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Autore: Eneri_Mess    18/10/2020    1 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 6

Truth O’Clock

(Parte 2)






 

Say goodbye, as we dance with the devil tonight
Don't you dare look at him in the eyes
As we dance with the devil tonight
Hold on, hold on
Goodbye

[Dancing with the devil - Breaking Benjamin]





 

 

Erano le due di notte e le luci dell’Agenzia erano accese. 

Kunikida tornò dall’ufficio di Fukuzawa con un’espressione funerea. Il suo umore si era incrinato quando Atsushi era arrivato seguito da Akutagawa, ma se la sua prima reazione era stata quella di apostrofare il “cane della mafia” come ospite non gradito, ora sembrava più scioccato che propenso a sbraitare. 

«Il Presidente sta bene» disse, ma con un tono che trasmetteva quanto fosse lui il primo a non crederci, impostato come un telegramma. Nonostante nessuno dei presenti accolse la notizia con entusiasmo, o una qualche reazione, proseguì. «Non tornerà prima di domani. Al telefono era... il Boss della Port Mafia. Ha detto che si accerterà personalmente delle sue condizioni e che sia al… sicuro.» 

Di nuovo, nessuno sembrò impressionato dalla notizia. Kunikida continuò a parlare, sentendolo come un dovere rassicurante per non metabolizzare davvero quello che si era concretizzato con la sua stessa voce. 

«Ho chiamato Tanizaki e l’ho mandato a prendere Ranpo, verranno qui per esaminare le nuove prove.» 

Nel terminare la frase allungò la mano per riprendere la propria agenda dalle mani di Dazai, intento a giocherellarci. Davanti a quest’ultimo, seduto alla scrivania del partner, erano sparpagliate le foto che erano state fatte al cimitero dai due ragazzi.   

Il silenzio perdurò con l’astensione volontaria a interagire. L’atmosfera era densa, in attesa di una scintilla per scoppiare. Atsushi era vicino alla propria scrivania, troppo nervoso per sedersi; continuava a dividere le occhiate tra Akutagawa, in piedi a pochi passi da lui, a sua volta intento a guardare fuori dalla finestra come fosse stato un semplice cliente in attesa, e Dazai, in silenzio dall’ultima chiamata al cellulare e fisso sulle fotografie che avevano riportato. Appoggiato al muro dietro il posto solitamente di Ranpo, Ango era a braccia conserte, inquieto, le dita a stringere in una morsa le maniche del completo. 

Kunikida buttò fuori un respiro con cui sperava di distendere i nervi. I suoi timori si erano rivelati esatti su come quella storia del giustiziere si sarebbe presto ritorta contro di loro. Non aveva immaginato a quei livelli. Livelli che faticava ancora a comprendere dal primo rapporto ricevuto.

Era ora delle domande. 

«Questo Oda… chi è?»

Dazai non rispose. La sua espressione predicava una distrazione che Kunikida conosceva abbastanza bene da affermare che fosse intenzionalmente sviante. Fu Ango a prendere la parola. 

«Era un agente della Port Mafia, del rango più basso. Un tuttofare. Era…» lanciò un’occhiata a Dazai. «Era nostro amico, quando Dazai era Dirigente e io una spia infiltrata. È morto durante lo scontro tra la Port Mafia e la Mimic, un’organizzazione straniera.»

Lo sguardo di Kunikida cadde sulle fotografie sparse sopra la propria scrivania, sotto le dita del suo partner. «Quanto eravate certi che fosse morto?» chiese piano, ma ragionevole. 

«Ha esalato il suo ultimo respiro tra le mie braccia.»

La voce di Dazai vibrò nell’aria e arrivò a tutti come il piccolo impulso di una scarica elettrica. Atsushi lo guardò di sottecchi, sentendosi di troppo; Akutagawa gli lanciò invece un’occhiata da sopra la spalla. Ango aveva un’espressione indecifrabile in viso, mentre Kunikida rimase in attesa del seguito. 

«Lo scontro con la Mimic fu tutta una sceneggiata orchestrata da Mori-san per riuscire a ottenere il Permesso per l’uso delle abilità. Odasaku è stata la pedina sacrificale fin dall’inizio e io l’ho capito troppo tardi.» 

Non c’era alcuna inflessione particolare nel tono di Dazai. Dava l’idea che stesse leggendo gli appunti di un caso appena arrivato, qualcosa di neutro. Kunikida non commentò, ma registrò ognuna delle informazioni. Si rivolse poi ad Atsushi e Akutagawa. 

