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Autore: Evali    04/10/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Fino alla morte
 
Judith camminò lungo la navata della cattedrale dei servi del Creatore, diretta verso le cucine come d’abitudine, per consumare la sua colazione.
Si era alzata dal letto da poco, alla stessa ora di sempre, nonostante le costanti nausee le provocassero maggior sonnolenza.
Il sole non illuminava ancora totalmente il cielo, il quale, di mattina in mattina, era sempre più cupo, segno che stesse per arrivare l’inverno, prima del previsto.
Improvvisamente, una figura incappucciata all’entrata della cattedrale attirò la sua attenzione.
Un moto di realizzazione la invase, al pensiero della conversazione avvenuta con Blake la mattina precedente.
Doveva trattarsi sicuramente dello stesso individuo che il giorno prima aveva fatto visita alla cattedrale dei servi del Diavolo, terrorizzando il monaco che lo aveva “confessato”.
Quel vile aveva sicuramente parlato, menzionando sia il suo nome che quello di Blake, spaventato com’era.
Non che non si aspettasse una visita simile da un momento all’altro, considerando il progetto che lei e Blake avevano ideato e che stavano portando avanti all’insaputa di anima viva.
Era naturale che prima o poi la setta di stregoni eremiti che vivevano al confine con la palude si sarebbero interessati a loro.
La ragazza si avvicinò in tutta calma all’individuo. – Posso aiutarvi, signore? – domandò.
- Vivete qui?
- Sì. Sono la protetta dei monaci di questa cattedrale e la custode dell’annessa biblioteca. Collaboro nella sistemazione di questo luogo, nella preparazione delle funzioni e li sostituisco con le confessioni talvolta – rispose con naturalezza.
- Vorrei mi confessaste – le disse diretto, restando immobile di fronte a lei.
- Ora?
- Sono qui per questo.
A ciò, la ragazza accennò un sorriso cordiale. – Lo sapete che i servi del Diavolo non possono confessarsi, né compiere altri atti di fede qui dentro, vero? Se siete un servo del Diavolo, come lo sono io, dovreste recarvi nella cattedrale del nostro Signore.
- Non sapete se sono un servo del Diavolo o del Creatore – gli rispose a tono egli, senza alcuna intenzione di togliersi cappuccio e mantello per mostrare il volto. – Dovrete fidarmi della mia parola, temo.
A ciò, Judith annuì e gli fece segno di accomodarsi nella stanza confessionale, raggiungendolo poco dopo.
Non appena si accomodò a sua volta nel lato destinato al confessore, pronunciò le abituali parole di rito.
- In assenza dei monaci del monastero in cui vi trovate, sarò io il vostro confessore, ufficialmente incaricato dai padri di questa cattedrale.
Qual è il peccato che volete confessare, mio signore?
A ciò, Judith, attraverso la rete scura che la divideva dall’altro, intravide le labbra dello sconosciuto incurvarsi, oramai libero dal cappuccio. – Amate alla follia recitare questa farsa, non è vero? – le domandò amaramente divertito.
- Di che farsa state parlando?
- Venire amata e venerata per la vostra bellezza e il vostro acume qui dentro, in questo covo di esseri ripugnanti.
- Vi ricordo che siete in un luogo consacrato. Vi esorto a moderare il linguaggio, altrimenti sarò costretta a farvi uscire di qui.
Tale risposta provocò le risa divertite dell’altro. – Devo ammettere che sapete come farvi valere.
- Dunque, perché siete qui? Qual è la vostra richiesta – domandò schietta.
- La mia “richiesta”…?
- Non siete nella posizione di avanzare altro che richieste.
Vi avverto che sono molto più difficile da spaventare, rispetto al monaco che avete minacciato ieri nell’altra cattedrale.
Dunque, parlate.
- Vedo che siete ben informata.
- Come se ciò vi sorprenda.
So che volete qualcosa da me. Come probabilmente la volete dal mio compagno.
Dunque, dato che non giudico voi e la vostra compagnia né degli sprovveduti, né dei ciarlatani, suppongo vi siate ben informati su di noi prima di incontrarci.
- Dunque supponete anche che abbiamo intrattenuto o a breve intratterremo una bella conversazione anche con il vostro compagno?
- Ovviamente.
- State alzando le mie aspettative su di voi, spero non le deludiate a breve.
- Non ho tutta la mattinata. Vi prego di riferirmi ciò che siete venuto qui a riferirmi.
- Sapete qual è il nostro obiettivo? Sapete per quale motivo siamo interessati alle attività che vengono compiute dentro le cattedrali?
- Posso intuirlo facilmente. Non è un mistero, né un evento da poco il fatto che le esecuzioni siano notevolmente aumentate negli ultimi tempi.
Le vittime sono sempre le stesse: streghe e stregoni, membri della vostra compagnia, per lo più.
Ho parlato con molti di loro, nelle ore precedenti alla loro morte.
Perdonate la franchezza, ma dovreste istruire meglio i componenti della vostra compagnia.
Se solo foste più furbi e meno appariscenti, vi ritrovereste in numero molto maggiore ora.
- Voi siete d’accordo con le esecuzioni che vengono stabilite dai vostri protettori? Avete un ruolo nelle decisioni che vengono prese a riguardo?
A tale domanda, la ragazza accennò un sorriso indefinibile. – Se sono d’accordo o non lo sono, di certo non sono affari che vi concernono.
- Immagino, dunque, non uscirà alcuna informazione dalla vostra bocca riguardo i monaci che hanno voce in capitolo e che influenzano maggiormente le decisioni all’interno del consiglio.  
- Non vi è alcun crudele e spietato giustiziare all’interno delle cattedrali. Mi rincresce darvi tale notizia. Le decisioni che riguardano i condannati vengono prese unanimemente. Cercate un colpevole, ma non ve ne è uno. Ora, se avete terminato tutto ciò che avevate da dirmi, mi accingerei ad andare a consumare la mia colazione, dato che il mio stomaco sta protestando per l’inatteso digiuno mattutino.
- So che state cercando qualcosa in particolare, voi e il vostro compagno.
Non so se avete intenzione di avvalervi della magia per adempiere ai vostri intenti, ma abbiamo già una discreta quantità di informazioni che potrebbero esserci utili.
- Potrebbero esservi utili a minacciarci?
- A giungere a patti con voi. Non concordate con me che, di questi tempi, è necessario avere quanti più alleati possibili?
- Alleati influenti e audaci, immagino. Vi trattate bene – rispose pungente la ragazza. – Siete disperati. So bene quanto lo siete. State venendo brutalmente decimati per dei peccati che neanche conoscete e state soffrendo, per la paura e per il dolore delle vostre perdite.
Dunque, non osate venire da me con l’intenzione di minacciare me e il mio compagno poiché siete venuti a conoscenza di una o due informazioni riguardo la polvere nera.
Non funziona in tal modo, vi avverto, prima che ripetiate lo stesso errore.
Avrete anche dei poteri sovrannaturali dalla vostra, ma anche noi abbiamo le nostre armi.
Se volete il nostro aiuto, non venite a minacciarci o a pretendere la nostra collaborazione senza compromessi.
Voi credete di sapere a cosa auspichiamo, credete di conoscere i nostri propositi e i nostri intenti ma non è così.
Se stiamo combattendo la stessa battaglia, voi non potete saperlo – concluse Judith facendo per uscire dalla stanzetta.
- Se vedeste una persona a voi cara … una persona che amate, sopra quel soppalco, a gridare come una bestia per l’immane dolore arrecatogli da una tortura che spezzerebbe l’anima di angeli e demoni, di dèi e arpie … voi che cosa fareste? Non fareste di tutto per far cessare tutto ciò…? – le domandò il giovane uomo, facendo fuoriuscire per la prima volta dalla sua voce una sincerità e un dolore spiazzanti.
