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Autore: Deruchette    19/10/2020    3 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 23

In the still of the night

 

 

 

 

23.

 

Non vengono a disturbarci, o a chiamarci. Restiamo per un tempo indefinito sulla riva, cullati dalla risacca e dalla lieve brezza tiepida. Stare in questo modo tra le braccia di Peeta mi riporta indietro, a giorni più tranquilli e spensierati di questo: giorni in cui la nostra sola e unica preoccupazione era ritagliarci minuti preziosi da trascorrere insieme, senza farsi beccare dagli occhi indiscreti dei ficcanaso. Sebbene in quei giorni l’ansia per ciò che accadeva negli altri distretti rovinasse l’atmosfera, non era pesante e gravosa come ora. All’epoca era ancora possibile vedere una piccola, flebile luce in fondo al tunnel. All’epoca… come se stessi parlando di qualcosa accaduto anni fa, ed invece si tratta solo di pochi mesi o poche settimane. Come cambiano velocemente le prospettive.
Come cambia velocemente la vita.
In qualche modo mi addormento. Lo stress causato dalla voce delle ghiandaie chiacchierone e la caduta in acqua, sommate all’enorme potere che ha Peeta di infondermi calma, sono una combo micidiale per il mio fisico, e anche per il mio subconscio. Non ho incubi, e quando Finnick viene a svegliarmi per avvertirmi della cena, scopro di essere sdraiata sulla spiaggia e riesco, con sorpresa, a vedere che mi sento bene. Unica nota stonata: il mal di schiena. Non ho mai sofferto così tanto il mal di schiena come in questi ultimi due giorni. Rimpiango amaramente la morbidezza dei materassi e di qualsiasi altra superficie confortevole che non siano sabbia o muschio.
Per cena mangiamo altri frutti di mare, pesci e il pane che il Distretto 3 ha mandato a Beetee con l’ultimo paracadute. Ha ricevuto ventiquattro piccoli panini: tantissimi, se consideriamo che è l’unico tributo del 3 rimasto vivo, ma necessari se pensiamo che ha voluto dividerli con il resto di noi. Prendiamo tre panini a testa, tenendo gli altri come premio per chi di noi cinque sopravvivrà fino alla colazione, come propone Johanna. La sua è un’affermazione così sincera e veritiera che mi fa ridere. Lei, in tutta risposta, strizza un occhio nella mia direzione.
Il cielo si è tinto ormai di un’arancione tendente al viola quando risuona l’inno e le immagini dei caduti coprono la luna, appena sorta. I volti di Wiress e Mags, tra gli altri, riempiono il cielo. Otto morti, come ieri. Sedici morti in nemmeno due giorni completi dall’inizio dei giochi. Dev’essere una specie di record.
Siamo rimasti in otto, di conseguenza: noi cinque, Brutus ed Enobaria del 2, e Chaff dell’11. Se continuiamo di questo passo l’Edizione della Memoria terminerà in neanche una settimana. No, una settimana sarebbe troppo, andrebbe oltre ogni aspettativa. Terminerà prima: tra due, o al massimo tre giorni.
Chi sarà il vincitore?
Fa male pensare ai miei compagni di avventura, a parte Peeta, come a dei nemici. E da una parte desidero che nessuno di loro muoia. Neanche Johanna, che sotto la scorza da dura sembra essere una ragazza normale; un po' pazza, ma normale. E poi, chi non è un pazzo nel mondo in cui viviamo? Bisogna essere dei pazzi per riuscire a sopravviverci.
Se devo mettere le mani avanti, però, preferisco che sia Peeta a tornare a casa nelle vesti di campione. Anche se non lo potrò vedere più, perché significa che sarò morta molto prima che questo possa accadere.
Le tenebre avanzano, inesorabili, e c’è solo la luna ad illuminare i nostri volti ed il paesaggio che ci circonda. Persino le stelle sembrano diverse, stasera. Le stelle, però, sono sempre diverse nell’arena: non sono reali ma si tratta solo di una loro proiezione. È un’illusione, quasi. Arriva l’onda delle dieci e, come è accaduto stamattina, si abbatte sulla cornucopia prima che l’acqua vada a disperdersi nel mare e sulla spiaggia. Appena possiamo ci spostiamo per accamparci in quella sezione, sicuri che prima di altre dodici ore non ci saranno nuovi pericoli ad attenderci. Avere di nuovo il senso dell’orientamento è gratificante: se sai dove andare, non corri alcun pericolo. A parte gli eventuali attacchi dei due Favoriti.
Per evitarli, ci organizziamo con altri turni di guardia. Mi offro come volontaria per coprire il primo di questi, dato che ho dormito più degli altri. Peeta è contrario per via della prospettiva che mi ritroverei da sola, a proteggerli, e si tranquillizza solo quando acconsento a stargli accanto mentre dorme. Seduta a gambe incrociate, li vedo sprofondare uno ad uno nel sonno. Un sonno tranquillo per alcuni, come Johanna, e un sonno disturbato per altri, come Finnick, che gira la testa più e più volte, come se non trovasse pace neanche nel riposo.
