza? Tzè. Giammai!
“Non devi vergognarti, ok? Quante volte hai visto piangere la sottoscritta?” gli ricordo, sorridente.
“Ma tu sei una donna”. Ecco, come immaginavo: l’orgoglio dell’uomo che non deve mai mostrarsi debole di fronte agli altri.
“Boris, hai vissuto così tante emozioni contrastanti in questi giorni, che alla fine il tuo corpo ha ceduto” spiego, sotto il suo sguardo scettico, cercando di fargli capire che è un essere umano e, in quanto tale, prova delle emozioni. “Su forza, vieni” dico, aprendo le braccia e incoraggiandolo ad avvicinarsi.
“Che cosa vuoi fare?” domanda, fissandomi storto.
“Voglio abbracciarti”.
“Perché?” chiede perplesso, pulendosi le ultime gocce sul viso.
“Perché dopo ti sentirai meglio, vedrai!”.
Dopo attimi di esitazione, stacca la sua schiena dalla parete e si avvicina a me, che con un gesto lento, ma deciso, circondo, con le mie braccia, il suo corpo rigido.
Ok, ammetto che è imbarazzante, ma voglio fargli provare, almeno una volta, il calore di un abbraccio, vero e sincero.
“In teoria, dovresti ricambiare” gli spiego, suggerendogli implicitamente di rilassarsi.
Sembra di abbracciare una statua di marmo gelido.




***





Ok, gente. Tutto ciò mi mette a disagio.
Sento il corpo di Anya a contatto col mio e le sue braccia lo circondano totalmente.
È stato già imbarazzante farsi scoprire mentre, ahimè, piagnucolavo, e adesso mi pento di aver accettato questa bizzarra richiesta.
Sento la sua mano accarezzarmi la schiena, provocandomi alcuni brividi e devo ammettere che non è male. È quasi piacevole. Lentamente rilasso il corpo, affondando il mento nell’incavo della sua spalla, respirando il suo profumo. Poi alzo le mani, giungendole dietro la sua schiena.
“ Boris, mi dispiace per ciò che hai passato” rivela in un sussurro, alludendo probabilmente  alla vicenda di mio padre. “Tu sei migliore di quanto pensi”. E queste parole mi fanno desiderare ancor di più quest’abbraccio.
Passano alcuni minuti che sembrano durare un’eternità, durante i quali mi perdo nel flusso dei miei pensieri.
Si è fatto una famiglia e ha avuto un figlio. Perché è venuto a dirmelo? Crede che me ne importi qualcosa? Come può uno come lui badare a un altro essere umano? E cosa pretende? Che vada a trovarlo e instaurare rapporti con la famiglia che mi è stata sempre negata?
Non ho bisogno di tutto questo.
Ho la mia vita, le mie strambe abitudini.
Ma sto bene, anche da solo.
Beh, in realtà non sono proprio solo.

“ Bene, adesso puoi lasciarmi” le sento dire, ma io sono troppo impegnato a vivere alcuni ricordi per darle ascolto.

Yuri, Kai, a loro modo, mi sono sempre stati vicini e ci siamo sempre aiutati l’uno con l’altro.
Sono quasi come una famiglia per me. E adesso, a questa strana famiglia, si sono aggiunte Hilary, Anya e dei piccoli marmocchi.  Ed Eva, anche se da un po’ di tempo il nostro rapporto non è più come prima.

“ Boris?” mi richiama, in tono preoccupato, dal momento che non mi decido a mollare la presa, nonostante una sua certa resistenza.

Sono contento così.
Non ho bisogno di un padre come lui. E poi cosa pretende? Che ci vediamo nelle riunioni familiari a Natale e Capodanno come se niente fosse?
Nah.
Non sono pronto a questo.

