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Autore: Pandora_chan    03/10/2020    2 recensioni
{Questa storia partecipa al #Writober2020 indetto dal sito “Fanwriter.it”}
Li vedi i cuori sconfitti. Sono quelli che in treno fissano un riflesso sul vetro anziché il cielo che è fuori.
Hanno occhi che bisbigliano “ormai è tardi”.
(Fabrizio Caramagna)
________
Coppia: Ugetsu Murata - Akihiko Kaji
Prompt:
Capitolo 1 - RIFLESSO
Capitolo 2 - DOMESTIC
Capitolo 3 - HANAHAKI
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akihiko Kaji, Ugetsu Murata
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito Fanwriter.it

 
Behind The Eyes
Prompt 3 – Hanahaki
 
Quel fine settimana Natsu ebbe un’idea fantastica su dove poter passare delle ore da solo con Ugetsu. Lo prese il sabato mattina e lo caricò letteralmente in macchina. Non ne poteva più del caos cittadino e delle telefonate dei media e dei manager.
Aveva bisogno di stare con lui, di ritrovare un po’ di intimità che in quei mesi si era persa. Erano passati diversi mesi ormai dalla rottura definitiva del cordone ombelicale che legava Ugetsu ad Akihiko e in quei mesi i due lavorarono molto sul loro rapporto. Sulla loro quotidianità, sul loro benessere psichico e fisico.
Natsu si comportò amorevolmente nei confronti del violinista, ed Ugetsu riprese piano piano a sorridergli. Un sorriso sincero, ricco di sentimento. Non lo stava prendendo in giro, non era rimasto con lui solo perché lo aveva pregato. Restò con lui perché, infondo, quei gesti piacevano anche a lui. Cominciò a sentirsi una persona migliore affianco a Natsu. Riusciva a renderlo felice anche col semplice gesto di preparargli il caffè.
La macchina sorpassò il cartello dell’autostrada e la destinazione era ancora un mistero per Ugetsu.
I suoi gusti in fatto di viaggi erano particolari: odiava il caos, non amava il mare e preferiva i luoghi isolati e lontani da tutti. Non seppe nulla fino a che non furono arrivati. Natsu lo invitò a scendere dalla macchina ed ammirare, da quella altura, il panorama che avevano davanti. Era una piccola locanda di montagna, ma dotata di tutti i comfort, inclusa una piccola fonte termale completamente privata. Avrebbero potuto godere per qualche giorno di quel posto, rilassandosi completamente e senza pensare a nulla.

Arrivarono e scaricarono le borse dalla macchina, Natsu disse a Ugetsu di aspettarlo in casa. Si allontanò per avvertire i padroni nel loro arrivo e per ordinare una piccola cena in camera. Ugetsu si ritrovò solo e iniziò a disfare la sua borsa. Portò con sé poche cose, visto il tempo ridotto che avevano a disposizione. Natsu ritardò il suo ritorno nella loro stanza e quando arrivò trovo Ugetsu già all’interno delle terme che avevano a disposizione. Un bagno caldo era quello che ci volle per entrambi per riprendere dalle ore di viaggio. Lo raggiunse e si accomodò vicino a lui.
Osservarono le stelle e parlarono di quanto accaduto in quegli ultimi mesi. Iniziarono a farlo pochi giorni dopo quel trambusto. Parlare, niente di più. Parlare anche della più piccola sensazione che scaturiva dalla loro mente. Entrambi, senza riserve. Spesso finirono per litigare, urlarsi addosso che l’altro non capiva. E spesso finirono per far pace, per darsi ragione entrambi o per non dar ragione a nessuno.
«Come ti senti dopo questo piccolo viaggio? Ti piace il posto?» Domandò Natsu, accarezzando il corpo del violinista.
«Sto bene Natsu e… e questo posto è stupendo. Davvero. Un piccolo angolo di paradiso sperduto nel mondo. Ascolta il silenzio, com’è rilassante.» Trattenne leggermente il fiato nel rispondere al suo ragazzo. Era qualche giorno che iniziava ad accusare dei piccoli fastidi all’altezza del petto, ma non disse nulla. Non volle dire nulla. Tossì leggermente, piccoli colpi di tosse che fecero subito preoccupare Natsu.
«Rientriamo. A breve porteranno la cena, andiamoci a preparare. Siamo stati abbastanza in acqua.» Uscirono dall’acqua insieme e rientrarono per prepararsi per la cena. Indossarono uno yukata per rimanere comodi. Non sarebbero usciti quella sera, e forse neanche quella dopo.
getsu portò con sé il violino, e quella sera stessa, dopo aver cenato, volle regalare al compagno una breve esibizione. I suoi occhi mentre suonava risultavano brillanti, vivi.
Durante la notte la tosse aumentò leggermente, tanto da impedirgli di riposare bene. Si alzò dal futon che condivideva con Natsu ed uscì sulla veranda. La tosse sembrava non dargli pace, bevve un sorso d’acqua ma niente. Si portò la mano alla mano, come a contenere un piccolo conato di vomito. Sentiva qualcosa ostruirgli la gola e tossì di nuovo. Sulla mano si trovò un piccolo, minuscolo petalo di fiore. Doveva averlo ingerito per sbaglio li fuori, pensò.
Dopo che si fu calmato rientrò e si sdraiò accanto al suo uomo, accoccolandosi e godendo del calore emanato dal suo corpo.

