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Autore: whitewolfa    09/10/2020    0 recensioni
❝ Affoga il dolore in un insolito luogo dimenticato dal mondo, plasmato dall’Oceano. È l’antro più tetro che mai sia esistito, la grotta. Se non vi è roccia a ricoprirla nella sua interezza rischierebbe di far trapassare la luce e nessuno ama realmente, la luce. L’abbaglio nuoce e se gli occhi osservano troppo a lungo il sole ne risentono e si danneggiano. Allora si colgono le sue sfumature, uno spettro di colori ideale in cui riconoscere la propria perfetta tonalità. Scura risulta essere quando la mente è stanca: vorrebbe risorgere come alle prime luci dell’alba ma si atterrisce. Perché osservare il chiarore quando la notte domina l’oscurità? Non la luna e non le stelle in questa notte, si esige il puro terrore che permane la Terra. Le nubi che sormontano l’etere e l’impetuosa tempesta impellente che sradica le secche piante, lava il profumo di pulito dalla pelle e scatena le alte maree, mentre lampi e tuoni compiono un aureo complesso. ❞
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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                          Glowworm Caves

‘’𝓐𝓯𝓯𝓸𝓰𝓪 𝓲𝓵 𝓭𝓸𝓵𝓸𝓻𝓮 𝓲𝓷 𝓾𝓷 𝓲𝓷𝓼𝓸𝓵𝓲𝓽𝓸 𝓵𝓾𝓸𝓰𝓸 𝓭𝓲𝓶𝓮𝓷𝓽𝓲𝓬𝓪𝓽𝓸 𝓭𝓪𝓵 𝓶𝓸𝓷𝓭𝓸, 𝓹𝓵𝓪𝓼𝓶𝓪𝓽𝓸 𝓭𝓪𝓵𝓵’𝓞𝓬𝓮𝓪𝓷𝓸. 𝓔̀ 𝓵’𝓪𝓷𝓽𝓻𝓸 𝓹𝓲𝓾̀ 𝓽𝓮𝓽𝓻𝓸 𝓬𝓱𝓮 𝓶𝓪𝓲 𝓼𝓲𝓪 𝓮𝓼𝓲𝓼𝓽𝓲𝓽𝓸, 𝓵𝓪 𝓰𝓻𝓸𝓽𝓽𝓪. 𝓢𝓮 𝓷𝓸𝓷 𝓿𝓲 𝓮̀ 𝓻𝓸𝓬𝓬𝓲𝓪 𝓪 𝓻𝓲𝓬𝓸𝓹𝓻𝓲𝓻𝓵𝓪 𝓷𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓼𝓾𝓪 𝓲𝓷𝓽𝓮𝓻𝓮𝔃𝔃𝓪 𝓻𝓲𝓼𝓬𝓱𝓲𝓮𝓻𝓮𝓫𝓫𝓮 𝓭𝓲 𝓯𝓪𝓻 𝓽𝓻𝓪𝓹𝓪𝓼𝓼𝓪𝓻𝓮 𝓵𝓪 𝓵𝓾𝓬𝓮 𝓮 𝓷𝓮𝓼𝓼𝓾𝓷𝓸 𝓪𝓶𝓪 𝓻𝓮𝓪𝓵𝓶𝓮𝓷𝓽𝓮, 𝓵𝓪 𝓵𝓾𝓬𝓮. 𝓛’𝓪𝓫𝓫𝓪𝓰𝓵𝓲𝓸 𝓷𝓾𝓸𝓬𝓮 𝓮 𝓼𝓮 𝓰𝓵𝓲 𝓸𝓬𝓬𝓱𝓲 𝓸𝓼𝓼𝓮𝓻𝓿𝓪𝓷𝓸 𝓽𝓻𝓸𝓹𝓹𝓸 𝓪 𝓵𝓾𝓷𝓰𝓸 𝓲𝓵 𝓼𝓸𝓵𝓮 𝓷𝓮 𝓻𝓲𝓼𝓮𝓷𝓽𝓸𝓷𝓸 𝓮 𝓼𝓲 𝓭𝓪𝓷𝓷𝓮𝓰𝓰𝓲𝓪𝓷𝓸. 𝓐𝓵𝓵𝓸𝓻𝓪 𝓼𝓲 𝓬𝓸𝓵𝓰𝓸𝓷𝓸 𝓵𝓮 𝓼𝓾𝓮 𝓼𝓯𝓾𝓶𝓪𝓽𝓾𝓻𝓮, 𝓾𝓷𝓸 𝓼𝓹𝓮𝓽𝓽𝓻𝓸 𝓭𝓲 𝓬𝓸𝓵𝓸𝓻𝓲 𝓲𝓭𝓮𝓪𝓵𝓮 𝓲𝓷 𝓬𝓾𝓲 𝓻𝓲𝓬𝓸𝓷𝓸𝓼𝓬𝓮𝓻𝓮 𝓵𝓪 𝓹𝓻𝓸𝓹𝓻𝓲𝓪 𝓹𝓮𝓻𝓯𝓮𝓽𝓽𝓪 𝓽𝓸𝓷𝓪𝓵𝓲𝓽𝓪̀. 