“ Boris!”.
“ Che c’è? Ancora un po’, non è così male!” confesso, ridendo.
“ Penso che possa bastare” puntualizza lei, contrariata.
E va bene, Sarizawa.
Come ordinatomi, la lascio andare, sorridendo tra me e me.
“ Ti senti meglio adesso?” domanda, apprensiva.
“Beh, un po’…” affermo, facendo spallucce.
“Cavoli, io devo andare o Dana mi ucciderà!” si ricorda improvvisamente, alzandosi di scatto, sotto il mio sguardo divertito. “ Ti mando un messaggio più tardi, ciaoooo!” saluta, andandosene via di corsa e lasciandomi qui seduto, all’inizio sorridendo al pensiero che Dana la aspetti col machete in mano in caffetteria, poi però, il ricordo di ciò che è successo prima mi costringe a tornare serio.
Lascio cadere pesantemente la schiena sulla parete, espirando sonoramente e fissando punti indefiniti del soffitto.
Si è riportata il mio caffè.






***






“Ok, scusami, scusami, scusami!” dico pentita, a una Dana che mi fissa in modo terribile.
“Da domani, il signorino Boris è pregato di portare le sue chiappe qui se vuole il suo caffè, perché tu non uscirai più!” sentenzia categorica.
“Hai ragione, ma ho perso tempo perché…”.
“ Non mi interessano le tue scuse!” ribatte acidamente. “Oh, perfetto, ci sono altre visite per te, Anya!” aggiunge poi, puntando gli occhi verso un punto alle mie spalle.
“ Cosa vuoi dire?” chiedo interrogativa, voltandomi nella direzione interessata. “Che ci fa qui?” dico tra me e me, vedendo entrare in caffetteria Eva.
“ Non lo so, ma sono sicura che ti farà perdere altro tempo!” esclama seccata, tornandosene a passi da gigante in cucina.
“Sarizawa, posso rubarti qualche minuto?”.
Rimango scettica di fronte a questa richiesta. Cosa vuole da me?
“Sì, certo!” rispondo titubante, invitandola con un gesto della mano a sedersi. “Di cosa vuoi parlarmi?” chiedo, consigliandole di andare dritta al sodo.
Lei abbassa gli occhi, abbozzando uno mezzo sorriso. “Riesci a incantare tutti vero?” esordisce poi, con voce seria a profonda.
Non capisco.
“In che senso?” chiedo, perplessa, inarcando un sopracciglio.
“Con la tua commedia della ragazza madre abbandonata…” aggiunge.
“Si può sapere di cosa stai parlando?”. Inizio a seccarmi di queste sue mezze frasi.
“Prima Kai, poi Rai, adesso Boris…”.
“ Eva, parla chiaramente!” le suggerisco con tono duro.
“Perché hai tenuto quel bambino? Non sarebbe stato più facile abortire e fare finta che tu e Kai non foste mai andati a letto?”.
Ma che razza di domande sono mai queste? Ma come si permette?
“Non osare mai più dire una cosa del genere! È vero, sarebbe stato tutto più facile, ma io non avrei mai abortito! E poi come puoi parlare di aborto proprio tu, che hai appena perso il bambino dopo l’incidente!” sottolineo volutamente. Sono allibita dalle sue parole e lei sembra contrariata dalle mie, visto il modo in cui mi osserva adesso, come se non avevo il diritto di citare in causa questo argomento. Beh, neanche lei ne aveva il diritto, a dirla tutta.
Stringe le labbra, volgendo lo sguardo altrove.
“Io…”. Adesso chiude gli occhi, prendendo un respiro “Non ero incinta, ho mentito a Kai e adesso mi odia!” rivela d’un tratto, mostrandosi colpevole, ma cercando di mantenere alto il suo orgoglio, come se dire queste parole le fosse costato non poco.
Lei non era incinta? Ha mentito a Kai?
Questo vuol dire che non ha perso nessun bambino in seguito all’incidente!
Sono allibita…
Non ho il tempo, però, di aprire bocca per esprimere il mio pensiero, perché è lei stessa a porre le mani avanti in segno di colpevolezza.
“Lo so, crudele da parte mia! Ma ho dovuto mentire per avvicinare Kai a me!” spiega portandosi una mano al petto, con espressione accigliata. “Da quando siete apparse, tu e quella bambina, avete rovinato tutto e immagino che puoi capirlo, visto che Rai ti ha lasciato per colpa di Kai e della sua ossessione nel toglierti quella bambina!”.
È vero. In fondo, è andata così.
“Se tu non avessi tenuto quel bambino, tutto questo non sarebbe successo. Tu staresti ancora con Rai e io con Kai”.
Cosa significa? Lei e Kai non stanno più insieme?
“E’ vero, ci siamo sposati e credevo che col matrimonio Kai Hiwatari volesse dimostrarmi quanto ci tenesse a me e che le cose sarebbero cambiate! Che stupida!” aggiunge sorridendo amareggiata. “Saresti dovuta sparire insieme a quella bambina, ma…”.
Le sue parole arrivano alle mie orecchie come lame taglienti.
Non riesco a muovere ciglio, se non a rimanere qui inerme di fronte a lei ad ascoltare, sconvolta, quelle parole velenose che escono dalla sua bocca.
 “Ma capisco che, adesso che Rai è andato via e devi badare da sola a tua figlia, stai sfruttando la situazione a tuo vantaggio… Kai ti ha intestato un conto corrente dove ti versa una bella somma al mese. Geniale, oserei dire!” asserisce con sarcasmo, beccandosi un’occhiata arcigna dalla sottoscritta che, pian piano, sta intuendo dove lei voglia arrivare.
“Ti presenti con la bambina, fingendoti arrabbiata con il padre per averla abbandonata, lui si pente e per pulirsi la coscienza, ti versa dei soldi e puff!! Ad un tratto tu cominci ad essere gentile e lasciargli vedere la figlia. Ottimo piano, Sarizawa!” si complimenta, imitando un applauso.
“Io non volevo quei soldi!” spiego, alterata.
“Oh, sì, come no!” ribadisce lei a mo’ di beffa.
“E’ stato lui ad insistere nel darmeli e alla fine ho dovuto accettare!” continuo a ribattere duramente. Io non volevo quei soldi e non glieli ho chiesti io, è la verità.
“Povera Sarizawa! Costretta ad accettare dei soldi per riuscire a sopravvivere e ripagando questa generosità, probabilmente, con favori sessuali!”.
Ma come si permette?
Mi alzo di scatto, fissandola in modo terribile, sotto il suo ghigno malvagio, che esprime la sua soddisfazione nell’avermi offesa in questo modo insensato.
“Beh, almeno io non devo fingere una gravidanza per elemosinare le attenzioni di mio marito!” puntualizzo acidamente, esprimendo tutta l’avversione che provo nei suoi confronti.
Al suono di questa frase, sbarra gli occhi e si alza di scatto fissandomi con astio.





