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Autore: Zoe__    19/10/2020    0 recensioni
Liam era andato via senza lasciare alcuna traccia di sé.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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I, I confess

I can tell that you are at your best

I'm selfish so I'm hating it

 

Liam era andato via senza lasciare alcuna traccia di sé. 

Amelie aprì gli occhi in un letto vuoto, ancora coperta dalla stoffa argentata e dai cristali che le illuminavano la schiena. Rimase silenziosa per qualche minuto, soffermandosi sul sole del primo mattino che si faceva timidamente spazio fra le tende. Teneva una mano sulla fronte, in parte le copriva anche l’occhio destro ed impediva alla luce di disturbarla. Guardò lo spazio attorno a sé: niente era fuori posto. Eppure, avvertiva del disordine, poteva percepirlo tutt’intorno. 
Si sollevò lentamente dal materasso e notò le scarpe lasciate confusamente ai piedi del letto. Ricordava di averle tolte, non ricordava di essere arrivata al letto ed era convinta di essersi svegliata sul divano accanto all’ingresso. Posò i piedi nudi sul tappeto, si alzò tenendo le mani sulle gambe stanche e camminò trascinandosi fino al bagno. Il suo cellulare vibrava ininterrottamente accanto al lavandino, rischiando di finirci dentro. Lo prese prontamente e spense il suono intollerabile della sveglia. Erano le sette, lei era sveglia e non sarebbe arrivata in ritardo per le prove a teatro. Tutto procedeva secondo i piani, tuttavia qualcosa la tormentava ed Amelie, in quella serie di eventi ordinatamente positivi accaduti in così poco tempo, riusciva a vedere solo e soltanto ciò che le torturava la mente. Si interrogò velocemente sugli avvenimenti della sera precedente: aveva litigato con Liam. Smise di voler ricordare ogni cosa. 
Mise in carica il telefono, ignorò i messaggi, lasciò il vestito sul letto e camminò nuda verso la doccia. Non c’era niente da ricordare.

Amelie era a New York da un anno, otto mesi ed undici giorni. Aveva da sempre vissuto in quel minuscolo studio sulla 57esima. La sua camera da letto era anche la sua cucina, la sala da pranzo ed occasionalmente il salone – era la funzione che volgeva di meno, in quella casa c’era raramente qualcuno oltre a lei. Nonostante lo spazio fosse ridotto al minimo, Amelie non poteva lamentarsene, tanto era su misura per lei e per le sue esigenze. Era affezionata a quello spazio così piccolo, perché non aveva mai avuto niente che fosse così suo, che percepisse così suo. Sentiva come ogni cosa lì dentro le appartenesse: le cornici appese al muro, il comodino e la lampada che vi stava sopra. C’era fra quelle quattro mura tutta l’armonia che Amelie ricercava all’esterno, in lei spesso travagliata. Aveva costruito una casa a misura d’Amelie.
Vi trascorreva sempre meno tempo, costantemente divisa fra il teatro e l’accademia di giorno e, occasionalmente, il ristorante di sera, fino a tarda notte. Vi lavorava solamente quando gli impegni della danza lo rendevano possibile e ricordava ogni acquisto effettuato con i soldi di quel secondo lavoro del quale era tanto gelosa. Sebbene la paga della compagnia fosse più che sufficiente, Amelie non era stata capace di accontentarsi – non c’è nulla di cui sorprendersi. 
Aveva ancora una promessa da mantenere, una nuova meta da raggiungere, un nuovo palco su cui esibirsi. 

