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Autore: Miryel    23/10/2020    4 recensioni
«Tony, non c'è amore, non c'è traccia di sentimento. Non c'è chimica, non c'è attrazione fisica, non c'è niente di tutto questo ma…», esordì Peter, poi la sua voce si fece microscopica. «Dimmi che lo senti anche tu.» Si morse le labbra e gli occhi gli si illuminarono di speranza.
Cosa? Quell'irrefrenabile desiderio di non smettere un solo istante di parlare con lui? Sì, lo sentiva.
«No. Non lo sento. Non sento niente di niente.» Mentì.
[Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Howard Stark, Jarvis, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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  [Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]

«Non pensavo che mi sarei innamorato di qualcuno nel modo in cui mi sono innamorato di lui. 
E certamente mai avrei immaginato per un momento che due persone potessero innamorarsi a vicenda e che non potessero stare insieme.  
Onestamente, mi distruggo ancora per questo concetto.»
- Ranata Suzuki
 


Rewrite
  The
  Stars


«You claim it's not in the cards Fate is pulling you miles away
And out of reach from me But you're here in my heart
So who can stop me if I decide That you're my destiny?»


Graphic by @Fuuma ♥



 
 
| Capitolo V
 

   

           Avevano solo passato la sera abbracciati, tutto qui. Non c'era stato un solo motivo di desiderarlo in altri modi che quello — di parlare tutta la notte di lui, scoprirlo, chiedergli ad ogni sospiro sulle sue labbra chi accidenti fosse e rubargli baci che sapevano di risposte. Mai esaurienti, eppure parevano colmare ogni istante un vuoto dentro che Tony sentiva da una vita. Forse da sempre. Inalò il suo profumo, col naso incastrato nella sua spalla. Peter, disteso sotto di lui, gli accarezzava la testa e gli raccontava di sé. Lo avrebbe ascoltato sorprendentemente per ore e a Tony, degli altri, non era mai importato un granché; mai così tanto. Lo zittì con un bacio sulle labbra, poi gli chiese con gli occhi di andare avanti, di non fermarsi. Gli chiese il permesso di viverlo ogni istante. 

«Sicuro che ti interessi davvero, quello che dico?», mormorò l'altro, e Tony alzò gli occhi al cielo. Puntellò un gomito al materasso e gli passò una mano tra i capelli. Peter aveva qualcosa negli occhi che non riusciva ad ignorare. Era qualcosa che sapeva di invalicabile, ma che lui si sentiva di poter raggiungere con un solo, fugace battito di ciglia contro le sue. 

«Ogni singola parole», sillabò, arrogante.

Peter sbuffò divertito. «Ed è per questo che continui a zittirmi? O perché ho una parlantina insopportabile?»

«Anche per quello», ammise, prima di scoppiare a ridere di fronte al labbro tremolante di Peter, segno che c’era rimasto male, ma forse non così tanto. Forse nemmeno per davvero. «Sto solo cercando di capire perché non c’è modo che io riesca ad alzarmi da qui e me ne vada. So che sarebbe la cosa più giusta da fare, ma non ci riesco. Sono convinto di essere sotto l'effetto di un maleficio, ma sento che c’è qualcosa di tremendamente affascinante, in tutta questa ordinarietà che ti porti dietro che mi tiene incollato qui.»

«Oh», esordì Peter, con un velo di delusione negli occhi che a Tony causò una breve risata nasale. «Sono noioso, dunque. Non che avessi dubbi, a riguardo, ma detto così…»

«No che non sei noioso! Accidenti Peter, ho forse usato quella parola? Ordinario non vuol dire per forza che tu sia... ordinario», sbottò. Peter lo fissò per un attimo senza alcuna espressione facciale, confuso da quella sua uscita — che comunque pareva assurda anche a lui — poi alzò un sopracciglio e abbozzò un sorriso impacciato. 

«Farò finta di aver capito cosa intendi.» 

