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Autore: Kimando714    21/10/2020    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 60 - A MILLION LITTLE PIECES


 
 

She’s all laid up in bed
with her broken heart[1]
 
La luce del sole che tramontava filtrava dalle finestre aperte della stanza, rischiarando l’ambiente e riscaldandolo appena. Sembrava che la fine di settembre stesse offrendo gli ultimi sprazzi soleggiati autunnali, un lontano ricordo dell’estate appena passata, prima di annegare nel clima sempre più rigido della stagione.
Caterina si fermò a studiare il riflesso aranciato che la luce nella sua stanza stava assumendo in quel momento, mentre se ne stava sdraiata supina sopra al letto della sua camera; non sapeva esattamente da quanto tempo si trovasse in quella posizione, in completa solitudine. Non gliene importava nemmeno molto: sarebbe potuta essere un’ora come un’intera giornata, e non avrebbe fatto alcuna differenza.
Nel giorno che precedeva il suo diciottesimo compleanno – il diciottesimo, lo spartiacque tra l’incoscienza dell’adolescenza e la futura maturità della vita adulta- non avrebbe mai davvero pensato di sentirsi così – spezzata, sì, quello era il termine più incalzante. In mille piccoli pezzi così distanti tra loro da non sapere più come ricomporre il puzzle del proprio essere.
L’ennesimo crampo, nemmeno troppo forte rispetto ai precedenti, la costrinse a portare gli occhi verso il ventre. Da sdraiata le sembrava quasi più piatto del solito, ma ciò non diminuiva tutti i pensieri che le stavano vorticando nella mente da poco meno di una settimana.
Avrebbe voluto soffocarli in qualsiasi modo, magari con un po’ di musica a tutto volume di uno qualsiasi degli album che teneva collezionati nella sua libreria in camera, ma in fondo sapeva che non avrebbe funzionato. Nemmeno la musica poteva rendere silenziosi certi timori così radicati nel profondo della mente.
Non era servito a calmarla nemmeno lasciarsi andare alla curiosità e spingersi a documentarsi: aveva ottenuto solo l’effetto contrario, ma d’altro canto non era una novità che i sintomi premestruali fossero molto simili ai sintomi che annunciavano una possibile gravidanza.
Chiuse gli occhi, cercando di allontanare dalla propria mente quella parola – fare finta che non esistesse poteva essere la soluzione, almeno temporaneamente. Non voleva pensarci, eppure non aveva smesso di farlo per interi giorni.
“Forse è solo un ritardo”.
Quella possibilità riusciva a cullarla sempre meno.
Forse, si ritrovò a pensare in un attimo di impulsività, doveva prendere la situazione in mano, ammettere di essersi cacciata in un guaio più grande di lei, e scoprire la reale natura delle conseguenze che potevano esserci. Se il ciclo non si fosse presentato entro lunedì, sarebbe uscita con una scusa qualsiasi, diretta ad una qualsiasi farmacia per comprare un test. Un maledetto test di gravidanza.
Paradossalmente sarebbe stata la parte più facile, perché se mai fosse risultato positivo, era Nicola quello che poi avrebbe dovuto affrontare subito dopo, prima ancora dei suoi genitori.
Sentì un fremito di terrore puro correrle lungo la schiena, facendo lentamente scomparire quell’attimo di determinazione che l’aveva animata nemmeno un minuto prima.
Era lo stesso terrore che l’aveva bloccata in quel suo silenzio, e che le aveva impedito di confidarsi perfino con Giulia: sapeva che, in fondo, le avrebbe dato un minimo di conforto condividere le sue preoccupazioni, ma non ce l’aveva fatta. Non fino a quel momento. Non riusciva nemmeno a capire come avrebbe fatto, l’indomani sera, ad affrontare i suoi amici, vederli uno ad uno in faccia, la sera del suo diciottesimo compleanno, mentre lei si sentiva morire dentro. Guardare negli occhi Nicola, senza ancora avergli detto niente.
Sembrava un incubo destinato a non finire mai, anche se sperava di vederne la fine con tutta se stessa.
 
 And we don’t know how
How we got into this mad situation
Only doing things out of frustration
Trying to make it work, but, man, these times are hard
 