***



“Ma Anya non ti ha appena portato il caffè in officina?” domanda alterata Dana.
“ Sì, ma poi se l’è riportato come una sbadata!” spiego per la seconda volta. “A proposito, dov’è?” chiedo poi, puntando gli occhi in punti diversi del locale.
“ è laggiù a parlare con quella testa bionda!” dice, indicandomi il punto dove guardare.
“Ma quella è Eva! Che ci fa qui?” chiedo stranito.
“Non lo so, ma sta perdendo molto tempo a parlare!”.
Improvvisamente un forte rumore, provocato dallo sfregare di una sedia sul pavimento, mi costringe a staccare gli occhi dal cellulare per fissare il punto interessato. È stata Anya a provocare questo rumore acuto e terribile. Che le prende? È in piedi a fissare accigliata la bionda, che due secondi dopo, decide di alzarsi, tirando indietro la sedia e provocando, per la seconda volta, questo rumore fastidioso.
Che hanno queste due? Non riesco a sentire ciò che si stanno dicendo, ma, a giudicare dalle loro facce, non devono essere parole belle e…oh cazzo, Eva ha appena alzato una mano in direzione della faccia di Anya.
“Anya!” grida Dana, correndo verso di lei per soccorrerla, seguita da me che, nella furia di alzarmi, lascio cadere indietro lo sgabello.
Ma che sta succedendo??