«Ehi, senti, è difficile per me, okay? È già tanto se sono qui senza fingere che non me ne importi niente. Dammi tempo, sono troppo stronzo per lasciarmi andare e dire cose romantiche o, che ne so, ammettere più di così che mi importa», si lamentò, e si sdraiò accanto a lui, infilando un braccio sotto alle sue spalle – che Peter accolse con un guizzo divertito – e ne piegó uno sotto la propria testa. Chiuse gli occhi, anche se non sentiva un granello di sonno addosso, pur avendo passato quella notte in bianco. Guardò l’orologio digitale intorno al polso dell’altro e scoprì con un certo stupore che erano le sei del mattino. Fuori dalla finestra, se ci si faceva caso — ora che era sceso il silenzio, si sentivano già i primi rumori del traffico e qualche uccellino cinguettare. In lontananza percepì il suono di una serranda che si alzava, senza alcuna delicatezza. Rumori nuovi, per lui, da sempre abituato alla calma e pacatezza che circondava villa Stark, eppure non era infastidito da quella novità, piuttosto si andava a sommare alle miriadi di cose affascinanti che la vita ordinaria di Peter si portava dietro. 

«Non abbiamo dormito per niente.» 

«Già, ed è molto probabile che tra poco me ne andrò. Forse è stato meglio non aver dormito», sospirò, fissando il soffitto.

«Per approfittare del tempo che ci è stato concesso?», domandò Peter, e gli fece male al cuore sentire la sua testa accoccolarsi di più contro la sua spalla, con una distrazione e naturalezza spiazzanti. Tony si sentì morire dentro, all’idea che avrebbe combattuto volentieri per quella causa – per tutto questo –, ma che non sapeva come fare per vincerla. Non aveva le armi giuste. Forse non le avrebbe mai avute.

«Il tempo che ci siamo presi. Il destino non ha fatto un granché per aiutarci Peter, e tu lo sai. A parte segnarci con questo simbolo uguale, ha sempre cercato di tenerci lontani», mormorò, e gli baciò la testa.

«Quello non è il destino, ma la tua famiglia. Vuoi che ci parli io?» 

«Per fare che? Per peggiorare le cose?» Tony sbuffò via una risata senza entusiasmo, a quel suo tentativo di rendersi utile ma, senza che potesse aspettarselo, Peter si alzò a sedere sul letto e abbassò lo sguardo sul suo, duro. Si ritrovò a puntellare i gomiti al materasso per sostenere il suo sguardo, con una nota di confusione nelle orecchie, che lo stordì per un attimo «Che c’è?»

«Sei sempre così disfattista?», sbottò Peter.

«Solo quando non ci sono soluzioni», rispose, lapidario, con quel tono infastidito che odiava a morte e che non aveva mai fatto niente per migliorare. Peter sbuffò e si passò una mano tra i capelli castani, insofferente.

«Hai detto che quando sarai maggiorenne te ne andrai. Non manca molto, no? In quel caso, sarai libero da questo supplizio. Non ti sto chiedendo di lasciare tutto per stare con me, lo sto dicendo perché è prima di tutto con te che devi imparare a stare.» 

«È quello che voglio, ma non è sempre possibile fare quello che si vuole. Tu dovresti saperlo meglio di me.» 

Peter sbuffò via una risata amara dalla bocca, squadrandolo con una certa sufficienza che no, non gli apparteneva ma dava segno di voler proteggere ad ogni costo la propria posizione sociale. «Perché io dovrei saperlo? Perché sono ordinario e noi gente così sappiamo cosa significa rinunciare a quello che vogliamo, siccome non ce lo possiamo permettere? Tony, hai un’idea decisamente troppo distorta di cosa significa vivere al di fuori di casa tua.»

«Oh, bene! Stiamo già litigando? Un bel passo avanti, Parker. Chissà perché ero convinto che due persone destinare a stare insieme per l’eternità non avessero di questi problemi. Non abbiamo ancora stabilito chi siamo e cosa siamo e questo è già il livello raggiunto?»

«Tanto che importanza vuoi che abbia, se andiamo d’accordo o no? Hai detto che te ne vai, non appena ne avrai la possibilità. Non sono nessuno per dirti di restare, ma per tua ammissione hai detto che senti anche tu quel desiderio di tornare ogni volta. Lo farai una terza volta, discuteremo ancora, te ne andrai e poi tornerai senza risolvere un bel niente?»

«Stiamo discutendo di qualcosa su cui non ho potere», sbottò, alzandosi anche lui a sedere sul letto per fronteggiarlo. Poggiò le mani al materasso e poi alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Tornerò? Non lo so, forse sì, e se dovessi andar via di nuovo che importanza può avere? L’importante è tornare.»

