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Autore: Jane Collins    17/10/2020    0 recensioni
Mattia è un giovane di diciott’anni costretto a convivere con un mostro chiamato guerra. Le bombe e i massacri sul fronte gli hanno strappato la madre e il padre e ora reclamano anche la sua di vita. Lui sa già che non ha la stoffa per far fronte a questa sfida e nel lento scorrere delle ore che lo separano dal suo arruolamento nell’esercito prende una decisione drastica: preferisce morire per mano propria piuttosto che consegnare la sua vita nelle mani di una guerra che non gli appartiene. Ma proprio quando è sul punto di materializzare la sua idea, qualcosa lo trattiene e una strana forza lo trasporta in un mondo sconosciuto, un mondo dove il tempo non si misura, dove le persone possono potenzialmente vivere per sempre e dove tutti possiedono uno strano orologio da taschino, il Pass, la cui funzione è quella di determinare cosa manca alla vita del possessore affinché sia piena. Qui gli stranieri come lui sono minacciati di morte e per poter tornare a casa Mattia dovrà aiutare qualcuno a completare il suo Pass. Nello scontro inevitabile tra due modi opposti di vedere la vita avrà l’occasione di rivalutare se stesso e le sue scelte.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bambina fece la sua entrata nel binario ridendo. La mamma le prese la mano e le intimò di fare silenzio, per non disturbare gli altri viaggiatori. Tuttavia, dopo essersi resa conto che l'unica persona presente oltre a loro era un ragazzo spaparanzato su una panchina, decise che non c'era bisogno di farla stare tranquilla e le permise di correre giocosamente dietro a una libellula. Un sorriso malinconico si dipinse sul suo volto e gli occhi le si velarono di lacrime. Si portò una mano al medaglione, che brillava sotto gli stanchi raggi di un sole estivo in procinto di tramontare. Doveva contenere delle foto a lei care, forse di un marito che la guerra aveva trascinato via da lei. Era per quella che erano lì. Dopo che l'ennesimo bombardamento aveva fatto tremare la città, molti erano i cittadini che avevano deciso di fuggire nelle campagne, con la speranza di trovare più sicurezza.
Lo sferragliare di un treno sferzò la calma del momento. La donna richiamò la figlia e, non appena il treno si fu fermato, prese in mano la valigia che aveva portato con sé e sparì dentro la locomotiva. Dopo qualche minuto, questa ripartì, lasciando che il silenzio tornasse sovrano nel binario.
Il ragazzo, intanto, aveva assistito con insolito interesse alla scena e non appena le due figure sparirono, sbuffò annoiato. Da quando la bambina e sua madre erano arrivate si era divertito a osservarle, a immaginare perché erano lì, dove sarebbero andate, i misteriosi segreti che nascondeva il medaglione. Nella sua mente le aveva rese protagoniste di una storia triste e meravigliosa al contempo, distraendosi dai cupi pensieri che fino a un secondo prima avevano infestato la sua mente. E ora che se n’erano andate stava lì a fissare il punto dove il treno era sparito, con il forte desiderio di poter prenderne uno anche lui e scappare per sempre. Mattia era un giovane di sì e no diciott'anni, ma non aveva la spensieratezza tipica di quell'età. Da quando la guerra era iniziata, non aveva fatto altro che sperare che finisse prima di essere diventato maggiorenne. Ma le cose non erano andate come voleva e quell'estate gli era arrivata una lettera che lo informava che sarebbe dovuto partire per il fronte alla fine di agosto. I giorni gli erano scivolati tra le mani più velocemente di quanto si aspettasse e presto si era ritrovato alla vigilia della sua partenza con la soffocante sensazione di non essere pronto. Era scappato di casa e si era rifugiato in stazione, sicuro che lì sua sorella non l'avrebbe trovato. Forse era egoista a voler dedicare quegli ultimi minuti di libertà a se stesso, ma non riusciva a reggere lo sguardo malinconico della ragazza.