*
 
Era difficile restare con la mente concentrata quando non riusciva a porre attenzione nemmeno al flusso dei propri pensieri.
Il silenzio dei corridoi del Virgilio era insolito in un ambiente solitamente caotico come lo era poco prima dell’inizio delle lezioni o durante gli intervalli; era un silenzio che la stava lasciando inquieta, in un modo che Caterina avrebbe ritenuto quasi esagerato per un dettaglio del genere in una qualsiasi altra giornata.
-Cate?-.
Sobbalzò appena, quando la voce di Giovanni la raggiunse inaspettatamente. Si voltò verso di lui con sguardo vacuo, domandandosi se magari l’aveva chiamata perché si era accorto che non lo stava ascoltando. Non poteva essere altrimenti: aveva iniziato a guardarsi in giro e lasciarsi di nuovo andare ai troppi pensieri che le riempivano la testa proprio nel momento in cui lui aveva iniziato a ripetere una regola grammaticale che Caterina ormai non ricordava nemmeno più quale fosse.
-Eh? Scusa, mi sono distratta un attimo- farfugliò lei, abbassando gli occhi sulle pagine aperte del libro di grammatica inglese – Allora, dicevamo … -.
-Aspetta un secondo-.
Giovanni la sfiorò appena, con garbo, con le dita affusolate della mano destra come per bloccarla – un po’ come se la stesse osservando camminare sempre più distante da lui, e non solo come se lo stesse facendo mentalmente. Ritrasse la mano subito dopo, ma non smettendo di guardarla con apprensione intrisa nelle iridi azzurre:
-Sei sicura di stare bene?- le chiese, con delicatezza – Sei pallidissima, e distratta … -.
-Scusa, sul serio- Caterina mormorò ancora.
-No, aspetta- Giovanni non provò a toccarla di nuovo, ma Caterina riuscì comunque a percepire anche dalla sua voce un tono di preoccupazione che non aveva mai mostrato prima – Non lo sto dicendo per rimproverarti. È che non credo di averti mai vista così-.
Caterina immaginava che dovesse avere ragione, e che in fondo anche ad un osservatore non particolarmente attento sarebbe balzato all’occhio quanto fosse assente con il pensiero in quel momento. Sospirò a fondo, non cercando nemmeno di convincere Giovanni che andasse tutto bene.
-C’è qualcosa che non va?- le chiese ancora, con lo stesso tono cauto e gentile – È successo qualcosa?-.
Caterina continuò a tenere lo sguardo abbassato, con davanti agli occhi parole in inglese che, concentrandosi, avrebbe tradotto facilmente, ma che in quel momento le apparivano estranee come se fosse la prima volta che se le ritrovava davanti.
Non aveva pensato davvero di trasformare la prima lezione di ripetizioni con Giovanni in un momento di confessione. Aveva accettato di vederlo in quell’ora buca che aveva, approfittando del fatto che lui non seguisse religione e che quindi sarebbe stato fuori dalla classe esattamente come lei, perché le era sembrata un’ottima occasione per pensare ad altro che non riguardasse tutte le preoccupazioni che ancora si stava tenendo dentro. Ed era anche stata l’occasione giusta per evitare che anche Giulia potesse accorgersi ancor di più di quel che doveva già aver fatto; l’aveva vista allontanarsi con Valerio, diretti verso la stazione, e non credeva di essersi mai sentita più sollevata di così nel vederla andarsene lontana.
Non aveva tenuto conto di Giovanni, però, e del fatto che, inaspettatamente, non aveva nemmeno intenzione di negare nulla.
-Sì, in effetti sì-.
Si morse il labbro inferiore, esitante: Giovanni le era sempre sembrato una persona fondamentalmente seria, qualcuno a cui poter chiedere consiglio senza sentirsi giudicati. Avrebbe potuto chiederglielo senza aprirsi troppo sul vero motivo per il quale si sentiva così, lasciando solo un velo di vaghezza ad accompagnare le sue parole.
-C’è una cosa che mi spaventa- iniziò, sospirando a fondo per non lasciare che la voce le tremasse – E riguarda anche Nicola, quindi dovrei parlargliene. Ma non so come. Non so cosa fare-.
Osservò Giovanni annuire mentre la ascoltava in silenzio e con attenzione, come se stesse cercando di captare indizi che potessero aiutarlo nel risponderle. Non sembrava essersi infastidito nel sentire nominare Nicola, e inconsciamente Caterina si sentì ancor più rassicurata del fatto che, in fondo, stava facendo bene a fidarsi di lui. Si sentì persino in colpa per aver pensato male di Giovanni mesi prima, a Parigi, ed ancor di più non poté fare a meno di pensare quanto Giulia si stesse sbagliando sul suo conto.
-Se riguarda entrambi, è giusto che ne parli con lui, con sincerità-.
Giovanni iniziò a parlare con voce calma, quasi stesse cercando di rasserenarla non solo con le sue parole, ma anche con il modo con cui le stava parlando.
-Però credo che dovresti farlo indipendentemente che lo riguardi o meno. È il tuo ragazzo, se c’è qualcosa che ti sta facendo star male lui potrebbe aiutarti, magari darti una mano per cercare di risolvere la cosa- proseguì ancora.
Caterina annuì. Sarebbe stata l’occasione giusta per lasciarsi andare ad una risata amara e piena di sarcasmo, visto che l’ironia della sorte voleva Nicola come causa dei suoi guai – anche se non totalmente in modo conscio-, sia come appiglio al quale richiedere aiuto. Su quello Giovanni non ci aveva visto male: Nicola era l’unico che sarebbe riuscito a tranquillizzarla in quel momento. Farle sapere che le era accanto, e che sarebbe rimasto anche se le cose fossero andate male – come lei credeva sarebbero andate- era tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento.
-Lo so, però ho paura lo stesso-.
Giovanni studiò la sua espressione per lunghi e silenziosi momenti, prima di domandarle ancora:
-Paura di come potrebbe reagire?-.
Caterina annuì debolmente:
-Anche-.
Abbassò di nuovo gli occhi, sentendosi ancor più insicura. Sapeva che doveva parlare a Nicola il prima possibile, e fargli presente che il problema – come aveva iniziato a chiamarlo tra sé e sé- poteva esserci, e potevano esserci altrettante conseguenze. Per quanto poco si fossero visti durante quell’ultimo mese, impegnati com’erano stati entrambi sul fronte dell’università e della scuola, quella possibilità esisteva in ogni caso. La possibilità di essere incinta c’era. Ancora non riusciva a credere di essersi cacciata in un guaio del genere, e di esserselo tenuta per sé fino a quel momento.
Non riusciva però nemmeno a immaginare il momento in cui ne avrebbe parlato a Nicola. Forse se lo aspettava anche lui che prima o poi l’argomento sarebbe riemerso – doveva ricordarselo anche lui il preservativo rotto poco meno di quattro settimane prima. Nemmeno lei ci aveva pensato subito, ma ora che il ciclo continuava a ritardare non poteva fare a meno di chiedersi se fossero stati troppo disattenti, troppo sicuri di loro.
-Sono sicuro che sarà comprensivo qualsiasi cosa sia- Giovanni le posò gentilmente una mano all’altezza del polso, con fare rassicurante – Voglio dire, state insieme da tempo, sicuramente ci terrà. Fossi in te non mi farei prendere troppo dall’ansia-.
Caterina annuì di nuovo, lasciandogli un sorriso timido e sincero: non si era aspettata di ritrovarsi proprio con Giovanni a parlarne per primo di quel che la stava rodendo da dentro. Non se ne pentiva, però: era stato sincero, e non le aveva chiesto più del dovuto senza farla sentire a disagio. Gli era grata per la delicatezza che aveva usato, e anche per le parole incoraggianti che le aveva rivolto nonostante non sapesse nemmeno cosa c’era dietro la sua preoccupazione.
-Vedrai che andrà tutto bene- le disse ancora, restituendole quel sorriso che, però, non arrivò agli occhi, ancora pieni di quell’apprensione che a Caterina era parsa presente per tutta quella loro conversazione.
Si ritrovò a sperare davvero che Giovanni avesse ragione, e che Nicola non l’avrebbe abbandonata in qualsiasi caso. Doveva sperarlo, almeno fino a quando non avrebbe deciso di affrontarlo
 
