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Autore: crazy lion    27/10/2020    3 recensioni
Furia è un gatto domestico, ma contrariamente a quanto si pensi è molto più di un felino. Ha un cuore grande, il miagolio delicato e, anche nei momenti peggiori, nonostante la paura e il dolore, coltiva la speranza che le cose andranno meglio. Ultimamente, però, per lui la domanda è una sola: quando? Era convinto di saperlo, ma ormai non è più così. Anche nelle belle giornate il sole ha smesso di splendere, e a ottobre c'è solo la pioggia che cade. Per fortuna non è del tutto solo. Al suo fianco ha una famiglia che lo ama e Red, un fratellino giocoso, rompiscatole e pasticcione, che vuole trascinarlo in una sorta di avventura casalinga nella speranza di vederlo stare meglio. Con tanta tristezza e tutte quelle nuvole all'orizzonte, riuscirà nel suo intento?
Red e Furia sono i miei gatti. Quello che racconto in questa storia, compresa la vicenda triste, è davvero accaduto. Qui ho un po' umanizzato i mici facendoli parlare e dando loro emozioni. L'episodio che descrivo è uno di quelli che accadono con frequenza a casa mia. Ho cambiato i nomi mio e della mia famiglia perché non mi andava di mettere quelli veri su internet.
Storia stilata con Emmastory.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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RED E FURIA: AMICI DI ZAMPA

 
Il tempo stava passando anche nella  campagna veneta, ma nonostante i tiepidi raggi del sole d'autunno, non era una bella giornata. Colto di sorpresa, infatti, il re del cielo era stato costretto ad abdicare in favore delle tenebre. L'orologio appeso al muro del salotto segnava appena le tre del pomeriggio e, pigramente sdraiato su uno dei tanti letti di una casa che ormai considerava propria, o meglio, sulla coperta più morbida mai vista prima, un gatto grigio non faceva che osservare il vuoto e sospirare. Gli occhi chiari distanti, lo sguardo perso oltre un orizzonte a cui ormai non prestava più attenzione e, appena oltre il vetro di una finestra, solo gocce di fredda, freddissima pioggia Il gatto abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi. Non era la prima volta, certo, ma stando a ciò che il suo udito di felino gli permetteva di scoprire, pioveva. Almeno secondo la stagione, un ottobre calmo e mite almeno tanto quanto lui, uno spettacolo a dir poco straziante, nonché l'unica ragione per cui aveva chiuso gli occhi. Si portò una zampa al petto e gli parve di percepire lo schiocco del suo cuore che si spezzava, mentre una fitta di dolore lo attraversava. Ormai era passato circa un mese da quell'assurda tragedia, uno e undici giorni, se ben ricordava, e nonostante non fosse da solo e avesse la fortuna di vivere con chi amava, il ricordo della sorella, bello, dolce e positivo, gli faceva ancora troppo male. Scese dal letto della padrona, quasi ignorandola mentre restava seduta nella sua stanza, davanti a uno schermo che lo attirava, ma di cui, in quanto gatto, non capiva davvero l'importanza. Indeciso, mosse qualche incerto passo verso di lei e miagolò, ma invano. Eleonora, la cara ragazza a cui era tanto affezionato, non poteva sentirlo. Aveva come dei tappi nelle orecchie, che piccoli e bianchi, sembravano emettere uno stranissimo brusio capace di distrarla, renderla per lunghi minuti, o a volte ore intere, sorda al mondo circostante. Si voltò stringendosi nelle spalle, e raggiunta la porta della stanza socchiusa da un soffio di vento, spinse piano con una zampa e un lieve colpo del muso, poi uscì.
