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Autore: Giuda_Ballerino    09/10/2020    1 recensioni
Salve a tutti, è da un po' che non aggiornavo questa storia. Il tempo non mi è amico. Ho apportato delle modifiche a tutti i capitoli, sia per ragioni di sintassi che di contenuto. La storia ora è completa, ma nel caso la gradiste, fatemi sapere se avreste piacere ad un possibile continuo.
"...lo avrebbe distrutto, spogliandolo di tutto ciò di cui fosse certo. Gli avrebbe dimostrato che neanche lui era in grado di amare nessuno...", "...Cuore e mente. Di Edward non doveva restare più nulla."
Ciao a tutti! Sono una vecchissima lettrice di fanfiction ma è la prima volta che mi cimento nello scriverne una. Anzi è la prima volta che scrivo una storia in generale. I primi capitoli saranno incentrati su quanto accaduto nella serie sviluppando la parte introspettiva dei personaggi. Dal terzo capitolo parte l'idea partorita da me. Chiedo a tutti i lettori, gentilmente, di lasciare commenti che possano aiutarmi a capire se c'è qualcosa che non funziona, se la storia è noiosa o qualsiasi altro suggerimento.
Vi ringrazio in anticipo e vi auguro una buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Può esserci un momento, nella vita di un uomo, in cui tutto ciò che lo tiene legato alla realtà va liquefacendosi come un panetto di burro su di una padella rovente.
 
Il costante lampeggiare della spia rossa della benzina era l’unico segnale che gli confermasse che il tempo stava continuando a scorrere regolarmente.
 
Edward aveva scelto di intraprendere una strada fuori mano poco illuminata che, attraverso una via dritta, lo avrebbe condotto al molo.
 
Il buio della notte ingoiava tutto lo spazio che non veniva direttamente colpito dalla luce dei fari della macchina da poco rubata.
 
Di tanto in tanto, il paesaggio gli offriva la vista di qualche sparuta macchia di verde contornata dal vuoto più assoluto. In lontananza, i grandi palazzoni della città con le loro luci vive e sfrenate raccontavano di grandi divertimenti.
 
Cercava di tenere lo sguardo attento sulla strada nonostante il vetro del finestrino rotto, il quale dava spazio a grandi folate di vento che lo schiaffeggiavano violentemente in viso.
 
I capelli scompigliati danzavano ritmicamente all’indietro cavalcando le gelide e costanti ondate di freddo.
 
Con la mano destra, iniziò distrattamente ad armeggiare con i tasti della vecchia radio incastrata nel cruscotto, nel tentativo di individuare un brano che potesse accompagnarlo durante il funesto viaggio.
 
Dopo svariati tentativi, riuscì ad individuarne il tasto d’accensione. Un Brano di Mitch Miller, “I’ m Looking over a four leaf clover”, prese vita dalle vecchie casse dello stereo. Erano talmente usurate che parevano riprodurre il tipico suono della testina del giradischi quando attraversa i solchi di un disco.
 
La musica allegra e spensierata cozzava malamente con l’aria greve che si respirava in quell’auto. Ma Edward adorava quella canzone. Un brano che aveva conosciuto grazie ad Oswald, il quale spesso lo canticchiava stralunato tra i denti, mentre era indaffarato a compiere qualche indicibile azione.
 
Chiuse gli occhi per qualche secondo, inclinando il capo all’indietro, e tirò faticosamente un lungo respiro dalle narici per assaporare il vento fin dentro i polmoni. Una boccata d’aria fresca nell’inferno che gli era capitato. Una testimonianza di vita nella morte che lo circondava.
 
Le mani erano aggrappate allo sterzo che, da classico strumento di manovra, diventò un appiglio al quale restare saldo.
 
È possibile essere consapevoli del proprio percorso ed essere disorientati allo stesso tempo? Questo Edward lo avrebbe definito un paradosso.
 
Durante i pochissimi istanti in cui tenne gli occhi chiusi gli venne naturale lasciarsi andare alle sue emozioni. Si sentiva completamente perso, mai come in quel momento. Sapeva benissimo dov’era diretto. Sapeva benissimo quali sarebbero state le sue prossime mosse. Ma aveva perso il senso delle cose.
 
Isabella era stata per lui una persona sicuramente importante. E scoprirsi capace di ucciderla gli aveva completamente spazzato via quel briciolo di umanità che lo faceva sentire ancora parte integrante del genere umano.
 
Non tanto la perdita della donna un tempo amata, quanto questa consapevolezza lo stava ferocemente spezzando dall’interno.
 