«Voi due…» Non riusciva a farsi andare giù il fatto che Akutagawa fosse in piedi nel loro ufficio come se stesse aspettando il tè. «Siete certi che Red Hood abbia un’abilità che gli permetta di anticipare le mosse dell’avversario?» 

Atsushi si torturò le mani, lanciando prima un’occhiata all’altro ragazzo, ma questo continuava a fissare poco velatamente il proprio ex mentore, ignorando Kunikida. Toccò a lui rispondere. «Lo abbiamo attaccato in due, in tutti i modi. Ho cercato di coglierlo di sorpresa… ma non sono riuscito a fargli neanche un graffio. Ha tenuto testa alla velocità della Tigre come se nulla fosse...»

Kunikida tornò a rivolgersi a Dazai. «Questa preveggenza... era l’abilità di Oda, giusto?» 

Dazai non replicò. Di nuovo, fu Ango a confermare con un cenno di assenso. 

«E ora scopriamo che la sua tomba è vuota» continuò Kunikida. Anche se cercava di mantenere un tono saldo e ragionevole, la stanchezza, le energie risucchiate da quella realtà surreale, che andava complicandosi, iniziava a mangiare terreno dentro di lui. «Com’è possibile? Se sotto la maschera di Red Hood c’è veramente questo Oda, in teoria morto, allora si sta davvero vendicando della Port Mafia?»

«Avrebbe più di una ragione per farlo» spiegò Dazai, riprendendo la parola di punto in bianco. «Quattro anni fa Mori-san passò alla Mimic l’informazione sul luogo in cui avevo nascosto gli orfani di cui Odasaku si occupava. Sono morti cinque bambini, saltando in aria davanti a lui senza che potesse fare qualcosa.» 

La professionalità sul viso di Kunikida si incrinò, colpito nel personale. La bambina che non era riuscito a salvare durante il caso del Cannibalismo era ancora un’ombra vivida nella sua memoria. 

«Dopo quanto successo stamattina, siamo ragionevolmente certi che dietro le azioni di Red Hood ci sia la macchinazione di Dostoevskij» intervenne Ango, riportando la conversazione sul piano dell’indagine. «Non posso scendere nei dettagli ora, ma siamo sicuri che Dostoevskij stia cercando di mettere di nuovo le mani sul Libro.»

Tra tutte le notizie, non fu la più allarmante per Kunikida. Incrociò le braccia, guardando seriamente Ango. «Se questo è lo scopo, l’identità di Red Hood passa in secondo piano. Anche se il tipo di abilità lo rende un avversario difficile. Potrebbe trattarsi di qualcuno con lo stesso potere? Anche se non spiegherebbe la tomba vuota...»

«Sì… ci sarebbe la possibilità che sia un individuo con la stessa abilità. André Gide, il capo della Mimic, era uguale a Odasaku, ma è morto scontrandosi con lui...» 

Ango fu interrotto da un sospiro rumoroso di Dazai. Si alzò dalla sedia, muovendo il collo irrigidito e stiracchiandosi in generale. «Prendo in prestito una cosa» disse con distacco, aprendo il cassetto della scrivania di Kunikida. 

Un secondo dopo, tre colpi di pistola esplosero nell’ufficio dell’Agenzia. 

Un bagliore rosso si irradiò per la stanza. Akutagawa, sconvolto, bloccò i proiettili con l’uso di Rashoumon. Il resto dei presenti si era pietrificato sul posto. 

«Te lo ricordi?» 

Se si fosse potuto attribuire un colore al tono di voce di Dazai, questo sarebbe stato il nero. Fermo, privo di vibrazioni o pietà. Nel suo angolo, Atsushi avvertì un brivido che lo fece trasalire, ma l’istinto gli impose di restare immobile, come una preda che si è accorta del cacciatore. 

«Te lo ricordi adesso?» incalzò Dazai, il sentore della minaccia che avrebbe potuto sparare di nuovo riecheggiò nelle sue parole. «So che all’epoca vi siete scontrati. Odasaku è venuto a salvarti e tu l’hai attaccato. Sforzati e dammi una risposta. È lui?»

I proiettili sospesi in aria caddero in terra con un tintinnio che rimbombò amplificato dal silenzio. Rashoumon sparì, nonostante la posizione difensiva del suo padrone. 

Akutagawa, rigidamente, annuì, confermando il dubbio. 