«No, Tony. L’importante è restare dove tu vuoi stare. Pensi che ti stia costringendo a legarti a me e restare per me, ma la verità è che quando sei legato a qualcuno – in qualunque modo esso sia, brami la sua felicità. Il fatto di non conoscerci ancora così bene non significa che debba fregarmene di come stai. Vattene da lì, e non per me, ma per te. Hai fatto la pazzia di scappare due volte, fa che la terza sia quella che ti renderà una persona libera. Così libera da scegliere anche se assecondare il simbolo oppure no. Essere Anime Gemella non ti costringe a non scegliere con chi stare. Il libero arbitrio è ancora un tuo diritto.»

Solo che è con te, che io voglio stare. Solo che è con te, che loro non vogliono che stia. Solo che è tutto così vago, ancora, che ho paura di non prendere la giusta decisione in ogni caso. In nessun caso.

Ma… come dirglielo? Come esternare quelle paure senza risultare debole? Come raccontargli che provava lo stesso ma che non aveva lo stesso coraggio? Aveva veramente troppo, troppo da perdere. Una famiglia e un futuro, entrambi da ricostruire daccapo. Non c’era fretta di scegliere, eppure sembrava che quella decisione dovesse prenderla lì per lì, solo per non vacillare più perché una volta presa quella posizione non avrebbe avuto modo di tornare più indietro.

Scegliere Peter e non tornare più indietro… o tornare indietro e perdere Peter?

Perché non poteva semplicemente avere entrambi?

Piegò le ginocchia contro il petto, mentre si nascondeva il viso tra le mani e, con un sospiro più simile al grugnito di un facocero, esternò tutta la sua insofferenza. Peter, immobile seduto ancora accanto a lui in quel letto minuscolo, lo guardava e aspettava. Un colpo di coraggio, una scelta, una risposta. Tutte cose che Tony non poteva dargli ora e forse mai. Si liberò il viso dalla gabbia delle proprie mani, gli prese le guance e se lo tirò addosso, tentando di trasmettergli tutte quelle sensazioni così nuove e terrificanti che sentiva, attraverso un bacio che risanava e, allo stesso tempo, distruggeva qualcosa. Peter ricambiò immediatamente, e la risposta incastrata tra le sue labbra era comprensione e umanità; due concetti che, da suo padre, non aveva mai ricevuto e che, sentirle addosso, ardere a quel modo, gli fecero salire il magone. Così approfondì quel contatto ributtando indietro quel nodo in gola, lasciando che cadessero entrambi sul materasso, uno di fronte all’altro, continuando a baciarsi come se solo smettere potesse ucciderli o annullare quella magia terribile e incantevole che li aveva avvolti.

«Sei uno che risolve le discussioni in questo modo?», disse poi Peter, sulle sue labbra; così piano che pareva non volesse romperlo.

Tony alzò le spalle, poi sorrise arrogante. «A quanto pare... non funziona?»

Lo sguardo di Peter si soffermò sul suo, così a lungo che parve una brevissima eternità. «Funziona», sentenziò, rubandogli un bacio con un’audacia che non gli avrebbe mai attribuito e che, in qualche modo, andava a sommarsi a quelle cose che, a pelle, di Peter gli erano piaciute subito.  

«Lo so che non sai che fare.»

«Tu che faresti?» 

«Cercherei una soluzione perché nessuno rimanga deluso.»

«E finiresti per accontentare tutti, a parte te», rispose Tony, stupendosi di quanto in verità già lo avesse inquadrato e dunque quanto lo conoscesse. 

Peter rise leggermente, sulle sue labbra, poi sorrise con gli occhi. «Sì, molto probabile. Solo che tu non sei così; tu non ti vuoi deludere. Un po’ ti invidio.»

«Invidi cosa? Il fatto che non so scegliere e dunque sono in questa fase di stallo?» 

Peter rispose con un diniego della testa, affondando poi la testa nel cuscino. «Il fatto che, come me, non vuoi deludere nessuno ma che, a differenza mia, pensi anche a te.»

Tony sbuffò divertito. Gli rubò un fugace bacio sulle labbra, poi sospirò. «Si chiamano manie di grandezza.»

«No, si chiama amor proprio. Un concetto a me totalmente estraneo, a dire il vero. Tony, qualsiasi sarà la tua decisione io la rispetterò, non sentirti pressato, perché io n-» Peter si bloccò quando, ad un tratto, un fischiettio e un rumore di pentole e pensili che si aprivano li colse. Si guardarono improvvisamente colti di sorpresa e, quando l’altro strizzò gli occhi quasi dolorosamente – riaprendoli poi con un sorriso colpevole a illuminargli il viso, Tony alzò un sopracciglio. «Mia zia… si sveglia presto, la mattina e… mi sa che sta facendo colazione. Mi ero completamente dimenticato di lei», mormorò, mortificato. 

