Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Mirin    04/10/2020    1 recensioni
“Perché no? Tu sei un puzzle che non ha soluzione, Du,” Duarte. O Dus, come ti fai chiamare dai tuoi compaesani, perché Duarte è così anti-inglese, tanto, troppo portoghese. ‘Britoguese’, ‘Britoghese’, ti sfottevo. Loro ti chiamano Dus, ma io ti chiamo Duarte. Io ero l’unica a cui era permesso.
Questa storia partecipa al contest “Acquerelli” indetto da Juriaka sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il sorriso mi si disegna sulle labbra mentre mi appoggio alla balaustra che separa la strada dalla sabbia. È bella davvero la tua Jersey, è bella come l’avevo sognata anni fa quando di notte nel sonno non facevo che immaginarmi accanto a te a passeggio sulla spiaggia, ridendo, arrossendo, imbarazzandomi e tirandoti giù con me nella battigia.

Tu sei diventato un altro, o meglio, sei rimasto sempre lo stesso: il posto da contabile, l’ufficio nel palazzo dell’azienda, i capelli scarmigliati, il naso grosso ma dritto. Sono io ad essere diventata un’altra: ho finito l’università, sono andata a studiare ad Amsterdam, ho persino iniziato a fumare erba – ogni tanto, solo dopo settimane di stress, non come te. Ti ricordi quando, ridendo, mi avevi detto che dovevo per forza farmi il mio primo spinello insieme a te?

Il cuore mi batte così forte che mi uscirà dal petto mentre ti guardo da vicino per la prima volta, mentre sento il tuo respiro muovere l’aria attorno a me, mentre ad ondate il tepore del tuo corpo mi avvolge per la prima volta – hai corso per arrivare qui in fretta. Non so se fa caldo a causa del sole che tramonta ed inonda tutto di mistica luce dorata, scarlatta, o perché tu, per la prima volta in tre anni da quando ho imparato il tuo nome, sei davanti a me.

“Sei venuto,” sorrido mentre ti parlo in inglese con quell’accento che ti fa storcere il naso perché troppo British. Lo so che ti piace quando mi arrabbio e mando l’accento a farsi benedire, quando senti la mia veemenza italiana che ti rammenta le tue origini latine.

“Pensavi non venissi?” oh, la tua voce è così simile a quella che ho sentito per ore nella mia stanza quando mi chiamavi, quando mi addormentavo con te al telefono alle 7 del mattino dopo che avevamo passato tutta la notte a parlare. È la voce nella mia testa, ed è così strano ascoltarti ed avvertire il tuo fiato accarezzarmi la pelle.

“Perché no? Tu sei un puzzle che non ha soluzione, Du,” Duarte. O Dus, come ti fai chiamare dai tuoi compaesani, perché Duarte è così anti-inglese, tanto, troppo portoghese. Britoguese’, ‘Britoghese’, ti sfottevo. (Ricordi quando mi dicesti che un giorno mi avresti portato a Madeira a vedere dove eri nato?) Loro ti chiamano Dus, ma io ti chiamo Duarte. Io ero l’unica a cui era permesso, anche se poi pure gli amici in comune cominciarono a chiamarti Duarte, perché io e te stavamo sempre insieme ed il tuo nome era sempre sulla mia bocca, così come il mio era sulla tua.

“Me lo hai già detto una volta, due anni fa. Mi dicesti anche che non volevi più essermi amica.”
Non siamo mai stati solo amici io e te, Duarte, non scherzare. Forse le prime settimane che ci siamo conosciuti, ma poi un mese dopo già dicevi di amarmi, che non saresti mai stato felice senza di me, già mi prendevi in giro chiamandomi la tua ‘moglie a distanza’. Eppure nessuno lo poteva sapere, perché tu avevi una ragazza, una ragazza con cui stavi da sei anni, una ragazza che aveva avuto un tracollo nervoso e che aveva deciso di andarsene dall’appartamento che dividevate, e tu eri rimasto solo e con il cuore spezzato.
Io ti giuro che non volevo tu ti innamorassi di me perché di me non si era mai innamorato nessuno, ma è successo – non eri tu che lo dicevi sempre, ‘è successo e non posso tirarmi indietro’? Ti ho medicato il cuore quando eri un uomo distrutto e senza niente: senza una casa più grande di una stanza, senza un lavoro e soprattutto senza amore. Tu in cambio fosti capace di mostrarmi, per la prima volta in vita mia, cosa voleva dire essere davvero amata.