*
 
-Questo maledetto tempo passa troppo velocemente. Un altro battito di ciglia e mi ritroverò con le rughe e i capelli bianchi- Pietro esordì così, non appena raggiunto il tavolo prenotato per la serata, in una pizzeria di Torre San Donato.
Caterina si sforzò di sorridere, tra le risate degli altri presenti e lo sguardo fintamente quanto esageratamente disperato dell’altro. Pietro era stato l’ultimo ad arrivare, nonostante casa sua fosse particolarmente vicina al locale designato per la serata; la compagnia che Caterina aveva deciso di invitare, senza averci badato troppo, presa com’era da pensieri ben più preoccupanti, era la stessa della vacanza passata in Puglia: cercava di distrarsi con le battute di Valerio, e cercando di seguire qualche discorso, ma la verità era che, in mezzo a tutta quella confusione, irrimediabilmente, l’unica cosa che cercava di fare era evitare lo sguardo di Nicola.
Era stato lui a venirla a prelevare a casa, per arrivare fino a lì, e durante quel viaggio breve era rimasta più in silenzio del solito. Non si vedevano da una settimana, da quando era passato l’ultimo weekend: in un qualsiasi altro momento avrebbe solamente voluto passare del tempo sola con lui, ma in quell’occasione non pensare a ciò che si stava tenendo dentro le era parso impossibile. Non aveva spiaccicato parola, e Nicola non aveva insistito – anche se Caterina sapeva, sapeva che doveva aver notato anche lui quella sua stranezza intrinseca.
-Guarda che i capelli bianchi già li hai! Non troppi, ma sono presenti- esclamò Alberto, seduto accanto a Pietro, dall’altra parte del tavolo rispetto a Caterina, indicando alcuni capelli vagamente ingrigiti sul capo dell’amico.
Caterina avvertì la risata roca di Nicola accanto a sé, ma non si girò neppure: preferì rimanere voltata verso una qualsiasi altra direzione, piuttosto che voltarsi verso di lui. Era un pessimo inizio, si ritrovò a pensare: aveva riflettuto a lungo sulle parole di Giovanni, dette il giorno prima, ma metterle in atto ora le sembrava un’impresa titanica.
Voltò appena il capo, ma non ebbe l’accortezza di evitare anche lo sguardo di Alessio. L’aveva seduto di fronte, e anche se ne aveva incrociato gli occhi solo per un secondo, Caterina era sicura che lui stesse continuando a fissarla. Lo vide di sottecchi scuotere appena il capo, verso la sua direzione:
-Sei ancora sotto shock per essere diventata maggiorenne, o ti ha azzittito qualcos’altro che noi non sappiamo?-.
Caterina si sforzò di indirizzare i propri occhi verso l’amico, scontrandosi con il suo sorriso. Sembrava così sereno, dopo più di un anno di crisi, che a Caterina sarebbe bastata anche solo metà di quella sua ritrovata tranquillità per sentirsi meglio. Era quasi incredibile come, al contrario di Nicola, Pietro e Filippo, lui avesse ritrovato una ragione di vita non appena iniziata l’università.
-Sono solo un po’ stanca- rispose debolmente lei, cercando di farsi venire in mente qualcosa per deviare il discorso – Tu, piuttosto, mi sembri più rilassato del solito. La convivenza con Pietro ti deve fare bene-.
-Potrebbe sembrare un paradosso, ma ho meno preoccupazioni ora che un mese fa- replicò Alessio, prendendo un sorso di birra dal suo bicchiere – È una ruota che gira: un anno prima ti senti uno schifo, e quello dopo ti senti decisamente meglio-.
Caterina annuì, silenziosamente: in un certo qual senso, Alessio aveva esattamente centrato il punto. Se prima era toccato a qualcun altro, ora toccava a lei fare i conti con problemi più grandi di quanto non avrebbe mai immaginato.
Le faceva comunque piacere sentire quelle parole di Alessio: l’aveva visto completamente distrutto in così tanti momenti e per così tanto tempo che, in quel momento, a sentirlo parlare così, in parte riusciva a sentirsi felice per lui. Una felicità che scompariva non appena riportava l’attenzione su se stessa, la sua pancia gonfia, e Nicola.
-Comunque ammetto che forse andare ad abitare con Pietro non mi sta facendo poi così male- proseguì Alessio, dopo alcuni secondi, e lanciando un’occhiata verso il coinquilino, impegnato a parlare animatamente con Alberto e Gabriele a qualche sedia di distanza.
-Cosa te lo fa pensare?- domandò Caterina, contenta di aver trovato un modo per allontanare le domande di Alessio su di sé, e concentrandole invece su di lui.
-Beh, per ovvi motivi ci ritroviamo spesso negli stessi spazi- il sorriso di Alessio aveva sempre avuto il merito di tranquillizzare Caterina, forse per la sua spontaneità o per la mitezza, ed anche in quel momento sembrava sortirle lo stesso effetto – Parliamo, non credere che facciamo chissà cosa-.
-Mi risulta parlaste anche prima- replicò lei, puntando lo sguardo su Alessio – Tu sei sempre stato particolarmente portato per la chiacchiera, non è una novità, mentre Pietro … Strano non abbia ancora combinato casini. Di solito è la sua specialità-.
-È diverso dal trovarsi una volta ogni tanto e parlare solo per un certo tempo. Ora ci svegliamo e ci addormentiamo praticamente insieme ogni giorno, è completamente differente. Finisci per parlare di qualsiasi cosa, avere un’intimità che non avevi prima … Insomma, per conoscere fino in fondo una persona, bisogna iniziare dalla convivenza-.
-Detta così sembra dobbiate sposarvi- Caterina parlò a voce bassa, cercando di apparire più rilassata e tranquilla di quanto non fosse.
Il risultato non fu quanto aveva sperato: Alessio non rispose, eppure Caterina intuì, dal modo in cui l’aveva guardata, di non essersi bevuto quella sua finta calma esterna.
Caterina sbuffò tra sé e sé: non sapeva quanto ancora avrebbe resistito fingendo quanto tutto stesse andando bene, mentre dentro di sé si sentiva cadere a pezzi sempre di più, ogni attimo che passava.
 