Non sopportava l'idea di dover mollare tutto per combattere una battaglia che non gli apparteneva. La guerra gli aveva tolto tutto, ormai: si era portata via sua padre un anno dopo il suo reclutamento e, non contenta, gli aveva strappato via pure la madre, morta a causa dei bombardamenti. E, ora, stava reclamando pure la sua di vita. Che senso aveva tutto quello in fondo? Si prese la testa tra le mani e soffocò in gola un urlo di disperazione. Molti ragazzi della sua età erano fieri di partire in difesa della patria e sognavano di ritornare vincitori. Ma lui sapeva che questo non sarebbe successo, che presto o tardi lui sarebbe morto proprio come suo padre. E, in fondo, era certo che non ci sarebbe stata molta gente a piangere la sua perdita. Mattia non era mai stato uno di quei giovani accerchiati dal solito gruppetto di amici, che se ne vanno in giro a raccontare le loro incredibili storie. Lui una storia non ce l'aveva affatto e aveva sempre fatto difficoltà a entrare in un gruppo. Preferiva, piuttosto, rifugiarsi nei libri e leggere le storie meravigliose di qualcun altro. In seguito, aveva iniziato a inventarle, quasi per sfizio. Spesso gli piaceva rifugiarsi in quella stazione e immaginare le storie di chi andava e veniva, dei treni che partivano, dei misteriosi pacchi che la gente portava. Ma di lui non c'era proprio niente da raccontare. E, forse, era meglio così. In questo modo, sarebbe stato più facile fare quello per cui era venuto. Quel giorno, infatti, non era andato lì solo per osservare le persone o per sfuggire alla tristezza che regnava in casa sua. Era andato lì per dimostrare alla guerra che era ancora padrone della sua vita. Il rumore dell'ennesimo treno lo risvegliò dai suoi pensieri. Si alzò, si avvicinò ai binari e non si fermò finché la punta dei suoi piedi non incontrò il vuoto. Un solo passo e tutto sarebbe finito. Il treno si avvicinava inarrestabile. Mattia alzò lo sguardo verso l'orizzonte, dove il sole lo salutava per l'ultima volta, e pensò che Lucia, sua sorella, l'avrebbe capito, che sarebbe stato meglio così per lei. Chiuse gli occhi e sentì il rumore del treno sempre più vicino. Il battito del suo cuore iniziò ad accelerare, il suo respiro divenne affannato. Strinse gli occhi, allungò un piede verso il vuoto e si lasciò andare. Ma prima che la sensazione di cadere lo investisse, si sentì afferrare e tirare indietro con così tanta forza che cadde al suolo, battendo la testa. Vide il treno sfilargli davanti e, confuso, si avvicinò barcollando fino alla panchina. Sedutosi, si guardò intorno e rimase senza parole quando si rese conto che non c'era nessuno lì. Tutto quello non aveva proprio senso! Lui era certo di essere stato spinto indietro da qualcuno! Si distese e chiuse gli occhi, nel tentativo di fare chiarezza su quanto era avvenuto. All'improvviso il mondo attorno a lui iniziò a girare, tanto che una sensazione di nausea lo assalì. Durò solo un paio di minuti, poi tutto tornò come prima.
Quando riaprì gli occhi si rese conto di non essere più disteso sulla panchina di una vecchia stazione, ma di giacere su un verde prato rigoglioso. Si alzò in piedi, confuso, e si guardò intorno, non vedendo altro che alberi e cespugli fioriti. Si avvicinò circospetto a un arancio e fece per staccare un frutto quando una voce dietro di lui lo bloccò: — Via di qui, brutto ladruncolo! Se non sparisci subito, giuro che vado a prendere il fucile! —
— Mi scusi! Io non intendevo rubarle niente! — balbettò, girandosi. Davanti a lui c'era una donna tra i quaranta e i cinquant'anni con lunghi capelli rossi e due vispi occhi azzurri. Al sentire le sue parole, questa fece per replicare, ma si bloccò non appena i suoi occhi si soffermarono sul polso del ragazzo.
—Che cos'hai lì? — chiese bruscamente, indicando l'oggetto che la incuriosiva.
— Niente, solo un orologio! — si affrettò a dire Mattia.
— Un oro che? A cosa ti serve? — domandò la donna, aggrottando la fronte.
