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Autore: Dama delle Comete    18/10/2020    1 recensioni
Il solito Highschool!AU... solo che Hiccup è sulla soglia dei trent'anni e insegna biologia.
"Jackson 'Jack' Frost corrispondeva perfettamente alla definizione di 'ragazzo problematico': per quanto fosse intelligente, non si impegnava negli studi, non prendeva mai sul serio i rimproveri, detestava le regole e aveva costantemente il sorriso furbo di chi pensa di farla franca."
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ragazzi problematici



Hiccup sospirò, trattenendo uno sbadiglio, infilò le mani nelle tasche del cappotto e nascose il naso sotto la sciarpa. Ringraziò mentalmente l'insistenza di Astrid, che lo aveva obbligato a portarsi dietro la coloratissima striscia di lana, un regalo di molti Natali prima. Hiccup detestava quella sciarpa: gli pizzicava il naso, era troppo lunga e il motivo a scacchi era tutto storto, ma Astrid aveva messo parecchio impegno per farla, quindi non le aveva mai detto nulla. In quel momento, comunque, avrebbe accettato qualsiasi cosa in grado di coprirgli la faccia che nemmeno la barba riusciva a riparare dal vento freddo, così doveva accontentarsi della lana ruvida. 
Soffocò un altro sbadiglio e continuò a camminare dietro alla fila disordinata di studenti, lanciando sguardi accigliati al cielo plumbeo. 
Quello era sicuramente uno dei martedì peggiori della vita di Hiccup. 
Aveva intuito che il trimestre avrebbe preso una brutta piega non appena un ansimante professor Ingerman, l'imponente insegnante di storia, si era presentato nella sua classe a inizio mese armato di moduli. Mentre Hiccup chiudeva con rassegnazione il PowerPoint della lezione della prima ora, Ingerman gli aveva chiesto se potesse sostituire Astrid alla gita di fine settembre. Ogni anno, infatti, i ragazzi del quarto anno venivano portati al museo di storia della città vicina, su iniziativa di Ingerman. Solitamente era Astrid ad accompagnarli insieme a lui, ma al momento era ancora a casa. 
Ingerman aveva pregato Hiccup di accettare, riuscendo a strappargli un consenso, nonostante il professore di biologia non avesse la minima voglia di tenere a bada un branco di adolescenti in piena fase ormonale. Fare da accompagnatore significava rimanere costantemente vigili e pronti a innumerevoli emergenze, e Hiccup non era stupito che i volontari mancassero. 
Perciò, quel mattino aveva preparato la borsa, aveva fatto l'appello davanti all'autobus e si era sorbito tre interminabili ore di chiacchiere di Ingerman, che non gli stava antipatico, ma comunque gli aveva impedito di farsi una dormita. Erano arrivati in città, e ora si erano incamminati verso la metropolitana che li avrebbe condotti alla piazza dove si affacciava il museo. 
Hiccup seguiva gli studenti che chiudevano la fila, attento che nessuno cercasse di fare il furbo o rimanesse indietro. Prima di salire sull'autobus, Ingerman l'aveva avvisato di aver visto un paio di ragazzi infilarsi dei pacchetti di sigarette nello zaino, quindi doveva tenere gli occhi aperti in cerca di scatole sospette: la gita contava come attività scolastica, e agli alunni era vietato fumare. Fortunatamente sarebbero tornati entro sera, altrimenti avrebbero dovuto preoccuparsi di bravate peggiori, altro che sigarette. Hiccup aveva sentito certe storie da incubo da Astrid, che aveva fatto l'abitudine a riprendere i ragazzi che cercavano di sgattaiolare fuori dall'hotel per andare a ubriacarsi in qualche locale squallido, oppure nelle camere degli altri. 
Uno studente in particolare continuava ad attirare l'attenzione di Hiccup, che era sicuro di averlo visto fumare fuori dalla scuola. Jackson 'Jack' Frost corrispondeva perfettamente alla definizione di 'ragazzo problematico': per quanto fosse intelligente, non si impegnava negli studi, non prendeva mai sul serio i rimproveri, detestava le regole e aveva costantemente il sorriso furbo di chi pensa di farla franca. Come se non bastasse, aveva i capelli tinti di bianco-argento. Da quello che Hiccup sapeva, viveva con una famiglia affidataria. Forse la sua situazione lo spingeva alla ricerca di attenzioni. Non sarebbe stato il primo caso che Hiccup incontrava. 
