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Autore: Restart    07/10/2020    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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3 dicembre 2010
Caterina osservava i lineamenti di Stefano: erano passati due anni, la ferita che si portava dietro aveva appena iniziato a rimarginarsi. Nei momenti di maggiore sconforto, chiudeva strette le palpebre e cercava di immaginarselo davanti proprio come il giorno in cui l’aveva conosciuto. Riusciva a vedere gli occhiali rotondi, i capelli scuri, lucidi, l’azzurro delle iridi. Ma non appena allungava le mani per sfiorarlo, lui svaniva.
Pulì l’immagine con le punte delle dita e un sorriso malinconico le sfuggì dalle labbra. Scene di una vita passata insieme a quel ragazzo si susseguivano nella sua mente e rendevano meno doloroso quel giorno. Chiuse gli occhi per immergersi meglio in quel flusso dolceamaro di ricordi.
Un prurito al naso la fece ridestare. Giulio le teneva davanti al viso un mazzolino di fiori freschi e l’invitava a prenderli per metterli nel vaso. Caterina però prese direttamente il figlio in braccio e fece in modo che fosse lui a compiere quell’azione.
Era la prima volta che lo portava alla tomba del padre. Era passato abbastanza tempo affinché anche lei riuscisse ad andarci senza avere un crollo nervoso. Giulio si era comportato in modo estremamente maturo per un bambino di quasi sette anni. Caterina poteva notare quanti elementi di Stefano riuscissero a venire fuori in lui. La calma, ma allo stesso tempo l’entusiasmo per tutti gli elementi della vita.
Un pesticciare dei sassolini la fece voltare di scatto: Lucrezia stava correndo nella loro direzione tenendo in mano un fiore un po’ sgualcito. Andrea la seguiva a breve distanza, facendo attenzione che non cadesse. Ripose il fiore nelle mani della madre con un sorriso soddisfatto.
Erano vicini, ma in silenzio, pensando al massiccio impatto che aveva avuto Stefano nelle loro vite. E di quanto ancora ne facesse parte.
*
Febbraio 2011
Piazzale Michelangelo era affollato. Tutti stavano aspettando il tramonto. Ma Caterina era riuscita ad arrivare in tempo e posizionarsi sul muretto, con lo sguardo fisso sulla sua città. Era una giornata fin troppo calda per essere fine febbraio. Tirava un filo di vento, abbastanza per rendere il cielo limpido. La luce aranciata s’intersecava, s’insinuava nel blu profondo, creando un gioco unico al mondo. Erano anni che non raggiungeva San Miniato a piedi. Era una giornata primaverile, ma il caldo opprimente annunciava l’imminente estate. Era stata una fatica non da poco, ma gli aveva promesso che non si sarebbe pentito di quello che avrebbe trovato una volta giunti fin lassù. Era sempre il 2000 e stavano insieme da poco. Lui portava ancora i capelli lunghi, gli occhiali tondi da intellettuale. Tempo dopo le avrebbe rivelato che a guardarla seduta sul muretto del Piazzale, con il vento che le faceva muovere i capelli biondi, avrebbe avuto l’ispirazione per scrivere il suo primo romanzo. Lei era Imma: con tutte le sue contraddizioni, con tutti i suoi timori, con tutti i suoi punti di forza. Quello doveva rimanere un segreto tra loro. Caterina si era ripromessa più volte che non l’avrebbe condiviso con nessuno. Nemmeno con i suoi figli.
Delle mani nodose scivolarono lungo le sue braccia, avvolgendola in un abbraccio. Dei capelli scuri le grattarono la guancia destra, delle labbra carnose le baciarono con delicatezza il collo.
Caterina si girò: due profondi occhi chiari la scrutavano. Sorrise.
«Ti ho preso una cioccolata calda» le porse la tazza di cartone che lei accettò con un cenno della testa. Lui si sedette accanto a Caterina, portando lo sguardo sulla città davanti a loro. Lui aveva addosso un profumo dolce, morbido, un profumo che la faceva sentire al sicuro. Giacomo era stato parte importante della sua ripartenza. L’aveva aspettata per quasi un anno. Aveva aspettato che lei fosse stata pronta a condividere la vita con qualcun altro, che fosse pronta a superare il lutto. Sapeva che non l’aveva ancora pienamente superato. Le ferite, i tagli erano ancora vivi. Ma non le facevano più male come prima. Stava iniziando a conviverci.
