Intessuto d’amore
A Harry il colore nero non era mai sembrato
così intenso, più vero dei suoi capelli perennemente arruffati, e le pieghe di
una stoffa mai così lisce e raffinate. Al tatto non era la morbida seta delle
sciarpe di zia Petunia o il velluto ruvido delle giacche di zio Vernon, che
conosceva per aver lavato e stirato, tuttavia gli pareva quanto di più prezioso
avesse mai posseduto. Perché lo era, la sua uniforme scolastica nuova di zecca,
e si accingeva a indossarla per la prima volta, mentre l’Espresso per Hogwarts
stava per giungere a destinazione e la sua agitazione cresceva.
Come richiesto nella lettera della Scuola che
gli aveva consegnato Hagrid, la tunica scura era
contrassegnata da una targhetta con il suo nome: si leggeva “H. Potter”, perché
quell’indumento era proprio suo, fatto apposta per lui. Nel retro del suo negozio
a Diagon Alley, Madama McClan
l’aveva fatto salire su uno sgabello per prendergli le misure e realizzarlo
della giusta lunghezza, fino ai piedi. Nessuno aveva mai rivolto al suo
abbigliamento una tale cura e attenzione ai dettagli. Non aveva mai indossato
qualcosa che gli cadesse precisamente addosso.
La sua pelle aveva familiarità con il denim
logorato di jeans troppo larghi, il cotone di calzini bucati. Le sue piccole
mani si erano rassegnate a infilare le t-shirt smesse di Dudley e a chiudere la
cintura che teneva su i suoi vecchi calzoni usurati. Harry aveva l’impressione
che suo cugino si impegnasse a rovinare il più possibile gli abiti che
sarebbero poi diventati suoi, per il semplice gusto di imporgli un altro dei
suoi dispetti, dedicandogli la stessa trascuratezza che riservava persino ai
suoi giochi preferiti, prima che non lo fossero più.
Nel buio ripostiglio del sottoscala nell’abitazione
dei Dursley non era inusuale scovare dei piccoli
ragni, che di tanto in tanto si intrufolavano anche tra le sue cose, e gli
toccava cacciarli via, quando era ora di vestirsi al mattino. Non poteva certamente
definirli adorabili, ma, almeno, non erano una compagnia volutamente sgradevole
nei suoi confronti: le loro zampette non si muovevano per il piacere di
calpestare e distruggere, non cercavano divertimento nell’arrecare danno.
Nelle settimane precedenti al suo incontro
con Hagrid, aveva creduto che avrebbe avuto per
uniforme scolastica dei vestiti usati di suo cugino, che la zia aveva tinto di
grigio perché somigliassero alle divise di Stonewall
High, la scuola pubblica che avevano scelto per lui. Non si era neanche disturbato
a discutere, conscio che le sue proteste sarebbero state inutili, ma la consueta
sensazione di inadeguatezza lo aveva sottilmente pungolato, mentre Dudley sfoggiava,
passeggiando in salotto, la sua nuova, perfetta tenuta per l’Accademia di Snobkin, con una marsina bordeaux, pantaloni arancioni alla
zuava e una paglietta. Negli anni passati era solito manifestare più
esplicitamente il suo dissenso, che ora si limitava a sfogare con l’ironia
bisbigliata a mezza voce a spese dei suoi spiacevoli parenti. Un giorno si era
ostinato a rifiutare di mettere un orrendo maglione marrone con dei pon-pon e quello si era rimpicciolito a dismisura, divenendo
meravigliosamente inutilizzabile; adesso sapeva che tutti quegli strani eventi
inspiegabili della sua infanzia erano generati dalla magia incontrollata in
lui, la magia di suo padre e di sua madre. Pur non rendendosene conto allora,
quelli erano i momenti in cui gli erano più vicini.
Nello scompartimento del treno, il grigio
scialbo del suo ricordo sfumò nell’impeccabile nero tra le sue mani. Il tessuto
non era più abbondante del necessario, a ogni asola non mancava il suo bottone,
le maniche terminavano esattamente ai polsi, nessuna macchia o strappo lo
alterava. Era assolutamente appropriato. Lui lo era, perché aveva trovato la
sua identità.
Tolti gli indumenti Babbani,
dozzinali tra i suoi precedenti compagni di classe e atipici nel Mondo Magico, sarebbe
apparso uguale a persone abbigliate come lui. Persone come lui, nel posto a cui
apparteneva di diritto dalla nascita, pur inconsapevolmente.
«Harry, sei pronto?», gli chiese Ron, già
vestito di tutto punto. Lui notò che le sue scarpe si intravedevano dalla
tunica, un po’ corta per la sua altezza, ma distolse subito lo sguardo per non
mostrare di darvi peso. Era stato nella stessa situazione, dopotutto. Si
affrettò a finire di cambiarsi e, quando il treno si fermò, entrambi si prepararono
a scendere, nella calca degli altri studenti. Era finalmente arrivato, nella
realtà che avrebbe amato poter chiamare casa.
Si guardò in giro, studiando con curiosità il luogo che lo attendeva, che
anche i suoi genitori, prima di lui, avevano frequentato. Si domandò se anche
loro, vedendolo, all’inizio, fossero stati colpiti analogamente dal complicato
intreccio delle torri nel cielo scuro, dalle ampie vetrate contro le quali
battevano i rami che si agitavano senza riposo al vento freddo, dalle vaste
distese erbose che trattenevano l’acqua delle nuvole intorno
al castello. Fu improvvisamente scosso da un brivido e si chiuse più
strettamente il mantello addosso. Non poteva dirlo con certezza, ma aveva la
piacevole sensazione che la sua nuova uniforme per Hogwarts, nel rigido clima
scozzese, avvolgesse ordinatamente la sua figura, confortandolo, come un
abbraccio materno con un bambino smarrito.