«Bene! Dunque siamo già a questo stadio? Conoscere la famiglia?», ironizzò e, se possibile, il viso di Peter si fece ancora più dispiaciuto. Decise di baciargli la punta del naso, nel tentativo di rassicurarlo che non vi era alcun problema e che, comunque, non ci aveva pensato nemmeno lui – anche se forse non avrebbe mai ammesso quella svista imperdonabile. Così si alzarono dal letto, una mezz’ora dopo, approfittando di quel tempo per parlare ancora, conoscersi, raccontarsi. 

Quando Peter aprì la porta di camera sua, Tony lo seguì appena dietro e, quando poi si ritrovarono nel salotto con la zia della sua Anima Gemella seduta ad un tavolo a scrivere su dei fogli, non seppero che fare. 

«Buongiorno raggetto di sole!», esclamò la donna, senza staccare gli occhi da quei fogli, allungando però un sorriso materno. 

Peter tossì per attirare la sua attenzione, ma lei sembrava troppo impegnata con le sue scartoffie per badarci; insistette e, infine, sospirò. «Zia May, volev-»

Lei alzò lo sguardo, finalmente, e quando si rese conto – dopo un lunghissimo silenzio passato a guardarsi – che suo nipote non era solo, spalancò la bocca e si alzò in piedi, come se avesse appena sorpreso un ladro a rubarle tutta l’argenteria. E, in effetti, Tony si sentiva come se lo fosse stato. Alzò una manina per salutarla.

«Oh… e tu chi… OH!», esclamò, infine, indicandolo con un ditino tremante e rivolgendo poi un paio di occhi frizzanti verso suo nipote. «Lui è… lui?» 

«S-sì, è Tony e… Tony, lei è mia zia May, te ne ho parlato e…», balbettò, grattandosi la testa in imbarazzo e spostando lo sguardo su entrambi, in attesa forse che qualcuno rompesse quel disagio. Tony a dirla tutta si sentiva tutt’altro che in quel modo. Le rivolse un sorriso e, avvicinandosi, le strinse la mano. 

«È un piacere conoscerla, anche se la circostanza è un po’ desueta, immagino. Insomma, sono entrato dalla porta sbagliata», rise e lo fece di più quando Peter si coprì il viso con una mano, probabilmente rosso come un peperone. 

«Oh, quel che è successo tra voi è affar vostro e Peter mi ha parlato così tanto di te!»

«Ma davvero?», lo canzonò Tony, palesando una delle sue attività preferite: fomentare l’imbarazzo che già albergava grandemente in qualcuno. Con Peter pareva addirittura più divertente. 

«May, per favore…», mormorò l’altro. «Tony è venuto a trovarmi stanotte e… mi è sembrato giusto chiedergli di dormire qui. Sai, per evitargli un viaggio pericoloso

«I tuoi sanno che sei qui?», chiese May e, per quanto Peter avesse cercato di virare quel fatto sulla normalità, era chiaro che le avesse raccontato di come i suoi genitori non approvassero il fatto che fossero Anime Gemella e, quindi, tirare le somme pareva più semplice di quel che potesse sembrare. Per di più l’aveva cresciuto come un figlio e raramente una madre non riusciva a leggere tra le righe.

«No, non lo sanno», fu la sua laconica risposta e Peter distolse lo sguardo, sentendosi chiaramente il motivo di quella sua fuga. Dopotutto era la verità, era scappato di casa per rivedere lui, senza nemmeno sapere perché fosse così necessario.

«Mi dispiace molto metterti in mezzo a questa storia, ma se non lo avesse fatto non avremmo potuto chiarire determinate cose e cercare una soluzione», intervenne Peter, sinceramente dispiaciuto e quando Tony si voltò a guardarlo, lo vide mordersi un labbro, a disagio. Non c’entrava niente, lui. Non lo aveva spinto a fuggire, non lo aveva convinto a mettersi contro suo padre. Era stata una decisione sua; sua soltanto. Era lui che aveva messo entrambi nei guai, sebbene Peter non avrebbe comunque dovuto pagarne le conseguenze. Si sentì in trappola.