Giacomo la guardava ammirato. I capelli color miele che ondeggiavano appena sopra le spalle, gli occhi puntati sull’orizzonte, d’un verde profondo, quasi lo stesso colore degli alberi davanti a loro. Si era innamorato di lei non appena l’aveva vista, circa un anno prima. Lei era seduta alla Loggia dei Lanzi, un gelato in mano sebbene fosse sempre febbraio, avvolta in un cappotto che le lasciava libera solamente la parte superiore del viso. Tutti i paradossi di Caterina erano racchiusi in quell’immagine. E lui era affascinato da ognuno di quelli.
Nessuno dei due si avvicinò all’altro: rimasero lì, vicini ma distanti, coscienti e confortati dal fatto che ci fosse l’altro a lato.
«Jack» la voce roca di Caterina lo fece voltare. Non si guardarono a lungo. Ma l’intensità messa nello sguardo era palpabile. Lei si sporse un po’, i loro nasi si sfiorarono. Fu allora che sentì la giusta spinta per baciarlo. Era il suo primo bacio dopo Stefano: l’emozione l’aveva fatta fremere debolmente, perciò Giacomo l’aveva stretta in un abbraccio come a confortarla. Lui c’era. Lei poteva contare su di lui. Ed era qualcosa che arrivava forte e chiaro.
*
Maggio 2011
Per la prima volta in quasi tre anni, Andrea stava tornando a Napoli. Non è possibile descrivere in maniera definita le emozioni che provava. Un misto di paura, eccitazione, tensione, il tutto mischiato con una quantità immane di gioia. Era la sua città, era la sua linfa vitale. Gli era mancata come l’aria. Gli erano mancati i colori, i profumi, la musica. Non si sarebbe trattenuto a lungo, giusto il tempo necessario per risolvere un paio di questioni di lavoro. Ma erano abbastanza. Abbastanza per inebriarsi nuovamente della sua città.
Si era portato dietro anche Lucrezia e Giulio. Voleva far vedere loro il posto da cui veniva Stefano, dove lui amava passare il tempo, dove amava nascondersi. Avrebbe voluto che anche loro si innamorassero di quella città, che ne sentissero i flussi, proprio come lui e suo fratello. Aveva perfino deciso di evitare sua madre. Niente e nessuno poteva rovinargli quei due giorni. Dovevano essere perfetti.
Guardò fuori dal finestrino del treno, ripensando alla sera precedente. Giacomo era venuto a cena da loro per la prima volta. Si era chiuso in sé, timoroso di ogni aspetto. Ma poi aveva visto lo sguardo di Caterina illuminarsi appena lui era entrato e aveva capito che non c’era bisogno di essere preoccupato. Lei stava bene. E lui, che desiderava sempre il meglio per lei, non poteva che essere felice. Si meritava il mondo. E lui avrebbe fatto di tutto per procurarglielo.
Lucrezia si arrampicò su di lui e si gettò assonnata sul suo petto. La strinse in un abbraccio. Gli parve di tornare alla prima sera che l’aveva conosciuta. Si appisolò ripensando a quei momenti felici.
Andrea passò tutta la mattinata in ufficio, controllando con la coda dell’occhio che Lucrezia e Giulio si comportassero per bene. Ma loro erano due bambini straordinariamente tranquilli e educati. Entrambi avevano preso il meglio dei due genitori. Ma se Giulio stava tirando fuori il carattere di Stefano, Lucrezia era il calco di Caterina. Ferma, risoluta, determinata. Perse qualche secondo nell’osservarla disegnare con le labbra strette tra i denti e le sopracciglia scure aggrottate. I movimenti erano quelli della madre, identici in maniera quasi impressionante. Andrea sorrise tra sé. Aver guidato fino a Firenze quella sera era stata la sua miglior decisione.
Decise di premiarli portandoli al mare. Non avevano visto altro mare che quello scuro di Viareggio. C'era una caletta a Posillipo che aveva rubato il suo cuore quando era giovane. Ce l'aveva portato Stefano un giorno di maggio proprio come quello: il sole era scottante, l'odore di salsedine aveva impregnato i suoi capelli, i suoi vestiti, le pagine dei libri.
Ora stava a lui invece far scoprire quel piccolo angolo ai figli di Stefano. Lanciò loro un’occhiata furtiva: erano totalmente catturati dalle sfumature di blu e di verde davanti a loro.