Dazai abbassò il braccio e poggiò la pistola sulla scrivania. «Visto? Non ci voleva tanto.»

Fu come se qualcuno avesse premuto play al resto dei presenti. Tornarono a respirare. 

«CHE COSA SIGNIFICA!?» urlò Kunikida, tremando di indignazione e dimentico di tutto. Dimentico di essere in Agenzia e che fossero le due di notte. Era livido. «È UN RAGAZZINO! CHE COSA TI SALTA IN MENTE!?»

Dazai sventolò una mano a scacciare l’accusa, incamminandosi verso l’uscita. Il suo sguardo era altrove. «Calmati. Ha solo due anni meno di noi e l’ho cresciuto così. Sì, non è il massimo. Odasaku avrebbe fatto di meglio.»

«Dove credi andare!? Non abbiamo finito!»

«Ho bisogno di schiarirmi i pensieri. Del resto si può occupare Ranpo. Buonanotte» e Dazai uscì dall’ufficio.

La tensione si frantumò del tutto come se i proiettili avessero infranto l’invisibile muro tra di loro. Kunikida rimase un blocco di nervi a fior di pelle. Sbraitò che Akutagawa dovesse andarsene immediatamente, poi anche lui sparì in corridoio, senza aggiungere altro. Ango si tolse gli occhiali, passandosi una mano sul viso mentre si appoggiava di peso contro il muro alle proprie spalle. 

«Non lo vedevo così da quattro anni...» mormorò a nessuno in particolare, con un iniziale sorriso amaro e stanco. Non disse più nulla e rimase dov’era, perso nei propri pensieri.  

Atsushi non sentì tornare il cuore battergli finché non avvertì la presenza di Akutagawa a un soffio dalla propria spalla.

«Capisci ora perché dico che tu sei stato fortunato?»

Atsushi non trovò nulla con cui replicare. 



 

* * *




 

«Kunikida-kun, hai un momento?»

Ango apparve dalla porta che dava sul tetto del palazzo dell’Agenzia. La notte era trascorsa fin troppo veloce e la mattinata era stata infruttuosa, pretendendo che ognuno tornasse a vestire i propri panni e riprendesse il lavoro. Dazai non si era presentato, ma nessuno aveva commentato la sua assenza dopo essere stato aggiornato su quanto fosse emerso, per quanto si trattasse di un puzzle con troppi pezzi mancanti. 

Era ora di pranzo, eppure la fame stentava a esserci. Kunikida era salito sul tetto per schiarirsi le idee e accettò con un cenno del capo la presenza di Ango, ringraziandolo dell’onigiri preconfezionato che gli allungò. Si conoscevano prettamente di nome, da firme su documenti, all’incidente con Shibusawa di qualche mese prima, ma non erano in confidenza. Tuttavia, quello che era accaduto la sera prima li aveva costretti sulla stessa barca. 

«Ho sempre avuto la curiosità di sapere come si lavorasse in Agenzia, ma speravo di scoprirlo per un caso meno...» Ango lasciò la frase in sospeso, non trovando un aggettivo che riuscisse a racchiudere in sé la minaccia e la pesantezza di emozioni che quella situazione creava al contempo. Preferì continuare. «Mi sono state raccontate grandi cose di Ranpo-san, ma presumo non sia al suo meglio.»

Il silenzio di Kunikida e il suo sguardo contratto avvalorarono quella constatazione, mentre ingoiava un boccone senza reale appetito. 

Ango si era ripresentato quella mattina con le informazioni che aveva potuto recuperare circa la morte di Odasaku: certificati vari tra obitorio e cimitero, documentazione del medico legale sull’autopsia e scartoffie delle pompe funebri. Il verdetto di Ranpo, dopo un’analisi di una manciata di secondi, era stato un semplice e lapidario «Sono falsi». Così veri da essere falsi, come era accaduto con i file del Cannibalismo su Puškin. 

Ango non pensava di poter sentir scendere nello stomaco un secondo peso del genere, ma non aveva ottenuto altre risposte da Ranpo, tornato a occuparsi del caso di rapimento di Yosano senza prestare orecchio a obiezioni. Erano passate ventiquattr’ore. Red Hood aveva attaccato due nuovi luoghi nella notte e il vicolo cieco era sempre più profondo.

«Appena avremo delle prove andrà meglio» commentò Kunikida piatto. Poteva essere convinto dell’affermazione, ma il suo tono non fu rassicurante. 

