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Autore: crazy lion    04/10/2020    3 recensioni
È la notte di Halloween. I genitori e Dallas portano la piccola Madison al luna park, mentre Demi è rimasta al lavoro. Tutti sanno che il 31 ottobre fa paura, ma a terrorizzare la famiglia non sono i travestimenti dei bambini, ai quali non fanno tanto caso. Tutti sono più spaventati da quelli creati dai problemi che stanno vivendo, con Dianna che nasconde i propri e Demetria che è uscita da alcuni mesi dalla Timberline Knolls. La famiglia, però, decide di accantonare tutto questo per un momento. Demi riuscirà ad aggiungersi al loro gruppo? E sarà capace di lasciare da parte le sue difficoltà per passare una serata a divertirsi?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale per gli altri personaggi famosi di cui ho parlato.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LUNA PARK A LOS ANGELES

 
Demi era al lavoro, quella sera. A Madison mancava, ma non avrebbe certo potuto chiederle di andare al luna park con lei, i genitori e Dallas, nemmeno la notte di Halloween. Demetria era uscita dalla Timberline Knolls da nove mesi e lottava per guarire. Le diceva di stare bene, ma lei a volte la sentiva piangere e vomitare e vedeva le fasciature alle braccia. Ogni tanto ne parlavano insieme, ma a soli nove anni la piccola non si rendeva del tutto conto di quanto difficile fosse la situazione.
Sospirò, decidendo di rilassarsi per un po’.
“Eccoci!” trillò, quando giunsero in centro città.
Seguendo la musica suonata da un complesso di cinque musicisti, composta principalmente da walzer, mazurche e tanghi, arrivarono in una grande piazza piena di gente. Tutti camminavano, chiacchieravano, andavano sulle giostre, mangiavano, i bambini correvano e saltavano felici. La maggior parte di loro era in maschera. I bimbi prediligevano travestimenti da diavolo o strega – molte bimbe portavano in testa un cappello nero a punta e avevano gli occhi truccati –, ma c’era anche qualche adulto mascherato da diavolo, e un signore con il costume da vampiro e il pomodoro attorno alla bocca per simulare il sangue. L’ambiente non era affatto tranquillo, anzi, troppo caotico per i gusti della famiglia, che però venne subito attirata dalle bancarelle e dalle attrazioni.
 
 
 
“Mamma, andiamo sugli autoscontri?” trillò Dallas.
“Va bene.”
Dianna tremò, ma usciva così poco a divertirsi che non era il caso di astenersi per un po’ di agitazione. Per quella sera, l’ansia non la stava assalendo. In macchina non aveva avuto, come invece accadeva spesso, la sensazione di aver dimenticato qualcosa, né passato in rassegna ciò che c’era nella sua borsa per paura che un oggetto fosse rimasto a casa. Quel pomeriggio, sempre all’insaputa di tutti – nessuno doveva venire a conoscenza dei suoi problemi, o l’avrebbero considerata debole – aveva preso lo Xanax, forse era anche per questo che ora stava meglio. Come gli altri, anche lei non indossava nessuna maschera, bensì pantaloni e maglia neri, con sopra una leggera felpa dello stesso colore per proteggersi dall’aria frizzante che non la smetteva di spirare.
Eddie e Madison restarono in disparte mentre le due salivano e si andavano addosso, oppure si evitavano e venivano colpite da qualcun altro. La musica era altissima e le due udivano solo quella e la voce di una donna che, al microfono, incitava tutti a ripartire al giro successivo. Dianna faticava a mantenere la concentrazione. Riusciva a capire quando qualcuno le andava addosso poco prima che il colpo arrivasse, ma non aveva molto tempo per prepararsi. Che sarebbe successo se avesse fatto del male a una persona? O se fosse stata ferita? Era improbabile, lo sapeva, ma non riusciva a smettere di pensarlo. Le girava la testa. Il suo respiro accelerò e i battiti aumentarono vertiginosamente.
Dio, mi verrà un attacco di panico!