— A sapere che ora è, a misurare il tempo, ovviamente! —
— Il tempo... — ripeté la donna, soprappensiero —Tu non sei di qui, non è vero? —
— In realtà, no. Io ero alla stazione e poi... non so bene cosa sia successo, ma mi sono ritrovato disteso qui per terra! —
— Seguimi e nascondi quel coso sotto la manica della camicia. Non lo deve vedere nessuno! —
— Ma… —
— Niente ma! Zitto e fa' come ti dico! — gli intimò e lui, preoccupato, ubbidì. Camminarono per qualche minuto, finché non raggiunsero una villetta lì vicino. La donna tirò fuori delle chiavi e vi entrò, mentre Mattia le stava dietro. Lo guidò in uno stretto corridoio fino al soggiorno, dove gli fece cenno di accomodarsi.
— Che sta succedendo? — domandò il ragazzo.
— Non è la prima volta che uno dell'Altromondo viene a visitarci. Vi riconosciamo tutti da quello strano aggeggio che portate al polso! Vedi, qui il tempo non si misura. Esso passa, ma noi dopo un po’ non invecchiamo più né moriamo per esso. Ogni giorno è sostanzialmente uguale agli altri, ognuno può renderlo diverso tentando di completare il suo Pass —.
— Cosa intendi per "Pass"? — domandò Mattia. La donna tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un oggetto che altro non sembrava se non un comune orologio da taschino. Dentro a un grande quadrante bianco dai bordi dorati, vi erano tre quadranti più piccoli: uno azzurro, uno rosso e uno nero. Sia quello grande sia quelli minuti avevano delle lancette, che, tuttavia, parevano ferme, come se fosse rotto.
— Non è quello che pensi. Questo oggetto non misura il tempo, ma la vita o, meglio, ciò che la riempie. Ognuno di questi tre quadranti piccoli rappresenta un aspetto specifico e importante dell'esistenza: quello blu misura i sogni che riusciamo a realizzare, quello rosso l’amore e quello nero il dolore. E, infine, il quadrante più grande ne misura l'insieme generale — spiegò.
— Che cosa succede quando tutte le lancette fanno un giro intero? —
— Si completa il Pass, si ha vissuto una vita piena. Ma questo non è importante in questo momento. Tempo addietro, un altro abitante dell'Altomondo è finito qui ed è stato trovato da niente meno che il re in persona. Siccome l'unico modo che aveva per tornare a casa era aiutare qualcuno a completare il suo Pass, offrì a sua maestà di dargli una mano con il suo e questi accettò. Ma nell'impresa il sovrano morì e la colpa venne data allo straniero. Quando il figlio gli succedette, annunciò che ogni abitante dell'Altromondo che avesse messo piede nel suo regno sarebbe stato ucciso. L'orologio che tu hai al polso è uno dei segni di riconoscimento e non è l'unico! Te ne devi andare di qui al più presto! —
— Non capisco! Perché mi stai aiutando? Chi sei? —
— Il mio nome è Myriam e il motivo per cui ti sto dando una mano è che non condivido i provvedimenti del mio sovrano. Gli abitanti dell'Altromondo hanno aiutato molte persone per secoli e non è giusto che per l'errore di uno paghino tutte le generazioni a venire! —
— E tu rischieresti la vita per questo? —
— Se devo mettere a rischio la mia vita, voglio farlo per qualcosa per cui valga la pena. È molto meglio che vivere all'infinito senza mai avere il coraggio di difendere ciò in cui credi! Voglio fare ciò che ritengo giusto. La legge è troppo influenzata dai vecchi rancori del nostro sovrano! E, poi, ho bisogno del tuo aiuto —.