Ango assentì, senza alternative. «Vorrei parlare con te di Dazai. Della storia che è emersa questa notte.»

La plastica vuota dove era avvolto l’onigiri scricchiolò tra le dita di Kunikida. Il suo sguardo era rivolto verso l’orizzonte, anche se questo significava fissare quei palazzi neri irremovibili. 

«Prima o poi avrei dovuto chiederlo per le indagini. Ti ascolto.»

Per quanto Ango fosse conscio che si trattasse di una chiacchierata informale con una persona vicina a Dazai, che non aveva secondi scopi se non venire a capo di quella faccenda, si sentì lo stesso in difetto a parlare di quella vita che si era conclusa bruscamente quattro anni prima. 

«Non conosco tutti i dettagli» iniziò, non con la migliore delle premesse, ma con onestà. «Probabilmente nessuno, tranne loro, sa tutta la storia. Forse soltanto l’ex partner di Dazai, Nakahara Chuuya, ma per ovvie ragioni non possiamo parlargli.»

Un nome sospeso a cui Kunikida aveva pensato spesso da quando aveva saputo quale fosse l’impiego precedente di Dazai e gli altarini erano saltati fuori. 

«Non so di preciso quando si siano conosciuti. Dazai non era ancora Dirigente, mentre Odasaku era un tuttofare. Il legame tra di loro era molto forte. Odasaku aveva questa influenza su Dazai che… lo calmava. Non saprei come spiegarlo. Riusciva a tirare fuori da lui atteggiamenti che altrove non mostrava.»

La sua mano si frugò nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori una copia della foto di quell’ultima serata al bar Lupin. La passò a Kunikida, per poi tornare al proprio resoconto. 

«Il loro legame è diventato più profondo, anche se hanno sempre mantenuto un’apparenza distante. Erano pur sempre un Dirigente della Mafia e un tuttofare. Non che a Dazai questo interessasse, ma conoscendoli credo che… neanche loro si fossero soffermati su cosa quel rapporto fosse.»

Kunikida aveva una domanda ferma in gola, ma la tenne per sé. Non pensava di potersi sentire così mentalmente stanco da non poter neanche fare il proprio lavoro e chiedere dettagli, ma preferì ascoltare. 

«Su Odasaku, col senno di poi, non so quasi nulla.» Ango si spinse gli occhiali sul naso, guardando oltre il bordo del palazzo, sulla strada brulicante di gente. «Ho fatto delle ricerche per conto mio, ma sono risalito davvero a poco. Aveva un passato di cui non parlava mai. La sua caratteristica più assurda era che non uccideva. Anche se era un membro della mafia, non ha mai ucciso se non all’ultimo, nello scontro contro la Mimic.» Fece un sorriso triste tra sé. «Aveva iniziato a occuparsi di questi bambini orfani. Ogni sua entrata finiva per loro. L’unico desiderio che aveva per sé era diventare uno scrittore.»

«La persona che mi stai descrivendo è l’antitesi di Red Hood» fu il primo commento, e anche il primo pensiero, di Kunikida. Riconsegnò la fotografia e si stropicciò gli occhi con le dita, senza preoccuparsi di togliersi gli occhiali. Anche se Dazai era in quella fotografia, per il detective quel diciottenne che vedeva era un estraneo. «Non mi fido di Akutagawa, ma di Atsushi sì. Quello che ha raccontato è vero. E Dazai ieri...» 

La scenata di Dazai della sera precedente non aveva ancora lasciato la sua mente. Aveva avuto davanti un’altra persona con le stesse fattezze di quello che credeva essere il proprio partner. Kunikida non aveva mai nascosto di faticare ad accettare Dazai e la sua indole, ma ora si chiedeva chi ci fosse sotto quei panni, sotto quegli strati di bende. Chi fosse davvero Dazai. 

«Ci sono cose di Dazai che ignoro e che non vorrei neanche conoscere» continuò, seguendo il flusso dei propri pensieri. «Già sapere che fosse nella mafia, per di più un Dirigente, lui che non riesce a scrivere mezzo rapporto in un pomeriggio perché non ha voglia e fa il ragazzino...» Scosse la testa e buttò fuori l’aria di un ennesimo sospiro, che però non alleviò il peso sulle sue spalle. «Sono preoccupato. Se da quello che dici Dazai è così coinvolto emotivamente, non avrà la lucidità per affrontare questa situazione.»

Quello di Ango fu un silenzio-assenso, anche se i suoi pensieri continuavano a vorticare. 