Senza volerlo, Judith esitò, fermandosi, rimanendo dentro la stanzetta, dinnanzi a lui, con quella rete scura a dividere i loro due volti, forse sin troppo simili tra loro.
Trascorsero alcuni minuti di silenzio tra loro, spezzato nuovamente da Ephram. – Che cosa fareste, dunque …?
- Ve lo ripeto, per l’ultima volta: qual è la vostra richiesta?
- Voi avete influenza su di loro. Fategli cambiare idea sui condannati. Avete detto che vi permettono di accedere alle celle per parlare con loro poche ore prima che muoiano, giusto? Prendete tempo. Convinceteli che stanno commettendo un errore, per quanto possibile.
Judith vi rifletté su per qualche secondo, ritrovandosi combattuta.
- Non posso farlo – decretò infine, uscendo dalla sala confessionale in fretta e furia, nascondendosi dietro una delle scalinate più vicine, attendendo che anch’egli uscisse e se ne andasse.
Non seppe quanto tempo trascorse seduta su quelle scalinate, al buio, lontana dalle grandi finestre che permettevano alla luce di entrare nella cattedrale.
Rifletté sulle ultime parole udite, sul proprio proposito di cambiare le cose, di cambiarle dall’interno.
Poi, improvvisamente, come un fulmine, le apparvero nella mente tutti i visi dei condannati con i quali aveva parlato poco prima dell’esecuzione, ognuno stampato a fuoco nella sua memoria.
Una fitta al ventre le fece portare la mano coperta dal guanto di velluto sottile sul punto in cui avvertiva dolore, probabilmente dove quella piccola vita indesiderata stava crescendo dentro di lei.
Solo dopo qualche altro minuto si accorse che altri placidi e rimbombanti rumori avevano rotto il silenzio tombale nel quale era immersa la cattedrale nelle ore lontane alla funzione.
A ciò, Judith si rialzò in piedi e si diresse nuovamente verso la navata semivuota, eccetto che per la nuova presenza che aveva appena fatto il suo ingresso nella struttura, facendosi il segno della croce.
Il volto della giovane servitrice del Creatore dalla pelle scura non risultò completamente nuovo a Judith.
- Buongiorno – la salutò Judith avvicinandosi, vedendola voltarsi verso di lei e sgranare gli occhi sorpresi.
- Buongiorno – le rispose sommessamente. – Siete voi la servitrice del Diavolo che abita nella cattedrale del nostro Dio?
- Sì, sono io. Avete sentito parlare di me?
- Ho saputo di recente che una servitrice del Diavolo vivesse qui, ma non vi avevo mai vista prima.
- Non è strano, spesso i fedeli del Creatore mi incontrano solamente se vengono a confessarsi in orari insoliti o mi scorgono di sfuggita durante le funzioni. Il vostro volto, invece, non mi è del tutto nuovo. Passate molto tempo qui a pregare?
- Negli ultimi giorni sì – rispose la ragazza abbassando lo sguardo. – Per mia sorella. Non sta molto bene.
- Mi dispiace.
- Oh, no, non dispiacetevi. Spero caldamente che il Signore allevierà le sue sofferenze.
- Sono certa che lo farà – le rispose Judith rivolgendole un sorriso incoraggiante, che l’altra ricambiò.
Dopo qualche minuto di silenzio tra le due, la giovane serva del Creatore parlò di nuovo. – Sono venuta a sapere di voi grazie al vostro … - si bloccò, imbarazzata, non sapendo quale termine fosse più appropriato per definire il rapporto che credeva vi fosse tra i due.
- Al mio …? – la spronò Judith, confusa.
- C’era un ragazzo qui, qualche giorno fa, un servo del Diavolo come voi. Ho parlato con lui. Una volta – riuscì a spiegarsi la ragazza.
A ciò, Judith realizzò e le accennò un altro dolce sorriso. – Capisco. Egli oggi non è qui – la informò, sapendo che le interessasse saperlo, leggendolo nel suo volto. -  Ma, tra qualche giorno, se verrete allo stesso orario, lo troverete.
La ragazza annuì in risposta, mantenendo la testa bassa.
- Ad ogni modo, non vi è nessun “mio”. Egli non mi appartiene.
Glielo disse, nonostante sarebbe stato meglio non farglielo sapere, nonostante sarebbe stato più proficuo far credere a tutti che ciò che la legava al ragazzo fosse solamente interesse carnale.
Tuttavia, gli occhi scuri e spenti di quella ragazza avevano acquisito una strana luce, in seguito alle sue ultime parole. Una luce nuova.
Allora si convinse di aver fatto la cosa giusta nel dirglielo. Ad alimentare una speranza che sarebbe morta presto in lei, nonostante tra lei e Van non fosse stato così.
Ma lei e Van non erano normali. Perciò non contavano.
Non sapeva che intenzioni avesse Blake, ma ciò di cui era certa, era che quella dolce e ingenua ragazza avesse scambiato un po’ di banale gentilezza per qualcos’altro.
Non sarebbe stata la prima, né l’ultima a farlo, e Blake non sarebbe stato il primo né l’ultimo a voltarsi dall’altra parte senza scrupolo, incurante di un corpo e un cuore spezzato lasciato dietro di sé, un cuore che aveva sbagliato già in principio, solamente reggendo il suo sguardo troppo a lungo.
Perché la gentilezza non era interesse, non era attrazione, né tanto meno infatuazione o amore.
La gentilezza era solo gentilezza e tale sarebbe rimasta. Sempre.
Ma come avrebbe potuto dire lei, ad una servitrice del Creatore, tutto ciò?
In quale tipo di approccio si poteva sperare in un mondo come il loro, in cui gli unici contatti che vi erano tra i servitori di due signori diversi consistevano in subdoli tentativi di persuasione da parte dei servi del Diavolo, con l’unico egoistico scopo di ottenere qualcosa da delle povere e ripugnanti creature innocenti come bambini, rovinate dal tempo e da scelte non compiute da loro? Bambini con l’aspetto di mostri, che desideravano solo un pizzico d’amore e che avrebbero fatto di tutto per riceverlo, anche farsi usare e gettare come spazzatura, assuefatti e ammaliati dalla bellezza, una bellezza più dolce dell’inebriante nettare di un fiore, troppo deboli per resistere alla tentazione di rinunciare ad una tale vista, rassicurante nella sua letalità.
Se la bellezza facesse paura, spaventasse e provocasse terrore, sconcerto o disgusto, sarebbe tutto come dovrebbe essere.
Ma, d’altronde, che colpa potevano avere loro, servi del Diavolo?
Che colpa avevano per sfruttare tutto ciò che possedevano a proprio vantaggio, per sopravvivere e forse, sperare in una vita migliore di quella a cui erano stati costretti, incatenati?
Ognuno possedeva i suoi mezzi, le sue armi.
Talvolta, il desiderio carnale poteva essere l’arma peggiore di tutte, persino della magia stessa.
Ognuno andava avanti come poteva, azzannando vantaggi, scalando la scala che li avrebbe condotti più vicini alla libertà con le unghie e con i denti.
La cima non era un traguardo raggiungibile, tutti lo sapevano.
Tuttavia, la luce che proveniva da essa, sì. I servi del Diavolo lo avevano compreso, sin troppo presto.
I servi del Creatore, invece, dal fondo del loro buio crepaccio, credevano di esservi già, in cima.
Deboli, ciechi, stolti, ingenui. La vita li aveva resi tali.
Van non era diverso dagli altri.
Judith nutriva una sana compassione per loro.
- Vi lascio pregare ora – si riscosse, sorridendo alla serva del Creatore, per poi allontanarsi e dirigersi verso le cucine.
