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Autore: heliodor    18/10/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Una grande occasione
 
“Che ne pensi dei ragazzi?” le domandò Abbylan sulla via del ritorno. Le ombre si stavano allungando ma non era ancora buio. Le strade di Ferrador si stavano svuotando e le poche luci provenivano dalle finestre aperte.
Valya fissava la strada in silenzio, l’espressione accigliata.
“Ti ho chiesto che ne pensi.”
“Perché mi hai portata alla caserma?” gli domandò perplessa.
“Per farti conoscere qualche vero guerriero.”
“Quelli non sono guerrieri.”
“Non lo sono, dici?” chiese Abbylan con tono divertito.
“No” fece Valya.
“Secondo te che cosa sono?”
“Non lo so. Persone che combattono.”
“E quale sarebbe la differenza?”
Valya scrollò le spalle.
“Solo quelli che indossano un’armatura scintillante e usano armi magiche possono essere dei guerrieri?”
“Nobili guerrieri” puntualizzò lei. “E un’arma magica sarebbe utile.”
“Nessuna magia è più forte di un ottimo addestramento. E di un’armatura di eccellente fattura.”
“Sul serio? Se un guerriero usasse un’arma magica, tu saresti capace di batterlo?”
“Un duello è sempre imprevedibile.”
“Lo sapevo” fece Valya con tono canzonatorio. “Il signor baffetto si sta già tirando indietro.”
“Se hai un guerriero armato di spada magica portalo qui e lo affronterò, dimostrandoti che ho ragione.”
“Ragione su cosa?”
“Sul fatto che un guerriero vale più di qualsiasi spada magica o armatura fatata.”
“Potrei sorprenderti” disse con tono di sfida.
“Non mi sorprendo facilmente.”
Un drappello di soldati sostava vicino all’entrata della piazza d’armi, dove era stato eretta una trincea per ordine della governatrice. Chiunque passasse di lì doveva essere controllato prima di procedere oltre.
Un uomo dall’aria accigliata stava parlando ai soldati. Indossava un mantello porpora che gli scendeva fino alle caviglie e una lunga chioma bionda che gli copriva le spalle.
Abbylan si irrigidì e rallentò il passo vedendolo e Valya notò il suo sguardo accigliato.
Il tizio dalla capigliatura dorata gettò loro un’occhiata, fece un cenno ai soldati e si diresse verso di loro.
“Non dire una parola” sussurrò Abbylan.
“Chi è?”
“Donn Ballard” rispose l’altro come se quello spiegasse tutto.
“E chi sarebbe?”
“Mettiamola così. Se Dalkon fosse davvero un lupo, Donn sarebbe il suo cane da guardia.”
“I lupi non hanno cani da guardia” protestò Valya.
“Zitta ora.”
Donn Ballard mostrava un sorriso tirato. “Che ci fai in giro a quest’ora?” domandò con tono brusco. “La governatrice l’ha vietato.”
“Portavo la figlia di mastro Keltel a fare una passeggiata” disse Abbylan. “Ordini della governatrice.”
“Non ne sapevo niente” disse Ballard.
“Ora lo sai.”
Abbylan fece per procedere oltre ma l’altro gli sbarrò il passo.
“Dopo il guaio che hai combinato” disse Ballard. “Non godi più della sua fiducia e tuo fratello non potrà difenderti per sempre.”
“Mio fratello non mi ha mai difeso” rispose Abbylan.
“Stai attento, soldatino” disse Ballard. “Un giorno di questi…”
“Cosa? Cosa mi succederà?”
Ballard sorrise. “Niente. Ma fai attenzione lo stesso. A palazzo stiamo valutando la tua posizione.”
Abbylan rispose con un grugnito e lo superò. Valya lo seguì in silenzio per un centinaio di passi mentre si inoltravano nella piazza, senza osare voltarsi per vedere se Ballard li stesse osservando o no.
“Quel tizio ce l’ha con te?”
“Può darsi.”
“Che gli hai fatto?”
“Non sono affari che ti riguardano” rispose Abbylan. “Ora devo andare. Domani presentati puntuale alla lezione.”
Appena a palazzo rientrò nella sua stanza e si cambiò d’abito, mettendo la gonna piena di svolazzi e la blusa colorata che Olethe insisteva a farle indossare quando era tra quelle mura.
Stava iniziando ad apprezzare quei vestiti, più comodi di quanto pensasse quando doveva muoversi tra le sale del castello e che la rendevano meno visibile di una ragazzina in stivali e brache da fabbro che si aggirasse per i corridoi bui.
Poco prima di cena scese sul livello inferiore, quello delle sale di addestramento, per dare un’occhiata in giro. Non cercava niente di specifico ma un’idea le era passata per la mente e voleva metterla alla prova.
