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Autore: crazy lion    20/10/2020    1 recensioni
Attenzione! Questa storia si ricollega alla mia fanfiction Cuore di mamma. Leggete prima quella per evitarvi spoiler. C’è un accenno a qualcosa che accadrà nel prossimo capitolo e un altro, lieve, riferito a un fatto raccontato nel libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story, non ancora tradotto in italiano.
Le cose che accadono qui non sono tutte presenti nella mia long.
Il cane? È il miglior amico dell’uomo, o della donna, nel caso di Demi. Ne ha già avuti due, si chiamavano entrambi Buddy e avevano un cuor di leone che non dimenticherà mai. Adottare Batman, un tornado di due colori, l’ha aiutata ad affrontare il dolore. Sua figlia Mackenzie, di sei anni, con un passato turbolento ma costellato di speranze, è molto legata a lui. Come la mamma le ha insegnato, non rinuncia alla sua fantasia e ai propri sogni. Fra questi, un’avventura indimenticabile fatta di amicizia, coraggio e lealtà. Non solo la propria, ma anche quella di sette cuccioli fantasma.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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ghost-puppies  

MAC E I CUCCIOLI FANTASMA


 
 

INTRODUZIONE

 
Come dicevo nella trama, e qui lo spiegherò meglio, questa storia è legata a Cuore di mamma  perché sono presenti alcuni dei personaggi principali e menzionato qualche evento importante. Lo spoiler del prossimo capitolo era inevitabile, purtroppo, e mi scuso con chi non li ama, ma io ed Emmastory abbiamo cercato di renderlo il più vago e lieve possibile, tanto che forse alcuni non se ne accorgeranno.
 
C’è un motivo per cui ho menzionato due cani con il nome Buddy e non uno solo. Non è un errore. Demi, nella realtà, ha avuto soltanto un cane che si chiamava così e da piccola aveva un Cocker Spaniel nero di nome Trump. Ma essendo venuta a conoscenza di quest’ultima informazione – grazie al libro di sua madre, Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story – solo dopo aver iniziato a scrivere fanfiction sulla cantante, avevo già inventato con la mia amica Emmastory un altro cane che si chiamava anch’esso Buddy. Nella fanfiction Cronaca di un felice Natale, infatti, avevamo scritto che Eddie e Dianna lo regalavano a Demi il giorno di Natale, quando lei aveva cinque anni.
 
In parte questa storia è ambientata in un universo alternativo – capirete meglio leggendo di che si tratta – in cui sono presenti anche elementi fantasy.
 
La mia amica Emmastory, ogni tanto, scrive storie originali con i personaggi di una sua saga, nelle quali racconta episodi che in essa non sono mai avvenuti, per fare qualcosa di diverso, a volte più leggero e divertente, e mettere i personaggi in situazioni differenti. Quando mi ha proposto di lavorare a questa fanfiction insieme, ho avuto forti dubbi. Scrivere qualcosa che non c’entrava con la mia storia principale mi sembrava troppo strano, un po’ folle per la verità, dato che anche le parti che si ambientano nella realtà nella long non saranno presenti. Ma lei mi ha lanciato questa sfida, dicendomi di provare, che sarebbe stato divertente, di lasciarmi andare e non pensare a quanto mi sentivo strana. Mi ha dato coraggio scrivendo le prime pagine e lasciando a me il resto.
 
La cosa mi sembra ancora un po’ bizzarra, ma sono molto felice di aver fatto questo esperimento, che mi ha permesso di esplorare meglio i sentimenti e la forza di Mackenzie, che dimostra pur essendo così piccola, mettendola in una situazione diversa, ma non dimenticando quello che ha passato.
 
Scriverla non è stato facile, soprattutto perché il fantasy non è il mio genere, e qui sono presenti alcune creature nate da un sogno di Emmastory che, insieme, abbiamo riportato sulla carta modificandole un pochino. Ho trovato difficoltà nel parlarne, perché non vedendo non ho idea di come siano rappresentati i fantasmi nell’immaginario comune. La gente me li può descrivere, ma non sarà mai lo stesso che vederli. E non avevo mai pensato a cagnolini fantasma, quindi la cosa si complicava. Ma ci ho provato e la ringrazio, perché senza di lei avrei meno coraggio di spingermi oltre quelli che credo siano i miei limiti e invece ho scoperto che, anche quando entro nel genere fantasy, non sono poi così male.
 
Ci auguriamo, dunque, che questa storia vi possa piacere, nonostante queste particolarità, e che saprete apprezzarle e amare il racconto tanto quanto abbiamo fatto e faremo noi, per sempre.

 
 

CAPITOLO 1.