 
I due gemellini corsero come loro solito in mezzo alla piazza del villaggio, sorpassandosi a vicenda.
Oramai era mattinata inoltrata e le funzioni erano iniziate da un po’.
Raggiunsero il retro della cattedrale dei servi del Creatore e tolsero il pesante masso che avevano posto sulla loro entrata segreta.
Sotto quella ingombrante pietra vi era un piccolo buco scavato dalle loro mani, un tunnel a loro misura, che nessun altro, eccetto loro e un’altra persona, conosceva. Si infiltrarono uno alla volta dentro il buco, non senza fatica, poiché il loro corpo era ancora in piena crescita.
- Datti una mossa, Maroine! – si lamentò Maringlen attendendo a braccia conserte che sua sorella strisciasse in quel buco buio e stretto, il quale le avrebbe dato accesso alle cantine della cattedrale.
- Ci sto provando! Aspetta in silenzio! – gli rispose a tono Maroine, aiutandosi con i gomiti per quanto potesse, sgattaiolando fino alla fine del tunnel.
A ciò, quando sua sorella si ritrovò dall’altra parte, anche Maringlen si accinse ad entrare nel passaggio, trascinandosi il masso dietro, una volta che il suo intero corpo fu all’interno.
Il ragazzino si lamentò per il dolore, tentando di strisciare invano. – Ahi! Sono rimasto incastrato!
- Che ti serva da lezione! La prossima volta imparerai a non mettermi fretta!
- Maroine!
- Arrivo, arrivo, ti aiuto! – lo rassicurò la ragazzina infilando le braccia nel buco, nella speranza di riuscire ad acchiappare quelle del fratello.
- Cos’è che non riesci a muovere?? – gli domandò esasperata.
- Ho le spalle incastrate!
- Solo le spalle?
- Sì!
Dopo un po’ di sforzo e di lamenti sommessi, Maroine riuscì ad aiutare suo fratello ad uscire dal tunnel tutto intero.
- Dobbiamo allargare il passaggio!
- Tu dici??
Non appena i due terminarono di discutere, si accorsero della presenza di padre Cliamon comodamente seduto su una sedia della cantina, intento a guardarli, con un sopracciglio alzato.
- Avete terminato di accapigliarvi, voi due, piccole creature demoniache? – domandò con la sua abituale voce calma e pacata e un sorriso divertito sul volto tondo e calvo. – Anche se siamo lontani dalla sala principale nella quale si sta tenendo la funzione, dovete comunque cercare di parlare a voce bassa. Non so quante volte ve lo dovrò ancora ripetere.
- Perdonateci, padre – disse Maroine.
- Siamo in ritardo, padre, scusateci. Ad ogni modo, è colpa sua – disse Maringlen indicando sua sorella, la quale gli rispose con una veemente spinta.
- Cos’è questo orribile odore? – domandò il monaco, alzandosi in piedi e avvicinandosi ai due.
Nonostante avessero solo undici anni, l’uomo  si accorse che lo stessero quasi raggiungendo in altezza.
A ciò, Maringlen si voltò verso la sua gemella, rivolgendole un sorrisino furbo misto ad un piccolo ghigno di disgusto. – Avvicinatevi a mio fratello, padre, e vi accorgerete da dove proviene questo tanfo – disse, beccandosi un’altra occhiataccia da Maroine.
Il monaco si avvicinò a quest’ultima e annusò, indietreggiando immediatamente, con sguardo schifato. – Da quanto non fai un bagno, Maroine?
- Non è mia la colpa! – esclamò l’interpellata. – Possiamo farci un bagno solo nei fiumi e nei ruscelli, ed ogni volta che io e mio fratello stavamo per farne uno, c’erano sempre altri orfani a farlo con noi! Non potevo farmi vedere da loro e voi sapete il perché! – spiegò offesa, ponendo le braccia conserte, mentre Maringlen se la rideva accanto a lei.
- Se mi avessi chiesto di fare un bagno qui, te lo avrei permesso, bambino mio – le rispose il monaco riavvicinandosi e accennandole un sorriso rassicurante, sapendo quanto ella desiderasse che le si rivolgesse al maschile. – Avanti, pulitevi dalla terra e sedetevi. Preparerò un bagno caldo nelle mie stanze non appena mi assicurerò che il passaggio sarà totalmente libero. Intanto fate colazione con calma, vi ho portato pagnotte, latte e pasticci di frutta a volontà.
I due gemelli non se lo fecero ripetere due volte e, come accadeva ogni volta che entravano di nascosto in quella cattedrale accolti da padre Cliamon, ne approfittarono per abbuffarsi di tutto il cibo offerto loro, in solenne silenzio. Non che Beitris e gli altri stregoni della compagnia non li sfamassero abbastanza, ma non era sempre facile trovare del cibo per tutti vivendo lontani dal villaggio, immersi nella natura, e con pochi soldi in tasca.
Non appena ebbero consumato il loro generoso pasto, i due dovettero aspettare solamente qualche minuto prima di rivedere la figura di padre Cliamon sbucare dalla porta della cantina per dare loro il via libera.
Lo seguirono furtivi e silenziosi come felini su per il corridoio nascosto al salone principale, e poi per le lunghe scalinate che avrebbero condotto alla stanza privata del monaco, senza essere visti e uditi da nessun altro.
Come era solito fare, padre Cliamon mostrò un’accortezza maniacale nel portare i ragazzini con sé e nel nasconderli dagli occhi di tutti, all’interno della cattedrale.
Giunto in camera, accese qualche candela nonostante fosse giorno, svuotò il recipiente pieno di acqua scaldata nella grande teca di legno, e vi versò dentro anche dei sali profumati.
Dopo di che fece segno a Maroine di entrare. Osservando la sua riluttanza, la incoraggiò. – Per me siete come dei figli, lo sapete. Non dovete vergognarvi di nulla.
A ciò, la ragazzina, riacquisendo la sua galoppante e radiosa energia, si spogliò dei fradici abiti da ragazzo che indossava, rimanendo completamente nuda, e saltò letteralmente dentro la teca, emettendo un lungo sospiro di beatitudine quando la sua pelle entrò in contatto con l’acqua tiepida, pulita e profumata.
- Questo è il bagno migliore di tutta la mia vita! Non ho mai sentito l’acqua così calda! Maringlen, non puoi nemmeno immaginare come ci si senta qui dentro! – esclamò la ragazzina immergendo anche la testa capelluta dentro l’acqua, per poi ritirarla fuori e sorridere gioiosa.
Nel vederla così, padre Cliamon sorrise intenerito, per poi volgere lo sguardo all’altro gemello, in piedi accanto a lui, scrutandolo da capo a piedi. – Vuoi entrare anche tu? – gli domandò.
- No. L’ho già fatto ieri nel ruscelletto che circonda il bosco.
- Hai foglie secche tra i capelli e i tuoi vestiti sono pregni di terra e di non so che altro.
Non te lo ripeterò una seconda volta, Maringlen – lo incoraggiò bonariamente il monaco, vedendolo spogliarsi a sua volta dai cenci che indossava e immergersi con il corpo nudo nella teca, insieme a sua sorella.
I due cominciarono a giocare con l’acqua, a ridere e ad insaponarsi, come se stessero svolgendo l’attività più divertente del mondo.
Loro giocavano e sorridevano con i loro volti giovani, vivi e fulgidi che sprigionavano leggerezza e una libertà abbagliante che brillava nei loro occhi chiari; mentre, al piano di sotto, decine e decine di uomini erano inginocchiati dinnanzi al crocefisso, piegati e sofferenti, talmente pieni di fede da sembrare morenti.
La mattinata trascorse placida, la funzione terminò e i due gemelli finirono di farsi il bagno e si rivestirono con degli abiti puliti procurati loro da padre Cliamon.