Si svegliò prima di Ugetsu e restò fermo ad osservarne i lineamenti gentili e femminili che caratterizzavano il suo volto. Lo vide rilassarsi al tocco delle sue mani, lo vide sorridere allo sfioramento delle sue labbra. Lo vide aprire gli occhi quando iniziò a lasciare una piccola scia di baci sul suo volto. Amava quel volto, amava quell’ espressione e amava osservarlo appena sveglio.
La pace durò poco, un nuovo attaccò colpi improvvisamente Ugetsu, il quale si alzò improvvisamente e cominciò a tossire forte, non come la sera prima, ma più gravemente. Scappò via da Natsu e si chiuse in bagno. Non capì subito cosa stesse succedendo, si sentiva la gola chiusa, si sentiva incapace di respirare e l’aria iniziava a mancargli sempre più. Tossì di nuovo, e sempre più forte. Vide fuoriuscire dalla sua bocca alcuni petali simili a quelli della sera prima. Si spaventò. Cosa stava accadendo al suo corpo?
«Ugetsu. Ugetsu, per favore aprimi! Dannazione apri questa porta.» Bussò forte fino a farsi male alla mano, bussò ma nessuno aprì la porta. Bussò di nuovo e urlò il nome del suo compagno con tutto il fiato che aveva in gola. Niente. Il silenzio lo investì improvvisamente. Entrò di forza nel bagno e raccolse Ugetsu da terra.
Lo distese sul futon e corse fuori a chiamare i proprietari, chiese loro di indicargli il più vicino degli ospedali e caricò Ugetsu in macchina per raggiungerlo quanto prima. Arrivarono in ospedale, subito i medici cercarono di chiedergli cosa fosse accaduto, ma lui non ne sapeva niente. Lo trovò già privo di sensi. Ricordò di aver visto intorno a lui alcuni petali di fiore, ma non disse nulla ai medici e non diede peso a questo dettaglio.