Peeta è voltato verso di me, la faccia premuta contro il braccio e la bocca socchiusa. Non si muove quando gli scosto alcune ciocche di capelli dalla fronte sudata. Fa caldo, davvero troppo caldo. Per fortuna abbiamo la spillatrice per prendere l’acqua, per quanto calda, ma è pur sempre meglio di niente. Come hanno fatto gli altri a sopravvivere senza acqua fino ad ora? C’è solo la pioggia nel settore dalle dodici all’una che poteva contribuire a fornirla, ma grazie ai nostri alleati abbiamo scoperto che è imbevibile. Chi vorrebbe bere del sangue? Non ci sono vampiri, qui dentro… forse solo i pipistrelli potrebbero azzardarsi a farlo.
I pipistrelli bevono anche quel tipo di sangue?
È mezzanotte. È l’ora dei fulmini. Il primo si abbatte con uno schianto sull’albero alto, che adesso posso di nuovo distinguere rispetto a tutti gli altri, e illumina il cielo di un bianco accecante e spettrale. Un tuono rimbomba nell’aria, e Finnick si sveglia con un grido.
- È solo il fulmine – dico, a bassa voce. La voce che userei se parlassi ad un bambino spaventato. – Torna a dormire, Finnick.
- No, non ho più sonno – dice, sedendosi. La sua faccia dice tutto il contrario rispetto alle sue parole: è ovvio che sta mentendo. Non riesce più a dormire. Chissà quali incubi hanno infestato il suo cervello.
- Ti do il cambio – aggiunge.
- Non serve, sto bene. Vado un attimo a rifrescarmi – mi trascino per un momento nella sabbia prima di mettermi in piedi, piantando l’arco per terra. Questa schiena mi ucciderà.
Katniss Everdeen, morta per il troppo mal di schiena. Altro che colpo di sole.
L’acqua fredda è una goduria sulla mia pelle accaldata. Rinfresco il viso ed il collo, prima di cedere come ho fatto anche ieri. Mi sfilo di nuovo la tuta, abbassandola fino alla vita, e rimango a sentire l’effetto che l’acqua del mare infonde sul mio corpo. È piacevole, maledettamente piacevole. Non sono una creatura del mare, quello è Finnick: la personificazione del sirenetto, quello narrato nelle leggende, fatto uomo. Ma se la sensazione che si prova è questa, potrei anche farci un pensierino e desiderare di vivere per sempre dentro l’acqua.
Sto quasi per spogliarmi del tutto quando i passi ovattati di Finnick mi annunciano il suo arrivo. Resisto, anche se la tentazione di ignorarlo è forte. Ma non vorrei che si montasse la testa, e pensasse che sto facendo uno spogliarello in suo onore…
Voglio dire, stiamo pur sempre parlando di Finnick Odair. Il pavone di Capitol City.
- Fossi in te non ci penserei più di tanto e mi butterei – dice, sedendosi sulla sabbia.
- Lo stavo per fare – ribatto in fretta. Ecco, ora non mi posso più tirare indietro. Meno male che è buio, e non può vedere la mia faccia bruciare dalla vergogna.
È una strana sensazione spogliarsi davanti ad un uomo che non sia Peeta, o Cinna. Cinna conosce ogni centimetro del mio corpo a menadito per via dei vestiti che ha creato per me in questo ultimo anno, e Peeta… beh, per altre ragioni. Ovvie ragioni. Peeta è anche l’unica persona che ha visto il mio corpo cambiare. Ha visto la pancia gonfiarsi, settimana dopo settimana, ha visto i miei fianchi modificarsi per dare a questa nuova vita lo spazio che le serviva per crescere, per svilupparsi a dovere. Ha visto il modo in cui la bambina manifesta la sua presenza, tirando calci e creando piccoli avvallamenti sulla pelle.
Sembra quasi un affronto mostrare ad un altro uomo ciò che solo lui ha visto fino ad ora, ma Finnick non è davvero interessato al mio corpo: non mi guarda. Ha gli occhi puntati sulla giungla, quella che i nostri compagni addormentati hanno alle spalle. Mi ignora completamente.
In canottiera e mutandine, scivolo nell’acqua e faccio una piccola nuotata, ma resto il più vicina possibile alla riva, non vado lontano. Tocco con le dita il fondale, quindi non posso proprio definire “nuotare” ciò che sto facendo: sto solamente camminando sulle mani.
Raggiungo il mio silenzioso compagno di guardia dopo qualche minuto, sedendomi sulla mia tuta e sgocciolandoci sopra. Sciolgo la treccia e pettino i capelli bagnati con le mani mentre lo guardo. Non ha parlato molto stasera, non sembra nemmeno il vero Finnick. Non ha fatto battutine da quando… dalle chiacchierone.
Non posso saperlo con certezza perché sono stata sempre con Peeta, fino a quando non ho preso sonno, ma molto probabilmente deve essere così. Finnick è uscito scosso quanto me dal settore della giungla infestata da quegli orribili uccellini. Ha sentito ciò che ho sentito io, ha provato la mia stessa paura e la mia stessa impotenza. Ha sentito Annie urlare, e chissà chi altri. Stiamo soffrendo entrambi, qui dentro, a causa di quelle urla.
- Chi è Annie? – gli chiedo.
Finnick si volta, abbandonando la giungla. Gli occhi verde mare sembrano due fari nella notte. – Annie? È la ragazza per cui Mags si è offerta volontaria alla mietitura.
Un’immagine invade in un lampo il mio campo visivo: una ragazza giovanissima dai capelli castani, in preda al panico, che urla in preda all’isteria quando viene estratto il suo nome. Annie Cresta. Deve essere per forza lei. Deve aver vinto pochissimi anni fa.
- È la tua…
- Fidanzata – conclude Finnick per me.