Nella più totale segretezza, i due ragazzini rimasero nascosti nella stanza del monaco per il quale reperivano informazioni.
- Chi è che sale sempre le scale a quest’ora? Sentiamo sempre il rumore di tacchi che salgono le scale ogni volta che veniamo qui – chiese Maroine, aguzzando l’udito.
- Si tratta di Judith. La nostra protetta – rispose Cliamon, lavando accuratamente i vestiti sporchi dei due, dentro una bacinella colma di acqua.
Maringlen si lasciò ricadere sdraiato sul grande materasso morbido, imbottito di piume e ricoperto da lenzuola candide e lisce, annusando l’odore di pulito e immergendovi il viso. – Come vorrei dormire anche io su un giaciglio come questo … - sospirò sconsolato. – Morbido … senza insetti che sbucano dalle coperte … da non dover condividere con mio fratello …
Maroine lo colpì alla schiena. – Non sei l’unico a non voler dividere uno stretto e scomodissimo letto di paglia, idiota.
- Avete ancora i capelli bagnati – li riprese dolcemente padre Cliamon – Dovete aspettare che si asciughino prima di immergerli nei cuscini – continuò, per poi discostarsi dalla bacinella e avvicinarsi ai due, prendendo posto sul letto accanto a loro. – Vi prometto, che un giorno dormirete su dei letti come questo, persino più comodi di questo. Avrete vestiti puliti ogni giorno e non dovrete più lottare e farvi male per ottenere un po’ di cibo con cui riempirvi la pancia – promise carezzando la guancia di Maroine. – D’altronde, è ciò che ho promesso ai vostri genitori, prima della loro prematura scomparsa.
- Raccontateci di nuovo com’erano, padre – gli chiese Maroine, con sguardo implorante.
A ciò, padre Cliamon le sorrise, per poi volgere lo sguardo anche a Maringlen, sdraiato sul letto con il gomito puntato sul materasso e la testa poggiata alla mano, in attesa.
- Vostra madre aveva i capelli color grano maturo, proprio come voi. Amava restare fuori casa ogni pomeriggio, per guardare il tramonto e contemplarlo in silenzio, persino d’inverno.
Vostro padre era furbo e impavido, delle doti che ha trasmesso a voi. L’affetto e l’amore che li legava non era perfetto. Voi due li tenevate insieme, come un laccio inscalfibile, poiché eravate ciò che avevano di più prezioso al mondo.
Ora che siete riposati, sereni e con la pancia piena, potete dirmi ciò che avete da dirmi – concluse il monaco, guardando prima uno poi l’altro, in paziente attesa.
- La vostra protetta, Judith, sta progettando qualcosa, aiutata dal ragazzo erede della galleria – cominciò Maroine.
- Questo lo so bene.
- Sapete anche cosa stanno cercando? – domandò Maringlen, sapendo di stuzzicare la curiosità di padre Cliamon, il quale negò con la testa. – Polvere nera. L’avete già sentita?
Il monaco vi rifletté su, con sguardo criptico. – Mai sentita in tutta la mia vita. Di cosa si tratta?
- Non lo sappiamo ancora – rispose Maroine. – Ma oggi Selma e Beitris hanno progettato un incontro con il ragazzo, per convincerlo a coinvolgerle nella questione della polvere nera. Non appena sapremo qualcosa in più ve lo diremo.
- Dunque i membri della vostra compagnia sono interessati a Judith e a Blake? A quale scopo?
- Un monaco dell’altra cattedrale è stato costretto da Ephram a rivelargli informazioni riguardo attività strane che accadevano nella cattedrale dei servi del Diavolo. Lui gli ha detto di quel Blake e della vostra Judith – rispose nuovamente Maroine.
- A quel punto, Ephram ha voluto che noi due indagassimo sui due ragazzi e abbiamo scoperto della polvere nera. Selma dice che è un’arma molto pericolosa, e solitamente niente spaventa Selma. Per questo vogliono tenerli sott’occhio. Oltre al fatto che vorrebbero convincere la vostra protetta a rivelare altre informazioni e a rallentare le esecuzioni dei condannati, persuadendovi dall’interno. Proprio questa mattina Ephram è venuto in questa cattedrale per parlare con Judith – aggiunse Maringlen.
- Capisco – disse Cliamon, metabolizzando tutto ciò che aveva udito.
- Ora possiamo andare? – domandò Maroine. – Beitris e gli altri si allarmeranno se non ritorniamo prima del tramonto.
- Mancano ancora alcune ore al tramonto e fuori è molto freddo ora. Non vi piace stare qui? – domandò il monaco.
- Sì, ci piace stare qui, ma siete sempre anche voi a dirlo, che non possiamo rimanere troppo. Gli altri monaci potrebbero scoprirci – rispose Maroine.
- I vostri abiti devono ancora asciugarsi. Non posso darvene altri, altrimenti si insospettirebbero, giusto?
I due gemelli annuirono.
A ciò, padre Cliamon sorrise nuovamente loro, per poi riprendere. – Siete stati molto bravi a fornirmi tutte queste nuove informazioni stavolta. Ora riposate pure, piccoli miei, ve lo siete meritato – disse accarezzando i capelli ancora umidi di Maroine, per poi alzarsi, prendere una coperta di lana e posarla delicatamente sopra Maringlen già sdraiato.
- Tornerò più tardi. Ora vi lascio dormire – si congedò poi, lasciando solamente una candela accesa nella stanza, per poi uscire e chiudere a chiave la porta dietro di sé.
Rimasti soli, i due gemelli si guardarono tra loro.
Maroine si infilò sotto le coperte insieme al fratello sdraiandosi di fronte a lui.
I loro nasi quasi si toccavano mentre continuavano a guardarsi e a stringersi, come erano da sempre abituati a fare.
Come facevano ogni volta prima di addormentarsi, i due si presero il volto tra le mani e cominciarono ad elencarsi le pochissime e piccole caratteristiche che differenziavano l’altro da sè, a turno, mentre si osservavano attentamente:
- Poche lentiggini sul naso, due nei sulla guancia, bocca di pesce – disse Maringlen, vedendo Maroine ridere esasperata in risposta. Suo fratello usava dire “bocca di pesce” per descrivere il suo labbro superiore più grande e lievemente più sporgente di quello inferiore. Evidentemente perché aveva visto davvero pochi pesci in vita sua, non che lei ne avesse visti di più.
- Piccola cicatrice sulla fronte, scheggia verde dentro l’iride e voglia bianca sul collo – fu il turno di Maroine.
Solo loro conoscevano quelle quasi impercettibili particolarità dell’altro, poiché, per il resto del mondo intorno a loro, erano praticamente identici.
- Si sta così al caldo qui … - sospirò Maringlen stringendosi a sua sorella.
Ella rinforzò l’abbraccio a sua volta, facendo scontrare i loro nasi. – Mi taglierei un braccio per riuscire a starti più vicino – sussurrò Maroine, facendo sorridere il fratello, il quale si ritrovava il fastidioso braccio della sorella piazzato tra il suo fianco e il materasso, in assenza di altre posizioni disponibili.
Trascorse qualche altro minuto, nel quale i due entrarono in un soporifero stato di dormiveglia.
- Maringlen? Sei sveglio …?
- Mm? – rispose l’interpellato, senza aprire gli occhi.
- Stiamo facendo bene a rivelare tutte le informazioni che padre Cliamon ci chiede? – sibilò combattuta Maroine. – Insomma, infondo non sappiamo se lui conosceva davvero i nostri genitori come dice. Forse la sta usando come scusa, per fare in modo di guadagnarsi la nostra fiducia.
- Sarà sicuramente così – rispose Maringlen, aprendo a sua volta gli occhi.
- Se pensi questo, perché non hai nessun dubbio su quello che stiamo facendo? Gli stregoni e le streghe della compagnia sono la nostra famiglia.