Entrarono a piccoli passi nell'acqua fresca, quasi fredda. Lucrezia si strinse ad Andrea, chiedendo in via del tutto eccezionale di prenderla in braccio; con l'altro prese Giulio. Rimasero a lungo immersi nell'acqua cristallina, parlando, ridendo. Si sentivano leggeri, si sentivano al sicuro.
Cenarono nel piccolo bar là vicino. Erano soli su quella piccola terrazza che guardava al mare. L'aria era rinfrescata dalla brezza leggera, la pelle tirava per il sale, il profumo dei pini si confondeva con quello delle schiacciate calde. Niente era cambiato. Ad Andrea sembrò essere tornato indietro di quindici anni. Lui e Stefano erano seduti in quello stesso punto, uno davanti all'altro, in silenzio, lasciando parlare solo il vento. Per questo Andrea quasi s'infastidì quando il fratello attaccò un monologo che avrebbe voluto non sentire. Stefano, invece, non riusciva più a tenersi il segreto. Aveva bisogno di dirlo a qualcuno. Si era innamorato. Per l’ennesima volta quell'anno. Ma era sicuro che quella fosse la persona giusta. Riuscì a catturare la completa attenzione di Andrea solamente quando gli disse che aveva perso la testa per Marcello, un loro vicino. Per la prima volta in vita sua Stefano era completamente sincero. Con gli altri e con se stesso. Era anche la prima volta che si innamorava di un uomo. Ma non sapeva che sarebbe stata l’unica. L'unico uomo della sua vita. Quando Stefano finì di parlare, un silenzio inquietante cadde tra loro. Temeva la reazione del fratello. Andrea respirò profondamente. E poi domandò se almeno fosse ricambiato. Stefano si emozionò talmente tanto che lo abbracciò d'impulso. Il suo appoggio era tutto quello di cui aveva bisogno.
A ricordare Stefano, Andrea si oscurò in volto. Un profondo magone lo assalì. Cerco di consolarsi stringendo a sé Lucrezia che era crollata addormentata sul suo petto.
«Le fai male a stringerla così forte» per un attimo lui non si rese conto chi avesse parlato. Gli bastò girare lievemente lo sguardo per incontrare quello profondo della cameriera. Gli sorrideva: un sorriso candido in estremo contrasto con la carnagione già molto abbronzata. Andrea ricambiò con un sorriso imbarazzato. Lei si avvicinò. «Hai dei figli bellissimi» disse osservando ammaliata I due bambini, entrambi addormentati. A lui scappò una risata sommessa, ma comunque intrisa di dolore. Non era la prima volta che qualcuno credeva fossero suoi. La somiglianza c'era, vero, ma non se la sentiva di continuare la farsa.
«Sono di mio fratello» la ragazza annuì. «Hai una sintonia unica con questi piccirelli, oltre al fatto che ti somigliano in maniera impressionante; per questo sono andata sul sicuro». Si sedette accanto a Giulio e gli accarezzò la schiena in maniera delicata. Andrea rimase immobilizzato: quella sua estrema confidenza gli era totalmente estranea.
«Mi piacciono tanto i bambini. Ne vorrei un paio tutti miei» parlava mentre osservava affascinata Giulio. Ai suoi occhi era il bambino più bello che avesse mai visto. «Ma per fare dei bambini bisogna essere in due, giusto? Io sono sola. E lo sarò a lungo» la malinconia che veniva fuori dalla sua voce era la stessa che sentiva lui. Percepiva chiaramente quello che sentiva lei. Aveva i suoi stessi desideri. Avrebbe voluto farle capire tutto ciò, ma non sapeva come muoversi. Avrebbe voluto prenderle la mano, ma temeva che fosse troppo presto. Perciò rimasero lì, in silenzio, condividendo dei tormenti senza saperlo. Fu lei a rompere di nuovo il ghiaccio.
«Io sono Eva» gli porse la mano e lui la strinse, esitante. A quel tocco sentì una leggera scossa sui polpastrelli. Alzò di scatto gli occhi e incrociò quelli di lei: era una scossa che avevano percepito entrambi. «Andrea». Gli fece un sorriso così bello che se lo sarebbe ricordato per tutta la vita.