— Cosa intendi? —
— Be', devi aiutare qualcuno a completare il suo Pass se vuoi tornare a casa e fortuna vuole che al mio manchi solo una cosa per esserlo: un sogno! Voglio aiutare mio figlio, Giovanni, a  evadere, voglio poter tornare a stringerlo tra le mie braccia! —
— Non sono sicuro di voler tornare a casa. Se lo faccio, vado incontro alla morte: sarò obbligato ad andare in guerra. Ho appena diciott'anni! Se resto qui invece... —
— ... Passerai la vita a fuggire! Non sarai mai al sicuro. Dalla guerra puoi sopravvivere, ma non avrai mai pace in un'esistenza solitaria, spesa a scappare! —
— Ma quella non è la mia guerra, non è qualcosa in cui credo! È un cancro alimentato dagli uomini stessi, che si è portato via tutto ciò che mi è caro! —
— E vuoi che si porti via pure la tua vita? —
— No, voglio dimostrarle che ho ancora il controllo su di essa! —
— Non è in questo modo che lo farai. Così, la stai facendo vincere! Le dimostri solo che è riuscita a convincerti che non arriverà mai la pace. Ma non capisci che è proprio questo che fa la guerra, che è questo il suo scopo: abortire ogni speranza nel futuro, far soffocare le sue vittime nel dolore e nell'impotenza, terrorizzarle a tal punto da farle arrendere inconsapevolmente a lei? Alla guerra non devi dimostrare proprio niente. Essa è padrona della tua vita solo se glielo permetti. Ogni volta che lasci che si insinui nella tua mente e ti faccia sentire in gabbia, senza via d’uscita, impotente, suddito; ogni volta che regna sovrana nei tuoi pensieri e soffoca ogni spruzzo di felicità tanto da farti desiderare di scappare o di morire pur di liberarti di lei; ognuna di queste volte tu ti trasformi sempre più in una sua marionetta. Pensa che lottando, uscendone vivo, potrai ricordare a chi verrà dopo di non cadere negli stessi errori degli uomini del tuo tempo. Non dovrebbe essere questa la tua guerra? —
— Non puoi sapere se sopravviverò, non sono abbastanza forte per questo! —
— E tu non saprai mai quanto sei forte, se non ti metti alla prova! —
— Se mio padre non è sopravvissuto, come posso farlo io? —
— Allora, tu sopravviverai per tuo padre. Lui si è sacrificato per far finire quel conflitto, fa' che non sia morto invano! —
— Ho solo paura —.
— È normale, saresti un folle se non l'avessi! Ma è della tua vita che stiamo parlando. È qualcosa per cui vale la pena combattere! —
— Mettiamo caso che ti aiuti. Dov'è tuo figlio? E perché è prigioniero? —
— Giovanni è stato arrestato per aver aiutato uno come te e ora è in una prigione a qualche miglio da qui. Mi aiuterai? —
— Non sono sicuro di voler combattere quella guerra, ma se devo fuggire, preferisco farlo in un mondo che conosco e dove non rischio di essere arrestato e ucciso. Ti aiuterò! Hai un piano? —
— C'era un tempo in cui speravo di poter salvare mio figlio e, sì, feci addirittura un piano. Ma poi mi convinsi che non ce l'avrei mai fatta. Tuttavia, con il tuo aiuto, credo di avere qualche possibilità in più — disse e gli raccontò. Mattia non era proprio sicuro della sua buona riuscita. In effetti, non era affatto sicuro di riuscire a portare a termine la sua parte del piano, ma decise di fare uno sforzo e provarci lo stesso. Perché se non l’avesse fatto, se avesse rifiutato di aiutare Myriam, non ci sarebbe stato altro modo per lui di tornare a casa. Raccolto tutto l’occorrente, si incamminarono verso la prigione. La verità era che aveva una gran voglia di fuggire. Se non si riteneva in grado di fare il soldato, come poteva ritenersi in grado di entrare in una prigione e far evadere senza problemi un prigioniero? Lui non aveva la stoffa per fare certe cose! Conoscendosi, avrebbe fatto qualche errore stupido che puntualmente avrebbe complicato tutto. Myriam non era stata poi tanto fortunata. Da quando aveva accettato di aiutarla, il suo sguardo brillava di un'immensa gratitudine ogni volta che si posava su di lui. Tuttavia dentro di lui pensava che tra tutti gli abitanti dell’Altromondo che Myriam poteva incontrare, lui non era certo un granché. E nonostante questo voleva con tutto se stesso poter essere all’altezza delle aspettative e delle speranze che quella donna riponeva in lui. Per una volta voleva sforzarsi di non essere quello che non è un granché.
