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Autore: kurojulia_    27/10/2020    0 recensioni
Una raccolta di vicende. Una raccolta di speciali episodi per ognuno dei personaggi del mondo di
Vampire Devil. Eventi importanti, eventi insignificanti.
[Da leggere DOPO la storia principale.]
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Fire & Memories.






«Kukuri, allaccia la cintura». La voce di mamma mi suggeriva che era stanca, arcistanca, di ripetermi sempre le stesse cose. Quella doveva essere... la quarta volta che mi diceva di allacciare la cintura. E la mia risposta era sempre la stessa; io che mi accartocciavo sul sedile, appoggiandomi con la spalla allo sportello.

E di solito ne approfittavo per osservare fuori dal finestrino, oltre il guard rail; era da un po' che si vedeva sempre lo stesso scenario: una distesa di alberi, che si moltiplicava per quelli che, agli occhi di una bambina, erano un'infinità di miglia, così tanti da non avere una fine.

Il cielo, invece, era di un bianco accecante. Qualche nuvola grigia faceva capolino, di tanto in tanto, cercando di contrastare quella forte luce – ma non era abbastanza.

 

«Ma è scomoda», borbottai. «Mi strizza, mi dà fastidio al collo».

Papà sorrideva. Riuscivo a vedere le sue guance gonfiarsi, le rughe attorno agli occhi. «Ti tiene al sicuro e solo questo deve importarci. Per favore, eh? Fai la brava».

Non avevo nessuna voglia – e nemmeno intenzione – di allacciarla. Chissà perché ma, quel giorno non ero dell'umore per fare la figlia ubbidiente. Non mi andava proprio.


Tuttavia, decisi di accontentarla. "Così non mi avrebbero più assillato". «Okay, come vuoi».

Mamma mi sorrise, girandosi dietro, verso di me. «Brava la mia bambina».

 

Fu in quel momento, mentre guardavo il suo sorriso scherzoso, che il camion ci venne addosso.



Un urto, di una tale portata, da scuotermi dalla testa ai piedi.

Po, cosa accadde, esattamente? Improvvisamente, per un istante, mancò la gravità. Il tempo di sbattere le ciglia. Ci ritrovammo a testa in giù, aggrappati alle cinture, sospesi a mezz'aria. E dopo di ché, un altro forte urto ci riportò sulla terra.

Passò del tempo. Forse un minuto. Forse un giorno.

Quando aprì gli occhi, la macchina era invasa dal fumo. Non riuscivo a vedere niente e avevo la bocca secca. I dorsi delle mie mani toccavano il soffitto. Volevo muovermi. Volevo urlare, mamma, papà, state bene? – e la voce non usciva.


I miei genitori sedevano davanti. Erano immobili. Li guardavo.

Il fumo mi entrava nelle narici, intossicandomi la gola, i polmoni. Era insopportabile, mi sentivo soffocare, come se l'aria mi venisse forzatamente tolta.

Dopo di ché, una luce aranciata divampò all'improvviso.

Da dove arrivava? Ci misi del tempo a capire cosa fosse e cosa stava accadendo. Forse troppo tempo.

Era fuoco, pensai, era fuoco!

 

Dovevo uscire immediatamente e dovevo salvare anche mamma e papà. Sollevai le braccia e raggiunsi con le dita l'aggancio della cintura. Premetti il tasto un paio di volte e finalmente si slacciò, lasciandomi scivolare con il collo sul soffitto. «Mamma», ansimai. «Papà... ». Se uscivo dalla macchina e aprivo i loro sportelli, sicuramente avrei potuto trascinarli fuori dall'auto – stava tutto nell'uscire da qui.

Ma lo sportello – scoprii – non si apriva. Perché? Perché mio padre bloccava le portiere, per evitare che io l'aprissi per sbaglio. Quindi, non importava quanta forza impiegassi, sarebbe rimasto chiuso.


Ah! Però il finestrino era socchiuso, abbastanza per... per farci passare... un braccio...

 

Piansi. Piansi ed urlai. Ogni volta che aprivo la bocca per urlare, un colpo di tosse lo seguiva.

Urlavo. Piangevo.

Non potevo fare altro, a quanto pareva. Solo aspettare che le fiamme ci raggiungessero.


Poi sentii una voce. «TIENI DURO!». E lo sportello volò via, come l'ala strappata di una farfalla.

 

E a quel punto, il viso di una donna comparve, e dietro di lei, un uomo.

L'ultima cosa che potevo ricordare erano le loro voci e un esplosione. Poi, il vuoto.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Benvenuta a casa Akawa». Li guardavo, sollevando il viso verso l'alto, con occhi di vetro.

La mano della donna, posata sulla mia spalla, era gentile e delicata. Aveva un sorriso amorevole e occhi caldi come il sole. L'uomo, invece, mi ricordava il ghiaccio. Forse per via dei suoi capelli o dei suoi modi distaccati.
Qualcosa mi diceva che erano brave persone, brave persone fino al midollo, e non solo perché mi avevano tratta in salvo, estraendomi dalla macchina. E nemmeno perché avevano deciso di lasciarmi vivere con loro, senza abbandonarmi a degli assistenti sociali.

Oltre ai miei genitori, d'altronde, non avevo mai avuto nessun altro. Quindi, nella migliore delle ipotesi, una qualche famiglia mi avrebbe preso con sé.

Ma chi avrebbe mai adottato una bambina senza memoria? Senza alcun dubbio sarei un peso, per chiunque.

A stento avevo richiamato il mio nome.



Ma allora, pensai, perché questi due mi hanno portata qui?

«Kukuri», la donna mi sorrise. «C'è qualcuno che sicuramente vorrà conoscerti».

 

Mi portarono su per le scale. Non mi guardai intorno, non parlai, a stento respirai. Aspettavo solo di arrivare a destinazione, la mano dolcemente stretta dalla donna e l'uomo che ci seguiva, con il suo passo impercettibile.

La meta era una camera, una stanza, da cui filtrava la luce più calda e serena che avessi mai sentito – sulla pelle e sul petto.

E proprio lì, al centro di quella camera, una ragazzina si stava
alzando in piedi.


Una ragazzina che, col tempo, divenne il mio futuro.

   
 
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