Appena davanti a Jack camminavano due ragazze intente a chiacchierare. Una era Merida DunBroch: ricci rossi, jeans strappati e più ore passate in punizione che sufficienze. Di quella bionda, Rapunzel Corona, Hiccup ne sapeva ancora meno, anche perché ci aveva scambiato appena qualche parola, e solo per questioni di scuola, ma era una brava ragazza. 
Continuò a osservare i ragazzi in cerca di comportamenti da riprendere, consapevole che i rimproveri non sarebbero serviti a granché.  Non era mai stato bravo a farsi rispettare, anche se le aveva provate tutte. Intransigenza, complicità, battute pessime, ma niente, i suoi tentativi di apparire severo erano falliti, così come quelli di seguire le mode giovanili per risultare più simpatico. Come risposta aveva ottenuto risatine mal nascoste, occhi alzati al cielo e indifferenza. Astrid era molto più brava di lui, sapeva sempre trovare il modo di legare con gli studenti. Era addirittura popolare sul social del momento, che Hiccup non riusciva a comprendere. 
La comitiva scese i gradini di cemento e si ritrovò nella stazione della metro, a quell'ora ancora brulicante di gente. 
Hiccup si affannò ad assicurarsi che nessuno si perdesse nella folla, sollevato di poter abbassare la sciarpa. Poco lontano da lui, Jack adesso stava discutendo animatamente con Rapunzel. 
Ingerman, cartina alla mano, li condusse vicino alla linea gialla, alzando la voce per farsi sentire. "Ci siamo tutti? Bene." 
Dopo qualche secondo, un treno arrivò sferragliando rumorosamente. Ingerman alzò un braccio, con l'aria contenta di chi non è abituato a comandare. "State indietro, non è il nostro! State indietro!" 
Fu una sorpresa, quando Hiccup vide chiaramente alcuni ragazzi ignorare l'avvertimento e salire sul treno. Fu con altrettanta incredulità che incrociò lo sguardo di Jack, che, dal modo in cui si irrigidì e  spalancò gli occhi, doveva aver appena realizzato l'errore. 
"Ragazzi!" esclamò Ingerman allarmato. Fece un passo, ancora sbalordito, ma Hiccup fu più veloce e si infilò istintivamente tra i passeggeri appena prima che le porte si chiudessero. Dopo aver rivolto un cenno all'altro insegnante da dietro il vetro, oltrepassò un paio di persone e individuò con sollievo gli studenti, ancora confusi. Si stupì nuovamente nel trovarsi proprio davanti a Jack, Rapunzel e Merida. Il treno partì con un sussulto e la voce registrata annunciò la fermata successiva. 
"Cosa pensavate di fare?" disse Hiccup. Jack sbatté le palpebre e riprese la solita espressione insolente. 
"Non è colpa mia, lei mi ha distratto." 
Hiccup aprì bocca, cercando un qualsiasi rimprovero da usare, ma Rapunzel incrociò le braccia e ribatté: "Sei stato tu a salire per primo, io ti ho solo seguito." 
Hiccup immaginò che il battibecco di poco prima avesse impedito loro di sentire Ingerman. Gli adolescenti potevano dimostrare una soglia dell'attenzione sorprendentemente scostante. 
Merida si aggiunse alla discussione. "È vero, è colpa tua se siamo in questo casino. Dovranno venirci a prendere in taxi, sempre che non ci borseggino prima" affermò scontrosa. 
Prima che Jack potesse rispondere, intervenne Hiccup. "Okay, non agitatevi. Non siamo 'nei casini' e nessuno verrà borseggiato, dobbiamo solo scendere alla prossima fermata, prendere un altro treno e raggiungere gli altri." 
Sfilò il cellulare dalla tasca e inviò un messaggio a Ingerman per rassicurarlo. A giudicare dal numero di emoji nella risposta, doveva essersi preso un bello spavento. 