*
 
L’acqua fresca che zampillava dal lavandino, finendo sul palmo delle sue mani, la risvegliò a malapena dal torpore in cui era caduta.
Erano già trascorse due ore da quando era arrivata in quella pizzeria, e Caterina sapeva che non sarebbe resistita ancora a lungo. Rimanersene seduta accanto a Nicola e fare finta di nulla era stato anche più difficile di quanto non avrebbe mai creduto; evitarne lo sguardo e ricambiando appena i contatti che l’altro cercava di instaurare non la faceva stare in pace. E allo stesso tempo il fatto di dovergli parlare, di dovergli parlare proprio di quella faccenda, la terrorizzava ancor di più.
Lo sbattere della porta che dava nella zona dell’antibagno la costrinse ad alzare il volto, sperando di non incontrare nessun volto conosciuto. Dovette ricredersi ben presto: gli occhi azzurri di Nicola la stavano guardando, accompagnati da un leggero sorriso ad increspargli le labbra.
-Sei qui da un po’- Nicola fece qualche passo avanti, arrivando ben presto a cingere da dietro le spalle di Caterina – Cominciavo a preoccuparmi-.
-Stavo per tornare, ma ho avuto dei giramenti di testa- farfugliò lei, arrossendo nel momento preciso in cui aveva percepito le labbra di Nicola sopra la pelle del suo collo. Non si era lasciato andare spesso a gesti d’affetto negli ultimi weekend in cui si erano visti, e forse in qualche altro momento avrebbe apprezzato quella premura che sembrava starle rivolgendo. L’unico pensiero razionale che Caterina riuscì a formulare, però, fu quello di trovare una scusa per uscire da quel posto il prima possibile. Non aveva intenzione di parlare con Nicola quando ancora si trovavano in pizzeria, né tanto meno intrattenersi in effusioni simili proprio in quel momento: l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stata scappare – o ancora meglio, svegliarsi e accorgersi che tutta quella situazione assurda era stata soltanto un incubo e che non c’era stato nulla di reale.
Dovette convincersi che quella, invece, era la pura realtà: le mani di Nicola strette sui fianchi, a girarla verso di lui, e il suo respiro sempre più rapido lungo la linea del collo.
Caterina sospirò rumorosamente, cercando di far forza con le proprie mani sulle spalle dell’altro, allontanandolo la giusta distanza per accorgersi del suo sguardo contrariato e stupito:
-Potrebbe entrare qualcuno da un momento all’altro. Non mi pare il caso- esclamò lei, accorgendosi di non essere risultata convincente neppure a se stessa.
-Se entra qualcuno possiamo sempre fermarci- replicò semplicemente Nicola, cercando di riavvicinarsi a lei, ma venendo bloccato ancora una volta da Caterina, più irritata che agitata:
-Non credi di riuscire a trattenerti ancora per un po’?- sbottò con nervoso evidente – Diavolo, non sembri neppure la stessa persona di qualche mese fa-.
Si morse il labbro inferiore, come ad essersi pentita delle parole appena pronunciate: non era partita con il proposito di risultare così infastidita, né tanto meno di trattare male Nicola.
-Mi sei mancata durante questi giorni. Tutto qua- mormorò lui, attonito. Non si avvicinò di nuovo, e qualsiasi suo altro tentativo di replica venne interrotto sul nascere dall’aprirsi di nuovo della porta. L’entrata di Giulia venne accompagnata da un silenzio teso ed imbarazzato allo stesso tempo.
-Ho interrotto qualcosa, per caso?- Giulia rise appena, istericamente, forse per l’evidenza della risposta che nessuno dei due le dette a voce.
-Stavo uscendo, tranquilla- Nicola fu il primo a parlare, e pochi secondi dopo aveva già oltrepassato Giulia, uscendo dalla porta e richiudendola alle spalle, senza voltarsi verso Caterina. Il tempo anche solo per dare una qualche spiegazione, uno sguardo di troppo, sembrava essere stato annullato.
Caterina dette le spalle ad una attonita Giulia, scuotendo il capo sfiduciata: non sapeva che fare, se uscire ed inseguire Nicola, o rimanersene lì, in balia di quel che Giulia avrebbe potuto chiederle. Prima che potesse decidere qualcosa, fu l’altra a prendere una decisione al posto suo:
-Forse non è il momento migliore per fartelo notare, ma lo farà lo stesso- iniziò a dire, con una leggera vena di nervosismo – Sei strana, da giorni. E mi stai evitando-.
Caterina non si stupì di ascoltare quelle parole: aveva già avuto la certezza che Giulia avesse intuito qualcosa. Dovette ammettere che il solo pensiero di confidarsi con qualcuno – e confidarsi per davvero, dicendo la verità e non potendo fare finta di nulla- la spaventava e la rassicurava allo stesso tempo: se da una parte parlarne le avrebbe portato un confronto con qualcuno, dall’altra parlarne a voce sarebbe stato come ammettere senza altre possibilità che quel problema era reale. Esisteva davvero, ed era concreto. E sarebbe stato inevitabilmente diverso da quando ne aveva parlato con Giovanni il giorno prima: a lui non aveva detto chiaro e tondo cosa c’era che non andava, ma con Giulia non sarebbe riuscita a nasconderlo. E forse, in fondo, nemmeno voleva.
-Non ti sto evitando. Non tu direttamente, almeno- mormorò, continuando a evitare lo sguardo dell’altra.
-Si può sapere che succede?-.
Caterina sospirò a fondo:
-Tutto e niente, direi-.
Avrebbe tanto voluto sedersi, in quell’istante, prendersi il viso tra le mani ed isolarsi da tutto il resto del mondo, ma si costrinse a rimanere in piedi davanti al lavandino di quel bagno spoglio. Percepiva Giulia squadrarla confusa, ma ciò non impedì a Caterina di rimanere voltata, in una sorta di tentativo di ultima difesa.
-Stai parlando per enigmi, lo sai?- ribadì ancora Giulia, avvicinandosi di qualche passo.
Caterina sbuffò appena, trattenendo a stento un singhiozzo. Si sentiva così paralizzata da non riuscire nemmeno a proferire parola: sapeva che Giulia stava percependo quel suo stato d’animo, e sapeva anche che, in fondo, su di lei avrebbe potuto contare. Ciò non toglieva che confessare quel segreto che teneva dentro di sé da qualche giorno le risultava molto più arduo di quanto non avrebbe mai pensato.
-Ho un ritardo-.
Per un attimo ci fu solo silenzio, in quel bagno dove si trovavano solo loro due, e per un secondo Caterina temette che Giulia non avesse capito cosa intendeva. Quando però trovò il coraggio per voltarsi verso di lei, la vide cerea in viso e con gli occhi verdi sgranati.
-Cosa?- la sentì sussurrare, a malapena udibile.
-In quel senso- Caterina annuì, semplicemente – Sei praticamente la prima a cui lo dico chiaro e tondo. Non ho neanche il coraggio per ammetterlo a me stessa-.
Giulia fece qualche passo lungo la stanza, e per un attimo Caterina credette di averla fatta impazzire per lo shock.
-Ma sei sicura che tu possa … - la voce di Giulia parve tesa, sebbene sembrasse sforzarsi di apparire razionale – Voglio dire, avrete preso precauzioni, no?-.
-Non ne sono sicura del tutto, infatti- Caterina si morse il labbro inferiore con incertezza, mentre si girava per fronteggiare Giulia – E sì, le abbiamo prese, ma c’è stata una volta, qualche settimana fa, in cui abbiamo avuto dei … Problemi. Non sembrava nulla di così grave. Ora non ne sono più molto sicura-.
A Giulia servirono parecchi secondi prima di processare quel che Caterina le aveva appena raccontato:
-Cazzo- mormorò con voce strozzata, scuotendo la testa con incredulità. Caterina la guardò: non credeva di averla mai vista così agitata. L’inquietudine che Giulia mostrava non stava facendo altro che accrescerle ancor di più il senso di oppressione e di ansia che si era sentita addosso ogni minuto degli ultimi giorni. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma si sforzò di ricacciarle indietro.
-Non so che fare- si lasciò sfuggire con voce strozzata, il cuore che le batteva rapido in gola – Non so davvero cosa fare. Giovanni mi ha detto che dovrei parlarne a Nicola e ... -.
-Giovanni?- Giulia la interruppe di colpo, l’espressione confusa che sottintendeva qualcos’altro che Caterina non riuscì a decifrare, troppo distratta dall’essersi appena reso conto di essersi lasciata sfuggire un dettaglio che non aveva avuto del tutto l’intenzione di rivelare.
Abbassò per un attimo gli occhi, rendendosi conto che l’agitazione l’aveva fatta parlare troppo, e che se possibile quel leggero cambio di conversazione la stava rendendo ancor più a disagio.
-Mi ha vista strana anche lui, ieri- spiegò senza dilungarsi troppo, con esitazione – Gli ho solo detto che c’è una cosa che mi preoccupa, e mi ha detto che dovrei parlarne con Nicola, qualsiasi cosa sia-.
Giulia rimase ancora con la stessa espressione disorientata e sorpresa per qualche secondo, prima di riprendere l’aria seria di prima:
-Quindi Nicola non sa nulla-.
Caterina scosse la testa:
-Non sa del ritardo, e non sembra preoccupato per quel che era successo- confermò con voce ancor più tremante.
Giulia annuì, prima di avvicinarsi ulteriormente, posandole una mano su una spalla:
-Questo complica le cose-.
La voce di Giulia fu accompagnata solamente dal silenzio, rotto dai singhiozzi sommessi che Caterina non era più riuscita a soffocare.
-Però è vero: dovresti dirglielo- Giulia disse ancora, con voce grave – Probabilmente è solo un falso allarme, però glielo dovresti dire comunque. Per ogni evenienza-.
Le evenienze che Giulia stava sottintendendo dovevano essere le stesse a cui lei aveva pensato per giorni interi, pur senza spingersi troppo in là perché fasciarsi la testa prima del responso non le avrebbe alleviato l’agitazione, né tantomeno avrebbe rimpicciolito il problema. E di problema, prima ancora di quel che sarebbe potuto venire dopo, ce n’era ancora uno, più incombente.
 
The pain in my throat gets worse
Try to cover it
I don’t have a voice[2]
 