- Questo è quello che fanno coloro che sono costretti a lottare per sopravvivere, Maroine – le rispose senza esitazione suo fratello. – Siamo orfani, viviamo come fuggitivi, siamo servi del Diavolo ma viviamo con degli emarginati, perciò nessuno ci vuole o ci tratta con gentilezza. Padre Cliamon ci serve per mangiare, per scaldarci, per dormire, per restare al sicuro quando fuori è troppo dura.
Questo è quello che dobbiamo fare per sopravvivere e nessuno può punirci per questo, nemmeno le streghe e gli stregoni della compagnia.
- Nemmeno la nostra famiglia – si convinse Maroine, rassicurata dalle parole di Maringlen.
- Devi essere forte, Maroine. Devi essere forte come sei sempre. Devi esserlo per far credere a tutti che sei più uomo di quanto lo siano tutti gli altri.
E quando non ce la farai più a sopportare tutto questo, sarò io forte per entrambi.
 
Blake poggiò il palmo della mano sulla fronte del suo fratellino sdraiato sul suo letto, trovandola bollente.
Ioan lo guardò con i suoi occhioni chiari e semichiusi, il volto emaciato e il colorito spettrale. – Sono caldo …? – gli domandò in un sussurro.
- Hai di nuovo la febbre, sì – gli rispose il ragazzo, strizzando un panno immerso in una bacinella di acqua fredda e posandolo sulla fronte del bambino. – Stai a riposo – aggiunse, per poi tirare fuori dalla tasca una collana di cordoncino nero con un ciondolo alla fine.
- Che cos’è? – gli domandò Ioan osservando la strana pietra di vetro ovale che pendeva, di uno strano colorito grigio-bluastro, con delle sfumature nere e verde scuro.
- Un ciondolo che ti farà stare meglio – gli rispose Blake legandogli la collana intorno al collo. – Non toglierla mai.
Ioan annuì in risposta, sorridendo debole e adorante verso suo fratello inginocchiato accanto al letto. – Perché hai i vestiti pesanti e le scarpe? Stai uscendo? – gli domandò intristendosi lievemente.
Blake gli accarezzò la fronte e i capelli sudati, ricambiando il sorriso. – Tornerò presto a salutarti, prima di partire.
- Dove andrai, Even?
- Ad incontrare qualcuno, fuori da Bliaint. Quando tornerò ti racconterò com’è stato.
- Tornerai, vero …?
- Certo che tornerò, Christopher – lo rassicurò caldamente, asciugandogli le lacrime in procinto di scendere dai suoi occhi.
- Non sono mai stato senza di te.
- Avrai il mio ciondolo. E ci sarà padre Craig a badare a te al mio posto.  Ora prova a dormire. Ti prometto che mi ritroverai qui non appena ti sveglierai – gli promise dandogli un dolce bacio sulla fronte.
Quando Ioan chiuse gli occhi, Blake si alzò in piedi, si allacciò i lacci degli stivali alti e pesanti, si infilò il mantello imbottito per far fronte all’ondata di freddo, e si diresse verso la porta della stanza. In quel momento, le sue iridi, per qualche motivo, virarono sul tavolino sul quale erano poggiate le lenti da vista di Ioan, creati dal mastro.
Si fermò ad osservarli per un po’ prima di andare, riflettendo.
Dopo qualche minuto, ritornò in sé e uscì di casa.
Quando giunse dinnanzi alla Taverna, impiegò un po’ prima di entrare.
L’idea di ritornare indietro e partire prima che Beitris e tutta la sua combriccola riuscissero a rintracciarlo gli passò per la testa più di una volta.
Poi, prevalse la ragione, o meglio, l’infinita bontà d’animo di cui sentiva di essere incredibilmente provvisto quel pomeriggio.
Entrò dentro la Taverna, incontrando il caldo pregno di odori del luogo, non troppo affollato a quell’ora del giorno, si tolse il cappuccio del mantello e si guardò intorno per individuare la figura di Beitris su uno dei tavolini.
La vide seduta su un tavolo isolato rispetto agli altri, vicino alla parete, con il cappuccio tirato su, dal quale fuoriuscivano le ciocche corvine, e i polsi e la mani sottili coperti da guanti aderenti di cuoio.
Ella era in compagnia di un’altra donna.
Si avvicinò alle due, le quali lo visualizzarono immediatamente, attendendo che le raggiungesse.
L’atmosfera era divenuta tesa e statica.
- Sei da solo? – fu la prima domanda che gli porse Beitris, prima che Blake si sedette.
Questo annuì, vedendo la donna accanto a Beitris scrutarlo con sguardo indecifrabile, per poi fargli segno di accomodarsi nella sedia rimasta libera, di fronte a lei.
Ella era una donna di mezza età, ma si poteva immediatamente notare non fosse né una serva del Diavolo, né del Creatore.
Era una straniera.
La sua folta chioma color cacao e lievemente striata di grigio era intrecciata in grosse ciocche crespe circondate e legate da lacci neri, che scendevano sulle sue spalle coperte dal mantello color ruggine.
Il suo volto enigmatico era marchiato da una lunga e profonda cicatrice che si dilungava dal lato destro della fronte, costeggiando l’occhio, fino a terminare all’inizio della mascella.
- Blake è il vostro nome, giusto? Io mi chiamo Selma – si presentò, accennandogli un sorriso, mentre con le mani coperte di anelli tirò fuori dalla sacca un mazzo di carte.
Il ragazzo non rispose, scrutandola a sua volta, per poi voltare lo sguardo su Beitris. – A cosa serve esattamente questo incontro?
- Selma ha voluto parlare con te. Anche Ephram e Yarin avrebbero voluto farlo, ma Selma ha insistito per incontrarti in prima persona da sola, in mia presenza – spiegò la ragazza. – La questione che al momento sta catalizzando il tuo interesse le sta particolarmente a cuore.
- Dunque, i gemelli lavorano per voi? Non avreste potuto venirne a conoscenza in altro modo, altrimenti – dedusse il ragazzo.
- Quei due bei piccoli scarafaggi ci sono estremamente utili – rispose Selma. – Saremmo persi senza di loro. Riescono ad infilarsi ed arrivare dove nessuno di noi riesce.
Detto ciò, Selma cominciò a disporre i suoi tarocchi in fila da sette sul tavolo. – Scegliete una carta – disse al ragazzo.
Senza guardare le carte, Blake ne scelse una qualsiasi. – Cosa sentite l’esigenza di dirmi? Vi ascolto – disse.
A ciò, Selma scoprì la carta selezionata dal ragazzo, guardandola e sorridendo. – Il Folle.
Beitris sorrise a sua volta, spostando lo sguardo su Blake. – Non mi aspettavo nulla di diverso. E tu?
Blake alzò gli occhi al cielo. – Dovrei, Beitris? Dimmelo, dato che muori dalla voglia di farlo.
- Oh, Blake, l’ignoranza e l’ingenuità non ti si addicono per niente. Potresti ingannare chiunque, ma non in questo. So che conosci i tarocchi. Myriam ti ha sicuramente istruito a riguardo.
- L’energia del caos, del nuovo, della creazione – disse Selma tirando su la carta e mettendola da parte. – Vi era già capitata questa carta in passato, non è vero? – dedusse la donna, nonostante Blake non si degnasse di rispondere. – Pescatene un’altra.
- Non pescherò nulla né muoverò un dito fin quando non mi direte perché sono qui di fronte a voi – intimò imperterrito.
A ciò, Selma annuì accondiscendente. – Per quale motivo siete in cerca dell’umano supplizio che porta il nome di Polvere nera? Come ne avete scoperto l’esistenza?
- Sta diventando famosa nelle terre orientali.