Fino ad allora si era convinto che con Kristen si fosse trattato di un errore. Ora si chiedeva se lui non fosse un “mostro”.
 
“Mostro” la parola tuonò nelle sue orecchie dall’interno, come il sangue quando pulsa alla testa a causa della pressione alta. Lo sentì battere nelle orecchie distorcendo ed ovattando a ritmo dei battiti cardiaci i suoni esterni.
 
“Sono un mostro?”
 
A quella domanda riaprì di scatto gli occhi nella speranza di scoprire di essersi appena svegliato da un lungo sonno, magari ancora disteso su quel divano al centro di villa Van Dhal con il braccio a penzoloni.
 
Purtroppo, di fronte a lui ancora l’oscurità avvolgente della notte illuminata dai deboli fari dell’auto.
 
Il corpo della donna se ne stava silenzioso ed immobile nel bagagliaio del cofano, ma pesava come un grosso zaino sulle spalle di Edward, che faticosamente scarrozzava durante la sua traversata fuori dalla città.
 
Gli pareva di trascinare tutto il peso della sua vita dietro quel cofano.
 
“Aveva ragione Oswald. Non sono in grado di amare” si disse “ho ammazzato Isabella, proprio come aveva detto lui”.
 
“Forse è qualcosa nel suo viso, qualche elemento lombrosiano che scaturisce in me una pulsione ad uccidere” continuò cercando una giustificazione qualunque per acquietare il suo animo.
 
Ma improvvisamente…
 
-Tum-Tum! –
 
Un rumore. Due tonfi secchi provenienti dal retro della macchina fecero sobbalzare di scatto il povero cuore martoriato dell’uomo.
 
Edward diede un’occhiata veloce verso il cofano con la coda dell’occhio aguzzando le orecchie per verificare la provenienza del suono.
 
-Tum-Tum!-
 
Di nuovo. Mosse lentamente gli occhi a destra e sinistra trattenendo il respiro per cercare di capire meglio ma il frastuono del vento nelle orecchie non glielo permetteva.
 
Il ticchettio della freccia segnaletica destra ruppe in un istante quella corsa sfrenata verso il molo. Edward accostò la macchina in una specie di piazzola di sosta posta lungo la strada dissestata.
 
Spense l’auto e distese entrambe le braccia poggiando i palmi delle mani sullo sterzo.
 
Riprese a respirare regolarmente e di botto il calore dovuto allo sbalzo termico lo colpì come l’emanazione di una fumarola di un vulcano attivo.
 
Una goccia di sudore prese vita dalla fronte già madida e percorse lentamente il viso, seguendone gli incavi; lascivamente attraversò i lineamenti statuari del suo naso per poi andare a carezzarne le labbra leggermente socchiuse.
 
Finì il suo breve percorso andandosi a schiantare sulla stoffa della camicia imbevuta di sangue che teneva ben stretta sulla ferita alla coscia.
 
Edward ebbe la stessa sensazione di una lacrima impazzita difficile da trattenere.
 
Girò lentamente il capo in direzione del cofano, sistemandosi i capelli all’indietro con la mano e rimase per qualche secondo a fissare in silenzio quella che era la temporanea tomba di Isabella.
“Tum-Tum!”
 
Ora era sicuro di aver sentito quel rumore. Sembrava quasi il battito di un cuore.
 
Aprì violentemente lo sportello e scese dall’auto. Il dolore alla gamba iniziò a farsi sentire con pungenti fitte all’altezza del foro. Pareva che la sua coscia stesse adesso svegliandosi da un tiepido sonno.
 
Zoppicando, raggiunse il retro della macchina e con la mano sinistra afferrò il fermo di sgancio del cofano. Si trattenne qualche istante dall’aprirlo. Il cuore iniziò a pulsare di desiderio. Forse si era sbagliato. Forse non tutto era perduto.
 
Dentro di sé stava accendendosi un flebile lumino di speranza. Un riscatto che gli avrebbe fatto rimangiare a suon di cazzotti le terribili definizioni che si era appena dato.
 
Deglutì un groppone di saliva concentratosi nella sua bocca, si portò una mano al petto come atto consolatorio e magnanimo nei suoi confronti e sollevò il portellone:
 
Isabella era proprio lì, come l’aveva lasciata. Il viso pallido e gli occhi spenti. La borsetta con la sua roba vicino alle sue gambe.
 
Restò per alcuni secondi a fissare silenziosamente il suo volto.
 