***



La mia mano freme ancora dalla rabbia. È attraversata da un forte formicolio dovuto all’impatto con la faccia di Anya, che adesso, si copre il volto, con espressione dolorante.
“Ma sei impazzita?” mi urla in faccia l’altra cameriera, venuta a soccorrerla.
“Ma che cazzo fai?” dice una voce alle mie spalle, e due secondi dopo vengo presa con forza per un polso e strattonata più in là.
“Boris, lasciami!” gli ordino, dimenandomi per costringerlo a lasciare il mio polso.
“Si può sapere perché lo hai fatto?” domanda furente, osservando da lontano la sua nuova amica, ancora troppo sconvolta per reagire.
“Lasciami subito!” sibilo a denti stretti, notando solo adesso, che tutti, all’interno del locale hanno gli occhi addosso su di noi.
Mi sono fatta prendere dalla rabbia a causa delle sue parole e non ho resistito nel darle quello che si meritava da tanto tempo: uno schiaffo.
“Tu adesso vieni con me!” asserisce autoritario, trascinandomi fuori dalla caffetteria.
“Boris, lasciami immediatamente o chiamo Kai!”.
“Oh, oh, è proprio da lui che stiamo andando!” annuncia a gran voce.
Cosa?








***




Sono nel mio ufficio, seduto alla scrivania a leggere e rispondere ad alcune email di lavoro.
Improvvisamente le mie orecchie avvertono degli strani rumori provenire da fuori, oltre la porta, e dopo alcuni secondi questa si apre, dando spazio alla figura di Boris che tiene per il polso Eva. Lei  immediatamente si libera dalla presa, massaggiandosi il polso dolorante.
“Si può sapere che sta succedendo?” chiedo perplesso, fissando prima l’uno e poi l’altra.
“Dovresti tenerla al guinzaglio!” esordisce Boris, guardandola in cagnesco.
“Quanto la fai lunga!” ribatte lei.
Mi alzo, per mettermi in mezzo tra i due, pretendendo delle spiegazioni.
“Si può sapere che diavolo succede?” chiedo autoritario, ponendo fine ai loro battibecchi.
 “Ha dato uno schiaffo ad Anya!” rivela, infine, Boris.
“Cosa?” dico incredulo, voltandomi istantaneamente verso Eva, che si limita ad arricciare le labbra e fissare altrove.
“Le ha stampato cinque dita in faccia!” aggiunge poi.
“Ma se non l’ho neanche sfiorata!” si difende lei, serrando i pugni.
Io non ci sto capendo più niente.
“E’ la verità?” chiedo io, incredulo.
Ma non ho di nuovo risposta, perché Boris continua a parlare.
“Certo che è la verità, …”.
“Puoi andare!” gli ordino, invitandolo con lo sguardo ad andare via.
“Ma…”.
“Ci penso io qui” gli faccio capire.
Dopo una manciata di secondi, volta i tacchi e va via, chiudendo poco delicatamente la porta e lasciandomi qui a prendere un respiro profondo prima di guardare dritto negli occhi Eva e chiederle spiegazioni.
“è la verità? Lo hai fatto veramente?” chiedo in tono scandito e apparentemente pacato, che non ammette, però, silenzi o mezze risposte.
Lei si indispettisce un attimo, esitando, ma poi sbotta.
“Sì, l’ho fatto!” ammette senza rimpianti “E se l’è meritato, mi ha provocata!” si giustifica con rabbia, lasciandomi alquanto sbigottito.
Ha davvero preso a schiaffi Sarizawa?
Ma dico, è impazzita?
“Si può sapere cosa ci facevi da lei?” domando, cercando di mantenere la calma, premendo un dito al centro della fronte, sospirando stancamente.
“State sempre tutti a difenderla! Ho sempre desiderato darle quello schiaffo, è colpa sua se siamo in questa situazione!”.
Non può averlo detto veramente.
Pensavo che oggi sarei rimasto in ufficio tranquillo, circondato dalla pace dei sensi, e invece…
“Non è colpa sua se siamo giunti a questo punto” le spiego chiaramente. “Il problema è ben altro…” le faccio intendere.
“Ah no? Stai scherzando spero. Sarebbe mia la colpa?”.
“La tua ossessione per quella bambina ci ha portati alla deriva! Non vuoi farti una ragione della sua esistenza” ribatto duramente.
“No, infatti. E non credo l’accetterò mai!” conclude amareggiata, voltando i tacchi e andandosene via, aprendo e chiudendo quella porta con furia.
Sono stanco di questa storia.
Non ne posso più.
Rilasso le spalle e lentamente mi accascio su una poltrona, facendo cadere indietro la testa e chiudere gli occhi nella speranza che una volta riaperti si tratti soltanto di un incubo.