Poi, dopo 8 mesi di idillio, iniziasti ad essere schivo. Non c’era mai tempo per me se non 10 minuti prima di addormentarti, e io provai a combattere questa situazione all’inizio, poi cominciai a farmela andare bene perché tu sembravi felice e io ti volevo felice e poi anche se era poco tempo io ti avevo sempre un po’, no? Anche se sapevo che le ore dopo il lavoro tu eri da Samantha e parlavate di futuro, lei parlava di ritornare a vivere insieme, di mettere su famiglia, perché dopotutto avevate 35 anni ed era giunto il momento di fare le cose sul serio. Anche se sapevo che, se avessi voluto, avresti potuto passare almeno un pomeriggio alla settimana con me, ma non volevi, non volevi perché stavi assaggiando di nuovo la vita che avevi perso. E litigavamo, litigavamo sempre perché io mi arrabbiavo, perché un uomo che mi aveva detto di voler invecchiare con me non poteva improvvisamente dimenticare di mandarmi un messaggio al mattino. Fosse stato solo un messaggio al mattino! Se non fossi stata io a scriverti tu mi avresti ignorata per giorni interi. Ma me lo facevo andare bene, perché quando c’eri era tutto meraviglioso.

Finché un giorno non sparisti, letteralmente. Per più di dieci giorni diventasti un fantasma, io continuavo a scriverti e tu non leggevi neanche i miei messaggi, ti chiamai forse 100 volte e non rispondesti ad una sola telefonata. Con te avevo sempre sentito un dolce tepore nel petto, ogni santo giorno, come se la primavera del mondo intero mi sbocciasse nel cuore tutta insieme, ma quel 15 Settembre la primavera morì, il mio cuore diventò la fredda, gelida tundra dell’Artico. Niente più tepore, niente più calore, niente più amore. Non hai idea di quanto mi ci è voluto per imparare a fidarmi di nuovo delle persone.

Ho pianto per giorni a causa tua. Sono stata così male da vomitare, preoccupata, furiosa, confusa, senza sapere né se fossi vivo né se mi evitassi per qualche ragione. La tua assenza ingiustificata succhiò via sorso a sorso tutta la mia dolcezza, tutto il mio sentimento, mi lasciò vuota, completamente vuota.

E così quando ti ripresentasti da me, supplicando la mia comprensione e auto-flagellandoti per la tua stupidità ('Volevo provare a dimenticarti, ma non ce la faccio a stare senza di te, sei parte di me, tu sei parte di me!', mi dicesti), non potevo perdonarti. Nemmeno io potevo perdonarti, Du, nemmeno un cuore buono, gentile, generoso e masochista come il mio poteva farlo: mi avevi reso arida. Non c’era più niente in me.
Quindi sì, ricordo bene quello che ti dissi: ‘non scrivermi più, non chiamarmi più, tu sei un puzzle senza soluzione, io non ti capisco ma non voglio più che tu mi fotta la vita’.

Però ti avevo giurato che sarei venuta a trovarti un giorno. E quindi sono qui, davanti a te, dopo due anni dall’ultima volta che abbiamo parlato. Io sono cambiata: i miei capelli non sono più biondo dorato, sono ritornati il mio color cenere naturale. Ho un modello di occhiali diverso, il rossetto è il mio solito rosso, e la frangia ora la porto a sinistra.