Intanto, Jack e Rapunzel avevano riattaccato a parlottare a bassa voce, mentre Merida tamburellava la punta del piede a terra. 
"Qualcosa non va?" chiese Hiccup. Jack scosse la testa, ma il modo in cui stringeva la bretella dello zaino non gli piacque. 
Tra i quattro scese il silenzio. Hiccup desiderò per l'ennesima volta di essere più bravo a relazionarsi con gli studenti, sicuramente lo avrebbe aiutato a far sparire quell'atmosfera desolante. 
A un certo punto, dopo uno scossone del treno più forte degli altri, Rapunzel si aggrappò allo stesso palo che stringeva Hiccup, e mormorò sottovoce: "Mi dispiace, professore, è davvero colpa mia."
Il suo tono sincero lo impietosì. "Non preoccuparti, non è successo nulla di grave." 
Lei annuì con l'aria distratta che aveva solitamente durante le lezioni. Hiccup non sapeva molto della sua vita personale, se non che la sua famiglia era piuttosto ricca e che aveva vissuto con la zia per qualche anno. Avrebbe voluto dirle qualcosa di più incoraggiante. 
Il treno si fermò, facendoli sobbalzare sorpresi. Da quanto tempo erano lì? 
"Forza, andiamo" disse ai ragazzi, e i quattro scesero sulla banchina. Hiccup cercò con lo sguardo la mappa più vicina, ma rimase sconfortato nel leggere che il loro viaggio era durato un quarto d'ora, e che non sarebbero passati treni diretti alla stazione precedente. 
"Che si fa, prof?" domandò impaziente Merida. Hiccup si grattò nervosamente la barba, calcolando a occhio quanto ci avrebbero messo a piedi. Stando a Ingerman, il museo era a cinque minuti dalla fermata che avrebbero dovuto raggiungere. Poteva funzionare. 
"Adesso si cammina" annunciò con decisione. Ignorò le proteste dei ragazzi e li esortò a seguirlo verso la scalinata. Il cielo fuori era ancora nuvoloso, ma dovettero comunque stringere le palpebre contro la luce. Hiccup inviò un altro messaggio a Ingerman per aggiornarlo sul piano, controllò una cartina dal cellulare e indicò il marciapiede che svoltava a destra. "Di qua." 
Le strade erano poco affollate, ma anche la calca dell'ora di punta di Burgess, da cui venivano, in confronto non era nulla. Con i suoi seimila abitanti, la piccola cittadina della Pennsylvania in cui Hiccup si era trasferito per lavoro vantava ben poche attrazioni. Il gruppetto, quindi, rimase incuriosito dalla varietà di negozi insoliti che si susseguivano uno dopo l'altro lungo il marciapiede, oltre alla gente dall'aspetto insolito che incrociava. Erano anni che Hiccup non vedeva tanti piercing o tatuaggi sulla stessa persona. 
Nei minuti che passarono, i tuoni sempre più frequenti spingevano l'insegnante ad accelerare il passo, ma i ragazzi erano stanchi. 
"Prof, perché non ci fermiamo un attimo? Stiamo praticamente correndo" sbuffò Jack. Le ragazze sembravano d'accordo. 
"Nemmeno la professoressa Hofferson ci costringe a marciare fino allo sfinimento, e lei insegna ginnastica" aggiunse Merida con apparente innocenza. 
In effetti, mancava ancora più di un'ora alla visita al museo, forse riposare non sarebbe stata una cattiva idea. 
"Possiamo cercare una panchina, suppongo…" cominciò Hiccup, ma una goccia di pioggia gli cadde proprio in testa. Era inevitabile. È tutto il giorno che minaccia di piovere, pensò con rassegnazione. Quando si dice che peggio di così non può andare… "Facciamo che cerchiamo il bar più vicino, va bene?" 
Gli studenti annuirono con sollievo e cominciarono a guardarsi attorno. Rapunzel fu la più veloce e notò un edificio basso dall'aria triste su cui campeggiava un'insegna accesa. Ne varcarono la soglia senza pensarci un secondo. 