Come gioca sporco la sorte, penso. Se non fosse stato per Mags, che ha preso il suo posto, adesso nell’arena ci sarebbe Annie. Ci sarebbero due coppie di innamorati che tentano disperatamente di proteggersi a vicenda: io e Peeta, Finnick e Annie. I nostri pensieri sarebbero stati identici, delle copie fatte con la carta carbone, che differiscono di poco in base a chi ha formulato il messaggio: la ragazza vive, il ragazzo muore. Il ragazzo vive, la ragazza muore.
Sono quasi invidiosa di Annie, però. Lei almeno ha avuto qualcuno che l’ha salvata dallo sfidare la sorte per la seconda volta. Io non ho avuto nessuno. Sono stata costretta ad entrare nell’arena, e ho dovuto portare con me la mia bambina non ancora venuta al mondo.
- Mi dispiace, Finnick – dico.
- Perché ti dispiace? – è sincero, nel chiedermelo.
- Lo sai il perché.
Potrebbe morire senza avere l’occasione di rincontrarla. Potrebbe morire senza avere l’opportunità di baciarla, di dirle “Ti amo” un’ultima volta. Io potrò farlo, quando arriverà quel momento, ma Finnick non può. È… ingiusto.
- Non devi essere dispiaciuta, Katniss. Annie vivrà, è questo l’importante. A me dispiace più per voi.
Il mio silenzio lo sprona a proseguire il discorso.
- Sono sicuro che se oltre a te ci fosse stata un’altra vincitrice, non avrebbe lasciato che ti trascinassero qui nelle tue condizioni. Si sarebbe offerta volontaria, come Mags ha fatto per Annie – dice, con un sorriso mesto sulle labbra. – Se ci fosse stato il modo, un unico modo, per salvarti alla mietitura, sono sicuro che tu non saresti qui a parlare con me in questo momento. Saresti a casa tua, a guardare me che mi dispero per Annie. E Peeta avrebbe fatto carte false per salvare la tua vita.
- Lo ha fatto – dico in fretta. E al diavolo i segreti, i sotterfugi. Da questo momento in avanti dirò tutto ciò che mi va di dire. Che mi uccidano, se non vogliono che gli altarini vengano svelati. – Ci abbiamo provato entrambi, ma non è servito a niente. E Peeta sta ancora provando a salvare la mia vita.
- E tu stai provando a salvare la sua.
- È così ovvio?
Inarca un sopracciglio. Sì, è abbastanza ovvio. – Se al tuo posto ci fosse Annie, incinta del mio bambino, non mi tirerei indietro per nulla al mondo. Farei di tutto per riportarli a casa sani e salvi.
- A costo della tua stessa vita?
Finnick annuisce.
Morire per lasciar vivere chi si ama di più al mondo. Morire, senza avere la possibilità di sapere fino in fondo se il tuo sacrificio sia servito allo scopo, o se è stato vano. Morire, senza avere nessuna certezza su cui contare. Senza poter vedere tua figlia nascere, venire al mondo, vivere. Lasciando lei orfana, e tua moglie vedova. Lasciandole sole, perché senza di te sono incomplete.
È così che mi sentirei se Peeta morisse. E che vita sarebbe senza di lui? Una non vita, una sopravvivenza forzata.
Tiro su col naso, asciugando una lacrima. Altre la seguono, rapide ed inarrestabili. Finnick osserva il manifestarsi del mio dolore senza dire una parola. Mi fa sentire la sua vicinanza prendendo una delle mie mani, stringendola, posandoci sopra un bacio che è appena una carezza di labbra.
Un sospiro mi sfugge dalle labbra non appena sento la bambina muoversi: non è forte come i calci che mi ha già dato in precedenza, ma è abbastanza da farmi capire che si è svegliata. Sorrido, posando la mano sopra all’ombelico. Stai bene, penso. Muoviti ancora, fammi sentire che stai bene. E come se avesse sentito i miei pensieri, la bimba lo fa. Stavolta rido. – Ciao…