Arrivarono alla prigione prima di quanto si aspettasse. Il complesso si trovava abbastanza isolato e spiccava tra gli alberi di un bosco circostante. Non appena entrati, Myriam chiese di poter vedere suo figlio e fece passare Mattia come un lontano cugino. Il secondino, annoiato, non gli prestò molta attenzione e li condusse con ben poca voglia verso la cella del ragazzo. Tuttavia, non permise loro di entrare nella cella, costringendoli a parlare attraverso le sbarre. Giovanni aveva sì e no l'età di Mattia, eppure il suo sguardo dimostrava che era molto più maturo di quanto sembrasse. Appena vide la madre, i suoi occhi si riempirono di lacrime e Mattia intuiva che avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla abbracciare. Madre e figlio rimasero a parlare per una buona mezz’ora, poi una guardia venne a richiamarli. A quel punto Myriam lanciò di soppiatto uno sguardo complice a Mattia e poi iniziò a fingere di non sentirsi bene. Il secondino, preoccupato, tentò di aiutarla. Era il momento. Ora toccava a lui fare la sua parte. Con tutta la delicatezza possibile tentò di sfilare le chiavi dalla cintura della guardia. Fu un attimo. Il secondino si spostò leggermente, la mano di Mattia fece un movimento troppo avventato e la guardia si girò. I loro occhi si incontrarono e il cuore di Mattia perse un battito. Sono morto, pensò. Il panico prese il controllo e la sua mente non riusciva più a elaborare una via di fuga.
— Cosa credi di fare, ragazzino? — urlò la guardia. Vide la sua mano scendere e stringere il calcio della pistola. Fa’ qualcosa, idiota! Vuoi forse farti ammazzare?, gridò una voce dentro di lui. Non pensò più a niente, semplicemente chiuse la sua mano a pugno e con tutta la forza che aveva lasciò che si scontrasse contro la mandibola del secondino, che, preso alla sprovvista, lasciò andare l’arma e barcollò. Mattia gli si avventò contro e lo fece cadere, sbattendo la testa. Rimase lì, immobile. Il cuore del ragazzo batteva all’impazzata e aveva ancora i nervi a fior di pelle. Sentì la mano di Myriam posarsi delicatamente sua spalla e per poco non sobbalzò.
— Forza, dobbiamo andare! — gli sussurrò. Ancora scioccato, seguì la donna, che prese le chiavi e si avviò di nuovo verso la cella del figlio. Arrivati, porse a Giovanni i vestiti che aveva nascosto in borsa, gli consegnò le chiavi e gli spiegò che in fondo a quell’ala, scese le scale, c’era una porta chiusa a chiave che spesso usavano i secondini e che permetteva di uscire dal retro della prigione. Lei e Mattia l’avrebbero aspettato là fuori. Giovanni annuì con le lacrime agli occhi e, dato un ultimo abbraccio a sua madre, s'inoltrò nel corridoio.
A quel punto Myriam e Mattia si incamminarono verso l’uscita, cercando di comportarsi normalmente. Per fortuna, le guardie non prestarono loro molta attenzione, troppo anestetizzate dal ripetersi sempre uguale della loro routine giornaliera. Una volta fuori, Mattia vide l’ansia dipinta sul volto di Myriam. Per tutto il tempo che aspettarono che Giovanni uscisse, la donna gli strinse disperatamente la mano, gli occhi puntati su quella porta. Fu solo quando il giovane la aprì, trafelato, che la donna si rilassò e lasciò andare un sospiro di sollievo. Da parte sua per tutto il tragitto di ritorno Mattia non poteva non pensare a quello che aveva fatto. Si sentiva strano. Lui non aveva mai picchiato nessuno in tutta la sua vita. Non sapeva neppure di esserne capace. Aveva spento il cervello e aveva permesso all’istinto di prendere le redini. Eppure c’era una parte di lui che sentiva che quello che aveva fatto non era sbagliato. E non solo perché avrebbero potuto finire in carcere o uccisi, ma perché se non l’avesse fatto non avrebbe mai visto quel sorriso di pura felicità che ora illuminava il volto di Myriam. Forse le cose non erano andate come previsto, ma era finito tutto bene e forse era quello tutto ciò che contava.
Fu Myriam a risvegliarlo dai suoi pensieri, dicendo che il giorno seguente i soldati sarebbero venuti a interrogarla, che sarebbe risultato sospetto che suo figlio fosse scappato giusto il giorno in cui lei era venuta a trovarlo e che Giovanni, quindi, sarebbe dovuto partire presto. A Mattia parve strano che lei sembrasse così tranquilla. Insomma, se il secondino che aveva picchiato era vivo e vegeto e si ricordava di tutto, Myriam poteva rischiare di finire in carcere! Tuttavia, lei non sembrava affatto preoccupata. Diceva che lui sarebbe presto tornato a casa, che in poco tempo la cosa sarebbe stata dimenticata e che le autorità avrebbero smesso di cercare suo figlio o di interessarsi di lei. In caso contrario, avrebbero sempre potuto lasciare il paese.
