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Autore: Shadow writer    15/10/2020    5 recensioni
In una metropoli urbana dominata da corruzione e giochi di potere, una giovane donna cerca di farsi spazio attraverso strade poco lecite.
Dopo gli ultimi eventi, la duchessa si trova alle strette e la posta in gioco si fa sempre più alta: il potere e le persone che ama.
Quello che non sa, è che qualcuno le sta alle calcagna, impaziente di vederla crollare. Ma come può combattere un nemico invisibile?
Dalla storia:
“Sentì un fermento nel suo stomaco e una sensazione di ebbrezza che le andò alla testa.
«Sei fortunata» replicò e si passò la lingua sulle labbra, come assaporando quel momento. «Si dà il caso che concedere favori sia la mia specialità».”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Perdono
 




Nonostante fosse inverno, era una serata magnifica. Il sole aveva brillato per tutto il giorno nel cielo fino al tramonto, quando, scivolando dietro ai palazzi sull’orizzonte, aveva regalato una visione di luce dorata. 
Alexander e Camille lo avevano guardato attraverso le vetrate del ristorante, dove avevano deciso di concedersi una cena romantica a lume di candela. Faceva ancora troppo freddo per mangiare all’aperto, ma grazie al vetro avevano l’impressione di trovarsi direttamente nel parco che circondava il locale. Proprio di fronte a loro scorreva un fiume che aveva prima riflesso i colori accesi del tramonto e ora andava scurendosi insieme al cielo. Nella sala del ristorante c’era un’atmosfera quieta ed elegante, creata dalla musica classica che faceva da sottofondo alle conversazioni scambiate con voce pacata.
«I signori gradiscono un dessert?» chiese il cameriere e lasciò loro la lista.
Al di là del foglio, Alexander lanciò l’ennesimo sguardo a Camille. Ricordò che quando lei andava a trovarlo durante l’orario di visita, la donna spiccava in mezzo alla stanza con la sua aria angelica ed eterea. Camille era di una bellezza così pura che poco si adattava all’ambiente squallido del carcere. 
Eppure, Alexander si chiese come potesse apparire ancora più splendida quella sera. La donna indossava un abito di maglina grigio chiaro, che partiva con un collo alto ma scendeva aderente, mettendo in mostra la sua silhouette perfetta.  
«Quando la smetterai di avere quello sguardo triste?»
Alexander si riscosse e mise a fuoco gli occhi di Camille fissi su di lui. 
Le sorrise. «Scusami, ero solo pensieroso.»
«Lasciami indovinare… pensavi a quanto sei dispiaciuto per l’anno appena trascorso?»
Lui abbassò lo sguardo sul menù e non rispose, perché la donna aveva fatto centro.
«Quante volte dobbiamo ancora parlarne?» continuò lei e allungò una mano per stringere quella dell’uomo sul tavolo. «Tutto ciò che mi importa è essere qui con te, ora.»
Il cameriere tornò per prendere le loro ordinazioni e portare via i menù.
«Voglio guardare al presente. E ora sono così orgogliosa di te.»
Alex le rivolse un’espressione scettica, ma le strinse a sua volta la mano sul tavolo.
«Orgogliosa?» ripeté sbuffando.
Camille sorrise e i suoi occhi brillarono tanto quanto i diamanti che portava alle orecchie.
«Il volontariato che stai facendo ti fa onore» gli spiegò e Alex capì che si riferiva al corso che faceva nel carcere una volta a settimana. Aveva deciso di iniziarlo quasi per caso, quando aveva realizzato che molti dei suoi compagni avevano molto di più da offrire di quanto la gente ritenesse. Ne aveva parlato una volta uscito con alcune associazioni che si occupavano dei diritti dei detenuti e loro avevano accettato con entusiasmo, anche se sempre con meno entusiasmo di quello che aveva mostrato suo padre.