- L’oriente è molto distante da noi. Per quanto ci riguarda, in quei luoghi potrebbero volare pesci in aria come uccelli e gli uomini potrebbero avere tre teste e sei gambe.
- Non sono di certo l’unico ad esserne rimasto incuriosito.
- Ma siete l’unico ad aver deciso di lasciare Bliaint in cerca di qualcuno in grado di procurarvi le informazioni per crearla.
Che cosa avete intenzione di farci?
- Il vostro proposito era quello di farmi delle domande e pretendere delle risposte da me? – domandò Blake in tono di scherno.
- Voi state giocando con il fuoco, ragazzo. La vostra giovane età non giustifica fino a tal punto la vostra estrema e incosciente spavalderia dinnanzi ad un pericolo simile.
Pescate una carta.
Blake obbedì, accennando un sorriso divertito.
- Che cos’è che ti diverte tanto? – intervenne Beitris.
- Capisco perché sei voluta restare presente durante il nostro incontro, Beitris. Sei stata tanto previdente da capire già in principio che, se ci avessi lasciati soli, ci saremmo sgozzati e ammazzati a vicenda, facendo strage nella Taverna.
La ragazza sorrise a sua volta in risposta. – Ed io che speravo di trascorrere un po’ di tempo in tua compagnia, animando le acque per movimentare un po’ questa fredda e uggiosa giornata.
Selma scoprì la carta e la osservò. – Nulla di inaspettato neanche stavolta: la Torre, simbolo di presunzione, libertà prepotente, grande cambiamento, catastrofe o risoluzione.  Coerente con la carta precedente e anche con ciò che le mie orecchie hanno ascoltato sinora.
- Stiamo conversando da neanche cinque minuti, mia signora.
- Si può capire molto di un uomo in cinque minuti.
Blake rise sprezzante in risposta. – Potremmo rimanere qui anche fino a stanotte, ma non vi dirò cosa volete sentirvi dire.
- Siete troppo sicuro di voi per riuscire a comprendere quanto ciò che state facendo sarà dannoso per voi e per coloro che vi sono accanto.
Io conosco ciò che voi agognate conoscere.
I miei occhi hanno visto cose che le vostre vergini iridi focose e fameliche non potrebbero mai neanche immaginare.
Ciò che sto facendo mira a farvi vivere il più a lungo possibile, ad evitare che il fuoco che vi anima venga estinto brutalmente a causa della peggiore sciocchezza che potreste mai compiere nella vostra intera vita, che mi auguro possa essere molto longeva.
- La vostra gratuita e inaspettata preoccupazione mi lusinga, ma purtroppo non riuscirà a convincermi.
- La caparbietà è uno dei vostri peggiori difetti, vedo. Cosa posso fare per orientare le vostre aspirazioni verso altro?
- Nulla, mi spiace.
La donna sospirò, abbassando lo sguardo, cercando di regolarizzare il respiro mentre infausti ricordi riaffioravano nella sua mente. – Ho viaggiato molto in questi anni. Ho avuto modo di vedere molti luoghi, tanto diversi e lontani da qui. Leggo la vostra sete che traspare dai vostri occhi. Una sete che potrebbe spaventare chi non è avvezzo all’innato desiderio di conoscere il mondo.
Credetemi, Blake, quando vi assicuro che vi pentirete di vedere ciò che bramate conoscere.
C’è molto altro fuori da qui per voi.
Vi sono mondi interi fuori da questa piccola porzione di Terra in cui siete cresciuto.
Ma quella polvere, quella polvere maledetta, non fa parte di ciò che qualsiasi uomo o donna al mondo meriterebbe di conoscere.
Non augurerei neanche al mio peggior nemico di avere a che fare con quello strazio dalle sembianze di cenere scura.
L’uomo è stato in grado di creare un flagello tanto grande, dannando se stesso e i suoi simili.
Voi non potete ancora comprendere quanto tale scoperta si scaglierà tremendamente su tutti noi se non mostriamo attenzione.
Ora, pescate una terza e una quarta carta.
Blake continuò a guardarla impassibile, scegliendo di nuovo casualmente altre due carte, per accontentarla.
Selma le capovolse e guardò prima una, poi l’altra. – Nuovamente, ciò che vedo non mi sorprende: il Carro, simbolo di sicurezza e di guida, colui che tiene tra le sue mani il suo destino, l’unico fautore del proprio agire – disse indicando una delle carte, per poi passare all’altra. – Il Mondo. Il raggiungimento di un traguardo, ma solo dopo un lungo e tortuoso cammino, percorso a caro prezzo.
- Per quanto ancora crederete di leggermi tramite le vostre carte?
- Sto cercando di creare un legame con voi.
Voi non mi ascoltate, Blake.
- Vi sbagliate, Selma. Vi ho ascoltata. Ogni, singola parola. Ma nessuna di queste mi ha dissuaso dal mio proposito.
- Avete bisogno di vederlo con i vostri occhi …? Avete bisogno di provare il dolore sulla vostra pelle, di sentire con le vostre orecchie il frastuono assordante della catastrofe?
Blake non rispose, continuando a guardarla senza distogliere lo sguardo.
- Il vostro silenzio è già una risposta – concluse Selma delusa. – Voi potrete essere dannatamente ostinato ma io non sono da meno. Non vi permetterò di portare tale flagello a Bliaint.
- Voi continuate a parlare di flagelli, di supplizi, di maledizioni umane, ma non mi avete ancora detto ciò che realmente avete visto – la provocò il ragazzo sporgendosi dal suo lato del tavolo. – Ditemi davvero qualcosa, Selma. Rivelatemi cosa vi ha terrorizzata tanto e io, forse, potrò decidere di considerare la vostra richiesta.
Selma strinse i bordi del tavolo fino a farsi male, prima di rispondere. – Il rumore che provoca. Non potete neanche figurarvelo.
Neanche il grido di un condannato al rogo, neanche un tuono, un tornado, né un fulmine che colpisce la terra, squarciandola, emette un rumore tanto atroce.
La puzza. Il fondo degli Inferi non riuscirebbe ad eguagliarla.
I danni che ne seguono, a contatto con la pelle e il corpo umano, non riuscirei a descriverli a parole.
La luce. La luce accecante che colpisce chiunque si trovi ad un raggio di dieci metri di distanza, rende la vista totalmente buia, almeno per alcune ore.
Ogni senso umano ne è colpito e martoriato.
Quando agisce, il cuore si ferma, smette di battere per alcuni secondi.
Il resto, riuscireste a comprenderlo solo se lo provaste in prima persona.
Blake continuò ad osservarla, prima di fornirle la risposta che ella temeva. – Ed è quello che ho intenzione di fare.
- Desideri morire così ardentemente, Blake? – gli domandò Beitris allibita.
- Desidero sperimentare, conoscere, vedere, commettere errori e pentirmi di tali errori, senza accontentarmi di un fiume di parole udite e null’altro.
- Voi non sapete di cosa parlate … - sussurrò Selma tra i denti. – Meritate la morte se disprezzate a tal punto la vita! Pescate una carta!
- Siete voi a non sapere di cosa parlate se credete di raggirarmi con una lettura di tarocchi e un discorsetto sull’importanza della vita. Usare paroloni in grado di tormentare il sonno dei fanciulli non vi servirà a nulla con me. Non sapete quali sono i miei obiettivi, i miei progetti, né cosa ho intenzione di fare con la polvere nera. Non sapete se tale scoperta può essere utilizzata anche in maniera vantaggiosa, non conoscete i vari usi che se ne possono fare, non sapete se può dare origine a qualcos’altro se unita ad altre componenti. Voi sapete solo ciò che i vostri occhi impauriti hanno intravisto, ciò che hanno avuto il tempo di scorgere prima che il terrore vi costringesse a correre via da qualcosa di ignoto, e dunque funesto, secondo la vostra logica.