New York sembrava aver aperto gli occhi di buon umore quella mattina e tutt’intorno la primavera si lasciava desiderare. Salì sulla metropolitana della sesta strada, scese a Broadway e camminò altri tre minuti per raggiungere il teatro – nelle orecchie risuonava ad alto volume sempre lo stesso concerto di Philip Glass ed Amelie non ne era mai stanca. La Metropolitan Opera House non era la stessa alla luce del giorno, la notte la colorava di prestigio e le donava eleganza. In ogni caso, attendeva Amelie.
La accolse aprendole le porte, la lasciò entrare e la strinse in un abbraccio che la riscaldò dal freddo dell’esterno. La guidò fino all’ingresso per gli artisti, la accompagnò fino al camerino. Sulla porta v’era affisso il suo nome, accanto alla scritta Principal Dancer. La osservò per qualche istante, posò le dita su quelle lettere scure ed un piccolo sorriso si fece spazio sul suo volto – le gote si arrossarono. Amelie provò insolite ed estranee sensazioni, ma prevalse la fierezza piuttosto che il nemico orgoglio. C’era una differenza ed in lei era ben chiara: essere fiera di se stessa sarebbe sempre stato positivo, essere orgogliosa e basta sarebbe sempre stato negativo. Tuttavia, di tutto quel pensare Amelie non aveva mai fatto nulla. Aveva sempre mantenuto l’orgoglio, mettendo da parte la fierezza nei momenti in cui quest’ultima era necessaria. 
Entrò nel camerino, posò la borsa sulla sedia ed il cellulare sul tavolino – non aveva ancora risposto a nessuno dei messaggi che le erano arrivati quella mattina. Tutt’intorno a lei c’erano i fiori che la sera precedente non era riuscita a portare a casa. Appeso all’espositore stava il suo costume di scena, sparse a terra tracce di brillantini dorati. 
Si sfilò la giacca e la appese alla porta. Voltandosi si guardò nello specchio, notando le occhiaie violacee rovinarle il volto. Aveva litigato con Liam: quella era la causa e non c’era nient’altro da aggiungere, nient’altro da ricordare. Si avvicinò alla sedia sulla quale aveva poggiato la borsa: la aprì con cautela e ne estrasse le scarpette, lo scalda cuore, il gonnellino. Iniziò a vestirsi: con meticolosità e precisione legò i nastri delle scarpe attorno alle caviglie, il laccio del gonnellino attorno alla vita e gli estremi dello scalda cuore sotto al seno. Prese dalla borsa le scarpette che avrebbe portato con sé, afferrò l’acqua e con la mano libera chiuse il cellulare nella borsa.
Salì sulle punte, fece un giro su se stessa, puntò lo sguardo nel suo riflesso nello specchio. 

Si incamminò silenziosamente dietro le quinte. Era pochi minuti in anticipo rispetto al resto dei ballerini convocati per quella mattina, il necessario per potersi riscaldare ancora prima della lezione. Salì gli scalini del retroscena e posò ciò che teneva stretto al petto in un angolo. Prima le scarpette, poi l’acqua ed infine lei accanto a loro. Poggiò la schiena dritta contro il muro, allungò le gambe e piegò le punte. Socchiuse gli occhi, si chinò in avanti e posò il capo contro il tessuto dalle calze. Vide le luci accendersi sul palco, qualcuno iniziare ad arrivare e rimase ad abbracciarsi le gambe per godere di quella vista da quella prospettiva unica e riservata solo a lei. Osservava tutti dal basso, inquadrando le loro scarpette piuttosto che i loro volti stanchi ed assonnati – era certa che fossero così. Sebbene fosse insolitamente presto per iniziare, avvertì la musica elevarsi dalla cavea. Si sollevò da terra e del suo angolo fece una piccola sbarra, tenendosi al corrimano delle scale. Voltò le spalle al palco, eseguì qualche passo con l’ausilio della musica. Provò a tempo con l’orchestra, si fermò con loro, ripartì con loro, ripeté gli stessi passi più volte accompagnata dalla musica. 
C’erano sempre più persone attorno a lei, inspiegabilmente addensate dietro le quinte, ferme fra sospiri e chiacchiericci. Quando la musica si interruppe per l’ennesima volta, Amelie interruppe il suo port de bras. Un po’ infastidita dalla folla, un po’ incuriosita da quel suo bisbigliare inspiegabile, si fece spazio fra le fitte fila dei ballerini stretti tra le tende. 
McKenzie, il direttore, teneva il tempo schioccando le dita. L’orchestra era in silenzio. I ballerini dietro le quinte erano in balia dei pettegolezzi. Amelie oltrepassò la linea delle quinte.
Liam era al centro del palco e ruotava su se stesso. Fouettés, grand jeté, diede in inizio ad un manège tutt’intorno al palco. Saltava in aria, volava sul chiacchiericcio delle quinte, sul silenzio della cavea, sullo schiocco di dita del direttore, sullo sguardo incredulo di Amelie. 
Sentiva il cuore battere incessantemente contro il petto, un nodo in gola farsi sempre più stretto. 