*
Dicembre 2011
Un timido sole cercava di riscaldare Firenze, ma era troppo freddo. Il vento gelido s’insinuava da tutte le parti, faceva tremare Caterina chiusa nel suo cappotto nero. Camminava veloce, gli occhi fissi davanti a sé, le mani a stringere un piccolo mazzolino di fiori. Giacomo l’aspettava appoggiato alla macchina, fumando una sigaretta e guardando il cielo. Per la prima volta da giorni era finalmente una bella giornata. Avrebbe voluto godersela, ma Caterina quel giorno non era in vena di fare niente. Erano passati tre anni e l’immagine di Stefano aveva iniziato a sfuocarsi ai contorni. Non riusciva più a sentire la sua voce in maniera distinta, il suo profumo andava confondendosi con altri. Se ne era resa chiaramente conto solo quella mattina, quando aveva aperto gli occhi e lui non era stato il suo primo pensiero, come lo era sempre. Perciò Caterina avrebbe passato tutta la giornata portandosi dietro uno stralcio di quella rabbia contro se stessa che non l’avrebbe mai abbandonata.
Si fece accompagnare al cimitero e ci passò tutta la mattina, osservando la fotografia di Stefano. Gli parlava, raccontandogli dei loro figli, di quanto crescessero, di quanto Giulio stesse diventando sempre più simile a lui, invece Lucrezia rimaneva un’incognita per tutti loro. Passando ancora la mano sulla fotografia, una piccola lacrima scese sul suo viso. Non era giusto che lui non avesse potuto conoscerli per bene, non era giusto che a lei non fosse stato permesso di continuare a vivere al suo fianco, a ridere insieme, a parlare, a discutere. Le era stato tolto troppo presto.
Guardò Giacomo lontano, mentre parlava al cellulare. Aveva ben poco in comune con Stefano. Era più riservato, più riflessivo, più logico. Ma era riuscito a stregarla. E non era stato un compito affatto semplice, visto la sua storia complicata. Nascondeva una dolcezza, una cura per lei che l’avevano fatta sentire al sicuro. Per la prima volta si domandò se fosse destinata a stare al suo fianco, ma con sua grande sorpresa, pensando al futuro, non riusciva a vedere nient’altro che un enorme punto interrogativo. Lo stesso punto interrogativo che vedeva da tre anni.
Si diresse verso l’uscita non prima di aver accarezzato nuovamente la guancia di Stefano, sussurrando parole di addio. Il ghiaino che scricchiolava sotto i suoi piedi fece alzare lo sguardo di Giacomo che la accolse con un caldo sorriso e un dolce abbraccio.
*
Andrea guardava trasognante l’acqua dell’Arno brillare sotto di sé. Si sistemò meglio a sedere e chiuse le palpebre, godendosi quel poco di sole dicembrino, che gli riscaldava il volto. Stefano gli aveva rivelato che quello era il suo posto preferito in tutta la città. Era affollato, era caldo, ma la vista che si apriva davanti era spettacolare, riusciva a tranquillizzarlo. Perciò Andrea quella mattina, dopo aver portato Lucrezia e Giulio a scuola, si era rifugiato là. Caterina l’aveva visto uscire in silenzio, senza nemmeno rivolgerle il solito sorriso. Ma era sicura di dove si sarebbe andato a nascondere. Lo faceva spesso, soprattutto negli ultimi tempi.
Sentì una leggera pressione sul viso: due mani morbide e calde avevano coperto gli occhi, una voce profonda, leggermente roca, aveva sussurrato al suo orecchio, due labbra premettero sulle sue. Un profumo di rose misto a quello del mare lo travolse. Due iridi scure lo osservavano: Eva sorrise prima di baciarlo di nuovo.
«Cosa ci fai qui?» Andrea chiese, piacevolmente sorpreso. Eva si limitò ad alzare le spalle. «Sorpresina» ripose, abbracciandolo da dietro, appoggiando poi il mento sulla spalla. «Ho immaginato ti servisse un po’ di supporto e svago oggi» Andrea si era abbandonato a quella stretta, inspirando a lungo il profumo dolce di Eva.
«Mi ha fatto piacere vederti qui» disse piano. Raccolto nelle braccia della ragazza si sentiva al sicuro: lei era stata una boccata d’aria fresca, l’aveva aiutato ad uscire piano piano dalla bolla che si era costruito da solo e in cui si era rifugiato dopo la scomparsa di Stefano. E poi Eva lo riportava a Napoli, lo riportava alle sue radici, radici che sentiva di aver perso a Firenze.
Eva si issò sedendosi al fianco dell’uomo, appoggiando la testa sulla sua spalla. «Ho pensato a quello che hai detto sai? Non sarebbe una cattiva idea. L’unico problema sarebbe mia madre. Potrebbe non rivolgermi più la parola» Andrea si lasciò scappare una mezza risata. «In tal caso entreresti nel club» le baciò la fronte. Non parlava con sua madre da tre anni ed era come si fosse tolto un peso.