Non c’era nulla nel suo viso che non andasse. Lui, semplicemente, non era capace di amare.
 
“Tum-Tum!”
 
Di nuovo quel suono. Questa volta poteva sentirlo nitidamente.
 
Iniziò spasmodicamente a cercarne la provenienza, calandosi verso il cofano fino ad entrarci quasi completamente dentro.
 
Avvicinò l’orecchio al petto di Isabella e…
 
“Tum-Tum! Tum-Tum!”
 
Il suono proveniva da lì. Era il cuore di Isabella che tamburellava.
 
Edward tirò un profondo respiro di sollievo e copiose e calde lacrime iniziarono ad uscire senza controllo dagli angoli degli occhi.
 
Si accasciò dolcemente sul petto della donna esausto.
 
Il battito di quel cuore gli donò la sensazione di rivivere il tepore e la calma di un grembo materno. Il luogo da cui ogni uomo nasce e al quale vuole disperatamente tornare.
 
Restò in quella posizione per secondi indefiniti ad auscultare quel battito. Finché un’amara consapevolezza lo raggiunse: non poteva essere il cuore di Isabella. Non poteva sentirlo da un’auto in corsa con il vento nelle orecchie. Non poteva sentirlo in nessun modo.
 
Edward si alzò di scatto dal petto della donna sbattendo la nuca sul portellone provocandosi un piccolo taglio. Portò la mano destra alla testa per bloccarne il dolore e sentì l’umido del sangue bagnargli la mano.
 
<< Non è possibile. Non può essere il cuore di Isabella >> pronunciò debolmente.
 
Con la mano ancora sporca di sangue afferrò il polso della donna per sentirne il battito.
 
Nulla. Non un movimento era percepito dal polpastrello del suo pollice.
 
Mentre ancora aveva in mano il polso di Isabella si avvicinò di nuovo con l’orecchio al petto ed il suono non c’era più.
 
La fissò intensamente in viso e lentamente percorse il suo corpo con gli occhi.
 
Qualcosa non quadrava.
 
Una nuova consapevolezza lo raggiunse.
 
Abbandonò dolcemente il polso della donna riposizionandolo dov’era prima e lentamente si accasciò a terra poggiando la schiena sul cofano dell’auto.
 
Fissò nel vuoto silenziosamente. Di fronte a lui la strada che aveva percorso finora si presentava come un buio rettilineo illuminato solo dalla luna. Guardò quest’ultima tristemente. Come un lupo destinato alla solitudine, avrebbe voluto ulularle contro. Gridare che non era colpa sua. Che non era ciò che voleva.
 
Con dolenza si sollevò da terra, pulendosi le natiche dai residui di terriccio che erano rimasti attaccati ai suoi pantaloni. Sbatté con forza il portellone del cofano per chiuderlo, sfogando la sua rabbia.
 
Si diresse, sempre zoppicante, verso la portiera della macchina e si risedette al posto del guidatore. Riaccese l’automobile e premette forte il piede sull’acceleratore, inserendo la prima.
 
Scalò velocemente le marce senza mai staccare il piede dall’acceleratore e, in un lampo, il vento gli asciugò tutto il sudore dal viso. L’ asfalto della strada correva velocemente sotto la luce dei fari. Con la stessa rapidità i pensieri fluivano nella sua mente.
 
Nella sua testa stava avendo luogo una marcia funebre delle sue memorie che seguivano un continuum temporale disconnesso, dove i ricordi di bambino innocente andavano mescolandosi con il sangue versato negli ultimi anni da uomo adulto e consapevole.
 
In lontananza poteva già ammirare lo specchio nero dell’acqua, attraversato da piccoli bagliori bianchi che rispecchiavano la luce lunare.
 
Lampi e tuoni presero a mostrarsi trionfanti nel buio pesto del cielo. Le nuvole cominciarono ad addensarsi sopra di lui. Alcune gocce d’acqua iniziarono a cadere sul parabrezza dell’auto, prima lentamente. Poi nel giro di pochi secondi si trasformarono in una feroce tempesta. Vento e pioggia si abbatterono inesorabili sul povero Edward entrando dal finestrino rotto.
 
Lo raggiunse l’idea folle di non abbandonare mai quell’acceleratore. Di gettarsi in acqua assieme a tutti i suoi segreti.
 
Può esserci un momento, nella vita di un uomo, in cui tutto ciò che lo tiene legato alla realtà va liquefacendosi come un panetto di burro su di una padella rovente. E quel momento per Edward era durato 30 minuti.
  
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