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Autore: Angels4ever    23/10/2020    4 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Benvenuti all'inferno" indetto da Artnifa sul forum di Efp.
Isabella, una giovane ragazza inglese, è convinta che la sua vita sia un sogno e che non appena si sveglierà tutto svanirà. Ciò la spinge a fare cose "stupide". Come andrà a finire?
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sua sfera di cristallo
 
 
 
 
Sbatté la tazza di caffè fumante sul tavolo. Delle gocce color petrolio caddero nel caos che aveva creato.
Si diresse a passo deciso verso il cameriere che per tutta la mattina le aveva fatto dei buffi occhiolini: era un tipo strano, proprio da sogno. E non nel senso di bello e affascinante.
Era il classico individuo che si palesa nei sogni delle giovani ragazze quando stanno dormendo al caldo nei loro letti, di notte e sotto le coperte.
Una zazzera di capelli arancioni incorniciava un viso pieno di minuscole lentiggini: due grandi occhi verdi brillavano talmente tanto da sembrare quasi finti e le labbra erano sottili e insicure, disegnate con meticolosità. In petto, a sinistra, una targhetta un po’ storta mostrava il suo nome, “George.”
«Senti un po’, “Georgie”, che diavolo hai da ammiccare?»
Il ragazzo impallidì così tanto da far quasi diventar invisibili le sue lentiggini.
Guardò la giovane donna che aveva di fronte, probabilmente sui vent’anni, strabuzzando gli occhi color smeraldo e sperando con tutto il cuore che si stesse rivolgendo a qualcun altro. Ma il locale era semi-deserto: c’erano solo loro due ed un’anziana signora seduta in disparte.
«I-io… Miss, io non ho… cioè, forse sì… ma vede io… non volevo, non ne posso farne a meno.»
Isabella alzò un sopracciglio, confusa. La gente introversa la infastidiva, la gente balbuziente la mandava fuori dai gangheri. Perché un tipo del genere era nel suo sogno?
Scosse la testa e fece per uscire dalla tavola calda, sorridendo per quella meravigliosa giornata di sole; lì era al sicuro; lì, dove nulla era reale, era salva. Il suo sogno, un po’ troppo lungo effettivamente, era il suo “paese delle meraviglie”, solo senza regina di cuori o pericoli mortali.
«Ehi Miss, dove diavolo sta andando?»
«A fare una passeggiata!»
«Si è dimenticata di pagare…»
Isabella lanciò uno sguardo al posto dove cinque minuti prima era seduta e dove ormai vi era solo una pila di piatti e bicchieri; si era lasciata andare ai dolci, alla libertà. Aveva ordinato dei pancake, una fetta di cheescake, un muffin, un caffè rigorosamente amaro, un milkshake alla fragola… lei che era allergica alle fragole aveva potuto gustarne finalmente il sapore.
«Georgie, non essere idiota. È un sogno! Perché dovrei pagare?!»
Uscì dal locale scoppiando e ridere e scuotendo la testa per l’assurdità del suo ospite.
Attraversò la strada senza badare alle macchine che passavano, tanto non sarebbe morta.
La gente le urlava di prestare attenzione, con epiteti poco carini; i clacson suonavano. Eppure, lei sorrideva allegramente.
Cento prove diverse che stesse vivendo un sogno la circondavano: innanzitutto su Londra c’era il sole. In pieno febbraio. Inoltre, era quasi deserta. Una città in genere brulicante di gente era quella mattina particolarmente silenziosa.
Certo che era un sogno! Non poteva essere altrimenti.
L’ennesima conferma arrivò quando si ritrovò in cima ad un albero in St James’s Park, lei che soffriva di vertigini. E per cosa? Perché le era venuta la malsana idea di acciuffare uno scoiattolo particolarmente buffo.
Era lì in cima, senza la minima paura, senza vacillare, con l’animaletto che la fissava.
Allungò una mano: erano l’uno di fronte all’altra, poté avvertire le vibrazioni dei baffi del mammifero che annusava il suo palmo aperto, chiedendosi se potesse fidarsi di un’umana.
«Ehi, ma cosa sta facendo?»
Isabella guardò in basso, dove persone agitate strepitavano alla sua vista.
«Signorina, stia calma! Non si agiti!»
Urlavano. Strabuzzavano gli occhi.
Delle donne troppo suscettibili, invece, distoglievano lo sguardo.
Lei era lì, in cima al mondo, nella sua sfera di cristallo. E davvero non riusciva a capire.
«Non preoccupatevi! È soltanto un sogno! Questo è il mio sogno! Siete tutti nel mio sogno!» urlò per farsi sentire ed ottenne, forse, l’aspettativa auspicata perché la piccola folla tacque.
Un passo dopo l’altro, con calma e meticolosità, reggendosi bene ai rami, ridiscese.
La gente la fissava incredula, senza proferir parola, chiedendosi cosa dovesse fare: chiamare un’ambulanza? Cercare la famiglia? Forse se l’avessero reputata un pericoloso per sé stessa – e a quanto pare lo era – avrebbero provveduto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
«Tesoro, c’è qualcuno che possiamo chiamare?»
Una donna si avvicinò titubante, accarezzando il braccio di Isabella con fare materno, cercando di incurvare le labbra in un sorriso. Ma la ragazza, persino nella sua convinzione, nel suo mondo, ne lesse la semplice pietà.
«Ehi, non sono il tuo tesoro. Nemmeno ti conosco! Perché non sparisci dal mio sogno?»
«Ma cara… questo non è un sogno, fa paura lo so. Ma è la realtà.»
“Oddio, ma questa è completamente pazza”.
«Ascolti signora…?»
«Amelia.»
«Bene, signora Amelia. Mi dispiace proprio dirglielo. Ma lei.Non.Esiste. Vede questo?»
Aprì le braccia in un semi-cerchio per indicare la schiera di curiosi che ancora non sembrava aver intenzione di andar via, gli alberi e gli scoiattoli del parco. «… tutto questo non esiste.»
La donna sospirò, senza lasciare che il suo sorriso impietosito sparisse.
Era irritante.
Per Isabella quella donna era irritante; tutto in lei la irritava. Perché era nel suo sogno, nel suo mondo, nella sua sfera di cristallo? Non la conosceva. Non l’aveva mai vista. Non doveva essere lì.
«Posso almeno darle un passaggio a casa, Miss?»
 