*
 
Caterina espirò profondamente, cercando di riprendere il ritmo normale del proprio respiro e aspettando che i battiti del cuore si calmassero.
Sentiva le gote ancora arrossate per il calore donatole dalle coperte spesse che la coprivano e per l’agitazione che l’aveva animata da quando lei e Nicola erano arrivati a casa sua, dove anche lei sarebbe rimasta a dormire. Non che credesse davvero di riuscire ad addormentarsi, non con lui accanto e con la consapevolezza che avrebbero fatto meglio a discutere di certe cose, piuttosto che riposare – o far finta di farlo.
Si spostò leggermente più in là, verso il bordo del materasso, fino a non toccare più la pelle nuda del braccio di Nicola. Lo sentiva respirare regolarmente, accanto a sé, e per un attimo Caterina credette che si fosse già addormentato. Non si era infilati a letto da molto: dovevano essere passati a malapena dieci minuti, ed era bastato quel lasso di tempo per farle scoppiare il cuore dall’ansia. Se ne rimase in quella posizione ancora qualche secondo, gli occhi rivolti verso il soffitto senza realmente osservarlo: quel silenzio, rotto solo dal respiro di Nicola e dal suo, le sembrava irreale.
Si sarebbe voluta alzare subito da quel letto, prendere ancora un po’ di tempo per cercare di iniziare a parlare con mente lucida e calmarsi altrove, ma preferì crogiolarsi ancora un po’ nelle coperte, col proprio corpo ancora cullato dal calore dell’altro. Bastarono pochi altri minuti per convincersi a mettere un piede fuori dal caldo rifugio in cui se ne stava, stringendosi addosso la maglietta oversize che stava indossando. Non aveva davvero una meta precisa, e le sarebbe bastato fare solo qualche passo, da sola, lontano da Nicola e da quel silenzio pesante. Ringraziò il fatto che in quella casa ci fossero solo loro due in quel momento; on ricordava esattamente dove fossero andati i genitori di Nicola, né quando sarebbero rientrati, ma poco le importava. Preferiva così, che fossero soli, senza qualcun altro a cui rendere conto o a cui fare attenzione per non farsi scoprire.
Camminò velocemente con i piedi nudi a contatto sul pavimento freddo, diretta verso il bagno. Non si voltò indietro, nemmeno per controllare se Nicola fosse sveglio e la stesse seguendo, o se si fosse svegliato e la stesse solamente guardando. Forse si era davvero addormentato, e le sarebbe toccato svegliarlo dopo, quando sarebbe tornata con la precisa idea di parlargli.
Proseguì con lo stesso passo cadenzato fino a quando non raggiunse la porta a cui era diretta, richiudendosela alle spalle. Il senso di vuoto che l’aveva attanagliata da un’ora prima fino a quel momento era ancora presente, e non sembrava lasciarle scampo. La desolazione di quella casa buia rispecchiava malinconicamente la sensazione che sentiva.
Si lasciò scivolare con la schiena contro il muro candido, accanto alla vasca, fino a quando non si sedette sulle mattonelle fredde, le gambe piegate e la fronte contro di esse.
Era difficile anche solo provare a distrarsi per calmarsi, lì in quella stanza che le appariva quasi asettica. Più difficile, almeno, di quanto era stato in pizzeria, luogo che però alla fine aveva dovuto lasciare per seguire Nicola a casa sua, come previsto già da due settimane prima, quando una sera, in videochiamata, si erano ritrovati ad organizzare la serata del suo diciottesimo compleanno.
L’idea di passare la notte a dormire da lui, con lui, era una tortura ed un sollievo allo stesso tempo. Ed era una sensazione che non si era aspettata di poter provare, non da quando si era resa conto che, da quando si vedevano nettamente meno spesso, aveva cominciato ad avvertire la mancanza di vederlo ogni giorno.
Era strana l’idea di non saper decidere cosa potesse prevalere – l’averlo finalmente vicino, averlo accanto a darle forza, o la paura di vederlo allontanarsi ancora di più di quel che era già successo dal suo trasferimento a Venezia.
Era una possibilità che c’era, per quanto la ferisse anche solo il pensiero: forse era la stanchezza mentale che derivava da giornate di lezioni che potevano durare dalla mattina alla sera, il dover badare ad un intero appartamento e non rimanere comunque indietro con lo studio, ma Caterina aveva fatto caso a tutti i piccoli dettagli che denotavano un’attenzione diminuita nei suoi confronti da parte di Nicola. Non che riuscisse a dargli torto per concentrarsi su priorità che, attualmente, non coincidevano con le sue.
Forse quello era anche il motivo per cui non le aveva chiesto più nulla dopo l’incidente avuto tre settimane prima. Poteva essersene dimenticato, in mezzo a tutti gli impegni quotidiani che spesso gli facevano dimenticare, o che lo rendevano troppo stanco la sera, di chiamarla ogni giorno come le aveva promesso prima di partire per Venezia. Era diverso dal Nicola che era prima di iniziare l’università, ma era un mutamento che, in fin dei conti, si era aspettata di dover affrontare: non sarebbe potuto rimanere lo stesso di sempre, con un cambiamento così grande appena avvenuto e con il quale ancora non si era assestato definitivamente.
Ma poteva andare diversamente in quell’occasione – lo sperava con tutta se stessa-, quando gli avrebbe detto quel che stava succedendo.
Si alzò piano, appoggiando i palmi delle mani al muro dietro la sua schiena, facendo qualche passo verso la porta. Passò davanti allo specchio appeso alla parete, ma non si voltò: immaginava già l’espressione terribile del suo volto, senza che le servisse specchiarsi per accorgersene.
Ripercorrere il tragitto inverso le sembrò quasi surreale: una parte di lei avrebbe voluto tornare indietro, da sola e lontana da Nicola, anche se, la parte più razionale, le stava dicendo di continuare a camminare verso di lui. Indugiò qualche secondo di troppo sulla soglia della camera: Nicola era evidentemente sveglio, almeno ora, steso su un fianco e con il cellulare in mano. Doveva essersi svegliato, se prima stava dormendo, forse dopo essersi accorto della sua improvvisa sparizione dall’altro lato del letto. Non appena percepì la sua presenza, mentre camminava ancora verso di lui, alzò gli occhi all’istante dal display illuminato del telefono.
-Va tutto bene?- le chiese, la voce più rauca del solito, probabilmente a causa del risveglio recente.
Caterina annuì, pur consapevole che difficilmente Nicola sarebbe riuscito a distinguere quel movimento nella semioscurità.
-All’incirca- mormorò, sedendosi sul bordo del materasso e senza accennare a rimettersi sotto le coperte.
-Prima mi sembravi un po’ pallida- continuò lui, posando il telefono sul comodino dal suo lato – Sicura di stare bene?-.
Caterina non seppe come sentirsi all’informazione che Nicola aveva notato il suo malessere. Non ne era stata troppo sicura: nelle ultime settimane aveva notato ben poco di lei, quasi fosse preso da qualsiasi altra cosa tranne che dai suoi stati d’animo.
Per un attimo pensò di mentirgli ancora, dirgli che andava tutto bene e che era solo stanca. Sarebbe bastato quello per rimandare la conversazione e chiuderla lì, stendersi al caldo delle coperte e cercare di dormire, rimandare tutto all’indomani. Ma sarebbe significato anche passare altre ore nell’incertezza, e non credeva di esserne in grado.
-No, non sto bene- ammise con un filo di voce – C’è una cosa di cui ti devo parlare-.