Avrebbe voluto urlare, tuttavia aprì la bocca e non ne uscì alcun suono. Un sudore freddo le colò dalla fronte, ma proprio quando prese a iperventilare l’autoscontro si fermò.
“Grazie, Signore” mormorò, senza forze.
Scese tremando così tanto da faticare a restare in piedi.
“Mamma!”
Dallas le fu subito accanto e, mentre Dianna ripeteva senza sosta “Non farò mai più una cosa del genere”, la figlia la aiutò a sedersi su uno degli scalini che portavano alla pista degli autoscontri.
“Scusa, non avrei dovuto farti salire” le disse, poi sospirò. “Sei pallidissima.”
“No, in realtà pensavo sarebbe stato divertente, anche se un po’ spaventoso, ma non immaginavo che avrei avuto tanta paura. Non hai nessuna colpa, Dallas.”
L’altra si sentì più tranquilla e in pace con se stessa.
Dianna stava così male che si isolò dagli altri. Continuava a sudare freddo. Eddie le parlava e anche Madison, con una vocetta più acuta del normale, ma lei non li udiva. Si mise una mano davanti al viso e fu colta da un conato di vomito, mentre il tremore le impediva di controllare i movimenti del proprio corpo. Braccia e gambe sembravano voler fare ciò che piaceva a loro. Il marito le mise in mano qualcosa e ci vollero alcuni secondi prima che si rendesse conto che si trattava di una bottiglietta d’acqua. La strinse più forte per evitare che il tremore alle mani la facesse cadere.
“Bevi piano, amore” le suggerì il marito.
Anche se l’istinto le imponeva di finirla in pochi sorsi per calmarsi dopo quello spavento, Dianna respirò a fondo, contò fino a dieci e, con fatica, si impose di seguire quel consiglio. Dopo qualche momento il tremore cessò, il cuore riprese a battere regolarmente, l’ambiente smise di girare come una trottola impazzita e lei si sentì di nuovo in contatto con la realtà.
“Scusatemi, non mi aspettavo di avere una reazione del genere, adesso” asserì, la voce arrochita.
Bevve ancora.
“Mi hai fatta spaventare, mamma. Ti parlavamo e non rispondevi” le disse, sull’orlo di un pianto.
La piccola continuava a guardarla, con gli occhi color miele colmi di preoccupazione.
“Mi dispiace, tesoro.”
Non avrebbe mai voluto terrorizzare la figlia a quel modo, vedeva le lacrime che le riempivano gli occhi anche se Madison si affrettò a nasconderli con una mano. Si alzò e la abbracciò assicurandole che ora stava bene.
“Ha solo avuto tanta paura, Maddie. È normale se si fa un’esperienza nuova come quella e non si sa cosa aspettarsi” le spiegò Eddie.
“Esatto. Ma la mamma è forte, hai visto? L’ha superata” aggiunse Dallas.
Madison si asciugò gli occhi e ritrovò finalmente il sorriso, anche se Dianna sospettava che non avrebbe dimenticato quanto accaduto.
I quattro iniziarono a camminare fra le bancarelle, quando udirono una voce alle loro spalle.
“Ciao!”
Maddie si voltò di scatto, seguita dagli altri.
“Demi, che ci fai qui?” chiese la sua sorellina, abbracciandola.
“Ho pensato di staccare un po’ e venire.”
Sorrise.
“Vorrei andare sul bruco mela” disse Dallas. “Vieni, Madison?”
“No, non mi piacciono molto le giostre, lo sai. E comunque è per bambini, che cosa ci vai a fare?”
“La adoro perché è tranquilla.”
“Ti accompagno, ma non salgo” le disse la madre.
Ne aveva avuto abbastanza per quella sera.
“Le accompagno, allora, per calmare Dallas nel caso si spaventi troppo” disse Eddie ridendo.
“Ehi! Io non mi spavento” ribatté quest’ultima.
“Vado un po’ in giro con Maddie, allora” li avvertì Demi. “Ci ritroviamo qui?”