Suo padre sembrava furibondo. I baffi alla francese che portava ultimamente erano più arricciati del solito. Non ce l’aveva con lei ma con sua moglie, le cui lacrime sgorgavano copiose.
«Mi sono distratta solo pochi minuti.» piagnucolò Elisabeth.
«Mamma, papà, adesso basta! Sto per svegliarmi, lo sento. Tra poco svanirà tutto.»
Robert guardò la figlia esasperato, cercando di spiegarle di nuovo il concetto di “disturbo di derealizzazione”, ma era tutto inutile.
Isabella scoppiò a ridere, rise finché non ebbe i crampi allo stomaco (anche se probabilmente i crampi erano dovuti anche all’enorme quantità di cibo ingurgitato per una persona così minuta).
Sua madre, il naso colante e gli occhi gonfi, si inginocchiò ai piedi della figlia e le prese le mani tra le proprie.
«Guarda Isabella, guarda il braccio.»
Lei obbedì meccanicamente e li vide, dei minuscoli puntini rossi.
Allergia da fragole.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
 
Buona sera!
E’ la prima volta che scrivo un’originale (almeno credo), ma non potevo perdermi questa stupenda opportunità, soprattutto da futura psicologa!
Il contest prevedeva vari personaggi: ognuno aveva un disturbo; io ho scelto “Isabella”, che appunto è convinta che la sua vita sia un sogno.
Ho avuto pochissimo tempo per scriverla, avrei voluto e avrei potuto fare molto meglio… spero comunque che sia stata una lettura piacevole.
A presto,
 
Giulia.
 
 
  
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