Nicola si mise seduto, la schiena poggiata contro la testiera del letto, allungandosi per accendere la lampada sul comodino. Ora che non si trovavano più nella quasi oscurità, Caterina si sentì terribilmente vulnerabile.
-Dimmi- le mormorò lui, in attesa.
Caterina continuò ostinatamente a non girarsi nella sua direzione. Era l’unico modo che aveva, ora, per non guardarlo in viso, per non scoprire che espressione avrebbe assunto non appena gli avrebbe detto tutto.
Ed era anche l’unico modo per proteggere anche il suo viso, impedirgli di osservare la paura farsi sempre più visibile. Prese un respiro profondo, cercando ancora una volta di rallentare i battiti del proprio cuore, ma non c’era alcun modo per riuscirci. Non ce n’era uno nemmeno per rimandare, ormai.
-Credo … - si morse il labbro inferiore, la voce che le tremava per l’agitazione – Ho un ritardo di quasi una settimana, ormai-.
La prima cosa che notò, subito dopo averlo detto, fu il silenzio che era calato. Non seppe cosa aspettarsi per lunghi secondi, prima che la voce di Nicola le giungesse inaspettatamente pacata:
-Può capitare, no?- le domandò, qualsiasi cadenza d’ansia totalmente assente. Caterina si voltò verso di lui a tratti scioccata, osservandolo finalmente in volto: sembrava stessero parlando del più e del meno, come se nulla fosse. Era tranquillo, totalmente rilassato.
-Proprio dopo quel che è successo tre settimane fa?- lo incalzò, mantenendo un tono calmo con difficoltà. Forse Nicola era ancora mezzo addormentato e aveva faticato a capire dove volesse andare a parare: tanto valeva, ormai, dargli un aiuto.
Non fu di nuovo agitazione quella che ricevette da Nicola, ma solo uno scrollare di spalle:
-Quel che è successo tre settimane fa non è nulla di grave- replicò vagamente stizzito.
“Tanto non saresti comunque tu quello che rischia di più”.
Caterina sbuffò sonoramente, incredula, presa così tanto alla sprovvista da non sapere bene nemmeno cosa dire.
-Nulla di grave?- ripeté, la voce malferma – Beh, certo che non lo è, infatti il mio ciclo non arriva perché non gli va-.
-Sai meglio di me che basta un po’ di stress per renderlo irregolare- puntualizzò ancora una volta Nicola, ora solo in parte meno tranquillamente di prima – Siamo stati entrambi stressati in queste settimane, e sono sicuro che non ci sia nulla di cui preoccuparsi-.
Caterina lo guardò immobile per diversi secondi. Non si era aspettata un risvolto del genere, non del tutto. Era come se non ci fosse nulla che stesse spingendo Nicola anche solo a interessarsi realmente alla cosa che gli aveva appena rivelato, come se le sue certezze fossero a tal punto incrollabili da non lasciarlo neppure per un secondo credere che potesse essere vero che qualcosa era andato storto.
-Rischiamo una gravidanza e non c’è nulla di cui preoccuparsi?- Caterina sentì pizzicare gli occhi, le lacrime che spingevano per uscire a causa della rabbia e l’incredulità crescenti. Guardava Nicola, ma le sembrava di vedere qualcun altro al posto suo.
-Invidio la tua calma e la tua fiducia incrollabile in te stesso-.
Per un attimo ripensò alla Puglia, a quando dopo giorni – settimane- di incomprensioni e silenzi si erano finalmente parlati. Quello che stava invece passando in quel momento preciso, in quella stanza da cui avrebbe voluto solo scappare, era nettamente peggio. L’apparente disinteresse di Nicola era definitivamente peggiore del silenzio che li aveva distanziati.
-Lo sto dicendo proprio perché non stiamo rischiando niente- la voce di Nicola non sembrò alterarsi più di tanto. Le parve quasi annoiato.
Caterina si sentì come se avesse appena sbattuto con la faccia contro un muro.
-Tanto sono io quella che rischia di più, no?- replicò con voce rotta, cercando di trattenersi dal lasciarsi andare al pianto nervoso – Tu puoi sempre lavartene le mani, in quel caso-.
Lo sguardo che ricevette da lui fu freddo e atono, quasi peggiore che se le avesse urlato addosso.
-Sei evidentemente agitata, quindi farò finta di non aver sentito-.
Caterina sentì la prima lacrima scorrerle lungo la guancia sinistra, quella rimasta più in ombra. Si coricò di fianco sul materasso prima che anche il resto delle lacrime fossero troppo evidenti, ed anche per evitare di incrociare ancora il volto di Nicola. Forse, vedendola così, quella conversazione – quello strazio- sarebbe finalmente finita, e le sue conseguenze sarebbero state visibili solo dal mattino dopo.
Sentì Nicola muoversi sul letto, a poca distanza da lei, senza però avvicinarsi. Forse era quello l’unico gesto che a Caterina sarebbe bastato dopo avergli confidato le sue paure: una carezza, una parola di incoraggiamento, anche solo un abbraccio. Non c’era stato nulla di tutto ciò, se non un minimizzare estremo.
Era come se, nonostante i pochi centimetri fisici a separarli, ci fosse in realtà un muro invalicabile.
-Prova a non pensarci per qualche giorno, a concentrarti su altro, e vedrai che tutto tornerà normale- Nicola parlò ancora dopo alcuni minuti, stavolta riappropriandosi del tono calmo di prima, almeno in apparenza.
Non vederlo più in faccia stava comunque facilitando le cose:  rendeva il senso di tradimento, di puro disinteresse, meno pressante, anche se ancora presente.
-Se ne sei convinto tu- mormorò di rimando Caterina, a voce così bassa che temette che Nicola non l’avrebbe sentita.
-Ne sono convinto, sì- ribadì lui, con convinzione – È solo stress, e ora sei anche in ansia, e di certo non sta aiutando-.
Era un ragionamento che aveva una sua logica, Caterina lo sapeva, e probabilmente detto in maniera più delicata avrebbe portato a tranquillizzarla almeno in parte. Parole però dette così freddamente, con distacco, non l’avrebbero mai fatta stare meno in ansia.
Rimase ferma in quella posizione, quasi sull’orlo del materasso, attendendo solo che Nicola si decidesse a spegnere la luce. Dovettero passare altri minuti di silenzio, ed ancora c’era quella luce giallognola a rischiarare la stanza, e a renderla prigioniera.
-Hai intenzione di continuare a ignorarmi?-.
“Ignorarti come hai fatto tu con me”.
Caterina chiuse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire dagli occhi.
-Voglio solo dormire- sussurrò – Sono stanca-.
Non badò più molto a Nicola, ma ebbe la sensazione che si fosse deciso a darle ascolto. Lo sentì coricarsi, finalmente, senza avvicinarsi a lei o attirarla a sé.
-Va bene. Ne riparleremo tra qualche giorno- le rispose, prima di spegnere la luce. Caterina si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, anche se nel silenzio e nell’oscurità della stanza, stava ancora lottando contro se stessa per non lasciarsi andare ad un pianto liberatorio o per alzarsi ed andarsene da lì.
Ripercorse velocemente le parole che si erano detti in quei minuti appena passati, quanto fosse stata lapidaria la sensazione di solitudine che aveva provato. Nicola non sembrava capire, e non avrebbe capito comunque. Aveva sperato di trovare un appoggio in lui, e si era ritrovata liquidata in poche parole, come se nulla fosse.
Trattenne a stento un singhiozzo. Si sentì nuovamente crollare a pezzi, scivolare sempre più distante da  Nicola, appeso a lei ormai solo ad un filo sottile, che difficilmente si sarebbe potuto rigenerare.
 