«Ottima idea, Alexander. In men che non si dica tornerai nelle buone grazie di questa città» era stata la sua reazione e lui non aveva replicato. Se Robert Henderson credeva ancora nella sua carriera di politico, non sarebbe stato lui a infrangere i suoi sogni.
Finirono il dolce e decisero di passeggiare un poco lungo il fiume, sotto alla luce aranciata dei lampioni che costeggiavano la strada. 
Camille era chiusa in un cappotto panna e avvolta da una voluminosa sciarpa di lana. Prese sottobraccio Alex e si misero a camminare così vicini l’uno all’altra da scaldarsi con il calore dei loro corpi.
«C’è una cosa a cui sto pensando da tempo» esordì lei e lui si bloccò, per lanciare un’occhiata al suo viso. La donna gli sorrideva in modo fiducioso.
«Non spaventarti» fece una risatina e lo costrinse a proseguire la camminata. Faceva troppo freddo per rimanere fermi a lungo.
«Non fare pause, mi sto preoccupando.»
Lei rise ancora, ma subito aggiunse: «Stavo pensando che, dal momento che nessuno di noi due ha bisogno di lavorare, potremmo concentrarci sul fare qualcosa di positivo. Per gli altri.»
Alex corrugò la fronte, in attesa che lei aggiungesse altro. Avvertiva la cautela con cui la donna stava scegliendo le parole per spiegarsi meglio.
«Mia mamma si è sempre occupata di beneficenza e l’ambiente non mi è nuovo, quindi per me non sarebbe un problema dedicarmi a quello. E tu potresti continuare con il tuo corso in carcere e lavorare come avvocato pro bono.»
Lui sospirò: «Sai che mi hanno revocato la licenza. Non posso più praticare la professione.»
Dirlo ad alta voce risultò più amaro di quanto pensasse. Studiare legge era stata una scelta fortemente incoraggiata da suo padre, ma dopotutto ad Alexander piaceva essere un avvocato.
Camille scrollò le spalle: «Certo, ma non per sempre, almeno fino a che non proverai la tua innocenza.»
Alex pensò che la donna a volte poteva essere davvero ingenua.
«O comunque puoi sempre aiutare le persone in difficoltà con la tua consulenza e mettendoli in contatto con gli avvocati che conosci. Alex, non perdi tutto ciò che sapevi solo perché ti hanno revocato un pezzo di carta.»
Camille non aveva tutti i torti. Nei suoi anni di carriera aveva visto molta gente in difficoltà e sapeva che a volte un solo consiglio di un professionista poteva salvare dalla disperazione.
La donna si staccò da lui e gli si mise davanti, per poterlo guardare negli occhi con le mani sul suo petto.
«Alexander» esordì con energia, «ti sto chiedendo, per favore, di lasciare andare il passato.»
Lui sospirò e lei gli portò una mano sul volto, accarezzandolo.
«Non ha senso portare rancore per tutto quello che è successo. Devi perdonare gli altri e soprattutto te stesso. Credi di poterlo fare?»
Alex la guardò negli occhi. Se non avesse sentito la sua mano fredda sulla guancia, avrebbe potuto giurare che si trattava di un angelo. Camille non poteva appartenere alla sua stessa realtà. Forse non era ingenua, ma era troppo matura per un mondo pieno di vendette e corruzioni.
«Fallo per me» aggiunse sottovoce.
L’uomo sospirò e fece un cenno di assenso. Sua moglie aveva ragione. Serbare rancore per il passato avrebbe solo rovinato il loro futuro. Forse avrebbe impiegato del tempo a perdonare se stesso, ma c’era certamente qualcuno con cui poteva cominciare. Quasi riusciva a vederla, in cima alla sua scalinata di marmo, che lo guardava dall’alto con l’espressione di chi lo aveva aspettato a lungo.
«Hai ragione» mormorò a Camille. «È arrivato il momento di ricominciare.»