L'interno era inaspettatamente accogliente. Il riscaldamento doveva essere al massimo, perché pareva di essere in un mondo a parte, rispetto al clima gelido fuori. Un'accozzaglia di mobili di diversi stili ed epoche, insieme al profumo di caffè, contribuivano a mettere a proprio agio, e in un angolo si ergeva un jukebox ben tenuto. Tutto sommato, era un posto carino. 
Hiccup indicò agli altri il tavolino più vicino, a cui i ragazzi sedettero incuriositi. Non c'era una sedia uguale all'altra. Gli unici altri clienti erano un paio di anziani. 
"Sicuri che non siamo già arrivati al museo?" chiese Jack ironico. Rapunzel lo guardò storto. 
"A me piace, sembra proprio che i proprietari siano collezionisti." 
"Lascialo perdere, deve sempre fare battute stupide" disse Merida, togliendosi il giubbotto. Hiccup la imitò subito; se all'inizio il calore era stato piacevole, adesso lo stava facendo sudare. Ne approfittò anche per cacciare la sciarpa maledetta (cominciava testardamente ad attribuirle la serie di sventure di quel giorno) nella borsa, una volta per tutte. 
"Carina" commentò Jack sarcastico guardando la fantasia colorata della sciarpa. "È un regalo?" 
"Sì, di mia moglie" rispose secco Hiccup, che doveva pur difendere il suo orgoglio. Evidentemente fu un po' troppo brusco, perché Jack non aprì bocca e si limitò a infilare le mani nella felpa. Bravo, Haddock, continua così, i ragazzi ti adorano. 
L'arrivo della cameriera lo salvò da un altro silenzio imbarazzante. Aveva il trucco pesante, una grossa croce tatuata sullo zigomo e masticava una gomma. 
"Ciao, cosa vi porto?" biascicò in tono annoiato, fissando con più interesse la sua manicure che loro quattro. 
"Un macchiato" rispose Hiccup. "Voi cosa volete?" 
Merida ordinò un cappuccino. Rapunzel chiese lo stesso, ma poi notò la lista di frappé sulla lavagna appesa al muro e optò per quello. Jack non volle niente. 
"Okay. Ah, oggi c'è lo sconto per le famiglie" disse infine la cameriera rivolta a Hiccup. Si fissarono per un lungo momento, perché lui impiegò un attimo per capire cosa intendesse. Forse era ancora destabilizzato dal suo tatuaggio. 
"Oh, grazie, m—" 
"Che fortuna, papà! Ti lamenti sempre dei prezzi dei bar, è perfetto per te" esclamò Rapunzel interrompendolo. Hiccup si voltò verso di lei, senza parole. 'Papà'?! 
"Sei sempre troppo tirchio" le diede man forte Merida, mentre Jack annuiva convinto. Per fortuna la cameriera non si domandò perché non si somigliassero minimamente, o cosa ci facessero tre adolescenti in giro a quell'ora di un qualunque martedì, invece di essere a scuola. Girò i tacchi e tornò dietro al bancone, dove iniziò ad armeggiare con la macchina del caffè. 
Hiccup scrutò i suoi studenti uno per volta in cerca di una spiegazione, ancora scandalizzato. Per tutta risposta, i tre ridacchiarono. 
"Rapunzel, da te non me lo sarei mai aspettato" disse allora. La ragazza sorrise, tuttavia sembrò più un'espressione compiaciuta, che di scuse. 
"Non ti lamentare, prof, ti stiamo facendo spendere meno" disse Jack. 
"Non credo sia del tutto legale, però" obiettò Hiccup. 
"È questo il bello." 
Non gli rimase altro che sospirare e accettare la situazione in cui si era ritrovato suo malgrado. 
Merida, a un tratto, si alzò. "Be', io ne approfitto per andare al bagno. Quelli dei musei di solito fanno schifo." 
"Anch'io" si affrettò ad accodarsi Rapunzel, e seguì l'altra ragazza alla toilette. Faceva di tutto per starle appresso, rifletté Hiccup. Anche a scuola erano sempre insieme. 
"Sono molto amiche, eh?" disse, sperando finalmente di rompere il ghiaccio. Jack alzò le spalle. 
"Gira voce che stanno insieme" rispose con espressione indecifrabile. 