“Non andartene.” Si teneva al braccio di lui, stretto attorno alla sua vita. Con la mano libera si stringeva allo stipite della porta aperta alle sue spalle.
“Non posso rimanere qui, Amelie.” Liam scosse il capo, continuando a tenerla contro il suo corpo.
“Sono Lie.” Gli prese il volto fra le mani, fece scontrare le loro fronti “Sono Lie.” Sussurrò accanto alle sue labbra.
“Lie” sorrisero entrambi, le loro labbra si sfiorarono in un sospiro “non posso rimanere.”
“Allora vieni domani.” 
“Dove?” le accarezzò la guancia arrossata, continuando a baciarla.
“A trovarmi, a teatro.”
“Amelie.” Si scansò, la guardò cercando di recuperare serietà. Troppo alcool in circolo, Amelie era ovunque su di lui, dentro di lui, confusa fra le sue idee e le sue parole prive di senso.
“Dimmi di sì” sussurrò, vicina alle sue labbra “anzi no, dimmi” si schiarì la voce “dimmi: Amelie, domani mattina farò l’audizione e domani sera balleremo insieme” deglutì “Lie, dimmi, Lie” la interruppe
“Lie” iniziò, entrambi risero “Lie, domattina farò l’audizione e domani sera balleremo insieme.” La guardò “Così va bene?”
“È perfetto!” gli strinse il volto fra le mani, posò le labbra contro le sue. Sentiva le mani di Liam dovunque sulla schiena, la stringevano impazientemente a lui.
“Lie” le toccava il viso, incredulo “domani balleremo insieme” lei annuì, lui la baciò ancora prima di scansarsi “ma ora devo andare.”
“Ma domani balleremo insieme.” Replicò lei, stretta al suo corpo. 
“Sì, domani.” Sorrisero, tornarono a baciarsi. 
“Domani e sempre, non ballare con nessun’altra.” Si scansò affannata, lo guardò seriamente.
“Mai” tornò sulle sue labbra “Lie”
“Promettimi che farai l’audizione.” Cercò attenta il suo sguardo.
“Te lo prometto, ora devo andar” lo interruppe
“Giuramelo” fece scontrare le loro fronti “non ballo più se non lo fai” deglutì “se non balli con me.”
“Te lo giuro” sussurrò, premendo ancora le labbra sulle sue “te lo giuro, farò l’audizione.” Si scansò affannato “Posso andare?”
“Sì,” sussurrò “perché domani mattina tornerai a ballare con me” sorrise “giuramelo.”
“Te lo giuro, Lie.”

Salì sul palco non appena Liam fu investito dal clamore degli applausi. Camminò spedita verso il direttore, lo sguardo fisso sul suo volto soddisfatto.
“Kevin” iniziò, ma si schiarì la voce per farsi sentire “Kevin.” Lo richiamò.
“Amelie!” si voltò verso di lei, sul volto un ampio sorriso sul volto “Amelie” ripeté, le cinse il fianco, si scansò stizzita “Amelie, ti presento il tuo nuovo compagno per questa sera.”
“Avevamo detto per tutta la produzione!” Esclamò Liam, avvicinandosi. Amelie lo guardò torva. Lui le sorrise, mimando un inchino verso di lei.
“Come hai potuto dirglielo? Volevo che fosse una sorpresa, Liam.” Entrambi risero, Amelie rimase a guardarli senza parlare. 
“Dov’è Robert?” sussurrò all’improvviso. 
“Non avrebbe ballato comunque con te questa sera.” Kevin la guardò sollevando le spalle. Liam si avvicinò ancora a loro.
“E allora dov’è il suo secondo?!” domandò spazientita. 
“Qui, davanti a te.” Rimase in silenzio, Liam la guardò “Vi richiamo fra un’ora e mezzo per provare sul palco.”

Amelie volò dietro le quinte sotto gli occhi di tutti. Scese velocemente le scale, percorse il corridoio verso il camerino a grosse falcate e si fermò solo davanti alla porta. Respirava con affanno, gli occhi pieni di lacrime.
Liam si fece spazio con fatica fra le fila di ballerini che lo acclamavano, cercando di seguire la scia lasciata da Amelie. La seguì correndo, la rincorse per afferrarle il braccio.
“Amelie!”
“No!” si voltò verso di lui “No, no, no!” batté i pugni chiusi contro le sue spalle, le lacrime le scendevano copiose sul viso “Perché?” domandò in un sussurro “Non ti è bastato presentarti ieri sera per rovinare la mia serata? Ora vuoi rovinare anche il mio spettacolo?” si avvicinò al suo volto, parlò duramente “Perché non te ne torni da dove sei venuto e mi lasci da sola? Come hai detto ieri sera? ‘Tu non c’entri niente’, allora perché sei qui?”
“Perché ieri sera, sulla porta di casa tua mi hai supplicato di”
“Fottiti” sussurrò “tu e le tue suppliche del cazzo. Ero ubriaca, eri ubriaco anche tu!” Puntò il dito contro di lui.
“E allora?” domandò, sull’orlo di una risata.
“Io con te non ci ballo.”
“Come hai detto ieri sera? ‘non ballo più se non lo fai’” si avvicinò a lei “‘giuramelo Liam’, non te lo ricordi?” La guardò duramente.
Amelie lo guardò in silenzio, asciugandosi le lacrime dalle guance.
“Come l’hai convinto?” sussurrò.
“Con la borsa di studio che ho in sospeso, la stessa che stai usando tu.” La guardò.
“Ti saresti dovuto svegliare due anni fa, Liam.” Sussurrò, aprendo la porta del camerino e sbattendola violentemente alle sue spalle. 