I medici stabilizzarono Ugetsu e lo lasciarono riposare nella sua stanza. Al suo risveglio trovò Natsu al suo fianco e gli chiese cosa fosse successo. Natsu gli raccontò tutto e dopo aver finito si alzò per cercare un medico per farlo visitare.
«Signore, mi scusi. Può lasciarci un attimo da soli? Ho bisogno di parlare col paziente in privato.»
l dottore rivolse il suo sguardo a Natsu, che guardò a sua volta Ugetsu. Quest’ultimo fece un leggero cenno col capo che tutto fosse apposto e invitò il compagno ad uscire.
«Signor Murata. Mi sa dire da quanto tempo ha questi specie di attacchi?» ll medico parlò continuando a tenere la testa sui fogli che aveva in mano ed a scriverci sopra qualcosa.
«Non lo so dottore, è iniziato tutto una… forse due settimane fa. Una leggera tosse senza darci troppo peso… poi… poi ieri sera…Dopo aver tossito ho visto sulla mia mano questo. Ma penso provenga da fuori, potrei averne ingoiato uno per errore mentre facevo il bagno»
Mostrò al dottore il piccolo petalo che aveva raccolta dalla veranda dello chalet. Ed il dottore lo osservò in silenzio.
«Signor Murata, le abbiamo fatto una lastra ai polmoni sulla base di quanto raccontatoci dal suo compagno. Questi piccoli petali non provengono dalle piante fuori la locanda.» Si fermò alla ricerca delle parole giuste da usare e poi riprese «Lei ha mai sentito parlare dell’Hanahaki?» Attese qualche secondo per dar tempo al paziente di realizzare cosa fosse e quando negò di aver mai sentito parlare di questo il medico proseguì nel suo discorso.
«L’Hanahaki è una malattia autoimmune presente nel nostro corpo. Si manifesta inizialmente con sintomi come spossatezza, stanchezza ed una leggera tosse. Più questa malattia viene trascurata più i suoi sintomi peggiorano. La tosse aumenta la sua forza, si inizia a percepire un’occlusione delle vie aree e subentra l’assenza di ossigeno. Se non curata subito, o addirittura operata chirurgicamente, questa malattia porta all’atrofizzazione completa dei polmoni con conseguente morte del paziente che ne è affetto. Ed uno dei campanelli di allarme di questa malattia è la crescita, all’interno dei polmoni di piccole piante o fiori, che vengono buttati fuori dal paziente con tosse o vomito.»

Si fermò nuovamente per lasciare tempo a Murata di comprendere bene le sue parole e di capire da solo a quale livello di malattia si ritrovò in così poco tempo.
«Dottore, avrei una domanda.»
«Prego, chieda pure Signor Murata.»
«Cosa porta questa malattia? E cosa intende quando dice che può essere curata subito prima di arrivare a farlo chirurgicamente? E qualora dovesse intervenire chirurgicamente, questo cosa potrebbe comportare?» Lo sguardo di Ugetsu si posò sul medico, quasi come a chiedergli scusa per tutte quelle domande insieme. Il medico si schiarì la voce e iniziò a parlare.
Gli spiegò che quella malattia autoimmune era causata dal profondo amore verso una persona e che questo amore risultava non essere corrisposto. Che il corpo della persona malata sarebbe guarito autonomamente se questo amore fosse sbocciato tra le due persone coinvolte. Che sì, poteva intervenire chirurgicamente ma che se lo avesse fatto avrebbe perso la capacità di amare, di provare emozioni. Ma anche che se questo amore fosse rimasto non corrisposto l’avrebbe portato certamente alla morte.