“D’accordo, e tieni sempre il cellulare acceso” si raccomandò la madre.
 
 
 
Rimaste sole, Demi e Madison si guardarono. La cantante si era diretta lì più perché sapeva che alla sorella avrebbe fatto piacere che perché le andasse davvero. Anche lei indossava abiti neri, benché a volte lo facesse in occasioni diverse dalla notte di Halloween. Quando Maddie, mesi prima, gliene aveva chiesto la ragione – ci aveva provato altre volte in passato, ricevendo solo monosillabi o arrabbiature – la sorella le aveva risposto che si vestiva così perché la sua anima era triste come quel colore. Parole che l’avevano colpita tanto che la bambina non aveva saputo cosa rispondere.
Quel giorno, per Demi, era stato orribile come il precedente. Non era successo nulla ma la mattina prima aveva avuto una ricaduta. Si sistemò la maglia a maniche lunghe in un gesto automatico, sperando che le fasciature non si vedessero anche se, l’indomani, ne avrebbe parlato con i genitori, come stava imparando a fare. I tagli, pochi per fortuna, bruciavano ancora, ma li aveva curati bene e il trucco era non muovere troppo le braccia e non pensare al forte prurito, anche se era difficilissimo. Ci aveva anche messo del ghiaccio per alleviare il bruciore, nel pomeriggio.
Cerca di distrarti, almeno per qualche minuto pensò.
“Andiamo a prendere lo zucchero filato?” le chiese Maddie leccandosi le labbra.
“Non ho fame.” La risposta arrivò repentina, aveva pronunciato quella frase migliaia di volte negli ultimi anni. Ma non udiva le voci, quella sera, il che era strano perché arrivavano quando pensava al cibo. “Anzi, sai cosa? Prenderò i popcorn.”
Certo, avevano tante calorie, ma meno zuccheri e più sale, quindi le avrebbero dato l’impressione di farla ingrassare di meno. Poco dopo, sedute su un muretto, le due sorelle sgranocchiavano ognuna il proprio spuntino. Demi si sforzò di non succhiare il cibo fino allo sfinimento.
Pensa che il cibo non è tuo nemico, che ti fa bene, che è come la benzina per la macchina.
Si ripeté nella testa le parole che aveva sentito pronunciare dai professionisti in clinica e dalle sue compagne, quando chi stava meglio aiutava le altre. Mangiò piano e scoprì che, come a volte era già capitato in quei mesi, iniziava a sentire davvero il sapore del cibo dopo tanto tempo, che anche in quel momento le piaceva. Se lo stava godendo, non si abbuffava per poi vomitare durante un attacco di bulimia, né lo rifiutava o si nutriva pochissimo pensando di rimettere a causa dell’anoressia. No, mangiava come una persona che si sentiva bene, o perlomeno meglio. Ricacciò indietro il fiotto di lacrime che le stava salendo agli occhi, mentre un senso di sollievo la invadeva.
“Perché piangi?” le chiese Madison. “Stai male?”
“No, sono felice di essere qui con voi. Andiamo a vedere qualcos’altro?”
Camminarono facendosi largo fra la folla e respirando profumi diversi: quello dolce della cioccolata calda, l’altro più forte del caffè, mischiati al terzo delle frittelle che, anche se fuori stagione, venivano cucinate da un paio di donne. Demi ne comprò alcune per la sorella, ma rifiutò con gentilezza quando Madison gliene offrì una. Era bello camminare mano nella mano, anche restando in silenzio, in una serata che Demetria poteva definire, visto il modo in cui si sentiva, abbastanza tranquilla. Tornare a godersi le piccole cose, i momenti quotidiani ma importanti con la sua famiglia o, in quel caso, la sorella minore, per Demi valeva tanto. La riportava un po’ alla vita. Venire lì l’aveva aiutata, anche se fino a pochi minuti prima non ci avrebbe creduto. Le stava migliorando l’umore.