𝓢𝓬𝓾𝓻𝓪 𝓻𝓲𝓼𝓾𝓵𝓽𝓪 𝓮𝓼𝓼𝓮𝓻𝓮 𝓺𝓾𝓪𝓷𝓭𝓸 𝓵𝓪 𝓶𝓮𝓷𝓽𝓮 𝓮̀ 𝓼𝓽𝓪𝓷𝓬𝓪: 𝓿𝓸𝓻𝓻𝓮𝓫𝓫𝓮 𝓻𝓲𝓼𝓸𝓻𝓰𝓮𝓻𝓮 𝓬𝓸𝓶𝓮 𝓪𝓵𝓵𝓮 𝓹𝓻𝓲𝓶𝓮 𝓵𝓾𝓬𝓲 𝓭𝓮𝓵𝓵’𝓪𝓵𝓫𝓪 𝓶𝓪 𝓼𝓲 𝓪𝓽𝓽𝓮𝓻𝓻𝓲𝓼𝓬𝓮. 𝓟𝓮𝓻𝓬𝓱𝓮́ 𝓸𝓼𝓼𝓮𝓻𝓿𝓪𝓻𝓮 𝓲𝓵 𝓬𝓱𝓲𝓪𝓻𝓸𝓻𝓮 𝓺𝓾𝓪𝓷𝓭𝓸 𝓵𝓪 𝓷𝓸𝓽𝓽𝓮 𝓭𝓸𝓶𝓲𝓷𝓪 𝓵’𝓸𝓼𝓬𝓾𝓻𝓲𝓽𝓪̀? 𝓝𝓸𝓷 𝓵𝓪 𝓵𝓾𝓷𝓪 𝓮 𝓷𝓸𝓷 𝓵𝓮 𝓼𝓽𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓲𝓷 𝓺𝓾𝓮𝓼𝓽𝓪 𝓷𝓸𝓽𝓽𝓮, 𝓼𝓲 𝓮𝓼𝓲𝓰𝓮 𝓲𝓵 𝓹𝓾𝓻𝓸 𝓽𝓮𝓻𝓻𝓸𝓻𝓮 𝓬𝓱𝓮 𝓹𝓮𝓻𝓶𝓪𝓷𝓮 𝓵𝓪 𝓣𝓮𝓻𝓻𝓪. 𝓛𝓮 𝓷𝓾𝓫𝓲 𝓬𝓱𝓮 𝓼𝓸𝓻𝓶𝓸𝓷𝓽𝓪𝓷𝓸 𝓵’𝓮𝓽𝓮𝓻𝓮 𝓮 𝓵’𝓲𝓶𝓹𝓮𝓽𝓾𝓸𝓼𝓪 𝓽𝓮𝓶𝓹𝓮𝓼𝓽𝓪 𝓲𝓶𝓹𝓮𝓵𝓵𝓮𝓷𝓽𝓮 𝓬𝓱𝓮 𝓼𝓻𝓪𝓭𝓲𝓬𝓪 𝓵𝓮 𝓼𝓮𝓬𝓬𝓱𝓮 𝓹𝓲𝓪𝓷𝓽𝓮, 𝓵𝓪𝓿𝓪 𝓲𝓵 𝓹𝓻𝓸𝓯𝓾𝓶𝓸 𝓭𝓲 𝓹𝓾𝓵𝓲𝓽𝓸 𝓭𝓪𝓵𝓵𝓪 𝓹𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓮 𝓼𝓬𝓪𝓽𝓮𝓷𝓪 𝓵𝓮 𝓪𝓵𝓽𝓮 𝓶𝓪𝓻𝓮𝓮, 𝓶𝓮𝓷𝓽𝓻𝓮 𝓵𝓪𝓶𝓹𝓲 𝓮 𝓽𝓾𝓸𝓷𝓲 𝓬𝓸𝓶𝓹𝓲𝓸𝓷𝓸 𝓾𝓷 𝓪𝓾𝓻𝓮𝓸 𝓬𝓸𝓶𝓹𝓵𝓮𝓼𝓼𝓸. ‘’


« Non ci vorrà ancora molto. Te lo prometto... »

Brividi pungenti pervadono l’epidermide nivea. Un corpo insensibile, diafano, come la migliore interpretazione di uno spettro contrastato da petali d’amaranto carnosi. Confonde la sua vivacità in gemme acquamarina che si ottenebrano nel mare, in quella rigogliosa foresta quale ella riconosce perfettamente come la propria preziosa dimora: un castello che ha concesso alla madre di tutte le creature di insinuarsi insistente. Indiscutibile bellezza della natura che offre le sue meraviglie e la Nuova Zelanda, attuale Terra della lupa albina, ne riserva diversi di spettacoli.
Lo avrebbe trascinato se fosse stato necessario, una guida sicura che lo avrebbe condotto in un antro per giacere congiunti ed osservare ciò che egli probabilmente mai si sarebbe soffermato a contemplare.
La foresta li conduce in un sentiero tortuoso, è difficile poter discernere le indistinte figure che si ritrovano durante il cammino. Gracchiano corvi neri come la pece sugli alberi alla ricerca di un riparo, mentre la fredda brezza si rivela pungente sulla candida pelle della donna dalle ciocche dorate, è una linfa pregiata