«Ho un immenso debito con Dazai e Odasaku. Ho mentito a entrambi quando loro mi hanno accettato come amico.» Strinse la ringhiera del palazzo tra le dita, insieme alla foto. «La loro amicizia per me valeva più di quanto potessi permettermi. Non ho mai capito quando Mori avesse scoperto che fossi una spia del governo, o se l’avesse sempre saputo, ma per colpa di questo, Odasaku… ha perso tutto. E Dazai ha perso Odasaku.» 

Anche se Kunikida non lo stava guardando apertamente, Ango percepì la sua coda dell’occhio fissarlo. Era la prima volta che metteva a nudo quelle verità. La prima volta, da quattro anni, che riapriva quella porta dentro di sé e lasciava parlare quanto aveva accatastato e nascosto sotto il peso del dovere e della quotidianità. Preferì essere sincero, nonostante Kunikida fosse poco più di un conoscente. 

«Sono vivo solo perché la mia incolumità è stata una delle condizioni nell’accordo tra la Port Mafia e il Governo. Non credo mi basterà una vita a ricevere il perdono che vorrei, ma su una cosa sono certo. Se ora Dazai è qui, e lavora dalla parte dell’Agenzia, è soltanto merito di Odasaku. E temo che questo sia alla base del piano di Dostoevskij. Non so come abbia fatto, ma Odasaku vivo è un asso nella manica che non potevamo in alcun modo prevedere.»

Ango tenne per sé un ultimo pensiero. Fugace, più con la forma di un sentimento che sarebbe dovuto essere bello, ma che la situazione gli stava ritorcendo contro. Dopo lo shock iniziale avuto nel sapere della tomba vuota, in lui si era fatto strada il sollievo. Un sollievo nella veste di una timida speranza, di una possibilità, riassunta in tre parole che non guardavano alla situazione in cui erano immersi. 

Odasaku è vivo

«Cosa dovrei fare?» Kunikida lo distrasse. Dopo la breve pausa riflessiva e stanca, stava tornando a rivestire i panni del detective intransigente. Si fece scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni, dove tuttavia le dita artigliarono l’interno, perché gli strascichi di quella conversazione non programmata non lo avrebbero abbandonato facilmente. «Se non posso fidarmi di Dazai...»

«Non so come la situazione evolverà» cominciò un’ultima volta Ango, lasciando andare la ringhiera. «E, detto da una ex-spia che ha rischiato la vita, risulterà come un consiglio poco raccomandabile, ma credo che il culmine di un atto di fede stia proprio qui. Fidarsi quando tutto il resto ti dice di non farlo.»



 

* * *



 

La giornata era andata spegnendosi, lasciando di sé una percezione informe. Ogni minuto era stato infinito, ogni ora era durata troppo poco. Nessuna novità. 

Dazai non si era fatto vivo e il sentore che potesse essere successo qualcosa (o avesse potuto fare qualcosa di stupido), aveva spinto Kunikida a prendere il telefono e chiamarlo. Il suo cellulare era spento. 

Atsushi era saltato su a molla e si era proposto per andare a cercarlo, spinto dal senso di colpa per essere stato l’ambasciatore della scomoda verità sulla tomba vuota di Oda Sakunosuke. 

«Penso di sapere dove potrebbe essere» si era intromesso Ango. Aveva un’idea chiara e, ammise tra sé, la stessa che lui aveva intenzione di realizzare quella sera. Lasciò l’Agenzia lasciando detto che, nel caso si fosse sbagliato e non avesse trovato Dazai, avrebbe chiamato Kunikida per informarlo. 



 

Il bar Lupin diede credito alla sua intuizione. Dazai era seduto al solito posto, con l’eccezione che sul bancone non ci fosse solo il bicchiere del whiskey, ma l’intera bottiglia. 

«Ehi, Ango» mormorò il detective, accennando un saluto che spinse l’altro a prendere posto. 

Un secondo bicchiere di whiskey apparve sul bancone, prima che l’oste si congedasse, lasciandoli soli. L’odore che si respirava nel locale riportò alla mente di Ango sensazioni che in quattro anni aveva piegato e messo via. Anche se non era la prima volta che tornava al Lupin, l’atmosfera permise alla mente di correre e soggiogargli le percezioni, fondendo insieme presente e passato, facendola diventare una di quelle serate

Di fianco a lui, Dazai si riempì il bicchiere da solo, osservando come il ghiaccio mezzo sciolto si capovolgesse, perdendo il proprio equilibrio. 