 

UNA BAMBINA E IL SUO SOGNO

 
Era inverno a Los Angeles e, mentre il calendario si muoveva nel vento che spirava entrando in casa dalla finestra ancora aperta della cucina, il quindici Dicembre spaccava a metà il mese, come fulmini nel cielo quasi ogni volta che pioveva. L’orologio appeso al muro in salotto segnava appena le quattro del pomeriggio, e seduta sul divano, Mackenzie era da poco tornata da scuola. Per alcuni compagni una vera noia, ma per lei e Lizzie e qualche volta anche Katie, un’avventura. Per loro era bello stare sedute ad ascoltare gli insegnanti spiegare qualcosa di nuovo e diverso. Dati i suoi trascorsi e il passato che ancora non smetteva di inseguirla, Mackenzie non riusciva a parlare, ma, per sua fortuna, alle amiche non importava. Con ogni giorno che passava lei si sentiva sempre più fortunata. Aveva sofferto, stava ancora male e, almeno per la morte dei suoi genitori, l’avrebbe fatto per sempre e forse non avrebbe mai ricordato e parlato. Ma dopo alcune famiglie affidatarie ne aveva trovata una adottiva. Demi aveva adottato lei e Hope, incontrandole per la prima volta circa un anno e mezzo prima, dopo un lungo iter, le pareva si dicesse così, durato anni a quanto la mamma le aveva spiegato. E poi c’era Andrew, il migliore amico della madre, che da mesi era molto di più. Per lei e Hope lui era papà, nulla avrebbe mai cambiato tutto ciò. A quei pensieri la bambina sorrise.
Un istante più tardi qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la sua attenzione. Seria e rivolta verso ogni eventuale spettatore, Victoria Stilwell. Britannica, vantava un’esperienza pluridecennale nell’educazione canina. Il programma in cui compariva, It’s Me or The Dog, ne era la prova.
Mamma, mamma! Victoria è in TV! non esitò a scrivere, alzandosi e saltellando sul posto.
“La vedo, tesoro. È bravissima, non credi?”
Sì. Lei non lo sa, ma le sue tecniche funzionano anche su Batman, vuoi vedere? Vuoi vedere? chiese, eccitata come e forse più di prima.
A sentire quel nome il cane drizzò le orecchie e, voltandosi verso la cara padroncina, agitò la coda. Lei chiuse una mano a pugno e, nonostante in realtà non nascondesse nulla, né un giocattolo, né un premio da dargli, si limitò a guardarlo e sollevare piano il braccio. Capendo al volo, Batman si sedette.
“Allora? Mi sono seduto, non merito niente?” parve chiedere, le parole nascoste nei suoi grandi occhioni scuri. Seppur impaziente, attese per qualche secondo, e non ottenendo risposta dalla bambina, spostò lo sguardo su Demi. “Per favore! Non posso restare qui seduto per sempre!” si lamentò, rompendo il silenzio con un debole uggiolio.
 
 
 