***





“Mio dio” esclama Dana osservandomi perplessa.
“E’ così evidente?” chiedo, preoccupata.
“Si intravedono tre dita e mezzo sulla tua guancia sinistra. Metti questa busta di ghiaccio, allieverà il bruciore” mi consiglia, porgendomi un sacchettino gelido, che immediatamente adagio sul mio viso, venendo pervasa da una magnifica sensazione di freschezza.
“Brucia” aggiungo, in tono lamentoso, premendo quel sacco surgelato che mi sta paralizzando metà faccia.
Io non riesco a credere a ciò che mi è appena successo. È avvenuto tutto così rapidamente che non ho fatto in tempo a difendermi. Una serie di battute sprezzanti e poi mi sono ritrovata cinque dita sul mio volto. Ero troppo sconvolta che non ho capito cosa sia successo dopo. Ho solo visto Boris trascinare Eva fuori dalla caffetteria.
“Si può sapere che le è preso?” domanda poi, giustamente.
Non ho il tempo di risponderle, perché vengo fermata dall’arrivo di qualcuno, ovvero l’ultima persona che avrei voluto vedere oggi.
“ E tu che ci fai qui? E’ già passata la tua mogliettina poco fa!” dice, con aria minacciosa Dana, rivolgendosi ad un Hiwatari che con sguardo impassibile le consiglia di andare via. “Puoi lasciarci soli?”.





***




Volevo vedere con i miei occhi ciò di cui sono venuto a conoscenza poco fa. Così, dopo essermi preparato psicologicamente, ho deciso di venire qui a constatare di persona.
Una volta entrato in bagno, vengo accolto dallo sguardo contrariato di quella cameriera, che, dopo aver ricevuto il consenso di Anya, ci lascia da soli, seppur controvoglia.
Avanzo lentamente, osservando la figura di Anya seduta su una sedia al centro della stanza a premersi un sacchetto di ghiaccio sulla faccia. I suoi occhi, accigliati, puntano altrove, come infastiditi dalla mia presenza.
“Che ci fai qui?” domanda seccata.
“Fa’ vedere!” dico, invitandola a scoprire l’altra metà del volto.
“ Ascolta, Kai, non…”.
“Ho detto, fa’ vedere” ripeto categorico, avvicinandomi ancor di più a lei, che messa sotto pressione dalla mia presenza, si decide, di mala voglia a togliere la busta dalla faccia e quello che vedo mi lascia alquanto allibito.
Ci sono chiari segni di uno schiaffo sul viso.
Chiudo gli occhi, respirando sonoramente, facendo fatica a credere a ciò che ho appena visto.
Non posso crederci: l’ha fatto veramente!
“Visto? Contento?” dice ironica, rimettendosi sulla guancia il ghiaccio e tornando a guardare altrove, accavallando una gamba per poggiare il gomito su di essa.
“Si può sapere cos’è successo?” chiedo, in tono stanco.
“Perché non lo chiedi a lei! O hai paura che ti dia un pugno?”.
Ah, facciamo le spiritose.