- Si sta muovendo? – chiede Finnick, avvicinandosi di più. Annuisco solo con la testa, senza aggiungere altro. – Posso? – chiede ancora, sollevando una mano.
Annuisco di nuovo. La sua mano, leggera, tocca la pancia coperta solo dalla canottiera, ancora umida dal bagno di mezzanotte che mi sono concessa. Nessuno, prima di lui, mi ha mai chiesto il permesso di toccarla. Non è qualcosa che si fa normalmente, e se non fosse per Finnick non permetterei a nessun’altro di farlo. Non conto Caesar nella lista, perché ciò che è accaduto durante l’intervista faceva solamente parte di un piano per scatenare la bufera. Questo no. Finnick è mio alleato, mi ha salvato la vita prima del bagno di sangue. Si è confidato con me, mi ha aperto il suo cuore ed io l’ho fatto a mia volta… e toccare il mio pancione sembra piacergli. È affascinato. Con una carezza sposta la mano verso il basso, seguendo il movimento che proviene dalla mia pancia. Riesco appena a cogliere ciò che dice in un sussurro: qualcosa che suona come un “Che meraviglia”.
- Che strano giochetto erotico andate facendo, voi due? – una Johanna abbastanza stranita ci si avvicina, brandendo la sua ascia.
- Vieni, Jo. Vieni a sentire.
- Quella cosa? No, grazie.
- E dai, Johanna! Ti do il permesso – scherzo, facendole cenno di avvicinarsi con la mano.
Per niente convinta dalle mie parole, Johanna getta l’ascia sulla sabbia dopo averci raggiunto e posa la mano accanto a quella di Finnick. – Io non sento niente.
- Aspetta un attimo… eccola! – Finnick ride quando Johanna ritrae la mano, come scottata da ciò che ha appena sentito.
- Ma non ti fa male?
- No. È solo un po’ strano – dico, facendo ridere di nuovo Finnick.
- Tu sei strana, fattelo dire. E vai dal tuo fidanzatino, ti do il cambio. Così io e il bello di casa possiamo sparlare alle tue spalle.
- Gentile da parte tua – ribatto, calciandole un po' di sabbia addosso.
Finnick mi augura la buonanotte e, mentre mi allontano, lo sento mentre comincia a punzecchiare Johanna. Un rumore di acqua smossa e un verso strozzato raggiunge le mie orecchie mentre indosso di nuovo la tuta. Johanna deve aver mandato Finnick in acqua, evidentemente.
Raggiungo Peeta, ancora addormentato, e mi raggomitolo contro di lui sdraiandomi sul fianco. Peeta apre gli occhi quando lo faccio; il suo braccio mi circonda subito le spalle mentre stende l’altro e lo infila sotto la mia testa, a mo’ di cuscino. Le sue labbra si posano sui miei capelli bagnati, al di sopra della fronte.
- Hai fatto il bagno? – mugugna.
- Avevo caldo – mormoro, accarezzando la sua mano. La prendo e la sposto più in basso, dove la bimba si muove ancora. Adesso è di nuovo arrivato il turno di Peeta di godere della magia di questo momento. Infatti, come se improvvisamente non avesse più sonno, comincia a premere appena sulla pancia per sentirla meglio.
- Sta bene, a quanto pare – c’è una sfumatura di allegria e contentezza, nella sua voce. E anche sul suo viso, dove è spuntato un piccolo sorriso.
Sì, sta bene. Sembra stare più bene di me. Spero solo che possa continuare un altro po'… chiudo gli occhi, e mentre cerco di prendere sonno rimango a sentire i movimenti provocati da lei, e quelli di Peeta che mi carezza la pancia.
Sta bene.