«Mi rendo conto che non è una situazione facile, la vostra. In verità sarebbe bastato darvi la libertà di scegliere ma è chiaro che non può essere così semplice», intervenne May, sospirando e entrambi annuirono, incapaci di dare una risposta a quella miriade di domande che frullava nella testa di tutti e tre. Era chiaro che May volesse dar loro una mano, ma era impossibile contemplare un modo per permetterglielo. L’unico adulto in grado di capirli non aveva il potere di cambiare le cose. Quella storia diventava più triste ogni istante che passava.

«Troveremo un modo e… nel frattempo, magari, Tony potrebbe rimanere a pranzo qui, che ne pensi?», propose Peter e, preso completamente alla sprovvista, Tony non rispose. Era una proposta allettante, e allontanava sempre di più il momento del suo ritorno a casa e, dunque, dell’ennesimo – e forse ultimo confronto con i suoi genitori. Il momento della verità, che aveva sempre più il sapore di una sconfitta definitiva. 

May ridacchiò. «Oh, per quanto mi riguarda può rimanere per sempre¹ ma… vada per il pranzo», ironizzò la donna, anche lei dimostrandosi abile nella pratica di imbarazzare Peter. Poi si rivolse a Tony. «Non sono esattamente una cuoca provetta, dunque non ti dispiacerà se prendo qualcosa dal ristorante Tailandese?»

«Nel modo più assoluto, ma mi permetta di pagare il pranzo visto che sono spuntato qui all’improvviso», si propose, impettendosi un po’ nel tentativo di dimostrare un poco di maturità, che non era esattamente una sua prerogativa conosciuta. 

May rispose con un diniego della testa. «Sei nostro ospite, dunque offro io. Voi intanto parlate. Sono certa che abbiate ancora molte cose da dirvi», concluse, facendo loro l’occhiolino e defilandosi poi nella sua stanza, chiudendo la porta e lasciandoli soli.

«Mi dispiace, non volevo che ti mettesse in imbarazzo», mormorò Peter e a Tony sfuggì una risata accorata. Gli prese le mani e gli rubò un fugace bacio sulle labbra, prima di sedersi poi entrambi sul divano, accogliendo quel tempo che ancora potevano sfruttare per passarlo insieme. 

«A me pare che abbia messo te, in imbarazzo. Io con certe cose me la cavo benissimo, Peter! Sei tu quello timido!», lo punzecchiò e Peter rispose con un sospirò, che poi svanì via lasciando spazio a due occhi carichi di speranza. 

«Lascia che ci parli io…», ripeté poi, stavolta con un carico di suppliche a riempirgli il diaframma. 

Tony inclinò la testa e, sebbene quella determinazione lo avrebbe convinto di qualunque altra cosa, c’era troppo timore di peggiorare le cose e finire per andarci di mezzo tutti e due. Gli passò una mano tra i capelli, mortificato.

«Non ti vuole nemmeno vedere. Non vuole nemmeno sentirti nominare.»

«Ma deve ascoltarmi! Insomma, una parola non si nega a nessuno.» 

«No, in una situazione normale, con una persona normale. Non mio padre, e l-», si bloccò, quando il cellulare di Peter prese a squillare e a riempire l’aria di una canzone rock che Tony riconobbe come Hey Oh Let's Go dei Ramones. Un altro punto a favore: la buona musica in comune. L’altro tirò fuori il telefono e, con un sopracciglio alzato, fissò lo schermo, confuso.

«Un numero privato.»

«Sarà qualche pubblicità?», azzardò Tony, e Peter rispose, titubante.

«Pronto? Sì, sono io. Oh, è lei… sì, è con me e… aspetti un secondo.» Coprì il microfono con una mano e, rivolgendosi a lui, sembrò improvvisamente nel panico. «È il tuo maggiordomo. Dice che vuole parlarti e che è qui sotto.» 

Tony sussultò sulle spalle e, in un gesto meccanico, girò lo sguardo verso la finestra del salotto. Non sapeva nemmeno se dava sul cortile ma, in ogni caso, Jarvis era a pochi metri da lui, probabilmente lì per recuperarlo ed evitare che lo facesse invece la polizia o chissà chi altro. Si sentiva in trappola.

«Passamelo», fu la lapidaria risposta e quando Peter gli passò il telefono, con una certa riluttanza, lo prese tra le mani tremanti e rispose. «Jarvis?»

«Tony, sono qui sotto. Ho bisogno di parlarti e vorrei che scendessi non appena possibile.» 

«D’accordo», sospirò e si passò una mano tra i capelli, nervoso. «Porto anche Peter.»