Il giovane Furia, quello il suo nome, si ritrovò solo nel corridoio che portava al salotto. Da un'altra porta aperta avvertì un fastidioso spiffero d'aria fredda come ghiaccio, e voltandosi, vide qualcosa, anzi, qualcuno. Molto più giocoso e gioioso di lui, almeno in quel momento, Red, il cucciolo rosso che da tenero e adorabile ospite aveva finito per diventare suo coinquilino prima e amico poi, o come Isabella e Carlo erano ben felici di affermare, un membro della famiglia. Ci era voluto del tempo perché parte degli umani, in particolare i due adulti e il caro Giovanni, lo accettassero, ma con sua sorella Eleonora prima a innamorarsi, e i genitori al seguito, non ne era passato molto prima che accadesse. Ricordava ancora i suoi primi screzi con quella palla di pelo color del fuoco e abbozzando, anzi, forzando un sorriso, rimase fermo nel vederlo avvicinarsi.
"Ciao, Fufo!" salutò quest'ultimo, felice di vederlo.
Pur sorridendo lievemente, però, Furia si irrigidì. Era strano a dirsi, e nonostante lui e quel piccolo terremoto non fossero fratelli legati dal sangue, e lui fosse stato adottato solo poco tempo prima, nel luglio di quello stesso anno, a volte gli ricordava tanto Stella, la sorella ormai scomparsa e strappata alla vita da uno stupido, sfortunato incidente. Gli costava dirlo, ma anche se in realtà non aveva visto nulla ed era venuto a conoscenza dei fatti soltanto dopo, avrebbe tanto voluto che quella donna pagasse per ciò che aveva fatto. E poi gli umani si chiedevano perché i gatti tendessero a diventare menefreghisti. Uccisi per errore, travolti da un auto in corsa o avvelenati nel quartiere in cui vivevano.
“Perché?” si chiedeva. “Perché?”
Per distrazione, ovvio. Distrazione. Che parola inutile, che modo altrettanto inutile di giustificare un atto del genere. Chiaro, quella donna non voleva far del male a nessuno, e si era anche fermata, ma purtroppo non abbastanza in fretta da evitare alla povera gatta quella triste fine. Così, separato dall'unica gattina con il suo stesso sangue che avesse conosciuto, o meglio, che ricordasse e considerasse una sorella, Furia si sforzava di essere lo stesso gatto di sempre, incline alle coccole, al gioco e all'affetto, specie nei confronti di Eleonora, ma era in momenti come quelli, in cui il miagolio di un piccolo amico gli ricordava il giorno peggiore della sua vita, che era più difficile. Sconvolto, sentì una lacrima sfuggirgli da un occhio e rotolargli lungo il muso e, decisamente troppo triste anche solo per pensare, la lasciò scorrere.
"Red, non… non chiamarmi Fufo" ebbe appena la forza di rispondere, ancora perso, no, bloccato, in quei tetri ricordi.
"Perché? Non ti piace?" azzardò il gattino, confuso.
"No, non è per questo, solo… non farlo, va bene? Non per il momento, almeno. Per favore."
"Va bene" rispose appena l'altro, sollevando una zampa in segno di resa. “Sei arrabbiato con me?”
Furia si sforzò di sorridere.
“No, non preoccuparti.”
Non era colpa di quel micetto se Stella era morta, così come di nessuno in quella famiglia. Non poteva prendersela con lui per un nomignolo innocente, lo stesso che usava Stella. Tutti l’avevano amata e, anche se lei aveva soffiato a Red fin dal suo arrivo, lui si era avvicinato tante volte per provare a giocarci assieme e, pian piano, la micetta lo stava accettando. Furia sospirò al pensiero che, in quel momento, avrebbero potuto essere lì, tutti e tre insieme, a rincorrersi e a divertirsi, o a dormire in camera di Eleonora, o a lasciarsi coccolare da lei facendo di tutto per riceverne più degli altri. Ma tutto ciò non sarebbe accaduto mai. Si accasciò a terra, stanco anche se quel giorno non aveva fatto un granché. La sofferenza lo svuotava di ogni forza.
 
 
 
A circa sei, quasi sette mesi d'età, Red era piccolo, ma ciò non significava che fosse stupido. Appena arrivato in quella casa, aveva avuto poco tempo per conoscere Stella, ancor meno per affezionarsi a lei, ma nonostante questo, capiva e  rispettava il dolore del fratello. Tenero come al solito, e solo all'apparenza ignaro dell'incidente, anche lui aveva cercato di riprendere fra le zampe la sua vita al meglio delle proprie possibilità.