***




Si può sapere cos’è venuto a fare?  A vedere con i suoi occhi la ferocia di sua moglie?
Ho già subito troppo oggi e la sua presenza mi infastidisce. Dovrebbe intuirlo dal fatto che resto a fissare altrove, nella speranza che vada via.
“Anya, ho trovato questa pomata nella cassetta del primo soccorso, dovrebbe alleviare il bruciore” spiega Dana, irrompendo nella stanza e porgendomi il tubicino di pomata, che gli viene strappato dalle mani di Hiwatari, ancora prima che lo prendessi io.
“Puoi andare” gli ordina poi, in tono serio, beccandosi un’occhiataccia dall’altra, che contrariata, volta i tacchi e se ne va.
Si può sapere perché sta togliendo il tappo?
“Allora…che vi siete dette?” torna a domandare, mentre preme il tubicino facendo cadere un po’ di pomata sul suo dito, sotto il mio sguardo scettico.
Si può sapere che sta facendo?
Poggia il flacone sul lavandino e avvicina il dito alla mia faccia, togliendo con l’altra la busta di ghiaccio che stavo premendo sulla guancia.
Ma che fa?
“Allora?”.
“Ma che fai?” domando, stranita dal suo atteggiamento.
“Sta’ ferma e limitati a rispondere alla mia domanda!” asserisce categorico, premendo il suo dito sulla mia guancia iniziando a formare dei cerchi, che si espandono sempre di più.
Rimango scettica di fronte a questa scena, così tanto da non riuscire a muovermi e oppormi. Non sembra intenzionato a lasciarmi andare finché non parlerò.
Il mio viso è leggermente girato verso destra, con la guancia rivolta in sua direzione e spostando gli occhi, riesco a vedere il suo viso serio mentre applica questa pomata rinfrescante.
Beh, aveva ragione Dana, sta alleviando il bruciore.
Sarebbe una sensazione di freschezza meravigliosa e rilassante se non fosse per il fatto che è la mano di Hiwatari a spalmarla sul mio viso.
“Sto aspettando”.
“Ha cominciato a dire delle cose insensate sul fatto che avrei dovuto abortire anni fa”. A questa rivelazione, quei movimenti circolari del suo dito iniziano a rallentare e i suoi occhi si spostano accigliati sui miei. “E che ho rovinato la vostra vita e mi ha detto anche della finta gravidanza”. Adesso il suo dito ha smesso di muoversi e noto il suo petto gonfiarsi. “Poi sono partite una serie di… frecciatine e battute poco carine da parte di entrambe e infine…” mi interrompo, facendogli intuire il resto della storia.
Socchiude gli occhi sospirando, e allontana la sua mano dal mio volto, portandola al lavabo per sciacquarla dai residui di pomata.
Poi richiude il tubicino e si poggia di schiena sul lavandino espirando sonoramente, sotto il mio sguardo confuso.
“Cosa dovrei fare?”.
Dal modo in cui ha pronunciato quella domanda, sembra stia parlando con se stesso.
“Prima di tutto, voglio che Hope ritorni a casa con me. Non voglio che prenda a schiaffi anche mia figlia!” affermo categorica.
“Andiamo, non lo farebbe mai!” esclama, incrociando le braccia al petto.
“Davvero?” dico, indicando la mia faccia per rinfrescargli la memoria. E in tutta risposta si limita a roteare gli occhi, consapevole del fatto che –sì, potrebbe farlo, arrivati a questo punto-.
Passano alcuni secondi di silenzio.
“Immagino non verrai all’incontro a scuola…” mi ricorda.
Neanche per sogno!
“Pensano già che tu mi tradisca, immagina se vedessero questo, penserebbero persino che il mio finto marito mi picchi!” puntualizzo.
La sua espressione sembra divertita, anche se non lo dà a vedere, poi si alza, incamminandosi verso la porta.
“Passerò stasera per portarti Hope” mi avvisa, prima di uscire, lasciandomi qui, con la mascella appiccicosa e dolorante.
Cavolo se fa male…
Hernandez, questa me la paghi.








