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Autore: Legar    23/10/2020    9 recensioni
Harry è a bordo dell’Espresso per Hogwarts, quasi arrivato a destinazione. Nel momento in cui si appresta a indossare la sua uniforme scolastica – nuova, ordinata, perfetta – per prepararsi a scendere dal treno, non può che tornargli in mente, per contrasto, la trascuratezza che i Dursley riservavano al suo abbigliamento, e a lui.
[Seconda classificata al contest “La prima volta al primo anno” indetto da Artnifa sul forum di EFP e vincitrice del premio "Titolo più intrigante".]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Intessuto d’amore



A Harry il colore nero non era mai sembrato così intenso, più vero dei suoi capelli perennemente arruffati, e le pieghe di una stoffa mai così lisce e raffinate. Al tatto non era la morbida seta delle sciarpe di zia Petunia o il velluto ruvido delle giacche di zio Vernon, che conosceva per aver lavato e stirato, tuttavia gli pareva quanto di più prezioso avesse mai posseduto. Perché lo era, la sua uniforme scolastica nuova di zecca, e si accingeva a indossarla per la prima volta, mentre l’Espresso per Hogwarts stava per giungere a destinazione e la sua agitazione cresceva.

Come richiesto nella lettera della Scuola che gli aveva consegnato Hagrid, la tunica scura era contrassegnata da una targhetta con il suo nome: si leggeva “H. Potter”, perché quell’indumento era proprio suo, fatto apposta per lui. Nel retro del suo negozio a Diagon Alley, Madama McClan l’aveva fatto salire su uno sgabello per prendergli le misure e realizzarlo della giusta lunghezza, fino ai piedi. Nessuno aveva mai rivolto al suo abbigliamento una tale cura e attenzione ai dettagli. Non aveva mai indossato qualcosa che gli cadesse precisamente addosso.

La sua pelle aveva familiarità con il denim logorato di jeans troppo larghi, il cotone di calzini bucati. Le sue piccole mani si erano rassegnate a infilare le t-shirt smesse di Dudley e a chiudere la cintura che teneva su i suoi vecchi calzoni usurati. Harry aveva l’impressione che suo cugino si impegnasse a rovinare il più possibile gli abiti che sarebbero poi diventati suoi, per il semplice gusto di imporgli un altro dei suoi dispetti, dedicandogli la stessa trascuratezza che riservava persino ai suoi giochi preferiti, prima che non lo fossero più.

Nel buio ripostiglio del sottoscala nell’abitazione dei Dursley non era inusuale scovare dei piccoli ragni, che di tanto in tanto si intrufolavano anche tra le sue cose, e gli toccava cacciarli via, quando era ora di vestirsi al mattino. Non poteva certamente definirli adorabili, ma, almeno, non erano una compagnia volutamente sgradevole nei suoi confronti: le loro zampette non si muovevano per il piacere di calpestare e distruggere, non cercavano divertimento nell’arrecare danno.

Nelle settimane precedenti al suo incontro con Hagrid, aveva creduto che avrebbe avuto per uniforme scolastica dei vestiti usati di suo cugino, che la zia aveva tinto di grigio perché somigliassero alle divise di Stonewall High, la scuola pubblica che avevano scelto per lui. Non si era neanche disturbato a discutere, conscio che le sue proteste sarebbero state inutili, ma la consueta sensazione di inadeguatezza lo aveva sottilmente pungolato, mentre Dudley sfoggiava, passeggiando in salotto, la sua nuova, perfetta tenuta per l’Accademia di Snobkin, con una marsina bordeaux, pantaloni arancioni alla zuava e una paglietta. Negli anni passati era solito manifestare più esplicitamente il suo dissenso, che ora si limitava a sfogare con l’ironia bisbigliata a mezza voce a spese dei suoi spiacevoli parenti. Un giorno si era ostinato a rifiutare di mettere un orrendo maglione marrone con dei pon-pon e quello si era rimpicciolito a dismisura, divenendo meravigliosamente inutilizzabile; adesso sapeva che tutti quegli strani eventi inspiegabili della sua infanzia erano generati dalla magia incontrollata in lui, la magia di suo padre e di sua madre. Pur non rendendosene conto allora, quelli erano i momenti in cui gli erano più vicini.

Nello scompartimento del treno, il grigio scialbo del suo ricordo sfumò nell’impeccabile nero tra le sue mani. Il tessuto non era più abbondante del necessario, a ogni asola non mancava il suo bottone, le maniche terminavano esattamente ai polsi, nessuna macchia o strappo lo alterava. Era assolutamente appropriato. Lui lo era, perché aveva trovato la sua identità.

Tolti gli indumenti Babbani, dozzinali tra i suoi precedenti compagni di classe e atipici nel Mondo Magico, sarebbe apparso uguale a persone abbigliate come lui. Persone come lui, nel posto a cui apparteneva di diritto dalla nascita, pur inconsapevolmente.

«Harry, sei pronto?», gli chiese Ron, già vestito di tutto punto. Lui notò che le sue scarpe si intravedevano dalla tunica, un po’ corta per la sua altezza, ma distolse subito lo sguardo per non mostrare di darvi peso. Era stato nella stessa situazione, dopotutto. Si affrettò a finire di cambiarsi e, quando il treno si fermò, entrambi si prepararono a scendere, nella calca degli altri studenti. Era finalmente arrivato, nella realtà che avrebbe amato poter chiamare casa.

Si guardò in giro, studiando con curiosità il luogo che lo attendeva, che anche i suoi genitori, prima di lui, avevano frequentato. Si domandò se anche loro, vedendolo, all’inizio, fossero stati colpiti analogamente dal complicato intreccio delle torri nel cielo scuro, dalle ampie vetrate contro le quali battevano i rami che si agitavano senza riposo al vento freddo, dalle vaste distese erbose che trattenevano l’acqua delle nuvole intorno al castello. Fu improvvisamente scosso da un brivido e si chiuse più strettamente il mantello addosso. Non poteva dirlo con certezza, ma aveva la piacevole sensazione che la sua nuova uniforme per Hogwarts, nel rigido clima scozzese, avvolgesse ordinatamente la sua figura, confortandolo, come un abbraccio materno con un bambino smarrito.

   
 
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