«Sì, vorrei parlare anche con lui.»

Tony attaccò e cedette il telefono alla sua Anima Gemella, che lo guardò con mille interrogativi al quale non sapeva rispondere e, alzandosi in piedi, l’altro lo imitò e lo seguì poi giù per le scale ed infine in strada. Erano assonnati, pieni del sonno di cui si erano privati per passare quel tempo insieme a conoscersi. Qualcosa di cui mai si sarebbe pentito ma, si rendeva conto, forse le sue batterie non erano abbastanza cariche da renderlo capace di sostenere una discussione che, già lo sapeva, avrebbe preso pieghe che non gli sarebbero piaciute. Sospirò e, quando Jarvis uscì dalla limousine nera e lucida – che molti passanti si soffermarono a guardare, incuriositi, si irrigidì. Peter, dietro di lui, pareva ancora più pietrificato. 

«Ebbene?», domandò, freddamente, sebbene dentro di sé vi fossero una miriade di domande che necessitavano risposta. Ti manda mio padre? Che cosa vuoi? Portarmi via? Mi stai dando una speranza? Mi stai consegnando una vita nuova?

«In verità non sono io che voglio parlare con te.» Fu l’unica cosa che Jarvis disse, sospirando e, quando fece il giro dell’auto per aprire la portiera posteriore, Tony trattenne il respiro. Suo padre si era immolato a tal punto nel tentativo di rovinargli la vita che aveva persino schiodato il culo dalla sedia del suo ufficio per andargli a fare una ramanzina a domicilio. Istintivamente strinse il polso di Peter intorno a una mano tremante e, pronto a fronteggiare l’uomo a cui non doveva più niente, si caricò di quel poco di coraggio che aveva. 

Solo che quella baldanza gli sfumò via dal petto, quando una scarpa nera lucida col tacco toccò l’asfalto e, dall’auto, uscì sua madre. Un tailleur bianco, una collana di perle al collo, uno chignon impeccabile e un sorriso dolcissimo a illuminarle il viso. Un angelo sceso sulla terra, un’esplosione di purezza e comprensione. Di maternità. 

Tony non seppe che dire, solo la guardò e le chiese tacitamente cosa accidenti ci facesse lì.

«Ciao Peter», salutò la donna e il ragazzo del Queens ricambiò timidamente alzando una mano e mormorando un saluto; poi Maria gli rivolse lo guardo fatto dei suoi stessi, medesimi occhi e, inclinando la testa, fece un passo avanti. «Ciao Tony.»

«Sei qui per portami via? Ora ha deciso di usare te, come esca?», domandò, stizzito, incrociando le braccia al petto.

«No», fu la lapidaria risposta di sua madre, accompagnata da un diniego della testa. «Sono qui per parlare con te. Solo con te. E con Peter, se fosse possibile.» 

Lo spiazzò. Gli incastrò nel petto una fastidiosissima speranza, con quel sorriso che sapeva quasi di una soluzione che lui e Peter avevano cercato per ore, non riuscendo a trovarla. Le riservò un’occhiata inespressiva, sebbene dentro di sé sentisse quasi un moto di gratitudine pervaderlo. Sapeva che nemmeno lei avrebbe potuto fare il miracolo ma, paradossalmente, sapere che uno dei suoi genitori fosse dalla sua parte, era enormemente di conforto.

 

        

Fine Capitolo V
 


 

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Carissimi!
ma salve salvino vicini vicinini! È la vostra Miryel che vi parla? Ma come la va? Ma come la va, carissimi?
Ed eccoc infine giunti al quinto capitolo di questa Young che, guarda un po', vede dei nuovi risvolti. In verità non vedevo l'ora di arrivare proprio a questo punto, dove entra in scena lei, colei che tutti hanno creduto fosse il personaggio debole, schiacciato dalle personalità forti di Tony e di Howard ma che è una madre; una madre immensamente dolce, che doveva avere il suo ruolo e che, nel prossimo capitolo, scoprirete ** Non vedo l'ora di scoprire come reagirete alle rivelazioni che seguiranno, sperando che vi piacciano. Nel frattempo mi auguro col cuore che anche questo capitolo vi sia piaciuto, che la storia vi stia entusiasmando e vi do appuntamento alla prossima settimana con il sesto e penultimo capitolo della storia **
Un abbraccio in barba a Conte, e non andate in giro senza mascherina e rientra prima di mezzanotte se non volete essere trasformati in zucche **

 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.

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