L’assenza di Liam tornava a trovarla ogni volta che a le mani di uno sconosciuto la toccavano, ogni volta che la stringevano, ogni volta che la facevano volteggiare, ogni volta che la sollevavano. Non si sarebbe mai abituata a quell’assenza perpetua sul palco.
Nei primi mesi trascorsi nella solitudine del suo appartamento, aveva spesso immaginato come sarebbe stato se l’avessero condiviso. Aveva immaginato i loro silenzi rompersi, la distanza fra i loro corpi annullarsi fra quelle quattro mura. Era stato possibile allontanarsi da lui soltanto quando Amelie si era resa conto di tenere stretta fra le mani la sua idea di Liam, non più il vero Liam. 
C’era un Oceano a separarli e nulla li avrebbe riavvicinati. Era certa che Liam non si sarebbe mai spinto tanto oltre, che non l’avrebbe mai attraversato per poi cercarla, infine trovarla. Sperava che non accadesse mai ed in cuor suo si era convinta che sarebbero rimasti lontani per sempre. Lontani e soli con i loro silenzi a creare distanze incolmabili. 
Eppure, Liam era lì, aveva attraversato l’Oceano e non l’aveva fatto per lei, ma per se stesso. Nonostante l’avrebbe accusato d’essere un egoista dal primo momento in cui l’aveva visto, Amelie serbava una punta di fierezza per lui – la fierezza, quella sensazione positiva che lei stessa aveva provato quella mattina davanti al suo nome sulla porta del camerino della prima ballerina, lei. Tuttavia, non si smentì e lasciò l’orgoglio prevalere – l’orgoglio, quella sensazione negativa e deplorevole. 
Uscì dal camerino solo dopo mezz’ora. 
Liam era seduto a terra, davanti la sua porta.
“Me ne vado.”
“No.”

Fu Kevin a condurre le prove, il direttore in persona. Voleva assicurarsi della perfetta riuscita di quella nuova coppia. Se al mattino seguente fossero finiti sui giornali, sarebbe stato solo per merito suo: Kevin McKenzie, autore del duo più acclamato della serata. Lo vedeva già sulle prime pagine degli inseti artistici, riusciva a visualizzarlo mentre li osservava ballare.
Il suo sguardo esperto cercava la fonte di quella complicità che in Amelie non aveva mai visto. Non opponeva resistenza ad alcun movimento. Si lasciava guidare in quel ballo da uno sconosciuto. Gli permetteva di sollevarla, farla ruotare, toccarla e rispondeva alle sue mosse col suo corpo, accompagnandole, seguendole: si muoveva al suo ritmo e s’incastrava con lui. Dove finiva il movimento di lui, iniziava quello di lei. Dove finivano le mani di lui, s’incastravano strette quelle di lei. Dove finiva la pelle di Liam iniziava quella di Amelie. 
Sentiva le sue mani dovunque: attorno alla vita, sul fianco, ai lati del seno. La teneva stretta al suo petto nudo, seguendone i movimenti. Smaniosamente Amelie lo cercava nella danza e lo trovava proprio lì dove s’erano lasciati tempo prima, troppo, ma mai abbastanza per spezzare la loro forza, la loro intensità, quella energia incomprensibile al pubblico attonito davanti alla loro danza. 
Conducevano quel ballo alternandosi.
Era Amelie a farlo ruotare verso il basso, portandolo giù avvitata attorno al suo braccio. E lui si chinava sul suo corpo steso a terra, posando il capo sul suo petto tremante, inspirando il suo profumo ritrovato. 
Era Liam a sollevarle le gambe, spostando la mano dalla vita alla sua coscia, dietro il ginocchio. Era lui a sollevarla, allacciando le braccia tutt’intorno al suo corpo. Era lui a farla volteggiare, mentre lei si chiudeva attorno a lui, posando il capo contro il petto di lei, che lo accoglieva fra le braccia, permettendo ad entrambi di trovare quella casa che credevano di aver perso.

Fu come tornare adolescenti. Ogni istante di quell’interminabile serata. 
Dietro le quinte, dove ansiosi si stringevano le mani nascoste dietro la schiena, lontani da occhi indiscreti. Dove, con uno sguardo, Liam metteva a tacere i dubbi loquaci di Amelie. Dove, con il tocco delle sue labbra schiuse, Amelie leniva le ferite latenti di Liam.
Sul palco, dov’erano complementari, dove non c’era Liam né Amelie. Dove il duo più acclamato della serata era in realtà un’unica entità divisa in due corpi che si muovevano allo stesso tempo, alla stessa frequenza di un cuore solo.

   
 
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