“Mac, avanti, ha ragione, dagli uno dei suoi dolcetti” replicò allora la giovane, provando pena per il cagnetto, pur senza muoversi dal divano.
Avrebbe voluto, ma la quasi totale ossessione della figlia per quel programma aveva ormai catturato anche lei e staccare gli occhi dallo schermo era impossibile, specie durante una scena in particolare. Quella che Demi stava osservando era in realtà comparsa più volte, e in ogni episodio, che fosse del tutto nuovo o parte di una replica, appariva sempre uguale. Come c’era d’aspettarsi, qualunque famiglia partecipasse allo show ammetteva di avere un problema con il proprio amico a quattro zampe. Fra i tanti, come il classico tirare troppo al guinzaglio, mordere, rubare il cibo o in genere disobbedire, quello legato all’aggressività sembrava essere il più comune. Abituata a scene del genere, Victoria sapeva sempre come intervenire, ritrovandosi però interdetta ogni volta che i padroni, in netto contrasto con l’opinione di mogli, compagne, fidanzate e a volte anche figli, esprimevano disappunto o rabbia nell’udire una sola parola: castrazione. Un rimedio più che sicuro secondo la stessa Victoria, ma un vero affronto a detta degli uomini, convinti che se lei avesse provato a convincerli a privare il proprio cane di una così importante, anche se fra mille metaforiche virgolette, parte del corpo, per loro sarebbe stato come perderla a propria volta. Per fortuna ora Mackenzie era sparita in cucina alla ricerca di un vero premio per Batman, potendo ritenersi esente da quella strana discussione.
Che idiozia. È il cane a venir operato, non loro! Possibile che non riescano a capirlo? Pensò Demi, non riuscendo poi a trattenere una piccola risata divertita.
“Non toccherà anche a me, spero” sembrò dirle, coprendosi il muso con una zampa, imbarazzato.
“No, bello, sta’ tranquillo. A te non succederà nulla. Sei un bravo cane, sai?”
La ragazza si sporse quanto bastava per riuscire ad accarezzarlo.
Batman si godette quelle carezze chiudendo gli occhi. Aveva cinque anni, il pelo riccio, una casa spaziosa, un giardino tutto suo e due, anzi quattro, padroni stupendi. Che poteva esserci di meglio? Coccolando il cane con la dolcezza che ogni padrona riserva ai propri animali domestici, Demi si perse in altri pensieri. Da allora in poi, i secondi scorsero lenti, e una voce calda la riportò alla realtà.
“Demi? Demi, ehi, torna in te.”
Era Andrew, capitato nel salotto di casa forse per una pausa dal talvolta soffocante lavoro di avvocato. Il caso a cui lavorava lo aveva portato a una causa di divorzio stavolta più complicata delle altre, e no, non sarebbe stata questione di poche pratiche e documenti.
“Andrew? E tu che ci fai qui?” gli chiese subito Demi, risvegliandosi all’istante da quel metaforico sonno.
“Andavo in cucina per un bicchiere di limonata, e potrei farti la stessa domanda” le rispose, sul volto il sorriso che il tempo le aveva insegnato ad amare.
“Nulla di che, Mac ha un nuovo programma preferito, lo stavamo guardando, e poi…”
“Si è messa a giocare con il cane?” tentò allora lui, sorridendo alla sola idea.
“Esatto” ridacchiò la ragazza, intenerita da quel ricordo.
Proprio allora, però, la piccola diretta interessata parve udirli.
“Beccati” commentò Andrew, per nulla sorpreso.
Perché ridevi, mamma? azzardò con lo sguardo Mackenzie, ormai di ritorno dalla sua giocosa spedizione in cucina.
Attese di scoprire la verità, mentre in mano stringeva un sacchetto già aperto di biscottini per cani.
“Oh, niente, amore, era una battuta di papà. Era divertente, ecco.”
Come avrebbe fatto a spiegarle che ridevano proprio di lei, anche se non per prenderla in giro? E soprattutto, come avrebbe potuto riuscirci senza ferirla? Una piccola bugia bianca, così le chiamavano Victoria e i suoi connazionali, era l’unica soluzione.
Davvero? Posso sentirla?
“Certo! Va bene, ascolta. Conosci la differenza fra un uccellino e una scrivania?” le disse la mamma, parlando in tono tranquillo.
No. Quale sarebbe?
“Semplice, non c’è. E sai perché? Perché entrambi possono produrre… qualche nota!”
Non riuscendo a trattenersi, Andrew scoppiò a ridere con lei e ben presto anche Mackenzie esplose in una risata. Era rarissimo sentirla ridere, ma segno che, per quanto poco, le sue corde vocali funzionavano ancora e non si erano del tutto atrofizzate. Solo un lavoro con una logopedista che durato anni sarebbe servito a farla parlare di nuovo, pensò Demetria, e sperò che la psicologa avrebbe ritenuto la bambina pronta a intraprenderlo presto.
Hai ragione! Era davvero divertente! commentò poco dopo Mac, tenendosi una mano sulla pancia per lenire il dolore di tante risate.
All’ilarità dei tre seguì una battuta di silenzio, poi un debole latrato. Stavolta si trattava di Batman, che ancora fermo e seduto ai piedi dei padroni, sembrava aver già adocchiato quelle delizie e ora, leggermente spazientito, non attendeva che di assaggiarne qualcuna. A riprova di ciò mugolò ancora come in protesta, mentre il sorriso che pareva avere dipinto sul muso si trasformava in una smorfia di disappunto.
“Vuoi darmi o no quei cosi? Qui sto facendo un lago di bava!”
Questa la metaforica frase che potendo avrebbe voluto urlare, dovendo però limitarsi a zampettare sul posto e agitarsi come un matto.
“Ehi, Batman, calmati, campione, calmati. Dai, stai su… su…” Gli disse Demi, togliendo la busta di biscotti dalle mani della figlia per estrarne uno. Fatto ciò, chiuse un pugno, e sollevandolo e ripetendo quell’ordine, attese. “Avanti, su! Fa’ vedere anche ad Andrew!” ripeté Demi, sventolando il premio poco sopra al suo naso per incitarlo.
Come tante altre, anche quella era una delle lezioni di Victoria, e sentendo la mamma metterle in pratica così bene, Mackenzie sorrise. Ormai Batman non era più un cucciolo, ma la dedizione e la passione che quella donna mostrava nei confronti del suo lavoro provava chiaramente che qualunque cane, cucciolo o adulto che fosse, poteva imparare cose nuove.
Così, inorgoglito dai suoi precedenti successi anche davanti alle amiche di Mackenzie, invitate a casa solo qualche settimana prima, Batman sembrò sorridere di nuovo, e con uno sforzo si alzò da terra, restando fermo e seduto sulle zampe posteriori. Finalmente, Demi si decise a consegnargli quel tanto agognato biscotto e regalargli una frettolosa carezza sulla testa.
“Però! Che bravo!” osservò Andrew, colpito.
“Visto? Tutto merito di tanto allenamento.”
Si dice addestramento, mamma, con la d.
“Già, scusa, Mac, ho sbagliato.”
“Hope è sempre in camera mia?”
“Sì Demi, sta giocando. Anzi, vado a vedere se è tutto a posto.”
Andrew lavorava proprio in quella stanza, si era seduto sul letto con il computer per non lasciarla sola temendo, come la ragazza, che potesse farsi male. In fondo era ancora piccola, avrebbe compiuto due anni a gennaio.
 