*
 
-Che ha detto?-.
La voce di Giulia le era parsa insolitamente esitante, quasi si fosse lanciata in quella domanda chiedendosi ancora se fosse il caso di portare la loro conversazione verso quella direzione. Non che Caterina non se lo aspettasse.
Erano corridoi affollati, quelli del Virgilio appena dopo un minuto che era suonata la campanella del primo intervallo. Era l’ultimo giorno di settembre, un qualsiasi lunedì che apriva l’ennesima settimana di scuola.
Caterina sospirò a fondo, facendo aderire meglio le spalle contro il muro dietro di sé; lei e Giulia si erano fermate lungo un corridoio del pianterreno dell’istituto, appiccicate ad un termosifone ancora freddo e che lo sarebbe stato ancora per un po’.
Abbassò lo sguardo, non del tutto convinta di voler ripetere di nuovo la stessa conversazione che avevano avuto il giorno prima, per messaggio, quando a Giulia aveva raccontato com’era finita la serata con Nicola.
 


Mancavano pochi minuti all’inizio delle lezioni, si rese conto Caterina controllando l’ora dal display del proprio cellulare. Erano sufficienti in ogni caso per una chiamata al volo.
Aprì la rubrica per cercare il nome della persona che doveva chiamare, senza nemmeno porsi il dubbio che poteva ancora stare dormendo – d’altro canto al lunedì lezione solo nel pomeriggio: non c’era alcun motivo per cui dovesse essere già sveglio prima delle otto.
Rimase di fronte all’entrata di uno dei bagni del Virgilio, mentre aspettava con nervosismo che gli squilli di attesa terminassero. Aveva portato il telefono all’orecchio sperando che la questione potesse essere sbrigata con velocità, ma Nicola ci stava mettendo troppo a rispondere. Cominciava a sospettare che stesse davvero ancora dormendo.
Quando stava per esaurire le speranze, udì finalmente gli squilli finire e un sospiro provenire dall’altra parte della linea.
-Pronto?-.
La voce di Nicola era effettivamente impastata come se si fosse appena svegliato. Caterina non vi badò troppo: tra poco sarebbe dovuta andare in classe, e in qualsiasi caso non aveva la minima intenzione di far durare quella chiamata oltre i tre minuti.
Per quel motivo andò subito al sodo:
-Mi è arrivato il ciclo, a quanto pare-.
Si era immaginata dire quelle parole di sollievo quasi urlando dall’entusiasmo, ma in realtà le pronunciò con indifferente freddezza, come se stesse parlando del meteo. Dall’altra parte arrivò qualche secondo di silenzio, forse il tempo che servì ad un appena sveglio Nicola per processare l’informazione.
-Vedi? Te l’avevo detto- lo ascoltò mormorare infine – Era solo questione di giorni-.
Caterina ebbe voglia di interrompere la chiamata subito, senza nemmeno rispondergli, ma si costrinse a soffocare quel senso di nausea.
-Già-.


 
-Che come previsto era un falso allarme- Caterina ricordò con amarezza le parole che si era scambiata qualche ora prima con Nicola, prima di entrare in aula per la prima ora di lezione.
L’espressione di Giulia non si fece meno rabbuiata, segno che la delusione doveva essere anche sua. Forse aveva riposto migliori aspettative in Nicola, soprattutto dopo aver saputo com’era andata sabato sera. In quello Caterina era senz’altro avvantaggiata: non farsi aspettative serviva a non cadere nell’illusione che le cose sarebbero migliorate.


 
Dopo quella sua risposta laconica, Nicola doveva essersi sentito a disagio. Caterina non poteva vederlo in faccia, ma sapeva che il silenzio che ne era seguito era solo perché non sapeva che altro dirle. Forse si era reso conto persino lui di essere caduto nell’indelicatezza peggiore possibile, senza saperne come uscire.
O forse, semplicemente, stava solo cercando un modo per riattaccare senza farla sentire ulteriormente ignorata.
-Dai, questo weekend magari cambio programma e torno a Torre San Donato- disse dopo diversi secondi, con voce forzatamente felice – Possiamo andare da qualche parte, se vuoi-.
Caterina alzò un sopracciglio:
-Non devi studiare?-.
Era stato il motivo per il quale si erano visti pochissimo, nelle ultime settimane. Nicola era rimasto fedele a ciò che aveva detto giusto poco prima di tornare a Venezia: aveva tutta l’intenzione di non trascurare l’università – a discapito di lei.
-Sì, ma mi posso organizzare-.
Sembrava quasi essere un contentino che si sentiva in vena di darle dopo aver finalmente avuto l’evidenza di aver avuto ragione su tutta la linea. Caterina non credeva nemmeno gli andasse poi così tanto di vederla a distanza di così pochi giorni, dopo il modo gelido in cui si erano lasciati il giorno prima, quando nella mattinata di domenica l’aveva riaccompagnata a casa senza quasi spiccicare parola.
Sospirò a fondo: non aveva voglia di farglielo notare e litigare al telefono. Non aveva proprio voglia di parlargli di nulla.
-Fa come vuoi- tagliò corto.


 
-Vuole tornare a casa durante il prossimo weekend, portarmi da qualche parte- aggiunse, solo per riempire il vuoto generato dall’assenza di qualsiasi commento di Giulia.
La vide di sottecchi girarsi meglio verso di lei, il viso oscurato dallo scetticismo:
-E a te va?-.
Caterina piegò le braccia contro il petto, gli occhi alzati verso il soffitto:
-Non ho nessuna voglia di vederlo. Non subito- ammise a mezza voce.
La voglia di piangere era persistita per tutto il resto del weekend, dopo essere tornata a casa. E stava resistendo anche in quel momento: sarebbe stato liberatorio poter piangere direttamente lì, sfogare tutta l’amarezza e la rabbia che ancora provava.
Aveva davvero creduto che dopo la vacanza in Puglia le cose tra lei e Nicola sarebbero migliorate, ed era effettivamente stato così. Almeno fino a due giorni prima.
Era una consapevolezza che la feriva ancor di più, perché significava che l’allontanamento che avevano vissuto ad agosto non era servito a nulla, e non aveva fatto loro imparare niente di utile.
-Tu che faresti al posto mio?- si lasciò sfuggire a mezza voce, voltandosi appena verso Giulia.
La osservò riflettere in silenzio, prima di alzare le spalle:
-Non ne ho idea- ammise, sospirando – È che credo che tu e Nicola abbiate un rapporto molto diverso da quello mio e di Filippo, e nel nostro caso forse le cose sarebbero andate molto diversamente-.
Caterina annuì: non c’erano dubbi che se al posto suo ci fosse stata Giulia, Filippo non l’avrebbe mai fatta sentire dimenticata come aveva fatto Nicola. Su quello poteva scommetterci.
-Però non penso che a Nicola non fregasse nulla di come stavi- la voce di Giulia interruppe il suo flusso di pensieri – Forse si è espresso male, e non ti ha fatta sentire abbastanza supportata pur non essendo quello che voleva-.
Il problema era proprio quello, rifletté Caterina: non aveva avuto alcuna garanzia di supporto quando ne aveva avuto più bisogno, anche se poi la questione era scoppiata e sparita come una bolla di sapone. Che sarebbe successo se non si fosse risolta da sola? Non osava nemmeno pensarci.
-Credevo che le cose sarebbero migliorate dopo essere tornati dalla Puglia. Per un periodo è sembrato così- confessò a Giulia, con sguardo malinconico.
-E invece?-.
Caterina rise con amarezza, la voce totalmente priva di qualsiasi allegria:
-Invece mi sembra che stiamo tornando ad essere due sconosciuti che fanno finta di stare insieme-.
Percepì il tocco leggero della mano di Giulia sulla sua spalla, in un gesto di tacito incoraggiamento.
-Non essere così drastica- le mormorò con dolcezza  -Ora sei ancora arrabbiata. Andrà meglio tra qualche giorno-.
“O forse non andrà meglio mai”.
 
