Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: DanceLikeAnHippogriff    11/10/2020    0 recensioni
Una normalissima gita in mezzo alla natura condurrà quattro studenti universitari in uno strano anfratto di mondo, fin troppo vicini a una realtà che non dovrebbe poter esistere nella nostra dimensione.
Genere: Angst, Comico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

P

Le porte aperte dell’ascensore furono come un tacito richiamo alla realtà e il gruppetto si ammassò all’interno, premendo il pulsante del piano inferiore per continuare la ricerca della via d’uscita. Rimasero in silenzio ad ascoltare i bip meccanici che accompagnavano la loro discesa, la tensione che si infittiva a ogni secondo. L’unico che sembrava rimanere intoccato dalla situazione era Gabriele, poggiato alla parete con sguardo vagamente assente.

Terzo piano.

“Oh, ecco perché ci ha messo così tanto!” Squittì una signora parandosi di fronte all’ascensore.

I quattro si scambiarono un’occhiata confusa. Non si aspettavano che ci fosse davvero qualcuno a parte loro lì. E la cosa iniziava a non piacergli affatto.

Senza aspettare una risposta, la signora si infilò dentro l’ascensore, seguita a ruota da un uomo con in braccio un cane. L’animale, incredibilmente docile, non accennò neanche a voler annusare quelli che per lui avrebbero dovuto essere nuovi elementi, e rimase immoto, abbandonato tra le braccia del suo padrone.

“Sembra che non respiri neanche…” Sussurrò Antonia alle amiche.

Frastornati da quell’incontro improvviso, si accorsero troppo tardi che gli intrusi avevano già premuto il bottone per salire al piano successivo e si arresero ad attendere che quei due arrivassero al loro piano.

La signora, al contrario del cane e di quello che presunsero essere il marito, si rivelò alquanto loquace e attaccò subito bottone con i quattro. Fu inspiegabile la velocità con la quale riuscì a condensare il racconto della sua vacanza di una settimana nel breve tempo che trascorse nel viaggio dal terzo al quarto piano. Le porte si aprirono, rivelando nuovamente il parcheggio che i ragazzi avevano già esplorato poco prima, e la signora si sporse per guardarsi intorno. Poi, rientrò, visibilmente delusa. Rachele selezionò in tutta fretta il terzo piano, rivolgendole di sottecchi uno sguardo diffidente.

“Siamo qui che cerchiamo di trovare la nostra macchina da un po’ ormai.” Sospirò lei con fare teatrale, lanciando ai ragazzi un’occhiata carica di complicità. “Dopo un po’, certe cose le si dimentica.” E si abbandonò a una breve risatina, coprendosi la bocca con la mano.

Federica e Antonia le rivolsero un sorrisino tirato di circostanza, non sapendo come rispondere. In tutto questo, né cane né marito si erano mossi.

Finalmente, le porte si spalancarono per rivelare il terzo piano e i quattro si catapultarono fuori prima di essere trattenuti per l’ennesima volta in quel maledetto ascensore. Prima che potessero tirare un sospiro di sollievo, la signora bloccò la porta con la mano e li fissò, un sorriso stampato sulle labbra.

“Non preoccupatevi, ragazzi. Prima o poi si trova sempre quello che si cerca.” La linea del suo sorriso si curvò ancora di più, in quello che doveva essere un atto rassicurante. Lasciò che la porta si richiudesse, e con l’ultima lama di luce che ancora le illuminava il volto, aggiunse: “Abbiamo tutta la notte, giusto?” E si lasciò andare a una risata sfrenata, ovattata dalle pareti dell’ascensore.

Rimasero a fissare la fesa di luce che si accorciava sempre di più, sparendo nel pavimento, e il gelo gli invase le ossa. Sentivano un’improvvisa adrenalina pervadergli le gambe, che li spingeva a correre, correre, correre. Quel pizzicore che prende l’interno coscia e i polpacci, che ti allerta a scappare. E quando ogni fibra del tuo corpo ti urla di non rimanere lì inchiodato come un cerbiatto davanti alla canna del fucile di un cacciatore, tu prendi e scappi.

E così fecero.

Uscirono a passo spedito dal parcheggio, provando un muto sollievo al vedere che l’uscita quella volta non era bloccata da una grata. L’aria fresca della sera li accolse come un abbraccio. Non si erano accorti di quanto tempo avevano passato dentro il parcheggio, le luci calde di quel posto li avevano privati del senso del tempo. Il cielo era scuro, ormai. Fortunatamente, la strada si vedeva ancora.

Proseguirono con la fretta che gli mordeva le caviglie, incitando di tanto in tanto Gabriele, che si fermava ora su un punto ora su un altro “per fare foto”, diceva. Lo trascinarono via, sentendo l’urgenza crescere a ogni passo, l’inquietudine che aveva preso a montare in paura. Quella strana sensazione alla nuca non accennava a sparire e le loro gambe continuavano a muoversi, come se il loro corpo fosse conscio di non poter affrontare qualunque cosa fosse quella da cui si stavano allontanando. Come se fosse consapevole di essere nient’altro che preda.

Quando riuscirono a sentire i rumori della strada principale, a scorgerla, accelerarono il passo.

Arrivarono alla fermata senza fiato, lasciandosi alle spalle l’enorme cartello che, a lettere bianche, recitava “Benvenuti a Portopiccolo”.

Una corriera si fermò poco dopo, caricandoli a bordo. Non riuscivano a credere alla fortuna che avevano avuto nell’arrivare proprio al momento giusto per trovare un passaggio verso casa. Dopo aver timbrato i biglietti mostrandoli al conducente, che li approvò con un cenno del capo, si sentirono finalmente cose se tutta quella storia fosse ormai un ricordo lontano. Davanti a loro avevano la magnifica prospettiva di una cena insieme, di un divano e di un film.

Si avviarono lungo il corridoio alla ricerca di un posto dove sedersi, cercando di non disturbare gli altri passeggeri, tutti intenti a guardare il loro telefono o a sonnecchiare contro il finestrino.

“Ehi.”

Continuarono a cercare posto, guidati dalla stanchezza, e ignorarono quel primo richiamo.

“Ehi, voi quattro.”

Si voltarono. Era l’autista.

Li aveva richiamati cauto, girando appena il capo verso di loro, gli occhi sbarrati e vitrei.

Le porte dell’autobus si chiusero con uno sbuffo.

Sussurrò: “Voi non dovreste essere qui.”

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: DanceLikeAnHippogriff