"Ah" fece Hiccup, ora a disagio. Cosa doveva dire? Al corso di educazione sessuale della scuola si parlava anche di quello? Ma la facevano, poi, educazione sessuale? Se le cose non erano cambiate dai suoi stessi ricordi nebulosi, Hiccup dubitava che si parlasse di orientamenti diversi. "Ed è vero?" 
"Boh."
"Ah."
Silenzio. 
Hiccup pensò che il suo tentativo di conversazione fosse fallito miseramente, quando Jack parlò. 
"Scusa per quello che ho detto sulla sciarpa" disse a bassa voce. Non lo guardava in faccia, ma fissava con insistenza il portatovaglioli in plastica. 
"Figurati" disse Hiccup, cauto. Jack fece un cenno di assenso. 
Vedendolo più tranquillo, il professore azzardò una domanda. "Ti va di dirmi per cosa stavate litigando tu e Rapunzel, prima di salire sulla metro?" 
Jack si agitò sulla sedia. "Non è niente, e poi aveva ragione lei." 
"Jack…" 
"Va bene, va bene. Rapunzel mi ha visto nascondere le sigarette nello zaino, e cercava di convincermi a consegnarle. Mettimi in punizione, adesso."
Adesso si stavano guardando negli occhi. In quelli del ragazzo c'era aria di sfida. 
"Tecnicamente non hai fumato, quindi non posso fare nulla" replicò Hiccup sorridendo. "Però – scusami, ti parlo da insegnante di biologia – dovresti smettere. Sai bene che ti rovina." 
"Mmh" si limitò a rispondere lui. 
Non sembrava infastidito, quindi Hiccup tentò con un'altra domanda. "Perché lo fai?" 
"Sai com'è. Orfano, sette affidamenti in dieci anni, nessuna prospettiva per il futuro, a parte una borsa di studio che non arriverà mai. Il solito" disse Jack. "Ma quanto ci mette per due caffè?" 
Il ritorno del suo sarcasmo scoraggiò Hiccup dal continuare con le domande. Aveva pensato di dirgli quanto fosse intelligente, se solo si fosse impegnato, ma suonava come un cliché anche a lui. 
Merida e Rapunzel tornarono dal bagno appena prima della cameriera, che piazzò i loro ordini sul tavolino ancora masticando la gomma. 
"Di cosa stavate chiacchierando?" chiese Merida soffiando sulla sua tazza. 
"Di famiglie" disse Jack con disinvoltura, stupendo Hiccup. 
"Non me ne parlare. Mia madre minaccia almeno due volte al giorno di mandarmi all'istituto femminile dove è praticamente cresciuta" raccontò lei divertita. "Ma lì non credo che riuscirei a farmi delle amiche, se sono tutte come lei." 
"Non è che a Burgess ci sia di meglio. Senza offesa." 
Merida gli lanciò la cartina vuota dello zucchero. "Guarda che non sono tutti melodrammatici come te, che ti rifiuti di farteli, gli amici." 
Hiccup cercò di salvare la situazione. "E tu, Rapunzel, ti trovi bene con gli altri?" 
"Direi di sì, anche lo psicologo della scuola dice che soffro d'ansia sociale. Io sto bene, con Merida, quindi non può essere vero" disse allegramente. 
Lo psicologo dell'istituto era il dottor Thorston, che non falliva mai nel trovare un pretesto per prendere in giro Hiccup, e metà delle conversazioni con lui riguardavano gli animali ruspanti. Un tipo strano. 
"Parli con lo strizzacervelli della scuola? Come mai?" si interessò Jack. 
"Per via del periodo in cui mi ha cresciuta mia zia. A quanto pare non era una bella persona" spiegò lei senza il minimo imbarazzo. 
"Era?"
"È morta. I miei non mi hanno mai spiegato perché, ma quando ero piccola hanno avuto qualche problema con i servizi sociali" – ("Ne so qualcosa" borbottò Jack) – "così ho vissuto da lei per un po'. Non ha mai avuto figli, e la sua carriera con i concorsi di bellezza era crollata, quindi mi iscriveva a tutte le competizioni per bambine. Viveva il successo attraverso di me, credo" concluse pensosa. 