 
 
***
 
 
In un altro frangente, Roman avrebbe realizzato che Isabel Lopez aveva un certo fascino. Il suo modo di fare così deciso e duro contrastava con i tratti dolci del viso e rendeva chiaro quanto la donna avesse dovuto combattere in un ambiente così chiuso e maschilista come quello della polizia.
In quel momento, però, Roman provava un senso di rabbia che gli bruciava nel petto mentre la donna gli rivolgeva domande a cui dava risposte secche e laconiche.
Quando aveva ricevuto la telefonata per dirgli che era richiesto in centrale per rispondere ad alcune domande, per un momento aveva avuto la tentazione di fare come avrebbe fatto Emily nei casi estremi: chiamare un avvocato e fare scena muta davanti alla polizia. Ma sperava di risolvere la questione senza il bisogno di essere indagato e di sicuro senza il bisogno di arrivare ad un processo. A quel punto sarebbe stato impossibile tenere la duchessa all’oscuro e Roman non aveva alcuna intenzione di coinvolgerla.
«Lei lavorava come portinaio per Andrew Bellingham la sera in cui è stato ucciso, o sbaglio?» gli stava dicendo Isabel Lopez.
Roman le rivolse uno sguardo di ghiaccio, ma annuì.
«Ora, vorrei capire come un ragazzo passi dal lavorare come portinaio a possedere un palazzo».
«Non sapevo di essere qui per consigli di carriera» ribatté tagliente lui e la detective tornò sui propri passi.
«Ho finito con le domande, per oggi. La scientifica sta analizzando del sangue trovato su un oggetto nella camera da Bellingham, credo ci risentiremo quando avremo i risultati.»
Roman le rivolse un sorriso falso e si diresse rapidamente fuori dalla stanza e poi direttamente in strada. Per evitare che voci giungessero ad Emily, non aveva potuto chiedere all’autista di accompagnarlo e ora avrebbe dovuto chiamare un taxi. Guardò un autobus passare e ripensò ai tempi in cui si sarebbe sognato di prendere un taxi, figurarsi un’auto privata.
Quando l’autobus si spostò, notò una cabina telefonica dall’altro lato della strada. Senza pensarci due volte, attraversò ed entrò nella cabina. Conosceva il numero a memoria e lo digitò in un attimo.
«Allô, qui est à l'appareil?» gli rispose la voce femminile dall’altro capo.
«Perché lo stai facendo?» domandò brusco. Ci fu un secondo di silenzio e, quando la voce parlò di nuovo, Roman poté sentire una nota divertita nel suo tono.
«Che piacere risentirti, chéri». Roman riusciva quasi a vedere le sue labbra piegate in un sorriso crudele.
«Smettila con queste stronzate. Perché lo stai facendo?» insistette duro.
Lei rise: «E me lo chiedi anche? Voglio semplicemente rovinarti la vita come tu hai rovinato la mia.»
Roman aprì la bocca ma si trattenne e prese un respiro profondo prima di parlare.
«Hai fatto tutto da sola e sai perfettamente che quando avranno analizzato il sangue mi arresteranno.»
«È la mia speranza.»
Lui avvertì il suo respiro cominciare a farsi affannoso e si sentì come sul punto di piangere.
«Questo è il motivo per cui ho diffuso quel video. Ho aperto il mio cuore a te, Liliane, e a te non è mai importato nulla.»
«Perché non chiedi aiuto alla tua duchessina?» lo schernì lei e, prima che Roman potesse replicare, riattaccò.
Lui rimase immobile, con la cornetta ancora attaccata all’orecchio e gli occhi vacuamente fissi sul tastierino.
 
 
 
***
 
 
 
Emily spinse il cancello e quello si aprì con un cigolio lugubre.
Davanti a lei si apriva una grande area verde che sarebbe sembrata un parco, se non fosse stato per le lapidi che punteggiavano la distesa smeraldina. In contrasto con la tinta accesa dell’erba, il cielo aveva un colore plumbeo che minacciava tempesta.