Dietro un banchetto, un signore di mezza età aveva accanto a sé una pistola con cui si poteva sparare a dei barattoli. Madison agitò le braccia in aria e volle provare. Demi le guidò la mano per darle più possibilità di vincere. Non fu facile, ma la bambina ne buttò giù la maggior parte.
“Evvai, evvai! Ce l’ho fatta!” esultò, abbracciando la sorella e ringraziandola.
“Sei stata grande, Madison” si complimentò Demi, con un sorriso sincero a illuminarle il volto.
“Tutte e due lo siamo state.”
Il venditore le fece un applauso e lei gli sorrise, poi le spiegò che avrebbe potuto scegliere tra alcuni peluche. Prese un fantasmino vestito con un lenzuolo bianco e lo chiamò Christine.
“Che bel nome!” esclamò la sorella, fingendo un’allegria che non provava davvero.
Per lei avrebbe fatto di tutto.
La voce del venditore la riportò alla realtà.
“Bravissima, bambina! Dato che hai fatto molti punti, per te c’è un premio in più: puoi entrare nella casa stregata. Sono due stanze in cui vivrai un’esperienza particolare. È per bambini, ma con te deve venire qualcuno.”
“Demi, vieni tu, per favore! Vorrei provare.”
Madison l’aveva sempre considerata la sua eroina, un modello. Se solo avesse saputo quanto si era distrutta e fatta male, in tutti i sensi, negli anni…
“Va bene, vengo” rispose distrattamente, tirandosi indietro una ciocca di capelli castani che il vento le aveva spinto davanti al volto.
L’uomo le guidò in un angolo della piazza dove, isolata dal resto delle attrazioni, c’era una casetta di legno grande quanto il salotto, la cucina e il bagno di casa loro, pensò Madison. Era dipinta di nero.
“Quando entreremo, la porta non si chiuderà a chiave dietro di noi, vero?” domandò Demetria, cercando di mantenere la voce ferma.
Non avrebbe mai voluto rimanere chiusa lì dentro.
“No, non preoccupatevi, potrete uscire quando vorrete. Non c’è nulla di pericoloso e nessuno vi farà del male, ve lo assicuro.”
Le due annuirono.
“Sei sicura di volerlo fare, Maddie?”
“Sì” rispose, decisa.
Aprirono l’uscio con il respiro accelerato. La porta cigolò per eterni istanti, così tanto che i cardini sembravano sul punto di cedere, e si chiuse dietro le due con uno schianto secco. Madison prese la mano della sorella e gliela strinse forte. Demi non si lamentò per il dolore, ma fece una smorfia.
“Non so perché ho accettato questo premio” le sussurrò all’orecchio la bambina.
“Beh, ormai siamo qui. Vediamo cosa troviamo e se avremo troppa paura usciremo, d’accordo?”
“Okay.”
L’unica luce accesa si spense, ma poco dopo la stanza fu appena illuminata da una minuscola lampadina. L’aria era soffocante, faceva troppo caldo e il pavimento era pieno di polvere. Madison tossì e ringraziò il cielo di non essere allergica. Demi guardò in alto. Il soffitto era zeppo di ragnatele, così come i muri.
“Che schifo!” commentò la più piccola.
“Già, mi verrebbe voglia di pulire tutto.”
Percorsero un brevissimo e stretto corridoio nel più assoluto silenzio e, quando aprirono un’altra porta che cigolò sinistramente, una risata malefica invase la casa. Assomigliava a quelle che Maddie aveva sentito a volte nei cartoni, da piccola, quando uscivano dalla bocca del cattivo di turno. Anche se era più grande, le si gelò il sangue nelle vene.
Demi respirò a fondo, mentre un brivido le percorreva la schiena e le braccia. Al centro della stanza c’era una sposa, vestita con un abito color crema e la pelle così bianca da sembrare morta. Eppure era in piedi e le guardava con occhi vitrei.
“È anche lei un fantasma?” sussurrò Madison, temendo che se avesse parlato più forte questa avrebbe sentito e Dio solo sapeva che altro sarebbe stata in grado di fare.