Giunti a casa, madre e figlio poterono abbracciarsi e festeggiare, ma sul far della sera, Myriam iniziò a sentirsi male, allarmando i due giovani. Per tutta la notte, Giovanni vegliò al suo capezzale. Poco prima dell'alba, svegliò Mattia e gli disse che sua madre lo voleva vedere. Il ragazzo sapeva che qualcosa non andava, che quella non era una malattia passeggera. Entrò nella stanza e, appena vide la donna che lì giaceva, il suo cuore perse un battito: il volto era pallido e stanco, la sua fronte era madida di sudore e il suo respiro era pesante. In silenzio, Mattia si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei. Le palpebre di Myriam tremolarono e i suoi occhi si aprirono.
— Sei venuto — mormorò.
— Come ti senti? —
— Non voglio mentirti, Mattia. Io sto morendo e non c'è nulla che possiate fare per me! —
— Ma non è possibile, ieri stavi così bene! —
— Ho completato il mio Pass! —
— Lo so, ma questo cosa... —
— È questo che capita quando tutte le lancette compiono un giro intero: si muore. La mia vita è stata completa, piena, e non c'è altro per me in questo mondo — spiegò.
— Ma perché non me l'hai detto? Se l'avessi fatto, io... —
— Non mi avresti mai aiutata. Tu misuri la vita contando i secondi, sei stato abituato così. Io la misuro contando le azioni. Ci sono uomini qui che hanno così tanta paura di morire che non completano mai il Pass. Vivono per millenni, ma sono così tanto occupati a fuggire la morte da scordarsi di vivere la vita. Io non voglio questo. Preferisco morire oggi, ora, sapendo che mio figlio è libero, che vivere mille anni con la consapevolezza che non uscirà mai di prigione —.
— Avremmo trovato un altro modo —.
— Non c'era altro modo. Prima che sia troppo tardi voglio farti un regalo — mormorò e, preso dal comodino il suo Pass, lo porse al ragazzo.
— Non posso accettarlo! —
— Devi, ti aiuterà! Da oggi in poi sarà tuo e misurerà la tua di vita. Ora, voglio che tu guardi attentamente quest'oggetto. Ti sei mai chiesto perché uno dei tre quadranti più piccoli misuri il dolore? Ti sei mai chiesto perché è stato considerato un aspetto della vita tanto importante da dedicargli un quadrante al pari dei sogni e dell'amore? Perché è il dolore che rende la vita vera, autentica. È il dolore che fa capire il valore della felicità. Ognuno ha la sua dose e nessuno può evitarla. La tua è la guerra, la mia è stata perdere mio figlio per tanti anni, non credendo di poterlo riscattare. Ma c'è una cosa che non bisogna dimenticare: prima o poi il dolore svanirà, quindi non vale la pena arrendersi! Io voglio che tu mi prometta che tornerai a casa e che vivrai una vita vera, una per cui sia valsa la pena tutta questa sofferenza. Voglio che tu smetta di contare il tempo e inizi a pensare a come impiegarlo da oggi in poi! — disse, mettendogli il Pass in mano. Mattia rimase senza parole, confuso. Strinse l'oggetto che la donna gli aveva regalato. Rimasero così, in silenzio, finché Giovanni entrò e si unì a loro. Alle prime ore del mattino, il cuore di Myriam smise di battere.