In una delle sale d’armi adocchiò una parete dove erano allineate una gran quantità di armi e scudi. Ce n0erano di rotondi, ovali, allungati, a punta e persino uno quadrato che sembrava piuttosto scomodo da usare. Uno era così grande che dubitava esistesse un uomo in grado di sollevarlo.
Vicino a un angolo trovò quello che stava cercando. L’elsa della spada terminava con un pomolo rotondo, del tutto anonimo tra le fastose decorazioni delle altre armi. La lama era nascosta dallo scudo e sbirciando dietro di essa notò che era agganciata al muro tramite dei sostegni dove poteva scorrere.
Per accertarsene afferrò l’elsa e la mosse appena, quasi sguainando la spada per tutta la sua lunghezza. Rimise a posto la lama assicurandosi che dall’esterno non si notasse che l’aveva toccata e memorizzò la posizione dell’arma e della sala.
Tornando di sopra incontrò Olethe. La donna sembrava preoccupata e si muoveva con passo veloce nel corridoio tato che quasi andò a sbatterle contro.
“Chiedo scusa” disse Valya ricordando la formula che la donna le aveva insegnato in quell’ultima Luna.
Olethe rispose con una smorfia. “Vedo che stai imparando le buone maniere. Invece andare in giro da sola è un’abitudine che proprio non riesci a eliminare.”
“Facevo solo due passi prima di cena” si giustificò.
“Ne sono certa. Già che sei qui vieni con me.”
Valya seguì Olethe lungo il corridoio. “Dove andiamo?”
“Da Doryon.”
“Sta di nuovo male?”
“Per fortuna, no. Sembra che l’ultimo intruglio creato dai guaritori stia funzionando.”
“Sono riusciti a capire che cos’ha?”
“Se ne fossero capaci, l’avrebbero già curato” disse la donna. “Ma per il momento devono procedere alla cieca e sperare di non peggiorare le cose.”
Valya la seguì in silenzio fino alla porta di Doryon.
Olethe appoggiò una mano sulla superficie di legno laccato e disse: “Siete dentro?”
“Entra” rispose una voce appena udibile.
Valya seguì Olethe dentro la stanza di Doryon. Era la prima volta che ci entrava. Al centro, vicino all’ampia finestra socchiusa e coperta da tende color crema, vi era un letto a due piazze coperto da un baldacchino. Sulla parete opposta vi era un armadio a quattro ante e sul lato che li congiungeva uno scrittoio pieno di carte ben ordinate e una sedia scostata di qualche passo.
 Doryon sedeva sul bordo del letto, il viso scavato e grigio, due occhi chiari che le fissavano.
“Perché non siete a letto?” domandò Olethe preoccupata. “Non sapete che dopo aver preso la pozione non potete alzarvi?”
“Avevo l’ispirazione” rispose il ragazzo, come se quello spiegasse tutto.
Valya si avvicinò al letto quasi in punta di piedi. Non riusciva a fissare quella figura così esile e quegli occhi troppo a lungo.
Doryon guardò dalla sua parte. “Ci sei anche tu. Valya.”
Lei rispose con un sorriso e un leggero inchino, come Olethe le aveva raccomandato di fare quando le rivolgevano la parola. “Io ti saluto, Doryon.”
“Mi piace di più Dem” disse il ragazzo con un filo di voce.
Olethe aiutò il ragazzo a stendersi sul letto. “Tu” disse rivolta a Valya. “Fai compagnia a Doryon mentre io rimetto in ordine la stanza.
A Valya non sembrava che ci fosse tanto da sistemare lì dentro ma ubbidì lo stesso.
 Doryon aveva il capo disteso sul cuscino e fissava il soffitto. “Oggi avevo l’ispirazione” disse. Guadò Valya. “Ho sognato di valorosi cavalieri e grandi imprese e volevo scrivere i versi a cui avevo pensato prima che mi sfuggissero dalla mente. Mi capita spesso di dimenticare le cose, ultimamente.”
“Capita anche a me” disse Valya per avere qualcosa da dire. “Mio padre a volte dice che se non avessi la testa attaccata sul collo la scorderei a casa.”
Doryon sorrise. “Il grande Simm Keltel” disse il ragazzo. “Lo sapevi che ha combattuto a Mashiba?”
Valya annuì. “Lo dicono tutti. È la battaglia che l’ha reso famoso.”
“Non solo lui, ma anche Aramil il Triste e Yander Lo Splendente.”
“Li conosco appena” ammise.
“E Wyll il Falco Grigio.”
“Non conosco nemmeno lui.”
Doryon si accigliò. “Davvero? Mia madre dice che lui e tuo padre erano grandi amici. Inseparabili.”
“Lui non mi parla mai della guerra.”
Lui non mi parla mai di niente che lo riguardi davvero, pensò triste e contrariata.
“Wyll era forte” disse Doryon. “Fu lui a scoprire dove si nascondeva Vulkath. E sfidò a duello Yander.”
“Deve essere stata una sfida memorabile.”