“Ma per me è più facile” si disse.
Era stato assieme a Stella per un paio di mesi, mentre Furia ci era nato e cresciuto, avevano vissuto insieme cinque anni.
A Red piaceva la sua esistenza. Prima aveva vissuto per strada, ma da quando Eleonora l’aveva sentito nel giardino, le cose erano cambiate. L’aveva avvicinato pian piano, lasciandogli i propri tempi, e lui si era fidato ogni giorno di più fino a rimanerle in braccio senza scappare. E da agosto, dopo la visita da quelle donne strane che aveva sentito chiamarsi veterinarie, era entrato anche in casa. Era bello stare in braccio a Eleonora, inseguire le palline di carta che lei costruiva per lui e gli regalava, bello farsi accarezzare, e soprattutto, vederla sorridere. Non capitava spesso con tutto quello che le succedeva, povera ragazza, ma se riusciva a rendere felice un'umana, quanto poteva essere difficile farlo con un suo simile? Affatto, o almeno così pensava. Si mise subito all'opera. Seduto al suo fianco, iniziò a fissarlo e sorrise.
"Ehi, Furia?"
"Sì?" replicò questi, atono, che intanto si era rialzato.
Senza dire altro, il gattino gli colpì la schiena con la zampa e iniziò a correre.
"Non mi prendi!" quasi urlò, miagolando forte per farsi sentire.
Vuoto ad eccezione della loro presenza, lo stretto corridoio appariva agli occhi del gattino come un sentiero infinito.
Senza guardarsi indietro, il micetto continuò a correre, e in breve, si ritrovò nel salotto di casa. In quel momento, data la presenza dei divani e di una poltrona, una vera e propria catena montuosa. Armandosi di coraggio il piccolo Red spiccò un balzo, e in un baleno, eccolo giunto in cima.
"Sono il re del monte!" gridò poco dopo, orgoglioso di se stesso mentre rideva a crepapelle. Piantò le unghie nella stoffa, dato che non amava molto il tiragraffi accanto alla poltrona. Grazie al cielo gli adulti non erano lì per sgridarlo e rovinare il suo divertimento, altrimenti chissà cosa sarebbe successo. A dirla tutta già lo immaginava, e fissando lo sguardo su un punto immaginario e lontano, poteva quasi vederlo. C'erano un'Eleonora sorridente e divertita e un Giovanni fintamente disinteressato, e a poca distanza da loro, i genitori Carlo e Isabella. Uno incuriosito, l'altra su tutte le furie. Un attimo, furie? Che strano, gli umani avevano un modo di dire simile al nome del fratello!
Ridacchiò a quel pensiero. Magari l’avevano chiamato così proprio pensando a quella parola. Red si guardò intorno, ma a prima vista non notò nulla. Dov'era finito suo fratello? Che fosse rimasto di sopra? Magari stava troppo male per giocare. A volte capitava che gli dicesse di lasciarlo un po’ da solo e, se Red insisteva, l’altro lo cacciava con una zampata, ma senza intenzione di ferirlo o di mandarlo via con violenza. Quello era semplicemente il modo di fare dei gatti e in situazioni del genere Furia non tirava nemmeno fuori le unghie. Forse era il caso di lasciarlo stare. Soffriva, era ovvio che non se la sentisse di divertirsi. Chi ci sarebbe riuscito, al suo posto, in un periodo del genere?
Non avrei nemmeno dovuto forzarlo correndo così pensò.
Aveva sbagliato, era stato insensibile e non aveva rispettato il suo dolore. Ma non ebbe il tempo di sentirsi in colpa perché attimi dopo, aguzzando la vista, riuscì a inquadrarlo. Già con il fiato corto, si stava avvicinando e, nonostante la stanchezza, sorrideva. Allora Furia era venuto lì perché lo voleva, non perché era stato costretto. In quel momento, il cuore del micetto si gonfiò di gioia. Fare del bene lo faceva sentire così utile e importante, chissà se qualcuno gli avrebbe mai conferito un premio o una medaglia… No, che pensieri gli riempivano la testa? Le medaglie erano per i cani poliziotto della televisione, e lui era soltanto un gattino con un gran cuore e tanto amore da dare alla sua famiglia, il solo fatto che ricambiassero gli bastava. Prima di loro non aveva incontrato nessuno di così buono, e doveva ammetterlo, ne era veramente grato. Ormai aveva archiviato i suoi giorni da randagio, mettendoli via in un angolo della sua memoria così che non lo disturbassero, e cielo, che bello era giocare con il suo nuovo fratellone…
“Sei venuto” mormorò.