«Ho passato la giornata a ipotizzare tutti i possibili scenari in cui Odasaku poteva essere vivo. Ho pensato a come fosse possibile, a come avessero fatto.» 

Dazai mandò giù un sorso corposo, poco elegante, e si leccò le labbra per togliere i residui. Il suo sguardo non era vacuo, ma distante. 

«Sono… ero certo di aver registrato ogni secondo di quello che era successo. I miei ricordi confusi iniziano dopo, nelle due settimane che hanno seguito la sua… non morte.» C’era una nota stonata, divertita, ma di una gioia finta che graffiava nell’essere ascoltata. «Ho abbassato la guardia. Dostoevskij, chiunque ci sia dietro, è riuscito a farmi piangere per quattro anni su una tomba vuota.»

L’ammissione penetrò in Ango come un’iniezione indesiderata. Era una confessione aperta, sincera, per quanto il tono avesse il retrogusto del sarcasmo verso se stessi. La bottiglia di whiskey era agli sgoccioli; Ango aveva già visto, in passato, Dazai ubriaco. Tuttavia, la soglia, in quel momento, era quella dei pensieri personali, qualcosa che Dazai raramente avrebbe ammesso senza giri di parole o doppi sensi sibillini. 

La tensione salì e annegò nell’odore dell’alcool e del tabacco stantio, in un ciclo continuo. Ango abbandonò subito i precari tentativi della sua mente di pensare in maniera logica al caso, a risposte concrete a quei come e perché rimasti a pungolarlo dalla sera precedente. 

Con un dito, Dazai percorse il bordo del bicchiere, il viso appoggiato all’altra mano. Il suo sguardo era per lo sgabello vuoto alla sua destra.

«Eravamo qualcosa senza il bisogno di definirci. Anche adesso non saprei dire cosa fossimo, ma… eravamo. Insieme.» 

Le sue parole erano come scarpe che camminavano sui cocci di qualcosa che non avrebbe dovuto rompersi. 

«Ci siamo adagiati su quella ingenuità acerba di chi condivide qualcosa e pensa di avere il tempo per dipanarla. Un errore stupido, considerando che ogni giorno nella mafia può essere l’ultimo.» I suoi occhi tornarono sul bicchiere e prese un altro sorso; il suo capo rimase inclinato, guardando un punto sulla parete del bar. «Forse il problema era che con Odasaku smettevo di pensare.»

Ango non aveva ancora toccato il proprio whiskey. Aveva continuato a fissare Dazai come uno spettatore la cui voce in gola moriva a ogni nuova battuta sentita. Il dolore di Dazai era tangibile, una presenza piena e reale che aveva ingombrato l’intero ambiente, dando a ogni particolare un ruolo, un ricordo legato a quattro anni prima. 

Prima ancora di rendersene conto, Ango sollevò una mano e la posò sulla spalla di Dazai. Non era pratico di gesti d’affetto. Gli unici che conosceva li aveva imparati proprio da Dazai e Odasaku, registrandoli distrattamente, ritenendoli un’estensione che non lo riguardava. Almeno, fino a quell’amicizia che aveva spezzato troppe convinzioni prive di esperienza. Un’amicizia che non sarebbe dovuta cominciare e che li aveva portati lì, con il filo tranciato del presente e gli spifferi di un passato che si stava insinuando nelle loro ossa. 

Rimasero così, senza dire o fare nulla. Dazai non scostò Ango, ma i suoi occhi vedevano solo lo sgabello vuoto affianco a sé. 

«Dazai...»

Le dita di Ango strinsero più forte. Si irrigidirono, piantandosi nella sua spalla. Dazai non capì finché non alzò lo sguardo.

Sull’ultimo gradino del Lupin, la pistola puntata contro di loro, c’era Odasaku.

 

To be continued.

 





 

Spazio autore 

 

Non so come, non so quando, ma a questo capitolo ne verrà collegato uno extra dedicato alla giornata che Dazai ha passato coi propri pensieri e il bisogno di parlarne con qualcuno

Nel mentre, una lettura che aiuta a capire i sentimenti dietro le sue parole, e che è un po’ il prequel di questa storia è una one shot che ho scritto qualche mese fa: 

» Dazai, please. 

 

Al prossimo weekend ~

Pagina autore su FB: Nefelibata ~ @EneriMess

 

Prossimo capitolo → The sky is falling apart [Parte 1]

 
   
 
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