La ragazza inspirò l’aria che sapeva di pioggia e si strinse la sciarpa al collo.
Lentamente si diresse verso il sentiero che conosceva a memoria. Avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi e così camminava con gli occhi fissi sulla punta delle sue scarpe e la mente immersa nei pensieri. Proseguì per qualche minuto, con il vento che le fischiava nelle orecchie e le scompigliava i capelli. Rialzò lo sguardo solo quando ebbe raggiunto la sua meta e una presenza inaspettata la fece bloccare a qualche metro dalla lapide. Davanti a lei stava un uomo alto e vestito di nero, che le dava la schiena.
Emily fece un passo avanti e la ghiaia sotto ai suoi stivali scricchiolò, facendo voltare l’altro.
Quando riconobbe il suo volto, la ragazza si sentì ancora più esterrefatta.
«Alex?» chiese, come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
Lui strinse le labbra in un sorriso di circostanza e fece un cenno di assenso. I suoi occhi poi caddero sul bouquet di fiori che lei teneva tra le mani e si scostò per lasciarle modo di avvicinarsi alla lapide e deporli.
«Cosa ci fai qui?» domandò lei, senza muoversi. Un colpo di vento arruffò le chiome di entrambi prima di placarsi.
«Sapevo che saresti venuta, come ogni anno» replicò lui semplicemente, ma Emily non si schiodò.
«Perché?»
La giovane cominciò a sentire il suo cuore accelerare mentre nel suo corpo si propagava quella leggera adrenalina che si scatenava quando sapeva che doveva reagire e non lasciarsi sopraffare. In quel contesto, lei era debole e in svantaggio. Alex era davvero così perverso da voler fare la sua mossa davanti alla tomba di sua nonna nel giorno del suo compleanno?
«Perché so quanto è importante per te» rispose lui con semplicità e fece ancora un passo indietro per lasciarle modo di avanzare verso la lapide e deporre i fiori.
Emily mosse solo gli occhi per seguirlo.
«Nessun secondo fine» aggiunse Alex come se potesse leggerle il pensiero. Si passò una mano tra i capelli e sospirò. «Diciamo che ho guardato indietro e mi sono accorto che ci sono molte cose per cui devo ancora fare ammenda.»
«Sei qui per fare un’offerta di pace?» domandò lei e finalmente avanzò verso la lapide per deporre i fiori.
Alexander aspettò che lei finisse di guardare la fotografia di sua nonna prima di parlare: «Puoi vederla così. Ma non pensare che sia solo per quello. So quanto questo giorno sia importante per te e volevo esserci.»
Emily lo guardò di sottecchi, come se cercasse di capire quanto sincero fosse.
«Ti ho dato tante colpe Em, ma molte erano solo reazioni a delle mie pessime scelte»
Lei continuò a fissarlo con le palpebre socchiuse. Era chiaro che stesse cercando di capire se fidarsi o meno. Rimase così senza parlare per qualche secondo, poi stirò le labbra in un sorrisetto. D’altro canto, si vantava di conoscere Alexander meglio di chiunque altro e sapeva che non avrebbe mai detto quelle parole se non ci fosse stata un’intenzione sincera da parte sua.
«Immagino vorrai un po’ della torta, quindi» gli disse e il volto di lui si illuminò.
Emily frugò nella borsa ed estrasse il contenitore di plastica che conteneva il dolce. Ne estrasse una parte per sé e poi lo tese ad Alex.
Da quando sua nonna era morta, Emily andava a trovarla il giorno del suo compleanno e ogni volta preparava la sua torta preferita. Una parte la mangiava lei, una parte la dava ad Alex – che l’aveva sempre accompagnata – e lasciava una fetta vicino ai fiori.