Stiamo bene tutti e tre.

 

Il mattino dopo, al risveglio, troviamo altre due dozzine di panini da parte del Distretto 3. Altri ventiquattro panini che si aggiungono a quelli avanzati dalla sera prima. Li dividiamo tra di noi, in silenzio, e facciamo colazione.
Mentre mangiamo, Beetee ci informa su un piano che ha pensato durante la notte: un piano che riguarda il fulmine delle dodici ed il suo filo metallico. Vuole creare una sorta di trappola elettrica per Brutus ed Enobaria.
- Quel che vi propongo è di agire stanotte, tra l’onda delle dieci ed il fulmine di mezzanotte. Colleghiamo il filo all’albero dei fulmini e lo srotoliamo fino alla spiaggia, fin dentro l’acqua; e quando il fulmine colpisce l’albero, il filo farà da conduttore e trasporterà l’energia per tutta la spiaggia. Diventerà una trappola mortale per chiunque si trovi lì, o nelle immediate vicinanze – ci spiega Beetee, soffermandosi a turno sui nostri visi. Non smette un attimo di accarezzare l’estremità del filo dorato con la punta delle dita, mentre parla.
- Come facciamo ad essere sicuri che i Favoriti ci caschino? Li adeschiamo? – chiedo io.
- Non è un problema, Katniss. Quelli ci tengono d’occhio – dice Finnick.
- Non hanno nient’altro da fare che aspettare il momento giusto per attaccare – aggiunge Peeta. – O noi o Chaff: siamo le loro uniche preoccupazioni.
- Ma siamo sicuri che il piano funzionerà? – chiede Johanna, inarcando le sopracciglia. – Senza offesa, Lampadina, ma quel filo non sembra molto resistente…
- Funzionerà, Johanna, te lo assicuro. L’ho creato io questo filo – ammicca Beetee nella sua direzione. – E ti assicuro che non cederà.
Per un po' restiamo a considerare i pro e i contro del piano. Cosa può andar bene e cosa, invece, può andare storto? Per prima cosa alcuni di noi, se non tutti, potrebbero morire fulminati se non riusciamo a metterci al riparo prima che inizi la tempesta di fulmini, ma Beetee ci ha assicurato che per quel momento saremo già lontani. È molto sicuro del suo piano. Potremo persino incappare in una trappola, se non stiamo attenti… ma i pro sono molto più allettanti dei contro. Se il piano ideato da Beetee funziona, i due Favoriti raggiungeranno il resto dei caduti e rimarremo solo noi cinque, e Chaff, a sfidarci per la vittoria. Sarà una carneficina, una vera e propria lotta all’ultimo sangue se si giunge a questo punto, ma abbiamo davanti una giornata intera prima di poterci preoccupare di questo. Non possiamo preoccuparci delle conseguenze se prima non mettiamo in atto la trappola elettrica.
- Io sono per il piano – dice Peeta.
- Anche io – aggiungo, e il resto della truppa si unisce.
Il resto della giornata trascorre lentamente, tra noi che ci prepariamo affinché il piano di Beetee riesca e che procacciamo cibo e acqua. Mentre Beetee osserva l’albero dei fulmini, immerso negli incomprensibili calcoli che popolano la sua mente, noi ci guardiamo intorno, in attesa di possibili attacchi, e cacciamo un po'. Nonostante il mal di schiena sia diventato più forte, ed il fianco ferito a causa dell’incidente alla cornucopia cominci a farsi sentire, riesco ad abbattere alcuni di quei disgustosi roditori che Finnick aveva preso il primo giorno nell’arena e che al solo vederli mi fanno star male. Peeta raccoglie noci e si prende l’incarico di abbrustolirle contro il campo di forza insieme alla carne dei roditori. Mi tengo a debita distanza mentre lo fa: non voglio replicare la stessa scena di due giorni fa.
Di ritorno alla spiaggia, mangiamo e riposiamo, nell’attesa immobile a cui siamo obbligati prima che arrivino le dieci di sera. Nuotiamo e peschiamo quando anche riposare diventa una tortura insopportabile. In acqua scopro che il mio mal di schiena migliora un poco e trascorro parecchio tempo a mollo, in biancheria intima, per beneficiare di questo sollievo; non posso dire altrettanto per il fianco, che oltre a continuare a far male è corredato anche da un grosso ematoma nero. La canottiera non riesce a coprirlo del tutto e catalizza su di sé lo sguardo preoccupato di Peeta, sebbene io cerchi senza grandi risultati di minimizzare la cosa. Stando così tanto tempo in acqua, le orribili croste che segnano la nostra pelle, regalo della nebbia, cominciano a staccarsi. Io, Peeta e Finnick ce ne liberiamo volentieri, notando come la pelle nuova al di sotto di esse sia rosea e delicata.
- Com’è essere di nuovo carini? – Peeta sfotte Finnick.
- La pace dei sensi – gli risponde, ammiccando con le sopracciglia.
Ad aggiungersi alle nostre scorte di cibo giungono altri ventiquattro panini e una pentola di sugo, a cui aggiungiamo il pesce ed i frutti di mare appena pescati. Come banchetto, in vista del gran piano che ci apprestiamo a mettere in atto, non è per niente male. È un’ottima ultima cena, ad essere pessimisti, ma a Peeta questo non lo dico.
Peeta mi regala una perla che ha trovato nelle ostriche mentre le stava pulendo: è bianca, grande come un pisello, ed il suo peso è appena percepibile quando la posa sul mio palmo teso.
- Per te – dice con un sorriso.
- Grazie – mormoro, baciando il suo sorriso.
Non ho potuto avere con me il mio anello di fidanzamento, qui nell’arena, ma questa perla può rappresentare un buon compromesso. È comunque un suo regalo, un altro dei suoi pegni d’amore.