*
 
Accelerò appena il passo, mentre la campanella che segnava l’inizio del secondo intervallo le risuonava nelle orecchie. Caterina dette un’ultima occhiata alla porta chiusa della 5°A, chiedendosi quanto ci avrebbero impiegato Giulia o Valerio a finire il compito di matematica, il primo dell’anno. Forse, pensò con orrore, sarebbe potuto servire loro tutto il tempo extra dell’intervallo che il professore aveva concesso a chi, suonata la campanella, doveva ancora finire.
Sbuffò sconsolata: era stata tra i pochi dei suoi compagni a consegnare entro la fine dell’ora, sebbene non pensasse di avere fatto una verifica eccelsa. Ma d’altro canto starsene lì a ricontrollare per l’ennesima volta gli esercizi non sarebbe servito granché, non quando la concentrazione era pressocché inesistente. Quel lunedì era iniziato male, e stava continuando pure in maniera peggiore.
“Un bel modo per iniziare la settimana”.
Senza nemmeno accorgersene del tutto era finita nei pressi della 5°A dell’indirizzo elettronico. Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo, prima di individuare Giovanni, fuori dalla classe e fermo a parlare con un suo compagno che Caterina conosceva solo di vista. Lo vide girarsi a sua volta pochi secondi dopo, forse sentendosi osservato; ebbe la certezza che sarebbe venuto verso di lei praticamente subito, forse dallo sguardo ancora apprensivo che le stava rivolgendo.
Quando qualche attimo dopo aveva liquidato il suo amico e si era diretto verso di lei, Caterina non fece nulla per evitarlo. Aveva già una vaga idea di cosa lo stesse spingendo ad avvicinarsi a lei.
-Ehi- la voce di Giovanni la raggiunse per prima, e Caterina gli restituì il saluto con un cenno e un sorriso forzato – Come stai?-.
Caterina alzò le spalle:
-Potrebbe andare meglio- gli disse piuttosto sinceramente. Si era aspettata quella domanda: forse Giovanni aveva atteso tutto il weekend per fargliela, o forse, semplicemente, gli era tornata in mente la loro conversazione del venerdì prima nel momento in cui l’aveva vista. Era un dettaglio secondario, in ogni caso, perché alla fine era lì, a chiederle come stava, a preoccuparsi ancora una volta per lei.
Giovanni annuì gravemente:
-Sempre lo stesso problema della settimana scorsa?- le chiese ancora, tenendola osservata con gli occhi azzurri.
-All’incirca- Caterina si morse il labbro inferiore, totalmente impreparata a quel loro scambio – Scusa se sono vaga, ma non mi va di parlarne molto-.
La prima risposta di Giovanni fu un sorriso rassicurante, che ebbe davvero l’effetto di renderla meno nervosa di quel che si sentiva da quando aveva telefonato a Nicola quella stessa mattina.
-Tranquilla, non mi devi dire nulla che tu non voglia. Volevo solo sapere se avevi risolto-.
Caterina abbassò gli occhi per un attimo: era una risposta difficile, quella, da dare. Forse il problema maggiore era tornato a non esistere … Facendone nascere però un altro, per certi versi ben peggiore.
-Ho parlato con Nicola, ma le cose non sono andate come previsto- si lasciò sfuggire a mezza voce.
-Si è arrabbiato?-.
Anche se non lo stava guardando direttamente in viso, Caterina riuscì a percepire la sorpresa e la delusione intrise nella voce di Giovanni. Sembrava quasi esserci rimasto più male di quanto non avesse fatto Giulia quando le aveva raccontato tutto.
-No, è che … - Caterina scosse il capo, rassegnata – Pensavo che avrei trovato supporto da parte sua. Non è andata così-.
Si sentì investire da un’ondata di malinconia ancor più forte di quando aveva ripercorso con Giulia tutta la conversazione disastrosa avuta con Nicola; non aveva idea del perché dirlo a Giovanni la stava facendo sentire ancor peggio.
Scrollò le spalle, schiarendosi la gola a disagio:
-Però almeno il problema che avevo si è risolto da solo- aggiunse con voce sommessa, consapevole che Giovanni la stava continuando a guardare con espressione grave.
-Almeno quello- lo sentì rispondere – Mi dispiace, però. Mi sento un po’ in colpa per averti suggerito di parlargli-.
Sembrava sincero e realmente pentito, e Caterina gli rivolse un sorriso triste:
-Non è colpa tua. È lui che avrebbe dovuto comportarsi diversamente- gli disse, stringendosi nelle spalle e facendo un passo in avanti nella sua direzione – Tu mi avevi dato un buon consiglio-.
-Magari è un brutto momento per voi ora, ma è normale in una coppia. Vedrai che andrà meglio-.
Erano le stesse parole che le aveva rivolto Giulia, e per quanto chiunque attorno a lei sembrasse esserne sicuro, Caterina ne stava perdendo la certezza ogni minuto che passava.
-Se devo essere sincera, comincio a non esserne più molto convinta- ammise, con un sorriso amaro stampato sulle labbra.
Giovanni le sorrise a sua volta:
-Se avrai bisogno di parlare con qualcuno, comunque, sono qui-.
C’era stato un tempo, durante quello stesso anno, in cui Caterina avrebbe arricciato il naso di fronte ad un’offerta del genere. Un tempo in cui aveva pensato che Giovanni potesse in un certo modo minacciare quello che c’era tra lei e Nicola; ora, però, c’era ben poco per cui sentirsi minacciati, e l’unico sentimento che gli leggeva in viso era sincera amicizia.
-Lo terrò a mente-.
Lo osservò annuire, comprendendo che la loro conversazione era giunta al suo naturale termine. Sentì un impulso a dirgli ancora alcune parole, prima di vederlo allontanarsi per tornare verso la sua classe.
-Giovanni- lo chiamò, la voce incerta per l’istintività con cui gli si stava rivolgendo. Lo guardò rimanere immobile, gli occhi azzurri fermi in uno sguardo interrogativo.
-Grazie- Caterina si sentì quasi vulnerabile in quel momento di onestà, un groppo in gola che le rendeva difficile parlare – Sei una persona buona-.
Ebbe l’impressione, per la prima volta nell’ultima settimana, che da quella vicenda l’unica cosa positiva che ne era uscita era stata proprio l’aver ritrovato Giovanni. Si rese conto di non sentirsi affatto nel torto quando, inaspettatamente, si ritrovò a considerarlo come un amico.
 







[1] The Script - For the first time
[2] BTS - Singularity
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente alle rispettive band e ai loro autori.
NOTE DELLE AUTRICI
"Tutto è bene quel che finisce bene"... O quasi.
Questo capitolo 60, a quanto pare, inizia con una vera e propria bomba scoppiata dopo qualche settimana rispetto al capitolo precedente 😂 Anche se sappiamo che l'allarme gravidanza è rientrato, non lo ha fatto senza alcune ripercussioni.
Non si può non notare infatti la tensione rimasta tra Caterina e Nicola, una tensione che sembra aver contribuito al consolidamento invece del rapporto tra Caterina e Giovanni, che per ora le ha offerto la comprensione e la vicinanza che Nicola, invece, non le ha saputo dare.
Attenzione però! Gli eventi di questo capitolo sono narrati dal punto di vista di Caterina, senz’altro con la mente annebbiata dall’ansia e dalla paura, e non ci permettono di vedere il punto di vista di Nicola, né di avere una visione puramente oggettiva delle cose ... Teniamo bene a mente questa cosa prima di trarne le conclusioni (che magari scopriremo più avanti). Inevitabilmente, però, questo evento, ovvero la sospetta gravidanza, sarà molto importante per le future dinamiche della coppia, ma non il più importante. Un altro elemento rafforzerà o incrinerà il rapporto dei due ragazzi. Di cosa stiamo parlando? Lo scoprirete nei prossimi capitoli. Nel frattempo lasciateci le vostre supposizioni!
Nel frattempo vi diamo appuntamento al 18 novembre (ci vorrà un po’ di attesa per la lunghezza del capitolo) con il 61 che, udite udite, inizierà con un piccolo salto temporale!
A presto!

Kiara & Greyjoy
 
   
 
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