Jack rispecchiava la stessa espressione inorridita di Hiccup. "Vuoi dire quei concorsi dove truccano le bambine e le incitano ad ancheggiare sul palco? Bleah." 
Hiccup aveva intravisto di sfuggita qualche spezzone in TV, se ricordava bene. Era d'accordo con Jack, ma non poteva certo simulare un attacco di vomito silenzioso come stava facendo lui. Merida invece, che probabilmente aveva già sentito quella storia, stava bevendo il cappuccino senza scomporsi. 
"E io che pensavo di avere problemi genitoriali" disse Jack scuotendo la testa. 
"Siamo pari, temo" valutò Rapunzel, allungandosi per prendere un tovagliolino di carta. 
Merida posò la tazza con un sonoro clink. "Visto che stiamo raccontando i nostri drammi, perché non ci dice qualcosa lei, professore?" 
Hiccup era sempre più interdetto nell'osservare la tranquillità con cui i tre parlavano dei loro problemi. Ma i giovani d'oggi erano tutti così? 
"Non ho niente di interessante, purtroppo per voi."
"E dai, ci sarà qualcosa che la preoccupa" insisté Merida. 
Lo stavano osservando tutti con attenzione, per una volta. Di fronte a tanto nuovo interesse, non poté fare a meno di confessare. 
"Sapete che la professoressa Hofferson è a casa da qualche mese per gravidanza, vero?" 
Rapunzel si illuminò di comprensione. "Oh! Ha paura di non saper fare il padre!" rise. Gli altri due studenti si unirono alla leggerezza generale. 
"È il nostro primo figlio" si difese Hiccup. "E con voi ragazzi me la cavo a malapena."
Il suo tono tradì la preoccupazione che lo angustiava da otto mesi. Di tutte le cose che pensava sarebbero potute succedere nel piccolo bar, sentirsi in colpa per la sua apprensione era l'ultima. 
"Io credo che sarà un bambino fortunato" disse Rapunzel malinconica. 
"Bambina" la corresse Hiccup. Il sorriso della ragazza si fece ancora più largo. 
"L'ansia è un buon segno, e poi, non dicono che tutti i genitori non hanno idea di cosa stanno facendo?" aggiunse Merida. 
"I miei no di sicuro" commentò Jack. "Però è bello sapere che alcuni si sforzano." 
Hiccup era di nuovo senza parole. Quello che aveva studiato per diventare insegnante non lo aveva preparato a tutto questo. Ora capiva perché Astrid avesse nostalgia del lavoro. 
"Be', ehm, grazie" disse. "Sentite? Ha smesso di piovere." 
Pagò il conto, strizzando gli occhi davanti lo scontrino (aveva cambiato idea sullo sconto ottenuto con l'inganno) e premurandosi di abbondare con la mancia, e seguì i ragazzi fuori dal bar, rimettendosi l'odiata sciarpa. 
"Andiamo, abbiamo dieci minuti per raggiungere il museo… papà!" 
Forse aveva avuto martedì peggiori, a pensarci bene. 










 
Note
Rieccomi, contro ogni mia aspettativa! 
Allora, intanto mi scuso per eventuali errori, ho riletto abbastanza in fretta perché questa fic l'ho iniziata un mese fa e conclusa solo adesso. Mi manca la volontà di controllare di nuovo. 
Questa storia è nata dall'idea di un Hiccup adulto (tipo terzo film) che si ritrova a fingere di essere il padre degli altri quattro, con tutte le problematiche del caso. Mi stupisce che non ci siano più fic sul tema, è un concetto che adoro e mi piacerebbe tantissimo leggerne da altri. 
Stavolta ho alzato un pochino il rating. Niente di scabroso, ma non si sa mai. Il titolo invece mi soddisfa di più, rispetto all'ultima volta. 
In caso ve lo stiate chiedendo, no, non ho pensato alla relazione tra Merida e Rapunzel come romantica, ma potete interpretare come preferite. 
Grazie per aver letto fino a qui! 
 
P.S. La parola 'scandalizzato' mi fa sempre ridere. Non so perché. 
 
  
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