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Autore: PandaCho    20/08/2009    5 recensioni
« Edgar Allan Poe - Il ritratto ovale »
" Quando fui alla fine di quel capolavoro, di quel mio unico sogno speciale, avvertii la realtà riprendere lentamente il tempo, riprendendo anche me.
Ed eccole, erano lì,gli ultimi tocchi da sfumare nei suoi occhi profondi e nella sua bocca puerile, di perla.
Un sentimento sconosciuto mi invase, e poi la gioia di aver creato qualcosa, un qualcosa che pullulava di vita, di Lei.
Poi tutto riprese i suoi colori di cui prima aveva perduto.
Un freddo lungo la schiena, e la paura morbosa di essere solo.< "
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era bella lei, mia moglie. Possedeva una rara bellezza quanto amabile tanto giuliva, che aveva, custodiva solo lei.
Mi innamorai di Lei perché mi ricordava l'arte, devota, splendente, fatta di luce e di sorriso.
Ed io, solo studioso, austero, appassionato dell'arte stessa tanto da averla come un'altra moglie, vidi in lei quello che mi mancava della mia arte: così mi innamorai e la sposai.
Forse avrei fatto meglio a lasciarla libera, guardarla soltanto da lontano e magari facendole anche un ritratto.
Si, ma immaginandola, sognando la sua perfezione di cui ero pazzo.
Ma pensandoci, nessun ritratto sarebbe stato tanto meraviglio e sublime quanto quello, ma un dipinto non vale tanto una vita.
Un giorno le chiesi se le potevo fare un quadro, e lei anche se odiava infinitamente la mia seconda sposa accettò ugualmente facendomi dono di un sorriso, come al solito, come le piaceva fare ogni qual volta che incontravo i suoi occhi.
Decisi di svolgere il tutto nella torre più alta e oscurata, così che la sua lucentezza potesse apparire ancora di più.
Così che chiunque avesse visto quel ritratto potesse essere illuminato dalla sua bellezza che io,solo io possedevo e custodivo gelosamente.
Iniziai il quadro.
E in quel momento tutto si tinse di un unico colore, di nero, e solo lei esisteva, solo lei e la sua gagliarda figura.
Ma ero troppo appassionato,folle, privo di me stesso che non mi resi conto che ad ogni pennellata, che ogni volta che intingevo la punta nel colore, qualcosa in lei sfumava; tra le sue dita, lungo il suo corpo di porcellana.
Ero divorato.
Dominato da Lei.

Dall'arte.

Non mi fermai mai, non volevo che quell'immagine potesse scomparire e non tornare mai più.
Mi sentivo divinamente, consumato ma avvertivo una sensazione di benessere inumana circondarmi.
Non ero più io, non vedevo più lo stesso riflesso ogni qual volta che mi specchiavo, c'era solo lei , l'arte e quella fame insaziabile provenire dalla mente e dalle dita che stringevano il pennello.

Non ero più umano,io.
Quando fui alla fine di quel capolavoro, di quel mio unico sogno speciale, avvertii la realtà riprendere lentamente il tempo, riprendendo anche me.
Ed eccole, erano lì,gli ultimi tocchi da sfumare nei suoi occhi profondi e nella sua bocca puerile, di perla.
Un sentimento sconosciuto mi invase, e poi la gioia di aver creato qualcosa, un qualcosa che pullulava di vita, di Lei.
Poi tutto riprese i suoi colori di cui prima aveva perduto.
Un freddo lungo la schiena, e la paura morbosa di essere solo.
Chiusi gli occhi, e già me la immaginavo quella donna che era mia moglie, la vedevo sorridere, commossa di quello che avevo compiuto.
Aprì gli occhi, e non la trovai come la mia mente l'aveva descritta.
La pelle diafana quanto la luna, gli occhi spenti in un sonno senza ritorno, e le sue labbra : piegate in un sorriso , rosso, intenso..che sapeva di immortale - di morte.
L'avevo spenta io.
L'avevo consumata, avevo consumato la sua perfezione e la sua purezza che mai macchiai, trasferendola in un quadro.
E mi resi conto che in ogni sfumatura, in ogni colore che davo a quel ritratto, in verità...non facevo altro che sfocare, infrangere la sua vita donandola alla morte insieme a me stesso.
Quell'oggetto, quel quadro, non era Lei nelle sue sembianze, nelle sue amabili grazie, ma era l'altra sposa : L'Arte, nella sua più folle e spietata forma.

Avevo ritratto la mia dannazione.
  
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