Restò solo dopo il colloquio col medico ed aspettò che Natsu fosse tornato in stanza. Aveva già firmato le dimissioni e sarebbe tornato alla locanda per godersi quei giorni di relax con lui.
Riflettè molto su quanto dettogli dal medico. Un amore non corrisposto… un amore infelice… un amore a senso unico. Ma lui aveva Natsu. Imparò ad amarlo in quei mesi. Imparò a stare con lui. Imparò ad essere felice con lui. Possibile che tutto questo non bastasse? Possibile che quell’amore non risultasse così tanto forte al suo corpo?
Non volle pensarci ancora. Amava Natsu. Non come e non quanto avesse mai amato Akihiko, ma lo amava sul serio.
Quando tornarono Natsu si prese cura di lui, lo coccolò, lo aiutò a cambiarsi e a stendersi nel futon. Si fece preparare per lui qualcosa di caldo e lo aiutò a mangiarlo. Si distesero vicini e si addormentarono.
La notte non fu una delle migliori per Ugetsu. L’assenza di ossigeno peggiorava, sentiva la sua gola sempre più oppressa e più aumentava l’ampiezza dei suoi respiri più li sentiva morire prima di poter far fuoriuscire aria dalla bocca.
Iniziò a pensare a quanto il medico gli avesse detto e alla sua decisione di non dire nulla a Natsu. Ce la stava mettendo tutta con lui, ma forse non abbastanza per il suo esile corpo. Non abbastanza da convincerlo che il loro poteva essere un nuovo e vero amore, un amore profondo. Poteva mentire a tutti, anche a sé stesso, ma non al suo corpo e lo capì in quei giorni.
«Che ne pensi di soggiornare qui ancora un po’? Io non impegni e potremmo rilassarci ancora qualche giorno. Ti va?»
Ugetsu non voleva far rientro in città. Voleva rendere a Natsu quanto lo stesso gli aveva donato in quegli anni. I suoi sintomi peggioravano e in una telefonata avuta con il medico rifiutò l’approccio chirurgico.
“Meglio avere ancora poco tempo a disposizione, che vivere una vita senza sentimenti. Ne conviene con me, Dottore?” e nell’udire queste sue parole il medico non poté fare altro che appoggiarlo in quella sua scelta. Gli disse di tenersi pronto al peggio e di tenere il suo numero sempre a portata di mano e di darlo a Natsu, così da poterlo contattare qualora ci fosse stato bisogno.
Non lo fece. Non disse mai nulla a Natsu di quello che stava accadendo. Continuò a stargli accanto suonandogli, facendosi accarezzare e coccolare. Donandosi a lui in tutta la sua interezza e donando a Natsu quella dolcezza e quella affettuosità che fino ad allora evitò di ostentare.
«Senti Natsu… Perché non scendi un attimo in città con la macchina e vai a noleggiare quel film che volevamo tanto vedere insieme?» Ugetsu glielo chiese sorridendo. Un sorriso sincero, seppur forzato a causa della malattia. «Dai, voglio vederlo! Su, su prendi la macchina e vai.”
Quasi lo cacciò dalla stanza e ridendo Natsu si voltò verso di lui e gli stampò un bacio sulle labbra. Durò qualche secondo di più del dovuto, ne approfondì gli odori, i sapori e le sensazioni.
«Va bene, va bene! Vado! Però tu aspettami sveglio eh… non ti addormentare.» sorrise uscendo dalla stanza e lo salutò con la mano.
“No, non mi addormenterò. Al tuo ritorno mi troverai qui. Per te, per me, per noi.”
Fece risuonare queste parole nella sua testa. Poi tutto fu molto veloce.
Si accasciò a terra, l’aria che non passava più e la paura che prese il sopravvento. Si lasciò cadere a peso morto, nel vuoto. Si lasciò andare al dolore. Lasciò cadere quelle lacrime che da giorni stava trattenendo. Si liberò dall’angoscia. Da un amore non corrisposto e liberò Natsu da quell’amore che non li avrebbe portati da nessuna parte.
Abbandonò così quella vita che lo aveva distrutto dall’interno.
Al suo ritorno Natsu lo trovò disteso a terra, a nulla valsero i soccorsi e a nulla valse contattare il medico che lo curò qualche tempo prima. Trovò solo due righe, scritte forse il giorno che lo portò all’ospedale.

 
“Ti ho amato e anche tanto, ma non abbastanza. Avrei potuto fare di più, ho provato a fare di più e nonostante tutto non era abbastanza. Non è colpa tua, non è colpa di Aki… La colpa mia che sono rimasto ancorato ad un amore che mi ha logorato dentro. Mi ha reso incapace di amare di nuovo e mi ha portato alla morte. Non sentirti in colpa. Ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre. Ugetsu”
 
 
“But my dreams they aren't this empty
As my conscience seems to be
I have hours, only lonely
My love is vengeance
That's never free”
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NdA: eccoci giunti al capitolo finale di questa mia mini-long… Vi prego, non odiatemi! È la prima volta che scrivo sull’hanahaki e nel testo viene spiegato di cosa si tratta. Ho voluto mantenere una linea angst, drammatica. Perciò, il finale è quello che leggete. 
I versi che trovate alla fine di ogni capitolo sono parti della canzone dei Limpt Bizkit “Behind Blue Eyes” dalla quale è tratto il titolo di questa storia.
Spero come sempre sia stata di vostro gradimento e vi ringrazio anticipatamente per essere passati di qua! 😊
   
 
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