“Ora basta” disse Olethe. “Doryon deve riposare.” Mise sul corpo del ragazzo una coperta imbottita ricamata d’argento. “Andiamo” disse a Valya.
“Tornerai a trovarmi?” chiese Doryon speranzoso. “Abbiamo tante storie da raccontarci.”
Valya stava per rispondere, ma Olethe l’anticipò. “Ora devi riposare e pensare a rimetterti in forze.” Chiuse la porta della stanza con un tocco leggero, sospirò e le rivolse un’occhiata severa. “Ti sei comportata bene.”
“Ti ringrazio” disse Valya.
“Non farlo. Se resterai qui abbastanza tempo, farò di te una brava ragazza, capace persino di trovarsi un buon marito.”
“Io” fece per dire Valya.
“Non rovinare ogni cosa, figlia del fabbro. Ti è stata concessa una grande occasione. Vedi di non sprecarla.”
“Io voglio diventare una guerriera.”
Olethe sorrise triste. “E io volevo essere una principessa e vivere in un magnifico castello e invece sono finita qui.”
“Se non sei felice perché resti?”
Olethe la fissò adirata. “Come ti permetti? Osi darmi dei consigli? Io sono onorata di servire la governatrice.”
“Non stavo dicendo questo” si difese. “Ma non sembri contenta.”
“Bada agli affari tuoi, ragazza. Ora torna nella tua stanza e restaci fino all’ora di cena.”
Valya fece di sì con la testa ma non aveva alcuna intenzione di tornare nella sua stanza. Invece, appena ebbe perso di vista Olethe, ne approfittò per tornare sui suoi passi e scendere al livello delle sale di addestramento. Prese una delle spade dalla rastrelliera e adocchiò uno dei manichini. Sollevò l’arma come Abbylan le aveva insegnato e per un po’ danzò attorno all’avversario, immaginando di fronteggiare un vero guerriero in battaglia.
Chiuse gli occhi e per un istante fu trasportata in mezzo a un vero scontro, tra guerrieri che si lanciavano all’attacco con le spade sguainate e le armature che brillavano sotto il sole.
C’erano bandiere e stendardi agitati dal vento e spade che luccicavano insieme a punte di spade e frecce che passavano sopra il sole oscurandolo.
E al comando di quell’armata che si dispiegava maestosa nella valle, c’era lei, la spada sollevata al cielo che incitava i soldati ad avanzare.
Quando aprì gli occhi fissò delusa il manichino senza vita che la sfidava. Gli sferrò un fendente sulla spalla che lo fece ondeggiare ma non crollare.
Non sono abbastanza forte, si disse. Nemmeno riesco a buttare giù questo pezzo di legno, figuriamoci un vero nemico. Abbylan ha ragione, non sarò mai una versa guerriera.
Il pensiero andò alla spada conservata nel baule.
In quella Luna aveva cercato di dimenticarla e concentrarsi sull’allenamento, ma non era servito a molto. Si era detta che addestrandosi sarebbe diventata più brava e non ne avrebbe più avuto bisogno, ma nemmeno lei ci credeva.
Devo avere quella spada, pensò. Ora.
Tornò al livello superiore percorrendo le sale con ampie falcate e raggiunse l’uscita quasi di corsa. Attraversò il cortile facendosi strada tra gli operai e gli inservienti che avevano terminato il loro turno e si stavano ritirando nelle palazzine messe a disposizione dalla governatrice.
Li ignorò tutti senza fermarsi né rallentare davanti a un ostacolo. Se uno di loro si fosse messo in mezzo, era sicura che l’avrebbe travolto.
La spada, pensò. Devo averla.
Il carro con cui erano arrivati a Ferrador era ancora fermo davanti all’ingresso della palazzina. Lì c’era la stanza che era stata messa a disposizione di suo padre, insieme a quelli degli altri fabbri.
Un paio di essi stavano ciondolando davanti al portone e le rivolsero un’occhiata fugace.
“Se stai cercando tuo padre, è uscito per andare in città.”
Come al solito, pensò Valya.
Li ignorò tirando dritto verso le scale e poi per i successivi due livelli, ino a ritrovarsi davanti alla porta di suo padre.
Non aveva le chiavi ma le bastò appoggiare la mano sulla maniglia per scoprire che era aperta. Si introdusse nella stanza quasi in punta di piedi, anche se sapeva che era vuota.
All’interno vi erano un armadio, una branda, uno scrittoio e alcuni bauli allineati contro la parete opposta. Valya si gettò sopra uno di essi e lo spalancò, affondando le braccia all’interno, febbricitante.
Afferrò il fagotto e lo aprì, rivelandone il contenuto. Il panno floscio le scivolò dalle mani sul pavimento e il suo cuore perse un colpo.
“È vuoto” disse sottovoce. “Qualcuno ha preso la mia spada.”
La porta si spalancò all’improvviso facendola sobbalzare.
“Che ci fai qui?”

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