 
 
Goloso come al solito, Batman ripeté il giochetto nella speranza di essere premiato ancora, e posando gli occhi sulla sua palla preferita, Mackenzie la raccolse. Battendosi una gamba, richiamò a sé il cane e, uniti da un affetto che solo animale e padroncina potevano comprendere, i due passarono il resto del pomeriggio a divertirsi fuori casa, correndo fra l’erba del giardino e giocando ad acchiapparsi, a chi toccava prima la corteccia dell’albero, o al più semplice riporto.
Pieni d’energia, i due corsero fino al tramonto e dopo un’ora, che a loro parve infinita, decisero di rincasare. Mackenzie si trascinò lentamente fino alla sua stanza, mentre Batman, ansimando, la seguiva. Giunta a destinazione la bambina aprì la porta, ma poco prima che potesse varcarla, un suono.
“Mac! Mac!” Una voce conosciuta, qualcuno che la chiamava insistentemente e che, cosa più importante, non sembrava aver alcuna voglia di smettere. “Mac!”
Mackenzie attraversò ancora una volta il corridoio, raggiunse la camera dei genitori e, inginocchiandosi sul tappeto, capì. La sua sorellina aveva ritrovato i peluche di Bucky, Rover e Flame – uno scoiattolo, un cagnolino e un draghetto. Da qualche tempo la mamma leggeva loro una storia su un sito di fanfiction e racconti originali. Questa faceva parte di una saga, Luce e ombra e l’autrice, Emmastory, pur non essendo ancora famosa non avendo pubblicato nulla in libreria, aveva fatto fare dei gadget con i personaggi della sua saga che le piccole avevano voluto, per cui Demetria li stava acquistando pian piano. Quei peluche erano gli animali di una fata e due pixie.
In ogni caso, il continuo chiamarla per nome non era altro che un tentativo di Hope di convincerla a giocare con lei. Mackenzie non se la sentì di rifiutare e come lei anche Batman, che abbandonata la sua pallina in corridoio, si unì a loro, colpendo con il naso ognuno dei pupazzetti nella speranza di farli muovere. Insieme, i tre amici continuarono a giocare, e con un onnipresente sorriso sulle labbra, Mackenzie finì per perdersi nei suoi pensieri. Era bello poter vivere in quella famiglia adottiva, sentirsi amata e sapere che qualcuno avrebbe avuto cura di lei. Non riuscì a smettere di sorridere, e spostando lo sguardo su Hope, le strinse la manina. Troppo piccola per capire, la bambina si limitò a provare ad abbracciarla, mentre Mackenzie le accarezzò piano la schiena. Ora capiva. Capiva perché mamma Demi le voleva così bene, perché in realtà amasse entrambe. Proprio come papà Andrew, nonna Dianna, nonno Eddie e le zie Dallas e Madison, erano parte della sua famiglia. Una grande famiglia. Ancora strette in quell’abbraccio, le due sorelle smisero di giocare, e cercando un altro modo per partecipare, Hope sfiorò il petto della maggiore.
“Mac” tentò, dolcissima.
Dimmi le fece capire l’altra, affidando a uno sguardo quella sola parola.
“Bene” rispose la piccola, tenera e ingenua come sempre.
Te ne voglio anche io, Hope, anch’io pensò, sentendo il cuoricino batterle forte nel petto. Scandito da attimi di silenzio, quel momento apparve sospeso nel tempo, interrotto solo dalla voce della mamma. Le stava chiamando entrambe, era ormai ora di cena, e poi, almeno secondo le loro abitudini, di andare a letto, saltando entrambe sul treno dei sogni.
Mackenzie non si fece attendere e, prendendo la sorellina per mano piuttosto che in braccio, dato che ancora non si sentiva abbastanza sicura per portarla giù dalle scale, l’accompagnò nel tragitto fino alla sala da pranzo, ridacchiando nel rispettare la sua lenta e saltellante andatura da cartone animato che, volendo divertire entrambe, Batman cercò di imitare camminando solo su tre zampe. Anche Hope rise, e presto le sorelle e l’amico furono a tavola.
“Signorine! Dov’eravate?” chiese Andrew.
“Giochi!” rispose subito Hope, ancora vicina alla sorella.
“Davvero? E vi siete divertite?” replicò Demi, sorridendo con dolcezza e sollevandola per metterla al sicuro nel suo seggiolone.
Di lì a poco, fu davvero ora di cena, composta da spaghetti al sugo e cotoletta alla milanese con contorno di patatine, che Demi diede alla bambina lentamente spezzettandole la carne in pezzi piccoli e lasciando che prendesse tutto con una forchettina di plastica. Le disse di andare con calma e sperò che l’avrebbe ascoltata, così che le patatine non fossero troppo calde, né la bimba prendesse morsi troppo grandi.
“Sì!” insistette Hope, battendo le manine.
Intenerita da quella scena, Demi si scambiò con il compagno un’occhiata d’intesa. Come Mackenzie, anche la loro piccola era stata battezzata appena cinque giorni prima, e ogni membro della famiglia aveva ricordi specifici dell’intera vicenda. Se Andrew e Demi si erano concentrati sulla funzione e sulla gioia della loro figlia maggiore ma anche sull’entrata delle piccole nella comunità cristiana, Mackenzie era felice e triste al tempo stesso, ma solo perché avrebbe voluto partecipare davvero alla Messa cantando. Dato il suo ormai conosciuto problema, però, quella possibilità le era stata negata. Orgogliosi, Andrew e Demi le guardarono entrambe, e per un attimo a loro sembrò di poter vedere due piccole aureole brillare proprio sopra le loro teste. A occhi estranei un’esagerazione, ai loro la verità. Le loro figlie erano veri e propri angeli.
La notte bussò alle porte di Los Angeles. Dopo aver indossato il pigiama con l’aiuto della mamma e aver ascoltato la favola della buonanotte preferita della piccola Hope, Il Pyrados e l’Arylu, breve storia dell’amicizia fra un draghetto e un cagnolino, Mackenzie riuscì ad addormentarsi serenamente, lasciando che il suo amato cucciolo Batman riposasse ai piedi del suo letto. Il corpo e il cuore di bambina abbandonarono piano il mondo reale.
 