A quel punto, Mattia capì che non aveva altro da fare in quella casa. Il piano della donna aveva fallito: lui non era tornato a casa. Distrutto e confuso uscì di lì. Iniziò a camminare senza una meta, seguendo una stradina. Le ore passavano e la stanchezza per la notte precedente iniziava a farsi sentire, ma il giovane proseguì. Era arrivato ad un incrocio, quando un carro trainato da un cavallo per poco non lo investì. Mattia sentì qualcuno tirarlo indietro, salvandolo. Il ragazzo cadde a terra, battendo la testa e chiuse gli occhi per il dolore. Il mondo attorno a lui iniziò a girare, tanto che gli salì la nausea. Durò qualche secondo, poi tutto tornò come prima. Quando riaprì gli occhi, era disteso sulla panchina della stazione dove si era rifugiato il pomeriggio precedente. Il sole pareva appena tramontato e tutto era tale e quale al giorno prima, proprio come se il tempo non fosse trascorso. Mattia si mise a sedere, confuso. Era stato tutto un sogno? Ma certo! Si doveva essere addormentato e la sua mente malata gli doveva aver regalato quel sogno così strano. Sua sorella doveva essere preoccupata, pensò. Diede un'ultima occhiata alle rotaie, poi, con decisione, voltò la testa e si rimise in piedi, dirigendosi verso l'uscita. Proprio mentre stava per varcarla, percepì qualcosa pesargli in tasca e ci immerse la mano alla ricerca del misterioso oggetto. Quando le sue dita lo sfiorarono, si affrettò a sfilarlo e si ritrovò davanti uno strano orologio da taschino, nel cui quadrante principale ve n’erano racchiusi altri tre più piccoli dai diversi colori: uno azzurro, uno rosso e uno nero. Era il Pass di Myriam. Lo strinse forte nella mano e un sorriso triste affiorò sul suo volto. Le ultime parole che la donna gli aveva rivolto risuonavano incessanti nella sua testa, una parte di lui sentiva di non essere in grado di rispettare la promessa che gli era stata strappata a quel capezzale. Eppure, al contempo, una nuova risolutezza lo riempiva. Ripensò a quel pomeriggio, quando si era rifugiato alla stazione nel tentativo di sfuggire alla sua vita, e a tutti gli altri pomeriggi passati a immaginare le avventure che stavano dietro ai volti delle persone che si succedevano tra quei binari, rifiutando energicamente l’idea che anche il suo nascondesse qualcosa da raccontare. E all’improvviso gli sembrò di essersi sempre solo lasciato vivere, di aver lasciato scorrere i secondi nella disperata attesa che qualcosa accadesse, sempre aspettando un domani migliore, sempre con gli occhi puntati all’orizzonte, sempre guardando le imprese degli altri. Ma non era forse anche lui il protagonista di una storia? Era stanco di essere solo una comparsa, un attore passivo in balia di un copione redatto da qualcun altro, una macchietta incapace di abbandonare ciò che gli dà sicurezza per correre finalmente un rischio. Oggi lui sarebbe diventato regista, sarebbe stato lo scrittore della sua propria storia. E non importava se fosse stata lunga o corta, perché non è il numero di pagine che dà valore a un racconto e questo Myriam gliel’aveva insegnato bene. Avrebbe smesso di sopravvivere e avrebbe iniziato a vivere, avrebbe completato il suo Pass. Avrebbe smesso di pensare che non valeva abbastanza. La tristezza che aleggiava sul suo volto sfumò a quei pensieri e, riposto il regalo della donna in tasca, si avviò verso casa con rinnovata vitalità. E con un sorriso pieno, autentico, speranzoso, uno di quei sorrisi che riescono a illuminare un volto anche nei momenti peggiori. Il giorno seguente sarebbe partito per il fronte, sarebbe andato incontro a un incubo fatto di bombe e corpi senza vita, che con gli occhi rivolti al cielo cercano un motivo che giustifichi tutta quella distruzione. Sarebbe andato incontro alla morte, probabilmente. Eppure sorrideva, un sorriso assurdo, forse folle, perché oggi era vivo, oggi era a casa, oggi lui non si sarebbe arreso. E seppe che era stato uno stupido a volersi buttare sotto quel treno ore addietro. Perché non era con un sacrificio, non era con un'altra morte che avrebbe dimostrato alla guerra di non essere una marionetta nelle sue mani. Per quel sorriso pazzo e sincero seppe che la guerra non sarebbe più stata padrona della sua vita.

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Spazio dell'autrice.
Ciao a tutti! Questa è la prima storia che pubblico e devo ammettere che mi ci è voluto un po' per trovare il coraggio di fare questo passo. Spero vi sia piaciuta e vi ringrazio per averci dato un'occhiata. Ero dubbiosa sulla categoria in cui inserirla su EFP, ma dato che l'elemento fantasy non era preponderante e non si poteva definire una storia generale, ho pensato che considerarla come favola fosse un buon compromesso. In ogni, caso se voleste lasciare un breve commento, sarei molto interessata a leggere le vostre opinioni, sopratutto per potermi migliorare come scrittrice.
   
 
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