Potrò stringerla mentre muoio, penso, anche se non è gran che come pensiero. È rassicurante, però, nel pieno del suo pessimismo. Potrò ancora avere con me qualcosa di Peeta che mi accompagnerà nell’oltretomba.

 

 

 

 

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La settimana scorsa vi avevo promesso un capitolo tranquillo e leggero. Visto? Ho mantenuto la promessa! È così tranquillo e leggero che non accade quasi nulla :)
Ci tenevo davvero tanto, invece, ad inserire un momento di confidenze tra Finnick e Katniss prima di quelli che appaiono più avanti in Mockingjay: questo perché entrambi possono capire ciò che prova l’altro. Finnick nell’arena ha sentito le urla di Annie, Katniss invece quelle di Peeta: hanno condiviso qualcosa insieme che li ha in qualche modo legati, nonostante l’orribile espediente con cui è stato messo in atto.
Poi arriva Johanna e rovina tutto.
E vabbè.
Come sproloquio del lunedì direi che può anche bastare :p ultima nota, giusto per mettere un po’ di pepe: il prossimo capitolo sarà l’ultimo (non della storia!) in cui ci troveremo dentro l’arena. Cosa accadrà? Andrà tutto bene (in pieno stile Conte) o andrà tutto male?
Sono aperte le scommesse.
Vi abbraccio e vi bacio tutti! (ah non si può fare? Eh almeno ci ho provato dai ^^’)

D.

   
 
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