quella che adorna le sue ciocche colate del metallo più prezioso che la stessa notte adombra. Flebili e freddi respiri provocati da quel corpo pallido dal passo delicato si attenuano nel freddo dell’oscurità. Il suo polso è debole, è come percepire sulla propria pelle il gelo di un essere vivente che ha già incontrato la morte. Una creatura trapassata che sembra mancare del caldo cruore! La sua bianca veste ondeggia, si muove leggiadra e scopre le gambe troppo sottili per un sinuoso cadavere di una bellezza imperfetta. I caldi polpastrelli del lupo dal manto di cenere scura coloriscono la carne, che si ravviva a quella stretta impetuosa. Lei si lascia afferrare, si ripone su un fianco di egli, permettendo che la sua figura possa ricadere perfettamente aderente nel petto marmoreo ed impeccabilmente scolpito del moro. Coglie il suo profumo: è intenso, le brandisce la mente più di ogni altra essenza di bosco. Gli occhi sono socchiusi, mentre ella vorrebbe abbandonarsi fra quelle braccia e lasciarsi intingere l’epidermide dalle gocce trasparenti che presto avrebbero picchiettato sulle foglie e sui rami. La voce della bionda è una dolce melodia insinuante e le sue parole non sono mai state più sincere e affettuose verso la sensibile creatura. Un raro tesoro inestimabile che avrebbe protetto qualunque possa mai essere il prezzo da pagare.
E cosa potrebbe mai provocare timore in un individuo che ha percepito sensazioni dettate dall’eterno sonno? Le tenebre si riversano su entità metafisiche e lui non è altro che una figura condannata ad una maledizione che non ha termine, il male, si sa, non può terminare con il medesimo peccato, ma si possono estinguere le fiamme solo con l’ausilio di acque pure dal sapore di sale.