 
 
NOTE:
1. ringrazio Emmastory per avermi parlato di Victoria Stilwell e del suo programma It’s Me or The Dog. Tutte le cose raccontate qui riguardo l’addestramento e altre presenti nei prossimi capitoli sono tratte da quello. Emmastory ha fatto un ottimo lavoro nel parlarne.
La Stilwell è britannica e ha scritto dei libri sull’educazione dei cani. Collabora anche con i gruppi di soccorso e adozione di tutto il mondo e sostiene il Wisconsin Puppy Mill Project, per incrementare la consapevolezza della crudeltà nascosta dietro gli allevamenti di cani a solo scopo di lucro. Ha fatto anche da volontaria per la ASPCA, un acronimo che sta per American Society for The Prevention of Cruelty to Animals, o Associazione Americana per La Prevenzione della Crudeltà sugli Animali. In più ha un blog e offre dei corsi per persone che vogliono fare il suo stesso lavoro o anche solo condividere la filosofia della donna, priva di forza e coercizione.
2. Nella saga di Emmastory, il cagnolino che qui ha Hope  è della specie degli Arylu, mentre il draghetto di quella dei Pyrados.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICI:
scrivo al plurale perché, dato che Emmastory ha collaborato con me, mi sembra giusto. Eccoci qui con una nuova storia, già completa, di sette capitoli, che stiamo solo rivedendo un attimo, ma che dovremmo riuscire a pubblicare in tempi abbastanza brevi. Si tratta di un progetto iniziato mesi fa e che siamo felicissime di poter condividere con i fan di Cuore di mamma, long che riprenderò a scrivere al massimo con l'inizio del nuovo anno, sperando davvero che il 2021 sia un anno migliore del 2020 sotto tanti aspetti.
   
 
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