Voi non sapete, Selma, come non so io. Almeno non ancora.
Non potete conoscere gli effetti della polvere nera se non la utilizzate con le vostre mani, così come non potete conoscere me servendovi di una manciata di tarocchi – concluse il ragazzo sbattendo la mano sopra l’ennesima carta e scoprendola.
Selma sgranò gli occhi scuri non appena la vide.
- Cosa vi turba, ora, Selma? Ciò che vedete stavolta non corrisponde alle vostre previsioni? – la riscosse il ragazzo pungente, voltando lo sguardo a sua volta verso la carta, la quale mostrava un giovane capovolto, appeso per una caviglia al ramo di un albero, con una gamba piegata dietro l'altra e i polsi dietro la schiena, con il volto sereno e un’aureola sopra la testa. – Oh, guardate qui. Se non ricordo male, questo è l’Appeso, colui che gioisce del suo supplizio, che vede il mondo capovolto e comprende di essere nel verso giusto.
- Voi, con la vostra trascinante impertinenza e irriverenza, credete di essere tanto sveglio e brillante, ma vi sbagliate di grosso – gli disse la donna, puntandogli il dito contro, adirata. – Mostratemi che se tra le mani aveste un’arma simile riuscireste ad usarla nel modo giusto, ed allora mi inginocchierò dinnanzi a voi flagellandomi e chiedendo perdono. Avanti!
- Io non ho nulla da dimostrarvi – rispose granitico.
- Allora mostratemi qualsiasi altra cosa oltre alla vostra dannata insolenza e riconsidererò il mio pensiero su di voi.
- E quale sarebbe il vostro pensiero su di me? Beitris vi ha indicato su quali punti colpire per persuadermi a collaborare con voi? Ve l’ho già detto e ve lo ripeto: voi non sapete nulla.
Conoscevo le carte che avrei pescato ancor prima che voi le scopriste, e ho acconsentito a farlo solamente per pura noia e gentilezza nei vostri confronti.
Selma rise sprezzante in risposta. – Quale potere magico vi vantate di possedere, mio giovane amico!
- Nessun potere di alcuna natura, mia signora.
Si tratta semplicemente di alcuni conti e di una buona memoria.
Ho capito da quante carte fosse composto il vostro mazzo solo guardandolo. Ottantatré carte. Sul tavolo ne avete disposte solamente ventotto per assenza di spazio, quattro file da sette. La mia balia, quando ero bambino, mi ha insegnato che esistono mazzi di tarocchi da venti, da quaranta, da ottanta, e persino da centoventi carte, poiché le figure rappresentate potrebbero essere potenzialmente infinite, alcune molto simili tra loro. Di conseguenza, ogni mazzo, a prescindere dalla quantità di carte che possiede, è a suo modo equilibrato. Non avete mischiato il mazzo e, solitamente, voi streghe tendete a disporre le figure ambigue e criptiche come quelle che ho pescato in cima al mazzo. In conclusione, vi erano buone probabilità che le carte disposte su questo tavolo fossero composte quasi solamente da tali figure.
Ero certo che avrei pescato l’Appeso, in ogni caso.
- Come facevate ad esserne certo …? – gli domandò Selma allibita.
- Istinto.
Il silenzio calò sui tre, fino a divenire insopportabile.
Dopo qualche minuto, Blake lo spezzò di nuovo con una risata. – Vi sto imbrogliando, Selma. Lo sto facendo con entrambe.
Con ciò, mi avete ampiamente dimostrato che siete voi quella facile da raggirare, non io.
- In che modo ci stareste imbrogliando?
- La metà delle cose che vi ho appena detto non erano vere. Ho indovinato il numero delle carte, sì, so quante carte possono contenere i vari mazzi, ma non potevo sapere che il vostro mazzo non fosse stato già mischiato in precedenza da voi, magari prima di arrivare qui: vi erano pochissime probabilità che le figure che ho pescato si trovassero esattamente tra queste ventotto carte che sono disposte su questo tavolo. Non potevo saperlo. Non potevo sapere cosa avrei pescato la prima, la seconda, la terza, la quarta, né l’ultima volta.
Tuttavia, voi mi avete creduto immediatamente, appena avete udito qualche mia parola pronunciata con convinzione e sicurezza, con una minima parvenza di verità – concluse il ragazzo alzandosi in piedi. – Sono stato seduto qui dinnanzi a voi per sin troppo tempo. Vogliate scusarmi, ma ora ho altro di cui occuparmi.
- Permettetemi di venire con voi – disse di colpo Selma, alzandosi a sua volta dalla sedia, di scatto, penetrandogli gli occhi con uno degli sguardi più decisi e determinati che Blake avesse mai visto. – Mi avete umiliata a sufficienza, finora, e ammetto che, probabilmente, lo meritavo. Tuttavia, mi auguro non lascerete che io subisca un’ulteriore umiliazione, supplicandovi di portarmi con voi.
Ho fallito rovinosamente nel tentativo di dissuadervi, lo riconosco e, ahimè, mi pento amaramente di aver abbassato la guardia dinnanzi ad una perspicacia e ad una sagacia come la vostra.
Tuttavia, non posso esimermi dall’aggrapparmi con tutte le mie forze al mio proposito di proteggere voi e questo villaggio nella sua interezza da qualcosa che temo potrebbe essere peggiore di ciò che io e qualsiasi altro essere vivente a questo mondo ci aspettiamo.
Non vi impedirò di fare ciò che vi siete proposto di fare. Sarò semplicemente un’accompagnatrice silenziosa.
Potreste trarre vantaggio dalla mia navigata esperienza, potrei aiutarvi, nel caso in cui il vostro viaggio dovesse prendere una piega inaspettata e tragica.
Non siete mai uscito da Bliaint, giusto? Non potete sapere cosa vi attende, cosa troverete.
Io conosco bene ciò che vi è là fuori e potrei esservi molto utile, in molte occasioni.
Dunque? Accettate la mia proposta?
Blake vi pensò su, lo sguardo infastidito sepolto dalla stanchezza. – Sono esausto di restare a discutere con voi. Se volete seguirmi, non vi impedirò di farlo. Ho intenzione di mettermi in cammino domani all’alba – si arrese, voltando le spalle alle due e uscendo dalla Taverna.
 
Padre Cliamon rientrò nella sua stanza e si posizionò dinnanzi allo specchio sopra il mobile che dava verso la finestra.
I due gemelli se ne erano andati da un po’ ormai.
Osservò il suo riflesso allo specchio, attentamente.
Lo trovò ripugnante.
La testa calva, le rughe d’espressione marcate che lo facevano sembrare più vecchio di quanto non fosse, gli occhi piccoli e schiacciati, il naso aquilino, il colorito spento, il corpo tozzo.
Un tempo, trovava tutto ciò ingiusto, tanto ingiusto da soffrirne terribilmente.
Dio gli aveva fornito la giovinezza, ma lo aveva comunque deturpato, poiché Dio disprezzava i suoi fedeli che apparivano gradevoli alla vista.
Tale era stato lo scopo della divisione.
Continuò ancora, immaginandosi di bell’aspetto.
Dei capelli folti, un taglio d’occhi più grande e aggraziato, un volto più ovale, la pelle baciata dal sole, un naso deciso e delicato insieme, i lineamenti forti, armoniosi, perfetti.
Non avrebbe mai avuto niente di tutto ciò.
Si domandò quando avesse cominciato a nutrire un tale tossico risentimento a causa di ciò che Dio e la natura gli avevano negato.
La sua mente vagò nei ricordi, tornando indietro nel tempo, più di vent’anni prima:
- Ne hanno presa un’altra. La decisione riguardo la sua condanna è stata relegata a noi. I monaci servitori del Diavolo preferiscono che siamo noi a giudicarla – disse il suo superiore, camminando a gran velocità.