I due rimasero di fronte alla tomba in silenzio, fino a che Alex si accorse che la ragazza stava piangendo. Le lacrime le rigavano il volto e le sue spalle tremavano. Le passò una mano sulla schiena e la strinse a sé. Emily appoggiò il capo sul suo petto e cercò di frenare i singhiozzi.
«Dicono che il tempo curi ogni ferita» mormorò lei tremando. «Ma mi manca, ogni giorno, e fa così male.»
Si sfregò le guance.
«A volte penso che sia l’unica persona al mondo che mi abbia mai davvero amata e mi chiedo che senso abbia vivere in un modo senza di lei». Le lacrime continuavano a rigarle il volto, nonostante cercasse di rimanere salda.
«Non dire così» le sussurrò Alex mentre abbassava lo sguardo verso di lei. Accoccolata contro di lui come un pulcino sembrava così piccola e indifesa. «Pensa a Noah, come farebbe senza di te? E Roman? Roman ti ama a tal punto da sacrificare se stesso per te. Come farebbero senza di te?»
Emily non rispose, ma continuò a piangere.
«E neanche io vorrei vivere in un mondo senza di te, Em».
Lei alzò di scatto il capo e incrociò le iridi color ambra di Alex. Lo fissò con gli occhi sgranati, un po’ spaventati, un po’ incerti.
Tornarono a guardare la lapide senza parlare fino a che i primi segni della tempesta li raggiunsero. Dapprima il vento si fece turbinante, li aggredì con una furia improvvisa mentre gli alberi intorno a loro ondeggiavano pericolosamente. In un attimo arrivò anche la pioggia, da subito scrosciante.
Presero a correre verso l’uscita e il cielo fu squarciato da un lampo mentre in lontananza sentirono i tuoni.
La serie di imprecazioni che lasciarono la bocca di Alexander spinse la ragazza a seguire la direzione del suo sguardo, per scoprire che l’unica auto del parcheggio era stata distrutta da un albero caduto. Il tronco l’aveva colpita nella parte centrale, accartocciando la carrozzeria come se si trattasse di una lattina.
«Come sei arrivata?» le gridò lui per sovrastare il suono sempre più fragoroso del temporale, mentre la trascinava sotto alla piccola tettoia vicino al cancello del cimitero.
Lei roteò gli occhi: «Lo sai che prendo sempre il pullman».
Alex aprì la bocca, sorpreso. «Hai fatto tre ore di viaggio dal tuo palazzo?»
Lei scrollò le spalle, poi assunse un’aria scocciata: «Immagino non passeranno bus con questo tempo. Quindi cosa facciamo?»
L’uomo si guardò intorno, passandosi una mano sul volto fradicio. All’improvviso la sua espressione si accese.
«C’è quella piccola pensione qui vicino, ti ricordi?» 
Emily annuì, stringendosi nel capotto madido di pioggia. 
«Andiamo lì a scaldarci e mangiare qualcosa fino a che non finisce questa stramaledetta tempesta.»
Alex le passò una mano sulle spalle, come se così facendo riuscisse a farle da scudo con il proprio corpo, e insieme si avviarono verso la pensione.
Lungo la strada gli alberi vibravano percossi dal vento e presto la pioggia sopra di loro si trasformò in grandine. Accelerarono il passo e in meno di una decina di minuti riuscirono a raggiungere il vecchio edificio in mezzo al nulla.
Non appena misero piede nell’ingresso, li accolse il calore piacevole di una stufa accesa. Davanti alla porta era sistemato un balcone di legno dall’aspetto consunto e da lì si intravedeva la tavola calda sul retro. Tutto lì dentro dava l’idea della casa di una vecchia signora, a partire dai quadretti appesi alle pareti fino ai tappeti sul pavimento.
«Desiderate una camera?» domandò loro l’uomo al di là dal balcone. Aveva un’aria annoiata e per nulla impressionata dalla tempesta che si stava scatenando all’esterno.
Alexander lanciò un’occhiata ad Emily, che stava tremando per il freddo nei suoi vestiti fradici, nonostante si fosse sistemata vicino ad una stufa.