“È finta, Maddie.”
“S-sei sicura?”
La stretta aumentò. E se, invece, fosse stata una donna in carne e ossa? E avesse riso lei? E se quell’uomo si fosse sbagliato e ora lei le avrebbe imprigionate lì e uccise? A nove anni, Madison credeva di essere abbastanza grande per non fare più pensieri così irrazionali. Era un gioco per bimbi, nulla più, eppure la paura stava avendo la meglio su di lei.
“Sicurissima. Non ci farà niente, te lo prometto. È un manichino. Vuoi avvicinarti per toccarla? Ti accompagno.”
“No, no!” Demi era relativamente tranquilla, ma lei non se la sentiva. “Mi fido.”
Allora anche la risata era finta, considerò la bambina. Doveva esserci una radio o un altoparlante da qualche parte. La sposa rimase immobile e le due restarono a guardarla per minuti interi, finché Maddie si convinse.
Pur tremando, Demi si disse che avrebbe dovuto essere forte e fungere da voce della ragione in quella situazione, come aveva appena fatto. Era lei la più grande, perciò era suo compito proteggere e rassicurare la sorella.
All’improvviso, udirono qualcuno che esclamava “Benvenuti all’inferno!” con voce profonda. Sembrava una donna, ma pur cercando anche nell’altra stanza, che come la precedente era quasi del tutto vuota se non per qualche sedia e un divano, non trovaroon nessuno.
“Demi, dove…” tentò Madison, con il respiro mozzato.
La ragazza fece saettare lo sguardo in tutte le direzioni, ma non vide nessuno. Le due sorelle non se la sentirono di chiamare quella persona, di chiederle dove fosse, non avevano nemmeno la forza di parlare. I loro cuori battevano come impazziti e la testa vorticava a entrambe. Demi aveva creduto che sarebbe rimasta sempre calma, ma lì dentro certe cose potevano spaventare anche i grandi.
Un gatto soffiò e Madison cacciò un urlo agghiacciante, tanto da sembrare anche lei una strega. Demi si mise una mano davanti al volto e non riuscì a trattenere un gemito. Anche l’animale era sicuramente finto, ma le due non vollero né controllare, né proseguire la visita.
“Andiamo via di qui, ti prego!” esclamò Maddie. “Voglio uscire.”
Qualche lacrima le rotolò giù dalle guance.
“Perdonami, tesoro, non avrei dovuto farti entrare qui.”
Era tutta colpa sua, se solo non avesse accettato e fosse stata più responsabile, tutto questo non sarebbe accaduto.
“Non importa, io avrei insistito per venirci comunque. E poi, almeno ora sappiamo che abbiamo paura di tutto questo e che non dovremo tornarci mai più.”
Mentre un teschio si materializzava davanti a loro, le due iniziarono a correre e, in breve tempo, si ritrovarono fuori.
Respirare l’aria fresca di quella sera d’ottobre fu come ritornare alla vita. Senza pensare ai suoi problemi con il cibo, Demi si comprò una cioccolata calda e ne prese una anche per Madison, poi le gustarono sedute sul muretto di prima. Poco dopo si riunirono con il resto della famiglia.
Tornando a casa, ognuno raccontò cos’aveva fatto quella sera. Demi e Madison si addormentarono serenamente, pensando che era stato bello passare ancora del tempo insieme.
 
 
 
NOTE:
1. essendo questa una storia più leggera delle mie solite, ho solo accennato ai problemi di Demi, non per mancarle di rispetto, ma perché desideravo che facesse qualcosa di diverso e si distraesse.
2. Dianna ha davvero sofferto d’ansia, prendeva lo Xanax e non usciva di casa se non era tutto in ordine, in più a volte temeva di aver scordato qualcosa. Le sue difficoltà non finivano lì, in quanto soffriva di depressione e anoressia, ma qui non ne ho parlato. Sono tutte informazioni tratte dal suo libro Falling With Wings: A Mother’s Story.
   
 
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