“Sì, hai visto? Scusami per prima, ma sto molto male e spesso non ce la faccio.”
Red non ebbe bisogno di chiedergli “A fare cosa?”, lo capiva anche da sé. Furia non riusciva a vivere in modo normale, perché nulla, per lui, sarebbe mai più stato come prima. Il piccolo si augurava solo che, col tempo, il più grande stesse meglio.
Ti prometto, zampa sul cuore, che ti starò sempre vicino.
Non ebbe il coraggio di dirlo, ma sperò che in qalche modo l’altro fosse riuscito a udire i suoi pensieri.
“Ti va di giocare?”
Furia ci pensò per un momento e rispose:
“Ma certo. Sono venuto apposta!”
"Dai, sono il re del monte!" gli ripeté il minore, alzando la voce per farsi sentire.
Non che lo schienale del divano fosse chissà che gran vetta, ma che importava? Era un gattino, e cosa costava immaginare ogni giorno una nuova avventura? Niente, ecco quanto.
"Ah sì? Re del monte, dici? Non per molto! Vieni qui, ti spodesto io!" replicò finalmente il maggiore dei due, lanciandosi al suo inseguimento e spiccando un salto per raggiungerlo.
Tutt'altro che metodico, però, finì per calcolare male la traiettoria, ottenendo infatti come unico risultato quello di rimbalzare su un cuscino e rovinare sul tappeto. Rapito da quella scena, Red scoppiò a ridere e soddisfatto di quella conquista, scese.
"O quasi" commentò, ridendo sotto i baffi, per poi avvicinarsi e aiutarlo.
Gli saltò addosso e l'altro gli morse una zampa, mentre Red si lamentava. Iniziò così una lotta fra morsi, graffiate, lamenti, ma tutto senza usare troppa forza in modo da non farsi tanto male. Corsero fuori un paio di volte per tornare dentro subito dopo e ricominciare. Red si stava facendo sempre più forte, pensò Furia. Cresceva in fretta, il piccoletto, e lui era contento che, seguendolo, il minore riuscisse a imparare tanto sul modo in cui bisognava comportarsi vivendo come un gatto. Saltarono su divani e poltrone, sempre inseguendosi, ma alla fine andarono in cucina a mangiare. Lo facevano spesso insieme e bevevano anche dalla stessa ciotola.
"Mi sfinisci sempre, sai?" commentò Furia, che in parte non scherzava, ma in realtà stava ridendo.
"Davvero? Beh, anche tu."
"Ma sei un compagno di giochi perfetto."
"E tu il migliore del mondo."
Furia avrebbe voluto dirgli tante cose, ma in primis ringraziarlo per esistere, per essere entrato nella sua vita, per rimanergli accanto in quel periodo difficile. Gli rivolse uno sguardo pieno d'affetto e l'altro parve capire, perché allungò una zampa a sfiorare la sua. I due si sedettero sul tappeto, l'uno accanto all'altro, e il più grande si accucciò mentre Red, com'era già accaduto qualche giorno prima nel giardino dei vicini, gli leccò le orecchie. Furia si rilassò a quel contatto e socchiuse gli occhi, poi ricambiò il gesto.
"Ti voglio bene" dicevano quelle leccate.
Non servivano parole, i loro sorrisi e quei comportamenti valevano molto di più.
I gatti si sdraiarono entrambi sullo schienale del divano e rimasero lì, l'uno davanti all'altro, a guardarsi fino ad appisolarsi. Mentre chiudevano gli occhi, si dissero che erano proprio una bella squadra o, per meglio dire, amici di zampa.
   
 
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