Tu sei diventato un altro, o meglio, sei rimasto sempre lo stesso: con il tuo posto da contabile, il tuo ufficio nel palazzo dell’azienda al centro di Saint Helier, con i tuoi capelli neri scarmigliati, con la tua maglia un po’ larga e i tuoi jeans lunghi, con il tuo aspetto affascinante ma non bello da copertina, un vero tipo, l’uomo più attraente che io abbia mai visto. Proprio lo stesso no, perché Samantha non c’è più, ma il mio Duarte non era il Duarte di Samantha, il mio Duarte era quello che conoscevo io. E tu sembri proprio quel Duarte di tre anni fa, quel Duarte che mi prendeva in giro per il mio accento, quel Duarte che diceva che cantavo come una cornacchia. Tu sembri essere ritornato il Duarte che mi fece innamorare.

Non so se ti amo ancora o mi sto innamorando di nuovo di te solo a vederti davvero per la prima volta, ma sono felice.

Qualcosa mi dice che sei felice anche tu.

“Ricominciamo dall’inizio. Ciao, piacere, mi chiamo Felicia, però gli amici mi chiamano Licia.”

Tu sorridi divertito. Lo sai che sono pazza, Du, ma mi ricordo che quello era uno dei motivi per cui mi amavi.

“Hey Licia. Io sono Duarte. Posso invitarti a prendere un caffè?”

Mi sfugge un ghignetto passandomi una mano nei capelli. “Questo non me lo avevi mai detto.” Ovviamente. Non avremmo mai potuto bere un caffè seduti l’una di fronte all’altro prima di adesso.

“Ci sono tante cose che non ti ho detto. Andiamo.”

Io annuisco. Non so se ti amo ancora, Du, però mi sei mancato. Non so che vuol dire, ma non m’interessa, non ora. Te la ricordi la canzone? “I swear this will be the last time, and I hear you are doing just fine but I’ve done everything I can do, please tell me what’s working for you.”

Mentre camminiamo ti volti a guardarmi e come un fulmine a ciel sereno capisco. Ti sono mancata da morire. In due anni non è passato un giorno in cui tu non abbia pensato a me. Per questo quando ti ho chiamato all’improvviso dopo due anni in questo pomeriggio di ottobre e ti ho detto: “sono a Jersey, ti aspetto vicino la spiaggia ad Esplanade, se mi vuoi incontrare”, tu hai boccheggiato. Tu non sei stato bene. Ora stai meglio, Du?

“Du, io voglio un caffè espresso. Italiano. Non portarmi a bere qualche schifezza inglese.”
“Oh, Licia, Licia, Licia. Certo che ti porto a bere un caffè buono. Lo so che me lo tireresti in testa se non lo fosse.”

Sì, lo so, c’è ancora una speranza. Un passo alla volta, Du, perché non posso ridarti subito la mia fiducia. Forse possiamo iniziare ad essere amici?

“Hahaha. Allora te lo ricordi!”

Una primula sboccia nella tundra gelida del cuore.
Mi chiedo se stia per tornare la primavera e il suo tepore.

 

Note d’autore:
La storia è fortemente autobiografica in un senso. Diciamo che è un cucchiaino di miele nella mia bocca piena di sale. Ci tenevo particolarmente al fatto che il dialogo tra i due personaggi si svolgesse in inglese, ma non ho trovato il modo per inserire delle possibili frasi in inglese senza rendere il teso incredibilmente affettato e pretenzioso, quindi per capriccio l’ho voluto tradurre a parte qui sotto, per chi fosse curioso:

Let’s start back from the beginning. Hi, nice to meet you, my name’s Felicia, my friends call me Licia though.”
“H
ey, Licia. I’m Duarte. Do you want to go for a coffee with me?”
Well, you never told me that before.”
“I know. There are many things I haven’t told you before. Come on, let’s go.”
“Du, I want an espresso. Italian stuff. Do not take me to drink some English shit.”
“Oh, Licia, Licia, Licia. Of course I’ll bring you to drink some nice coffee. I know you would smack me in the head if it wasn’t.”
Hahaha. You remember then!”
P.S: mi sono resa conto troppo tardi che “Call me Licia” mi fa ridere perché mi fa pensare a Kiss me Licia, ma oops, fatto il misfatto!
Un bacio,
Mirin.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Mirin