*
Gennaio 2012
Andrea aveva aspettato Caterina fino a tarda notte. Doveva parlarle, doveva dirle che se ne sarebbe andato, che sarebbe tornato a Napoli, sarebbe andato a vivere con Eva. Rimandava quella conversazione da troppo tempo. Quando lei rientrò non si rese nemmeno conto che Andrea era seduto al tavolo della cucina, con la sola luce della luna ad illuminare debolmente la stanza. I lineamenti marcati diventavano più taglienti, gli occhi azzurri brillavano nella penombra. Un brivido le percorse la schiena: le sensazioni che aveva provato la prima sera che l’aveva incontrato erano ancora vividi.
«Cosa ci fai in piedi?» si avvicinò, gli fece passare la mano sulla spalla, sentendo forte la scossa che l’aveva stupita tempo prima. Ormai ci si era quasi abituata. Anzi, cercava proprio quel contatto per stare meglio. Avere Andrea al suo fianco la faceva stare bene.
«Torno a Napoli, Caterì» disse piano, cercando di soffocare le emozioni mordendo dolorosamente l’interno della guancia. Lei non fece una piega.
«Ah, per quanto? Una settimana?» mentre parlava Caterina andò in camera per togliersi gli abiti che aveva indosso da tutto il giorno e per indossare il pigiama caldo. Andrea la seguì, a debita distanza, tenendosi sempre lontano. Gli occhi erano fissi sul pavimento, le dita che si tormentavano, il cuore pesante, pressato da quella notizia che non avrebbe voluto darle. Ma doveva fare quel passo.
«No Caterì, per sempre. Vado a vivere con Eva» la voce di Andrea era estremamente sottile, soffocata dal terrore. Caterina si gelò: non si sarebbe aspettata quella notizia. Credeva di aver trovato finalmente un bilanciamento perfetto nella sua vita, una vita che le sembrava finita appena tre anni prima. Il fatto che Andrea se ne andasse, la rendeva nuovamente e terribilmente instabile. Si dovette sedere, volgendo all’uomo uno sguardo ferito.
«Ci mancherai profondamente» sussurrò, ma voleva chiedergli di non andare. Voleva chiedergli di rimanere con lei. La famiglia che si erano creati era perfetta, funzionava bene. Se l’erano detti molte volte, magari scherzando, ma entrambi erano seri nel pronunciare quelle parole. Ma quella notte, avvolti nella penombra, non riuscivano a dirsi altro. Ogni supplica di rimanere insieme, di continuare a condividere la vita insieme rimaneva avulsa dentro di loro. Per la prima volta entrambi compresero che quella gioia che li riempiva ogni volta che erano insieme, fosse forse qualcosa di più. Ma erano terrorizzati dall’idea di dirlo a parole, la vergogna era insopportabile. Andrea fece un passo indietro.
«Per favore, rimani qui. Rimani qui con noi» la voce di Caterina era debole, supplichevole. I loro occhi si cercarono: l’azzurro gelido di Andrea era illuminato da un velo di lacrime. Prese un profondo respiro e fece qualche passo nella direzione della donna.
«Caterì, non posso rimanere qui. Non posso farlo a te, non posso farlo a me, non posso farlo a Stefano. Sono arrivato ad un punto in cui non posso celare i sentimenti che provo, non posso continuare a guardare che tu vai avanti, mentre io sono bloccato nel passato, io che ti…» fece una lunga pausa, evitando lo sguardo della donna. «Non posso danneggiare la memoria di mio fratello, non posso tradirlo, io non posso…» ma non riuscì a continuare. Forse la vergogna, forse la coscienza. Andrea non lasciò nemmeno parlare Caterina. Uscì dalla stanza a grandi falcate e lei rimase appesa ad un filo.
Caterina quella sera si vide sbattuta in faccia tutta la verità e dovette fare i conti con i propri sentimenti. Capì che quella connessione che aveva instaurato con Andrea era più profonda di un semplice legame familiare. Capì che la sua ripartenza non era stato Giacomo. Era stata quella persona che le era stata accanto per più di tre anni, che l’aveva aiutata a raccattare tutti i pezzi, che l’aveva accompagnata nei momenti bui.
E ora si stava allontanando e lei sarebbe stata sola.
   
 
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