«Sì, e un tavolo per cena» gli disse e si avvicinò per pagare. Quando tornò dalla ragazza, lei gli rivolse un’espressione perplessa.
«Hai bisogno di farti una doccia calda e di asciugare i vestiti» le disse. «Dopo cena chiameremo un taxi, ma intanto hai bisogno di scaldarti.»
Lei gli rivolse uno sguardo non convinto, ma i brividi che le stavano attraversando il corpo parvero persuaderla a prendere la chiave che le veniva tesa.
«Ti aspetto al bar» le disse Alex e la guardò sparire sulle scale che conducevano al piano superiore.
 
 
 
Quando Emily entrò nel ristorante, la cena era già stata servita a molti tavoli e su un piccolo palco di legno, una band stava suonando una vecchia canzone jazz.
Alexander la stava aspettando in un tavolo appartato, con un bicchiere di vino rosso in mano. Nel vederla arrivare, sgranò leggermente gli occhi.
La ragazza indossava un semplice abito che le arrivava a metà coscia e degli stivali neri. Aveva coperto le spalle nude con la sua sciarpa di lana che l’avvolgeva come uno scialle e i capelli le cadevano liberi sulla schiena. Senza abiti elaborati e una schiera di servitori intorno, nessuno avrebbe potuto dire che quella ragazza era la donna più potente di Tridell.
«Non fare quella faccia» sbuffò lei sedendosi al tavolo. «Mi hai vista in condizioni peggiori.»
Alex rise, mentre lei afferrò la bottiglia di vino per versarlo nel suo calice.
«Ehi, attenta, non è proprio leggero» l’avvisò lui ed Emily roteò gli occhi.
«Lo avevo immaginato, hai già la faccia rossa» ribatté lei. «Ancora due bicchieri e non capirai più niente.»
Alexander rise ancora, scuotendo il capo. «Se non mi avessi fatto aspettare così a lungo, non avrei dovuto cercare compagnia nel vino.»
In quel momento arrivò il cameriere per prendere le loro ordinazioni e, quando se ne andò, i due rimasero in silenzio a guardare la band che suonava.
Il cibo arrivò in fretta e li scaldò più di quanto non avessero fatto le stufe e il vino, che pure continuava a riempire i loro bicchieri.
Mentre mangiavano, Alexander le chiese di parlare di Noah e lei non si risparmiò di raccontare tutto quello che era successo in quell’anno. Solo a nominare il bambino, i suoi occhi brillavano e cominciava a gesticolare animatamente.
Quando ormai avevano terminato il dolce, la band cominciò a suonare una vecchia canzone e qualcuno si mise a ballare davanti al piccolo palco.
Alex lanciò un’occhiata ad Emily e si accorse che stava battendo le mani a ritmo, con un sorriso enorme aperto sul volto. Lei incrociò il suo sguardo e il suo volto si illuminò.
La band finì la canzone e subito ne cominciò un’altra e nuove persone si aggiunsero alla sala da ballo improvvisata.
Ridendo, Emily si alzò in piedi e continuò a battere le mani energicamente. Si voltò verso Alex e gli fece cenno di imitarla, ma lui declinò scuotendo il capo. Lei lo motteggiò con un sorriso.
«Io vado a ballare» disse poi e, lasciando la sciarpa di lana sulla sedia, si infilò in mezzo alla gente che si dimenava davanti al palco.
Alex rimase al tavolo, sorseggiando il suo vino rosso troppo intenso e seguendo quel corpo dalle curve ancora troppo familiari nella sua testa.
Emily scivolava tra la gente con disinvoltura, flettendo il suo corpo in armonia con la musica. I suoi capelli, ancora ricci e gonfi per la doccia, volteggiavano nell’aria prima di ricadere sulla sua schiena. La giovane buttò il capo indietro e alzò le braccia in cielo, poi le riabbassò e si percorse il corpo con le mani, in modo lento e sensuale. La musica riprese vigore e lei tornò a saltare, con il volto che sprizzava gioia.