- Niente processo? – domandò il novello padre Cliamon, seguendolo.
- No. Troppo tempo e troppe energie consumate senza scopo. Dobbiamo organizzare le funzioni per i prossimi giorni, non possiamo pensare anche ad un processo.
Hai preso i voti da oramai un mese, Cliamon, è il momento che le tue doti vengano testate nella pratica.
- Sono pronto. Ditemi cosa volete che faccia.
- Scenderai nei sotterranei per incontrare la prigioniera, la strega. Parlerai con lei, consolerai la sua anima e poi ci riferirai se, secondo il tuo giudizio, ella meriti il rogo o la libertà.
Non la condanneremo senza ascoltarla, non siamo delle bestie.
Detto ciò, padre Cliamon venne condotto nelle prigioni sotterranee, per incontrare la strega.
Tenne il libro sacro stretto al suo petto, esattamente sopra il ciondolo del crocefisso.
La sua fede era salda, incrollabile.
Non appena gli uomini incaricati aprirono la cella per farlo entrare al suo interno, Cliamon avanzò nel luogo putrido e maleodorante senza esitazione, avvicinandosi cautamente alla ragazza incatenata.
Ella aveva una bellissima pelle scura, liscia, priva di impurità, l’imponente cespuglio di capelli riccissimi e corvini che nascondevano in parte il suo volto, già sepolto tra le gambe lunghe, magre e piegate. Era seduta a terra, con polsi e caviglie strette dal metallo delle catene che padre Cliamon poteva solo lontanamente immaginare quanto fosse doloroso.
Già vista in quel modo, maltrattata, costretta alla cattività,  reclusa in un luogo buio e torbido, piegata su stessa come un animale aggressivo, sembrava una creatura meravigliosa.
- Adaira? Henni Adaira? Questo è il vostro nome, giusto? Io sono padre Cliamon.
Vi prego, non sono qui per farvi del male – le disse con voce dolce e supplichevole.
A ciò, la ragazza alzò il volto stravolto verso di lui, rivelando la sua intensa bellezza.
Cliamon era già abituato a vedere servi del Diavolo in giro per il villaggio, tuttavia, l’aspetto di quella ragazza l’aveva colpito più di qualsiasi altro.
- Non voglio parlare con nessuno – decretò, scontrosa.
- Vi prego. Devo comprendere i motivi che vi hanno spinto ad utilizzare la magia nera in tal modo.
Lo sapete, la magia non è vietata nel nostro villaggio. Tuttavia …
- Tuttavia??
- Tuttavia questa non può essere usata per far del male al prossimo.
Adaira scoppiò in una grossa e pungente risata in risposta. – Parlate sul serio?! Ogni singolo tipo di magia è una violenza sull’uomo. Qualsiasi. Parlando in questo modo dimostrate di non conoscere nulla riguardo le pratiche magiche.
- La fattura che avete fatto … ha portato un uomo a togliersi la vita. Ne siete consapevole?
- Resta il fatto che non l’ho ucciso io.
- Ma lo avete portato a …
- Io non l’ho portato a fare nulla!! – sfuriò lei, alzandosi immediatamente in piedi, fulminandolo con i suoi occhi iniettati di rabbia. – Ciò che ho fatto è stato solamente per ottenere giustizia. Una giustizia che non mi sarebbe mai stata concessa altrimenti. La fattucchieria dell’odio mira a tormentare il sonno e la veglia della persona odiata. Come reagisce il destinatario alla maledizione lanciatagli, non è affar di chi la lancia.
- Dovrebbe esserlo invece. Se foste stata voi la destinataria non l’avreste pensata in questo modo.
- Non voglio più sentirvi! – esclamò ella voltandogli le spalle.
- Vi prego. Sono qui per giudicarvi. Mi hanno incaricato di parlarvi per comprendere le vostre buone intenzioni per potervi evitare la condanna al rogo.
- Allora bruciatemi!! – urlò rivoltandosi verso di lui, avvicinandoglisi. – Bruciatemi!!
- Vi prego, smettetela. Io sono qui per salvarvi.
- Voi non avete questo potere. Voi non avete alcun potere. Ditemi, quanti anni avete, padre? Siete solo un ragazzo ingenuo, che crede di poter comprendere una donna che, oltretutto, appartiene ad un credo diverso dal vostro. Guardatevi, padre. Vi siete mai soffermato a guardarvi allo specchio? – gli chiese provocatoria. – “Inguardabile” è la parola che userei per tutti voi. Mi sono sempre domandata se ne soffriate. Fate di tutto per non dimostrarlo, ma si vede lontano un miglio che guardarci vi corrode l’anima. Credete sia ingiusto, padre? Io credo di sì. D’altronde, se avessi il vostro aspetto, mi sarei tolta la vita molto tempo fa. Ci fanno credere che la bellezza sia solo un valore aggiunto, una superflua caratteristica, inutile, senza importanza. Invece è importante. Lo è sin troppo. Non credete? – continuò pungente ella, cominciando a girargli intorno, individuando il punto debole del giovane monaco. – Ve lo leggo negli occhi, sapete? Ve la leggo negli occhi l’invidia. Voi non provate attrazione sessuale nei miei confronti, bensì una cieca e incontrollabile invidia. Dovreste stare attento a queste pessime emozioni che contaminano il vostro animo puro, padre. L’invidia è un peccato capitale. Credo lo sappiate.
- Smettetela, vi prego … sono qui per aiutarvi – sibilò Cliamon abbassando lo sguardo.
- Guardatemi. Guardatemi, padre – si impose ella, ponendo il viso di fronte al suo, attendendo che egli alzasse gli occhi.
Quando lo fece, ella rise. – Ecco qua. Coltivate questa invidia, padre. Tiratela fuori. Sopprimerla non servirà a nulla ma peggiorerà solo le cose. Voi ci odiate per come appariamo. Ci odiate per qualcosa di così “futile”, “innecessario”. E odiate anche voi per questo – concluse ella terminando di leggere dentro i suoi occhi. – Ecco. Ora potete giudicarmi, dall’alto della vostra carica.
Ora potete comprendere cosa significa disturbare il sacro silenzio di una condannata a morte – disse serafica.
Padre Cliamon restò a guardarla per quelle che gli parvero ore intere, covando un profondo odio e una furia che non sapeva di essere in grado di provare.
- Domani all’alba.
Godetevi le vostre ultime ore fino a domani all’alba.
Brucerete su quel soppalco fino alla morte.
A tali parole, la ragazza sembrò come riscuotersi. Il suo sguardo mutò totalmente, assumendo un’aria afflitta e spaesata. – Padre … io ho una figlia. Ho una bambina piccola a mio carico … vi prego … si chiama Myriam … si chiama Myriam la mia bambina … non posso lasciarla sola … vi prego.
Senza degnarla di un altro sguardo, il giovane prete richiamò gli uomini a guardia della prigione, attese che aprissero la serratura e uscì dalla cella.
 
Padre Craig camminò fino alla bottega del mastro, seguendo le indicazioni di Judith.
Giunto dinnanzi alla porta, prese coraggio e bussò.
Dopo qualche minuto di attesa, udì la voce del ragazzo che riconobbe, da dentro l’abitacolo, il quale esclamò a suo padre di non preoccuparsi, che sarebbe andato lui ad aprire la porta.
La porta si aprì, rivelando la figura del giovane Van Naren, il quale si strinse nella sua veste di lana per ripararsi dall’impatto con il freddo esterno.
- Salve, Naren.
- Padre Craig…? Cosa ci fate voi qui?
- Sono qui per parlare con voi, Naren.
Abbiamo molto di cui parlare.
 
 
 
   
 
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