Quel che si diffonde tra le lacrime, stille di sofferenza che si riversano su gote pulsanti e arrossate.
Quelle che in questa notte scura non subentreranno al posto di un sorriso di madreperla dal dolce sapore.
La presenza di egli è l’astro più luminoso che prosciuga le paludi.
Ciò che brucia e depura l’amaranto che cola lentamente dalla ferita sulla coscia. Le spine si avvinghiano alla polpa, tirandola via a brandelli. Avvampa la carne, tingendosi e stillando sangue come le morbide e vermiglie labbra. Si sente mancare. È il dolore che sopraggiunge e macchia l’epidermide di cera. Prende le sembianze di un’inquietante bambola di ceramica e le sue lunghe ciglia sembrano impregnate del petrolio più denso. Uno strido viene soffocato, muore lentamente in gola. Il sapore metallico si diffonde con il suo olezzo simile a mefite e sopraggiunge l’olfatto eccelso della lupa. Dissangua quel taglio come una lama affilata recide l’esile corpo di un povero agnello.
Un’acuta dolenzia.
Le dita lattescenti che s’intridono di cremisi, i polpastrelli che affondano con impudenza nella lacerazione.
Che squallore su questo palcoscenico di terrore!
Rammenta. Il suo lupo, la perla scura che avrebbe costudito meticolosamente finché la sorte glielo avrebbe concesso, è bendato. Si premura di mantenere un passo regolare lei, preferirebbe che esso non riuscisse a cogliere l’attuale situazione. Il sangue è quasi arte che dipinge un chiaro scialbore che lentamente gocciola su un gelido terreno ricoperto da lamine quasi totalmente decomposte. Continua il cammino, lasciando che esso proseguisse seguito dal suo contatto. Cede appena, ma mantiene un ritmo curato, abituata ai rovi che si estendono nella foresta. Tuttavia è un sentiero colmo d’insidie ove nessuno mai oserebbe passare e la vegetazione cresce come la natura stessa gli impone. Si empie di spine acuminate a soffocare le piante e ad afferrare le vesti, trattenendo parte dei loro lembi. Strappa il tessuto e sprofonda superficialmente nell’epidermide.
‘’𝘚𝘰𝘭𝘵𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘨𝘳𝘢𝘧𝘧𝘪.’’
È il pensiero che si riversa nei meandri della mente dell’albina.
Ecco il tetro manto della notte illuminarsi in un lampo. Il suolo diviene come la superficie di un pianoforte sontuoso. I suoi tasti contrastanti sono rischiarati dalla luce fulminea che lascia intravedere un possibile libero passaggio e le sue note sono l’assordante suono che l’etere strazia.
Lei prosegue senza fermarsi, non si volta ed invita colui sotto la sua protezione ad abbassarsi per addentrarsi in quella parte di bosco che li avrebbe condotti sulla giusta via. Finalmente l’acqua bagna la terra e la ricopre della sua disperazione. Selvaggia si sussegue quell’impetuosa tempesta nell’empireo che esprime la propria collera. Intride completamente d’acqua gli ospiti della sua selva oscura ed esibisce il folgorio di iridi cristalline nel buio dominato dalla luce prestante.
L’antro giunge ai loro piedi e la lupa si scosta indietro, avvolgendo i fianchi del moro per tentare di farlo avanzare. Il livello dell’acqua del torrente lava via il liquido cremisi che continua a scivolare dalla ferita ed ella, una volta all’interno, scioglie il nodo della benda dagli occhi del lupo. I suoi occhi ambrati ora possono scorgere piccole creature intrattenersi nelle pareti della grotta. Insetti luminescenti, simili a lucciole, che emettono vari bagliori dalle tonalità di cobalto e smeraldo.
Le sue mani lentamente si scostano, lasciando soltanto adesso la possibilità di libero arbitrio al Lycan, qualora volesse mai tornare indietro. . .
   
 
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