***





Rientro finalmente a casa dopo una lunga e faticosa giornata. Sono ancora sconvolto per ciò che è successo e faccio fatica a credere che Eva abbia alzato le mani ad Anya. Se non l’avessi visto con i miei occhi, sarebbe stato difficile da credere, pur consapevole del fatto che quella donna è capace di fare qualsiasi cosa per rabbia o vendetta.
Chiudo la porta di casa e mi fermo un attimo, di fronte alla vista di enormi valigie e scatoloni che intralciano il mio cammino e mi costringono a scavalcarli o passarci con difficoltà in mezzo.
Che sta succedendo?
A passi lenti, salgo al piano di sopra e arrivo in camera da letto dove trovo Eva alle prese con la cerniera di una valigia.
“Che stai facendo?” chiedo, prendendola di sorpresa.
“Quello che avrei dovuto fare tanto tempo fa!” esordisce, riuscendo finalmente a chiudere il trolley.
“Me ne vado Kai, sono stanca di essere trattata in questo modo, non lo merito!” afferma, fissandomi con astio. “Ho capito che le cose non cambieranno mai, quindi perché continuare a soffrire per niente?” aggiunge, con occhi arrossati. “Ho passato tutti questi anni cercando inutilmente di cambiarti. La verità è che tu non mi meriti, Kai Hiwatari!”.
Prende il suo cellulare, la borsa e il trolley, rimanendo qui in piedi di fronte a me, attendendo una mia risposta.
“Sono sicuro che là fuori c’è qualcuno che ti merita più di me” asserisco con tono freddo e distaccato.
Lei rimane ferma e rigida nella sua posizione. Dal suo modo di serrare le labbra intuisco che vorrebbe rispondere a tono o aggiungere altro, ma si limita a sorridere stizzita e arrendevole.
“A presto Kai” saluta poi, avanzando lentamente verso la porta, trascinando il suo trolley “ti farò contattare dal mio avvocato” conclude poi, andando via.
Sono immobile, al centro di questa stanza ad attendere che il rumore della porta di casa mi segnali il fatto che sia andata via, stavolta per sempre.
Stringo un pugno, rimuginando su quanto successo in questa giornata.
“Reina!” richiamo la cameriera, che immediatamente si precipita in stanza, osservandomi timorosa.
Probabilmente anche lei sarà sconvolta da tutti questi eventi.
“Sì, Signor Hiwatari, mi dica!” e dal suo tono, ne ricevo la conferma.
“Raccogli tutte le cose di Eva e spediscile a casa dei suoi!” le ordino con tono rigoroso, rimanendo di spalle.
“Sì, sarà fatto!”. E immediatamente va via.
Silenzio.
Riempio i polmoni di aria, chiudendo gli occhi mentre avanzo verso il letto. Mi siedo e poi cado di schiena su di esso, riaprendo le pesanti palpebre per constatare il fatto che sia tutto reale intorno a me.
Stavolta sembra essere finita davvero.























Eccoci qui, alla fine di questo capitolo, che vede la sua tragica fine con l’immagine di Eva che abbandona villa Hiwatari.
Ebbene sì. Sembra essere andata via sul serio e forse persino Kai fa fatica a crederci, abituato ormai alle solite sceneggiate da film della bionda che va e viene e i continui tira e molla e bla bla bla.
Che Eva si sia veramente stancata e abbia aperto gli occhi? Si è resa conto che lei e Kai non possono proseguire questa strana relazione?
Kai come si sentirà in seguito a questo abbandono?
Ma Eva è veramente andata via?
Beh, diciamo che stavolta Lei l’ha fatta grossa dando quello schiaffo alla povera Anya. La gelosia, l’invidia, la rabbia l’hanno portata a compiere questo gesto orribile. Persino Kai ne è rimasto sconvolto, tanto da voler andare a vedere con i suoi occhi la faccia di Anya.
Inoltre, si è offerto nel soccorrerla applicandole la pomatina sulla guancia XD (aaaaaw*Nd Tutti) Come interpretare questo gesto? Un modo per chiedere scusa per ciò che la sua pazza moglie ha fatto? Un modo per costringerla a raccontargli cosa fosse successo? Difficile da dire, visto i modi seri e autoritari che utilizza per ottenere le cose XD Ad ogni modo, ho voluto scrivere di questa scena per spezzare una lancia a favore di Hiwatari. Forse ha un lato umano anche lui?
Lo vedremo a tempo debito.
Boris, invece ha avuto una sorta di chiarimento col padre, anche se, ahimé, non è andata come il vecchio sperava. Insomma, cosa pretendeva? Che si riabbracciassero felici e contenti? Ma non penso che finirà qui…mi sono venute altre idee in mente e probabilmente ritorneremo sull’argomento u_u.
Ora penserete: Yuhu!! Quella serpe di Eva è andata via e le cose miglioreranno per tutti!!
Mmmmh, non esattamente! U-u

Grazie mille a chi lascia una recensione, a chi legge silenziosamente e a chi l’ha messa tra seguite/preferite! *_*

Al prossimo aggiornamento!

   
 
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