Imprecando in mezzo ai denti, Alex svuotò il bicchiere di vino in un sorso e raggiunse la sala da ballo.
Emily non si accorse subito della sua presenza e continuò a ballare da sola per qualche secondo. Lui le si avvicinò lentamente e, quando fu abbastanza vicino, le posò le mani sui fianchi.
Lei sussultò e si voltò di scatto, ma quando vide che si trattava di lui gli prese le mani e le premette con più forza sulle sue anche, poi gli gettò le braccia intorno al collo.
Emily profumava di pioggia e di sapone. E di vino. Mentre danzava tra le sue braccia, Alex si sentì inebriato da lei e dai suoi profumi e dall’energia che il suo corpo sprigionava. Emily gli accarezzò i capelli e lui involontariamente si irrigidì, ma lei non parve neanche rendersene conto e continuò a ballare.
La canzone finì e la successiva cominciò con un ritmo più lento e pacato. La gente intorno a loro cominciò a formare coppie, che ondeggiavano lentamente insieme alla melodia. Così fecero anche loro e si trovarono a ballare quella musica dolce guardandosi negli occhi.
Nonostante fosse inverno, Alex notò delle leggere lentiggini sul naso di Emily e si accorse che le sue labbra avevano lo stesso color ciliegia che vedeva nei suoi sogni. La giovane alzò lo sguardo, facendo vibrare le lunghe ciglia scure e Alex si trovò a guardare direttamente dentro le sue iridi cesellate. Gli occhi di Emily erano di un color muschio che diventava brillante se colpito dal sole.
Lui era così assorto dalla contemplazione di quelle iridi che quasi non si rese conto di quello che stava facendo. Si era piegato in avanti e le sue labbra avevano cercato quelle di Emily, come implorando un bacio.
Lei si scostò di scatto, con un’espressione allarmata, ma tenne le braccia intorno al collo di lui. Rimasero immobili, come entrambi paralizzati, entrambi fingendo che quel leggero sfioramento non avesse provocato un incendio dentro di loro.
Emily tremò leggermente – Alex riuscì a sentirlo perché teneva ancora le mani suoi fianchi di lei – poi, di getto, si lanciò in avanti e cercò a sua volta le labbra dell’uomo.
Questa volta nessuno dei due si sottrasse e il bacio li infiammò ancora di più. Le mani di Alex percorsero la schiena di lei e raggiunsero i suoi capelli selvaggi.
Il vino cominciò ad avere effetto e offuscò improvvisamente la mente dell’uomo. Sapeva di star ballando con Emily, fino a che realizzò che in realtà si trovava sulle scale che portavano alle camere al primo piano. Emily camminava davanti a lui e lo teneva per mano, conducendolo dolcemente con sé.
Quando entrarono nella camera, Alex sentì di nuovo le labbra di lei sulle proprie e tutto il corpo della ragazza che premeva su di lui. Il vino e il profumo di lei gli annebbiarono la mente e cancellarono completamente la sua razionalità.
Mentre lasciava una scia di baci sul collo di Emily, le sue mani cercarono la zip del suo abito. L’abbassò delicatamente, sentendo il suo desiderio che aumentava centimetro dopo centimetro.
Quando il vestito scivolò a terra e Alex sfiorò la pelle bollente della ragazza, lei lo afferrò per la camicia e lo tirò verso il letto.
Forse se non avesse bevuto tutto quel vino, Alex si sarebbe fermato. Avrebbe potuto dare la colpa al modo in cui il corpo di Emily aderiva perfettamente al suo oppure a quanto gli sembrasse bella quella sera, con i capelli selvaggi e gli occhi caldi. La verità era che entrambi lo volevano e nessuno dei due aveva la forza per fermarlo.
 
 
 
   
 
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